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Autore: KikiCS    09/11/2013    0 recensioni
Quel morso fu illusione o maledizione? Il racconto delicato del percorso di crescita di un adolescente. Al lettore capire il legame con i licantropi.
[Avvertenza: contiene dialoghi in toscanaccio ma comunque comprensibili]
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Stasera è pieno di fihe. Qualcuno di voi c'è andato con una?-
-Io ne ho vista una, ma ho saputo che è di quarta: non ci caga per niente a noi di terza!-
-Io dico che con me ci viene! Scommettiamo due drum?-
-Sono a corto stasera: uno, se vuoi.-
-Io ce ne aggiungo due.-
-Grande boss! Allora siete voi due a gufare e io che mi vinco tre drum!-
-Vai, su!-

-Allora?-
-Tenetevi i drum... Cazzo, ma lo sapete con chi sta quella?-
-Non me lo dire... Quello di quinta C?!-
-Esatto! E ci veniva lo stesso, se non mi avessero avvertito due che conosco...-
-Se ti beccava, il suo ragazzo ti riempiva di botte!-
Questo aneddoto si conclude con me che sentenzio: -Che troia!- totalizzando ben due interventi in tutta la serata: il primo, quando ho offerto due drum per la scommessa, e questo, breve ma incisivo.
 
Spesso mi domando come sia potuto capitare con gente del genere; anzi, me lo domando sempre quando mi sveglio la mattina, dopo aver passato la serata ad una festa o in discoteca con i miei amici. Il bello è che continuo a chiamarli amici: è più forte di me, con loro mi diverto troppo. Tra una cosa e l’altra, questo è già il terzo anno che tutte le volte che mi chiamano, mi precipito a passare la serata con loro: dovunque e comunque. Bere, divertirsi, e poi tornare a casa in motorino mezzi brilli; mangiare due fette di pane e a letto: questo è un trucchetto che mi hanno insegnato per essere fresco e riposato la mattina dopo. Ma il giorno seguente rimane il più duro: mi sento un traditore dei miei genitori, che sospettano poco o niente, e dei miei amici, che disprezzo e derido nei momenti di lucidità.
Ma anche se mi trascinano nelle loro serate, non me la sento per niente di incolpare i miei amici per quello che sono adesso. In realtà, tutto è cominciato in terza media, ad una stupida festa, facendo lo stupido gioco della bottiglia.
 
A quel tempo, sebbene non lo sapessi, ero ancora un bambino. Era il compleanno di un mio compagno di classe, e visto che la serata ristagnava, alcune ragazzine proposero di fare il gioco della bottiglia. Per due o tre turni me la spassai ridendo degli altri che si baciavano o si picchiavano, a seconda di cosa veniva sorteggiato; poi la bottiglia di Coca-cola si fermò davanti a me e smisi di ridere. La seconda prescelta dalla bottiglia fu una ragazzina che non conoscevo, seduta dall'altra parte del cerchio. I compagni sorteggiarono un bacio sul collo; inoltre fu deciso a furor di popolo che era   lei che doveva darlo mentre io dovevo subire.
Ero a disagio, e finché non sentii il suo fiato condensarsi sul mio collo, non staccai gli occhi dal malefico tappo della Coca-cola. A quel punto mi aspettavo di sentire le sue labbra posarsi sulla mia pelle, e in un istante mi resi conto che non l'avevo neanche guardata: non avevo la minima idea di come quella ragazza fosse fatta, non sapevo niente riguardo alle sue labbra: erano screpolate o no? Aveva un burro di cacao, un lucidalabbra, o peggio un rossetto che mi avrebbe lasciato il segno sul collo? Non potevo prevedere niente di quel bacio, né ne seppi mai niente, perché l'istante seguente, con mia grande sorpresa, avvertii un profilo affilato incidersi sul mio collo, e anche vapore acqueo e la punta della sua lingua: mi aveva morso!
Mi ritrassi istintivamente e la guardai con un misto tra sorpresa, senso di umiliazione e rabbia: -Ehi!- esclamai.
Feci appena in tempo a decifrare la sua espressione perché, alla vista della mia reazione, la cambiò subito. Il suo sguardo mi aiutò a capire il senso di quel morso solo troppo tardi, così cancellai dal mio viso l'espressione inorridita: invano, poiché ormai aveva già fatto i suoi danni. Lei aveva il cipiglio deluso di chi ha capito che l'altro non ha capito. E nonostante mi sforzassi di farle capire che sì, adesso avevo capito, avevo perso quel treno, il gioco doveva continuare e i compagni intorno ridevano di me credendo che mi fossi schifato per un semplice succhiotto.
 
Da quella sera molte cose sono cambiate sia all'interno che all'esterno di me; fatto sta che dopo tre anni (che non sono poi tanti ma nella mia breve vita sembrano epici) l'immagine di quella ragazza è ancora impressa perfettamente nella mia testa. Ricordo a menadito il suo sguardo ammiccante, l'angolo sensuale che la bocca formava con la punta del naso, le labbra calde, senza rossetto, che nascondevano i suoi denti affilati: questo era il suo aspetto subito dopo avermi dato quel morso, e non lo avrei mai ricordato (o forse neanche notato) se lei non avesse compiuto quel gesto. Lei ne era perfettamente cosciente: aveva spezzato la monotonia di quello stupido gioco agendo in modo originale e incisivo, certa che ciò che aveva fatto mi sarebbe rimasto impresso.
 
Dopo quella festa ho cominciato a osservarle bene, le ragazze. Prima di interessarmi a loro e di iniziare il liceo le mie conoscenze sulla sessualità si basavano quasi esclusivamente sulla visione di alcuni film: Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis (che era pure vietato ai minori, essendo uscito nel 1981) e La mosca di David Cronenberg; questi film mi mostravano le mie prime scene di nudo, ma l'uomo faceva sempre una pessima fine. In seguito ho imparato ogni vocabolo del gergo specifico (specialmente della versione usata da noi ragazzi), e sperimentato molte delle basi, ma la mia generazione non è fatta per andare fino in fondo, e così mi sento al sicuro da pericolose metamorfosi. Inoltre coltivo dentro di me il sogno di ritrovare la ragazza della festa, fosse solo per dirle che ho capito il suo messaggio, anche se ci ho messo qualche secondo di troppo. Dopo quella sera non l'ho più rivista (non era alle medie con me e chissà in che liceo è andata), né ho trovato una ragazza affascinante quanto lo era lei dopo avermi morso: non è certo il tipo che posso ritrovare in discoteca; anche per questo mi affliggo quando perdo tempo in posti del genere, ma è più forte di me: se da una parte desidero rincontrarla (più ci penso e più mi convinco che un po' le piacevo), dall'altra voglio stare con i miei amici qui e ora, perché possiamo andarci con qualche ragazza trovata in discoteca, anche se vale un decimo della mia prediletta.
***
 
Finita la scuola, rimango pochi giorni in città perché i miei hanno deciso di partire il prima possibile per la casa al mare: la sera prima della partenza mi vedo un'ultima volta con i miei amici.
-Che palle che vai via! Se restavi ci si faceva gli sketch!-
-Vado al mare...-
-Maiala che caldo! Ma c'ha ragione: qui in città si more, altro che restare!-
-Ok però se becchi qualche fiha me la fai conoscere, eh?-
-Contaci.-
-Porta anche me: mi nascondo nella valigia... Uff, se solo quella troia non mi avesse dato il debito!-
I miei amici intrattengono conversazioni senza quasi aver bisogno dei miei interventi; spesso io mi distraggo e rimugino su altro. Non credo che a loro piacciano i tipi pensierosi e quindi non penso che si accorgano che ogni tanto ho la testa fra le nuvole; detto questo, mi chiedo come mai gradiscano tanto la mia compagnia. Tutto sommato io sono un tipo taciturno, anche quando mi trovo con loro: è questo l'aspetto che piace del mio carattere? Il fatto che, pur parlando poco, quando intervengo è per dire qualcosa di compiuto? O forse adorano tutto di me tranne il fatto che sto sempre zitto? E cercano di parlare al posto mio, e di me preferiscono “i fatti alle parole”?
Questo è uno dei tanti dubbi che mi porto dietro, inglobato in quello più grande e fondamentale, che è se stia meglio con o senza di loro.
***
 
Spaparanzato sul mio divano-letto (nella casetta delle vacanze non ho niente di meglio), guardo il telegiornale con i miei.
-Questo giovane, timido davanti alle telecamere, è un nostro connazionale e fa parte dei sei astronauti che parteciperanno alle prossime missioni europee sulla Stazione Spaziale Internazionale...-
-Guarda che bel ragazzo! Assomiglia a te!- interviene mia mamma.
Chissà perché per i miei genitori assomiglio sempre a personaggi di successo, e mai ad un barbone visto per strada, o all'ultimo ricercato per omicidio.
Dopo aver intervistato l'astronauta, il giornalista continua: -...e sempre a proposito di astronomia, vi ricordiamo che il prossimo mercoledì, nel pomeriggio, tutta la nostra penisola potrà assistere all'eclissi solare...-
-Ah già: l'eclissi!- salta su mio padre -Me ne stavo dimenticando! Bisogna comprare le lenti.-
Anche mia mamma viene contagiata dal suo entusiasmo e si appunta ore, minuti e secondi precisi in cui avverrà il fenomeno.
-Che ci sarà di speciale in una stupida eclissi?- penso -L'unica cosa che mi viene in mente è che ci saranno sia zanzare notturne che zanzare tigre.- Guardo i miei genitori eccitati e provo un po' di compassione: -No, questa era una battuta pessima.-
 
I giorni passano e una mattina, tra un bagno e l'altro, mi immergo profondamente in una lunga riflessione mentre, sotto l'ombrellone, scavo nella sabbia con le punte dei piedi.
Quando sto “recluso” con i miei genitori per un certo periodo di tempo, comincio a pensare di essermi allontanato troppo dai miei amici, dai conoscenti, da tutta la combriccola che frequento di solito. In vacanza sento di dirigermi come in un altro universo e di viverci una vita parallela; suppongo che i miei amici non abbiano in programma di stare fermi ad aspettarmi; chissà quanto andranno avanti con le loro vite: quanto ci perderemo gli uni degli altri? Io me ne preoccupo, ma a loro quanto importerà dell'estate che non hanno passato insieme a me?
Mano a mano che il tempo passa ho l'impressione che la mia vita sia possibile solo in quest'universo, solo con i miei; di giorno in giorno la distanza virtuale tra me e i miei amici cresce spropositatamente, divenendo ai miei occhi incolmabile, cosicché mi appare sempre più remota la possibilità di tornare da loro a fine vacanza e ricominciare a frequentarli come se niente fosse.

Finalmente arriva la famosa eclissi, o perlomeno “finalmente” per i miei genitori.
Stiamo ciabattando sulla passeggiata pedonale vicino alle spiagge quando mio padre sentenzia –È l'ora– e tira fuori dalla tasca tre vetrini scuri per guardare il sole.
-Mi raccomando: non guardate il sole troppo a lungo- si preoccupa mia madre mentre con le braccia al cielo sistema il suo vetro a una certa distanza.
Mi rigiro tra le mani la lente mentre mio padre esclama – Ecco la luna all'orizzonte che si avvicina!-
Appoggio il mio rettangolino contro un occhio e ci spio attraverso e... mio Dio, non mi sembra possibile! Questa è un'allucinazione, non sapevo che ne accadessero di simili con una semplice eclissi. Mi sposto per vederla meglio: è in piedi vicino agli scogli, rispetto a me è esattamente dalla parte opposta del punto dove tra poco inizierà l'eclissi. Me la sto per perdere, ma in caso contrario perderei un altro evento, e anche questo non so quando ricapita.
È lei, la riconosco: la ragazza che mi ha morso; è cresciuta ma ha le stesse labbra e lo stesso sguardo; forse sono io quello che è cresciuto di più. Anche se incontrarla qui è matematicamente impossibile, non ho la minima intenzione di soffermarmi sulla stranezza del fatto: per quale congiunzione astrale ho potuto rincontrarla se non per quella che si sta manifestando così evidentemente sopra la mia testa?
–Mi ha già visto? No, credo di no. Eppure è proprio lei e non posso perdere l'occasione di renderle quel maledetto morso che mi ha riempito di angosce e incertezze per tre anni! Ecco, si sta voltando: mi ha lanciato un'occhiata, mi avrà riconosciuto? Certo che sì!
Pieno di gioia mi dirigo verso di lei, inciampando goffamente nello sterrato semi oscuro dove la mia ombra non si proietta più.
-Tu mi riconosci, vero?- le chiedo con una voce che non sapevo di avere, cercando di prenderla delicatamente per i fianchi.
-Uhm... forse?- risponde lei imbarazzata.
-Ma come?! Ci siamo conosciuti in terza media, ad una festa: quando ci hanno fatto baciare al gioco della bottiglia e tu mi hai morso, non ti ricordi?-
-Morso? Non so se a tredici anni avessi molta voglia di mordere!-
-Oh, cavolo! Ma tu mi hai guardato, e io non avevo capito ma... ma poi ho capito ed ero venuto a dirtelo perché ti ho riconosciuta...-
-Forse ora mi ricordo, ma non era un succhiotto?-
-Cosa?!- la frustrazione sale dentro di me; anche lei ha una faccia un po' incredula, soprattutto quando la spingo via con uno strattone. Si sbilancia: con le sue infradito sta per cadere sugli scogli. Ma cosa ho fatto?! Mi lancio a salvarla ed entrambi precipitiamo rovinosamente sulla sabbia.
-Oddio, scusami! È che ero sicuro di averti riconosciuta perché sono tre anni che ti penso...-
Il sole è tornato ad illuminarci, siamo ancora distesi sulla spiaggia: a lei brillano gli occhi di compassione, e le spunta il sorriso: -Forse ricordo...-
La abbraccio e le bacio il collo, cercando di imprimervi quello stesso morso che tanto tempo fa aveva scisso la mia anima dal mio corpo, facendomelo usare in modo incontrollato dietro consiglio dei miei ex-amici.
Non so realmente se sia lei o no, come non so se il calore che sento propagarsi sia il suo sangue o qualcosa di più profondo.
  
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