Fisso pensierosa la sigaretta che ho appena scagliato nel rigagnolo che scorre sotto il mio balcone. Penso a quanti incontri farà. Scenderà lungo il corso del fiume e incontrerà altre sigarette. La prima fumata da una vecchia nobildonna alcolizzata, con ancora le tracce di un bocchino e di un rossetto Chanel fuori moda. Poi quella di un meccanico disoccupato, una Marlboro semplice, alle porte della barriera industriale di Milano. Più avanti una Camel, scesa con l’acqua delle Dolomiti dopo aver descritto fumo in quota, tra le mani di un universitario avventuroso e pensatore. Infine una Chesterfield Blue, consumata fino al filtro da una liceale che tra feste, alcool, tacchi alti e luci della notte cerca invano di ritrovare se stessa. Ah, la sigaretta. Demonizzata da donne in carriera che appena possono sgattaiolano in giardino per un tiro; testimone inconsapevole di ogni tipo di parto creativo e di sveltine extraconiugali consumate con passione su un letto di un motel. Sarà pure un vizio, ma non ho nessuna intenzione di rinunciarvi.