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Autore: Agapanto Blu    09/11/2013    8 recensioni
Osservai l’auto fare retromarcia e poi mi voltai verso la scuola. Prima di entrare, però, lanciai un’occhiata verso l’alto: il moro non c’era più ma il biondino sì e continuava a fissarmi come se fossi stato la promessa vittima di un film horror.
Quando Mathieu decide di rivelare al padre la sua omosessualità spera in un aiuto per risolvere la confusione e la paura nella sua testa, nonostante i suoi non ci siano mai stati per lui. L'ultima cosa che il ragazzo si aspetta è di essere cacciato per questo e iscritto alla Chess Academy, una scuola maschile molto esclusiva in Inghilterra.
Ma è qui che arriva il peggio, perché nella scuola esistono due soli colori, o bianco o nero, e le vie di mezzo vengono brutalmente soppresse.
Mathieu non vuole questo, non vuole essere un sovversivo e non vuole lottare, certo non vuole l'oppressione che sente addosso e spesso pensa di chinare la testa e smettere di resistere.
Sarebbe facile, quindi perché non farlo? Semplice: perché gli occhi di Gregory, ragazzo spigliato e decisamente ribelle, sono troppo azzurri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Scolastico
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Capitolo 21: Istinto protettivo
 
“Vieni a letto con me…”

Dal modo in cui Greg sbatté le palpebre, capii che si stava sforzando di capire se avesse sentito bene e cosa volessi davvero dire.
“Mat…” tentò ma lo interruppi premendo le labbra contro le sue con forza.
Ci sbilanciammo entrambi perché io mi ero messo in ginocchio e il bacio che stavo imponendo al biondino davvero non era delicato né casto e la violenza del mio slancio fece precipitare Gregory sulla schiena. Fui trascinato su di lui dalla mia stessa foga e il movimento scatenò un dolore assurdo nel mio petto, simile ad un gorgo nero che colpiva ripetutamente le mie costole e al contempo tentava di strapparle dalla carne per richiamarle in sé. Mi si spezzò il respiro e chiusi forte gli occhi per non lasciar cadere le numerose lacrime che sentivo correre alle palpebre, un calore assurdo mi ustionava il viso dall’interno, un po’ per il male e un po’ per l’imbarazzo della mia richiesta disperata, ma io cercai di irrigidire la mascella e continuare il mio operato. Le mani di Greg mi strinsero il viso nell’esatto istante in cui riuscivo a mettere la lingua nella sua bocca, ma mi staccò di peso, costringendomi a indietreggiare di una decina di centimetri.
Il dolore, l’ansia crescente per la situazione in cui mi trovavo, l’idea che Gregory si fosse allontanato da me si unirono e le lacrime che cercavo di sbarrare ruppero gli indugi con un singhiozzo che mi fece sobbalzare e peggiorò la situazione delle mie costole.
“Ehi…” mormorò piano Greg, tirandosi seduto senza mollare me che, a gattoni davanti a lui, continuavo a singhiozzare. “Ehi… Che succede?” Allargò meglio le mani sulle mie guance e con i pollici mi asciugò le lacrime mentre un’espressione preoccupata si estendeva ai suoi lineamenti. “Mat, sei bollente…” sussurrò, ma io scossi la testa.
“Vieni a letto con me…” ripetei e la voce mi uscì così spezzata e supplichevole che avrebbe fatto pietà anche a mio padre.
Ma a Gregory no. Lui rimase solo sconvolto.
“Che cosa?” chiese, confuso.
“Vieni a letto con me!” ringhiai, offeso dalla sua cocciutaggine, “Fa’ l’amore con me, scopami, fottimi, vedila come vuoi!”
Gli occhi del mio biondino si sgranarono ancora di più, ma fu solo un attimo e poi lui scosse la testa.
“No.” disse e bastò quello a farmi chiudere gli occhi mentre le lacrime aumentavano il loro ritmo. “Mat, non piangere, ti prego.” mi supplicò con un sorriso mesto, portando una delle mani a carezzarmi piano il collo, ma io la scossi e abbassai il viso, timoroso anche solo di guardarlo.
Avevo rischiato tutto e avevo perso. Capita a volte, ma in quell’occasione mi fece più male che mai.
Due dita lunghe e sottili, pallide, mi presero il mento con delicatezza ma solidità e mi costrinsero a rialzare lo sguardo. Mi ritrovai, a gattoni sul pavimento, a fissare gli occhi blu, dolci e pieni, di un Gregory più alto di me anche in ginocchio. Continuò a tenermi il viso fermo, ma con il dorso delle dita della mano libera mi spostò i capelli dal viso, per liberarlo e fissarlo.
“Mat, ascoltami.” mi sussurrò, ma più che una supplica apparve come un ordine e io mi ritrovai, immobile e muto, ad obbedire. Gregory sorrideva appena, ma gli si leggeva la serietà di ciò che stava per dire nelle iridi luminose e mobili, gentili ma determinate. “Vorrei.”
Bastò quella parola a far partire la mia testa. Le mie braccia si indebolirono, come gelatina, e il cervello mise da parte il dolore ancora cocente al petto per concentrarsi sulla visione che gli occhi gli portavano. Gregory era serio, molto, e aveva le labbra piegate appena verso l’alto, ma con qualcosa nell’angolo che mi faceva capire che non avrei potuto contestare la decisione che stava per rivelarmi.
“Mat, davvero, io vorrei farlo con te.” sussurrò, avvicinando il viso per strofinare il naso contro il mio in un gesto che mi strappò un sorriso. “Tu non hai idea” continuò, “di quanto io ci abbia pensato in questi mesi e di quanto difficile sia, adesso, dirti di no.”
“Allora non farlo!” intervenni, tentando di bloccarlo pur sapendo che era inutile.
“No.” ribadì Gregory, sempre serio ma senza alzare la voce. “Mat, tu stai male. Hai una costola rotta e non puoi permetterti uno sforzo del genere!”
“Ma non è vero…” provai a piagnucolare, ma l’espressione di Greg non mostrò cedimenti mentre lui scuoteva ancora la testa.
“Ho detto di no.” ribadì poi sospirò e mi guardò negli occhi con dolcezza, senza mai togliere le mani dal mio viso, “Mat, una costola rotta non è uno scherzo, ok? Tu lo sai bene. Anche volendo darti tutte le possibilità di questo mondo, da passivo come da attivo rischi di farti seriamente male, senza contare il fatto che le costole che ti si sono appena aggiustate sono ancora fragili: non correrò il rischio di farti soffrire o di romperti di nuovo qualcosa solo per una cosa del genere, è chiaro?” disse, il tono di voce che non ammetteva repliche.
Una parte di me era felice all’idea che Greg mettesse da parte gli impulsi più animali per il mio bene, che avesse un istinto protettivo così forte nei miei confronti, si sentiva importante e compresa, ma l’altra continuava a rinfacciarmi il cedimento avuto con mio padre.
“Tu non capisci…” mormorai, mentre scuotevo la testa per scacciare il ricordo spiacevole.
Fermai la testa voltata verso un muro, di lato rispetto a Greg, ma lui non si lasciò sconfortare.
“Va bene, allora prova a spiegarmi.” disse, calmo, come se avesse a che fare con un bambino.
Forse aveva ragione. Il dolore al petto era sempre più esteso e forte, strisciava piano verso la testa.
“Se io non vengo a letto con te,” sussurrai, “avranno vinto loro in ogni caso.”
Mi sentii un perfetto idiota per quelle parole, ma mi azzardai a guardare appena Gregory, il quale aggrottò la fronte.
“Ma che cosa dici?” chiese, confuso, e io scossi la testa.
“Ho…” esitai, provai a prendere un respiro profondo e a deglutire ma le costole mi fecero pagare cara la mia disattenzione, “Ho promesso a mio padre che se mi avesse fatto venire qui…avrei dimenticato di…di essere gay…”
Con mia enorme sorpresa, Greg annuì.
“Ryan me l’ha detto.” spiegò, sotto la mia espressione sorpresa, poi la sua espressione si rabbuiò un po’, “Però avevo capito che avevi deciso di non rispettare il patto.”
Annuii subito, deglutendo, ma poi chinai il capo.
“Io…” esitai, ma alla fine vuotai il sacco, “Io credevo di avere…un piano. Doveva essere infallibile, capisci? Credevo che mio padre non avrebbe mantenuto la sua parte dell’accordo, in qualche modo, ma invece lui non ha cercato di imbrogliarmi. Adesso…credevo che la Williams non avrebbe potuto niente contro la mia idea, pensavo di aver valutato tutte le possibilità, e invece per poco non è saltato tutto! Ho…ho paura di aver fatto lo stesso errore, Greg. Ho paura di aver scommesso male la mia possibilità e se anche solo una cosa non va come ho immaginato io allora…non avrò niente con cui trattare con mio padre…” singhiozzai, per la prima volta non solo per il dolore che ormai era mi arrivato alla gola, “Io non voglio dover dimenticare ciò che sono Greg, ma se proprio devo farlo almeno…almeno voglio poter dire che con te sono andato avanti fino alla fine! Voglio poter dire che sono stato tuo perché altrimenti… Se non vengo a letto con te, non ci sarà niente che potrà provare la scelta che ho fatto, io da solo. Non potrò mai più essere ciò che sono e finirò per fingere tutta la vita senza nemmeno la consolazione del ricordo di com’è stato averti dentro e io… Io non voglio che sia così, Gregory, ma non ho avuto altra scelta che fare quella promessa!”
A quel punto, le lacrime scendevano inarrestabili, i singhiozzi mi scuotevano fino ai piedi e ad ognuno di essi il dolore saliva lungo i nervi fino al cervello, sempre più, riempiendomi la testa di una sofferenza atroce che si mescolava a quella più intima che già stavo provando.
Le braccia di Gregory mi strinsero le spalle quando il dolore si fece insopportabile e iniziò a pulsare nel centro esatto del cranio, stordendomi definitivamente.
Mentre il mio corpo si accasciava contro quello del biondo, che mi fece posare le testa sulle proprie cosce, e il buio afferrò saldamente la mia coscienza per strapparla via, sentii quella voce che aveva il potere di terrorizzare il mio cuore tanto da fargli aumentare i battiti. Si increspò leggera nel mio orecchio, accompagnato dal rumore delle sue dita che scorrono piano sulla mia testa coperta appena da capelli di appena qualche millimetro.
“Troverai una soluzione, Mat… Lo so, lo fai sempre…”
E lo trovai molto ironico, perché era esattamente ciò che io avevo sempre pensato di lui.
 
“MAT! Mat, svegliati!”
Aprii gli occhi, confuso, e mi scoprii con la testa posata sulle cosce di Gregory e la mano del biondino intenta a stringermi con ansia febbrile una spalla. Ryan, fuori dalla torretta, teneva la tenda alzata con una mano e si guardava attorno con un’espressione che felice era dir poco. Ogni tanto qualche ragazzo spuntava ad abbracciarlo, ridendo.
“Ma cosa…?” provai a chiedere, aggrottando la fronte.
Greg era radioso e non badò alle mie parole per potermi stringere le spalle e aiutarmi ad alzare.
“Li hai chiamati tu?” mi chiese, con un sorriso da orecchio a orecchio.
Un faro si accese nella mia testa, indicandomi la via, e io sorrisi.
Alfred, ti adoro!
“Aiutami.” ordinai, troppo felice per aggiungere altre parole, e Greg obbedì ridendo.
Si portò un mio braccio attorno alle spalle e ne afferrò il polso con una mano, poi fece passare l’altra dietro la mia schiena per arpionarla al mio fianco. Con fatica, mia, e attenzione, sua, per via delle mie costole scavalcammo il davanzale della finestra. E mi ritrovai dritto tra le braccia di Ryan.
“Scricciolo!” disse, ma non aggiunse niente e io capii che era troppo felice per farlo.
Allungando il collo, potevo vedere il cancello della Chess Academy e, oltre quello, una folla assiepata e una ventina di camioncini.
Su ognuno di essi, un diverso logo televisivo.
“Se la polizia non può niente, chiama i giornalisti.” commentò Greg, ridendo e iniziando a sventolare il braccio non intento a reggermi per la vita.
Ryan scoppiò a ridere e a sua volta sventolò una mano mentre allungava l’altra a tenermi.
Io, in mezzo a loro, non potevo salutare, ma sorrisi comunque guardando la Williams e i professori correre al cancello.
Mio padre mi aveva dato l’idea, con la sua smania di proteggersi dalle mire dei media, e io l’avevo usata a mio vantaggio. In quel momento me lo immaginavo sbiancare vedendo la notizia alla TV, il suo incubo peggiore che diventava realtà.
In lontananza, guarda il caso, si iniziarono a vedere i lampeggianti della ‘police’ in arrivo.
Beh, meglio tardi che mai.
 
“Restate fermi! Adesso vi facciamo scendere!”
“E chi si muove?” Ryan rise, seduto sul bordo del tetto con le gambe a penzoloni nel vuoto.
Io e Greg avevamo optato per una distanza di almeno un metro dal cornicione, come tutti gli altri dotati di cervello, ma a Ryan la libertà in arrivo dava alla testa perciò lui aveva deciso di giocare con la sua vita ancora un po’, in attesa che gli agenti finissero di arrestare tutti i presenti nella scuola e riuscissero a sbloccare l’abbaino da dentro per farci scendere. I giornalisti, armati di megafono, avevano cercato di farci delle domande, ma noi eravamo troppo intenti a ridere per considerarli e così alla fine avevano montato un grosso schermo sul tetto di uno dei furgoncini e ora proiettavano immagini che noi, purtroppo, conoscevamo bene, ma che non riuscivano a rattristarci.
Quando il filmato della notte che Ryan aveva passato fuori finì e cominciò quello delle mie bastonate, mi strinsi di più a Greg e strofinai il naso contro il suo collo.
“Ti dà fastidio?” mi chiese, piegando appena la testa in modo da sfiorare la mia con la guancia.
“No, tranquillo.” lo rassicurai, sorridente, “Sto solo pensando a come deve aver reagito mio padre vedendo tutto questo passare in tv.”
Greg rise e io con lui. Quando smettemmo, il video era diventato la ripresa di quando Ryan aveva sopportato il bracciale a scossa.
“Come hai fatto?” mi chiese Greg, guardando le riprese ad alta definizione sebbene dalle inquadrature fisse.
“Sono i filmati delle telecamere di sorveglianza.” ammisi, scrollando le spalle, “Nelle classi non ce ne sono, ma all’esterno e nell’atrio sì: ho dovuto aspettare che la Williams punisse qualcuno sotto i loro occhi, ma alla fine ne è valsa la pena. Alfred ha preso le registrazioni e le ha spedite agli enti televisivi e adesso eccoci qui.”
Greg scosse la testa, ma sorrideva.
“È un po’ triste pensare che fino ad ora la polizia non ha potuto far nulla perché non riceveva i permessi di irruzione solo per via di uno stupido plico di stupidissime liberatorie con la decisamente stupida firma dei nostri genitori, mentre ora che l’opinione pubblica sa tutto i vertici decidono misteriosamente di ignorare quei documenti.” commentò con uno sbuffo, “Senza contare che tutti i nostri genitori negheranno di aver mai saputo alcunché.”
“Non si può vincere sempre.” scrollai la spalle, “Pensa solo che la Williams andrà in galera fino a quando non sarà vecchia.”
“Ah, beh, allora per poco.”
Ridemmo come stupidi e quasi non sentimmo l’abbaino che veniva aperto.
Si voltarono tutti quando il vetro venne rotto e per un attimo ci fu silenzio, ma quando vedemmo che la testa che sporgeva era quella di una paramedico saltammo tutti in piedi. Sì, beh, saltarono. Io andai un po’ più pianino, le costole che brontolavano.
 
Mi fecero calare per primo, lentamente, e mentre gli altri scendevano e venivano fatti uscire dalla scuola io rimasi su nel sottotetto perché il paramedico voleva controllare. Mi fece un’iniezione di antidolorifico e si complimentò con Greg e Ryan, fissi accanto a me come due bodyguard, per il lavoro fatto alle mie varie fratture, anche se era meglio aspettare una radiografia per dire qualcosa di più preciso. I due miei amici diedero il merito a Walt che scese, orgoglioso, assieme all’uomo che gli faceva domande.
“Sarà un dottore fantastico.” commentai, annuendo, mentre mi tiravo in piedi aggrappandomi ai miei due angeli custodi, che annuirono.
Scendemmo le scale con una lentezza esasperante, le mie braccia sulle spalle dei miei amici e le loro attorno alla mia vita, ma alla fine uscimmo dal portone appena in tempo per goderci il sottile vento che annunciava l’arrivo della primavera.
Alzai il viso per godermi il sole, ora che davvero ero libero, e intanto mi lasciai solleticare le orecchie dagli improperi che la Williams rivolgeva ai due agenti che la stavano arrestando, sotto il padiglione esterno dove si mangiava con la bella stagione.
“Questa sì che è una soddisfazione!” sentii dire a Gregory e sia io che Ry ridemmo, seppur concordi.
Stavo per dire una cosa, raccontargli l’altra bella notizia, ma fui distratto da un qualcosa biondo che attraversò il giardino, passando dal cancello all’angolo dell’edificio in un attimo, per puntare dritto sulla Williams che stava arrivando in quel momento, saldamente ammanettata e trattenuta dagli agenti. Prima che uno qualsiasi di noi potesse dire qualcosa, un pugno partì e prese la Williams sui denti, spintonandola indietro.
“PUTTANA!” urlò la macchia bionda, che scoprii così essere una donna, gettandosi ancora sulla preside e colpendola a casaccio mentre i due agenti tentavano di staccarla, “Stronza! Ti faccio passare tutto quello che hai fatto a mio figlio! Vieni qui, vigliacca! Vieni qui!”
Ottanta bocche erano rimaste spalancate dal vedere la madre di uno di noi saltare sulla Williams e tentare di sbranarla.
“Wow…” commentò Greg, alle nostre spalle, “Chi è?”
La donna, vestita in jeans e camicetta come se si fosse preparata in fretta e furia per presentarsi qui, con ai piedi un paio di stivali e i capelli biondi sciolti, si staccò infine dalla preside. Indietreggiò di alcuni passi lasciando la donna a tenersi il viso con grossi graffi e dal labbro contuso e, finalmente, si voltò verso la massa di studenti, probabilmente alla ricerca del figlio che aveva così arduamente difeso.
E l’ipotesi che fosse tutta una farsa per proteggere la propria reputazione crollò immediatamente quando potei riconoscere il viso.
“Mamma?!” esclamai, sgomento.
Ma che diamine…?! Un mese e mezzo fa tentava il suicidio e adesso era lì a picchiare a sangue la Williams?!
Mia madre ignorò tutti gli agenti che provarono a fermarla e venne verso di noi. Le costole mi fecero male in anticipo, prevedendo l’abbraccio che le avrebbe ferite, ma mia madre interruppe la corsa un attimo prima e si limitò a mettermi le mani ai lati del viso.
Aveva gli occhi verdi troppo luminosi, segno che stava per piangere, ma le labbra erano atteggiate in un sorriso ed era forse la prima volta che la vedevo fuori di casa senza trucco.
“Come…?” provai a chiedere, confuso.
Mia madre sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Ho torchiato Albert.” borbottò, “Mi ha detto cos’era successo e sono venuta qui tre giorni fa, ma non mi lasciavano entrare.”
La ascoltai con un orecchio solo. L’immagine di lei che prendeva a pugni e graffi la Williams era qualcosa che andava ben oltre quanto avessi osato sperare dal rifiorire del nostro rapporto, eppure era successo. Mi scaldò tanto che dimenticai le costole e lasciai le spalle di Greg e Ry per allungarmi ad abbracciarla. La mia mamma.
“Grazie.” le sussurrai all’orecchio, sentendola confusa sotto le mie mani.
Un attimo dopo, mi stava abbracciando a sua volta.
“Non dirlo nemmeno.” mi rimproverò, “Come madre sarò anche stata terribile, lo so, ma ancora possiedo quel minimo di istinto protettivo per far molto male a chi osa picchiarti.” Scoppiai a ridere ma lei scosse la testa, senza lasciarmi. “Non scherzo, Mathieu, sono seria. Che provino a toccarti un’altra volta, scopriranno fin dove sa arrivare una donna nel pieno delle proprie facoltà mentali e priva di paraocchi per proteggere il suo cucciolo. E si pentiranno amaramente di essersi avvicinati a lui.”




Et voilà, anche la mamma di Mathieu ha avuto la sua crescita. :D
So che può sembrare improvvisa, ma ricordate che per lei è passato un mese: ha avuto tempo di pensare, capire e decidere fin dove fosse disposta ad arrivare per il suo "cucciolo". Direi che ha deciso che la prigione per aggressione non poteva fermarla XD
Allora, ho preso una decisione molto sofferta: non aprirò più la pagina delle recensioni fino al mio ritorno, non guarderò proprio, fino al mio ritorno. Non so perché, forse perché questo capitolo preannuncia la fine della storia (ancora 1-2 capitoli, 3 massimo direi, non credo ce ne saranno di più) e vorrei vedere le vostre reazioni) o forse perché finalmente ho fatto picchiare la Williams da qualcuno e voglio godermi con calma le reazioni di chi scriverà XD
Quindi se non vi rispondo subito, sapete perché, ok?
Alla prossima settimana!
Ciao ciao!
Agapanto Blu

P.S. Ho finito il capitolo...adesso, quindi se ci sono errori perdonatemi, correggerò tutto al mio ritorno, ma oggi ho ancora parecchie cosa da fare per la partenza di domani :)
  
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