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Autore: Patta97    09/11/2013    6 recensioni
- Io... mi sto per sposare - affermò Sherlock.
John guardò il proprio capo come se questi fosse impazzito. - Con… Con chi? – chiese, confuso.
- Con te, ovviamente.

Sherlock Holmes è un irlandese a capo della Consulting Company, mentre John Watson è il suo assistente, aspirante consulente. Il permesso di soggiorno di Sherlock scade e si ritrova costretto a ricattare John per sposarlo.
Note: ispirato al film "The proposal" con Sandra Bullock e Ryan Reynolds
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!
Ebbene sì, sono anche riuscita a partorire un secondo capitolo (e credo ne avremo per altrettanti). Mentre scrivevo ho riso con le lacrime e spero di strappare anche a voi un sorrisetto - anche perché, se conoscete il film, sapete che adesso ne succedono di tutte i colori! Purtroppo, ho dovuto tagliare qualche scena e rimaneggiarne altre, cause di forza maggiore. Spero vi piaccia, anche perché, sinceramente, non mi aspettavo tutti questi consensi per il primo capitolo!
Con un grazie di cuore e un mega virtual hug,
Chiara







 
2. Understanding you


Il calesse partì adagio quando Harry diede una scrollata amichevole alle redini. Sherlock, nonostante l’imminente ed inaspettato sforzo della festa, sfruttò quel breve tratto per guardarsi attorno per quanto la nebbia lo consentisse. Gli arbusti erano bassi e si sentiva lo scrosciare del mare poco lontano; si respirava l’aria tipica della brughiera: quella che, si dice, faccia ingrassare e diventare rosei e sani. Il sentiero era stretto e le ruote del carro uscivano appena fuori dal suo percorso, urtando e calpestando sassolini e rovi, facendolo molleggiare in maniera rilassante.
Poi, gli occhi azzurri ed annoiati scorsero la casa: si capiva come accostasse segni antichi a moderni, come travi di legno - visibili già dall’esterno - ad ampie vetrate a giorno che davano su un classico giardino all’inglese, con l’erba corta tagliata di fresco.
Il calesse si fermò in uno spiazzo di ghiaia, dove ne erano stati parcheggiati parecchi altri.
Harry e nonna Hudson si trattennero per portare il cavallo nero in una stalla lì accanto, mentre John e Sherlock trascinarono i propri bagagli fino a uno sgabuzzino esterno alla casa, dove li riposero.
- Verremo a prenderli dopo la festa – spiegò John. – Adesso… cerca di fare il simpatico o almeno di levarti di dosso quell’espressione di superiorità. Non sarà così male.
Appena misero piede nell’ampio ingresso della casa, però, anche l’aspirante consulente si ritrovò a trasalire inorridito.
- Dannazione. Mia sorella ha invitato tutta la maledetta Dartmoor.
 
Sherlock si riprese dall’orrenda visione di famigliole e parenti sorridenti che passeggiavano o si rifornivano da un enorme buffet freddo.
- D’accordo, John, dobbiamo pensare in fretta. Non possiamo uscire dalla porta, dato che almeno due o tre persone ci hanno visto, ma c’è la possibilità che, se ci rifugiamo in una stanza e scappiamo dalla finestra, aspetteranno qualche ora prima di venirci a cercare.
 
Il suo sguardo era tremendamente serio e John si ritrovò a ridere.
- Okay, se prima avevo qualche dubbio, adesso so per certo che dobbiamo farlo.
 
- Ma John, ragiona! Dobbiamo agire da coppietta felice di fronte a tutte queste… persone.
 
- Dov’è il problema? Posso farlo tranquillamente. Fingere di essere perdutamente innamorato è facile, per me, e tu, grande detective? Riuscirai ad abbassarti a meri sentimenti?
 
- Molto spiritoso, John, ma…
 
- John caro!
Il biondo scomparve improvvisamente fra delle ampie braccia.
Quando riemerse, era rosso in volto come i capelli della donna che lo aveva appena assalito.
- Signora Morstan! E signor Morstan, quanto tempo! – strinse la mano al marito della donna, fin troppo alto e mingherlino rispetto a lei.
 
- È una gioia rivederti! – sorrise la signora Morstan, poi posò lo sguardo su Sherlock, il quale aveva osservato la scena con una smorfia simile a un sorriso. – Lui è il tuo…
 
John prese un respiro profondo prima di presentarlo.
- Oh, sì, lui è Sherlock, il mio… ehm… ragazzo.
 
- È una gioia – ripeté la donna.
 
- Beh, ragazzo mio, mi sono sempre chiesto quale sia esattamente il lavoro di un consulente investigatore! – esordì il signor Morstan dopo una pausa di lieve imbarazzo.
 
- Bravo, una gran bella domanda, Robert, me lo sono sempre chiesto anch’io.
 
- Papà – salutò mestamente John a quella che sembrava la copia più alta e vecchia di lui.
 
- Ciao, John. E lei deve essere Sherry – continuò l’uomo, gli occhi blu socchiusi, porgendo la mano a Sherlock.
 
- Sherlock – disse automaticamente l’altro, stringendo brevemente la mano del “suocero”.
 
- Allora, perché non ci dici esattamente cosa fa esattamente un consulente investigatore, oltre a sostituire i poliziotti e correre per tutta Londra dicendo cose assurde e senza senso.
 
- Mi sembra divertente! – la signora Morstan provò a stemperare la tensione con un risolino forzato. – Non mi stupisca che ti piaccia farlo, John!
 
- Oh, no no no – rettificò il signor Watson, dando una pacca sulle spalle del figlio, il quale stava ritto e a pugni stretti. - Lui non è consulente, lui è l’assistente di un consulente. Qui è Sherry il consulente, anzi, è stato proprio lui a inventare questo utilissimo lavoro.
 
- Sherlock – lo corresse nuovamente il moro, a denti stretti.
 
- Ah, quindi tu sei il capo di John – realizzò il signor Morstan, prendendo un sorso di punch dal calice che aveva in mano.
 
Il signor Watson sorrise soddisfatto e si allontanò dal gruppetto, seguito a ruota dal figlio.
 
- Grazie per la bella accoglienza.
 
- Ti presenti dopo tre anni e vengo a sapere che adesso ti porti a letto il tuo capo - un uomo, John - e ti aspetti striscioni di benvenuto? Non credevo arrivassi al punto di fingerti frocio e usare il materasso per raggiungere una promozione in un lavoro così stupido anche solo da pronunciare. Lasci una rispettabilissima università di medicina, insegui un sogno idiota e arrivi qui - in casa mia! - con un tizio che spacci per tuo… ragazzo?! Sei una delusione, John.
 
Il biondo ascoltò il discorso rabbioso del padre in silenzio, le labbra così strette da diventare un alinea sottile, poi sorrise con aria di sfida.
- Quell’uomo – e si voltò per indicare a braccio teso Sherlock, poco lontano e a disagio più che mai. – È considerato una delle menti più brillanti del millennio e ha creato un lavoro dal nulla, fondando un’accademia e un’azienda che ogni anno formano detective di alto livello. Ha ridotto la criminalità inglese - che dico, di tutta la Gran Bretagna! - del cinquanta per cento e tutti noi gli dobbiamo qualcosa. Non c’è da stupirsi se io mi sia innamorato di lui dal primo istante, decidendo di capovolgere tutto quello in cui credevo - persino me stesso - e stia programmando di sposarlo al più presto.
 
- Che hai detto?!
 
- Hai sentito bene.
John si allontanò dal padre con passo quasi militare e si piazzò nel bel mezzo del salotto, dove stavano più persone.
- Ehi? Salve a tutti! Avrei un annuncio da fare! Sherlock e io stiamo per fidanzarci!
La folla smise di fare tutto ciò che stava facendo e lo fissò, incredula. Solo Harriet e nonna Hudson, accomodate sul divano, batterono brevemente le mani, estasiate nel silenzio generale.
Seguendo il loro esempio, man mano anche gli altri applaudirono e si congratularono.
Sherlock fece capolino dalla porta, bianco in volto più del solito.
- Forza, tesoro! Non fare il timido – lo incitò John, tendendo le braccia verso di lui.
 
Il consulente si avvicinò e si lasciò stringere brevemente.
- Sbaglio o avevi detto “ogni cosa a suo tempo”?
 
- Il tempo era questo, evidentemen… Mary.
 
- Come?
 
- Mary, ciao! – ripeté John, stringendo fra le braccia una ragazza coi capelli rossi e grandi occhi verdi, in un abbraccio decisamente più caloroso e lungo rispetto a quello in cui aveva coinvolto il capo un attimo prima.
Sherlock socchiuse gli occhi, iniziando a dedurre a più non posso sulla rossa, apparentemente la giovane più dolce e innocente che esistesse al mondo.
- Non sapevo fossi tornata.
 
- Ho preso delle ferie dal lavoro, sai. Comunque, credo che saremmo troppo maleducati se…
Incontrò lo sguardo calcolatore e truce di Sherlock.
 
- Oh, ma certo! Sherlock, lei è Mary Morstan la mia...
 
- Ex – sorrise fintamente affabile l’altro.
 
- Sì, lo è. In effetti, questa situazione è un po’…
 
- Imbarazzante? – continuò Sherlock.
 
- Stavo per dire “strana”, ma comunque.
 
- Non preoccuparti, Sherlock! Con John eravamo troppo amici ed evidentemente mancava quel qualcosa in più. Ormai è tutto tuo, lo può capire chiunque – chiarì Mary, tranquilla.
 
- …Davvero? – domandò John, stranito.
 
- Certamente! Invece… mi sono persa il racconto?
 
John la guardò confuso.
 
- Credo stia parlando del racconto di come tu ti sia dichiarato a me, John. E suppongo che nessuno sarà contento di ascoltare che io mi sia inginocchiato su un marciapiede di fronte a un ufficio immigrazione, vero?
 
Mary scoppiò in una risata argentina.
- Sei proprio spiritoso! Su, andiamo, tutti lo vogliono sapere, no? – chiese alzando il tono di voce.
 
Nonna Hudson ammiccò dal divano.
- Ma certo! Il mondo in cui uno lo chiede dice molto sul suo carattere!
 
- In effetti mi piacerebbe tanto sapere come glielo hai chiesto! – incalzò Harry.
 
Dalla folla su divani e poltrone si alzò un piccolo coro di “dai, sì!”, “che bella idea!” e John sentì il terreno mancare sotto i propri piedi. Avrebbe dovuto combattere le frecciatine che Sherlock… Gli venne un’idea e sorrise, poggiando amorevolmente una mano sulla schiena del moro.
- Sapete, in realtà è Sherlock che adora raccontare questa storia.
 
Se prima il detective era sbiancato, adesso sembrava un fantasma.
Tutti lo guardavano speranzosi ed attenti e con un sorriso stampato in faccia. Gli veniva da vomitare.
- Da dove cominciare…!
 
- Non saprei, tesoro, da dove ti viene meglio – sorrise affabile John.
 
E Sherlock iniziò la propria lenta vendetta.
- John… John e io stavamo per… festeggiare il nostro primo anniversario insieme e sapevo che lui moriva dalla voglia di dichiararsi ma non aveva il coraggio. Stavo deducendo già tutto quello che voleva dirmi e lui non aveva ancora aperto bocca…
 
- Beh, non è propriamente andata così…
 
- Ah, no?
 
- No. Quasi per niente. Ovviamente sapevo cosa dire, solo che stavo cercando di distrarlo con la mia apparente timidezza, per non fargli capire dove cercare la scatolina che…
 
- Oh, giusto! La scatolina che il dolce John aveva decorato con tanti piccoli cuoricini e foto di se stesso miniaturizzate… Sapete, non sarà bravo ad investigare ma a ritagliare con le forbicine non lo batte praticamente nessuno! E quando l’ho aperta dentro c’era un…
 
- …Un biglietto. Con dentro degli indizi per raggiungermi, in una camera del Savoy. Dove avremmo dovuto… sapete.
 
Si udì un coro di approvazione dai prima increduli ex-compagni di rugby di John, in un angolo.
Sherlock non poteva sopportarlo.
- E fu allora che gli dissi di smetterla di comportarsi da donnetta sentimentale e di darmi l’anello.
 
- …Sì, beh, e ovviamente io…
 
- Scoppiò a piangere. Sapete, aveva organizzato tutto così bene… Ma, dato il suo innato istinto al soddisfarmi in tutto e per tutto, mi disse…
 
- ‘Sherlock, vuoi sposarmi? Sì, davvero? Grandioso!’ Ed ecco qua.
Tagliò corto John con un sorrisetto omicida rivolto al proprio capo.
 
Nonna Hudson allungò una mano e gli strinse il braccio, affettuosa.
- Oh, Johnny! Cuoricini! Come sei sensibile, caro.
Si levò un “awww” di approvazione dalle donne presenti.
 
- Ci vorrebbe un bacio, adesso! – esclamò Harry, bevendo un sorso di champagne con una faccia fin troppo felice.
 
Sherlock, il quale stava ancora sospirando di sollievo per l’ostacolo appena superato, trasalì nuovamente di fronte all’imminente - e disgustoso - pericolo.
John era diventato rosso quanto il maglione che aveva addosso.
- Harry, non credo sia il caso…
 
- Oh, ma andiamo, ragazzi! – urlò qualcuno.
 
- John. Baciami e facciamola finita – sussurrò Sherlock, muovendo impercettibilmente le labbra.
 
- Sherlock…
 
- Baciami.
 
- Okay, dannazione.
John si alzò in punta di piedi e lo baciò brevemente, senza sfiorare una sola parte del corpo dell’altro che non fossero le labbra.
 
- Ragazzi, vi devo forse fare vedere come si bacia?! – chiese nonna Hudson, perentoria.
 
- Oh Dio, no – la pregò John.
 
- E allora su! Un bacio vero!
 
John tirò Sherlock per i lembi della giacca e poggiò le labbra sulle sue più a lungo, mantenendole sempre serrate.
Stava tenendo gli occhi aperti e si accorse che l’altro faceva la stessa cosa, perché due iridi azzurre presero a fissarlo intensamente.
Quando gli applausi iniziarono a spegnersi, i due uomini si separarono come se si fossero scottati.
John lanciò un’occhiata a Sherlock, il quale mormorò qualcosa come “ihtimaam”(1), sicuramente qualche segno verbale del suo disgusto. A quella mortificante visione, il biondo si levò dalla mente i pensieri decisamente poco etero che gli si stavano formando in testa riguardo le invitanti labbra a cuore del consulente investigativo.
Stava giusto iniziando a realizzare che – diamine! - aveva appena baciato un uomo - il suo capo: Sherlock Holmes! - di fronte a più o meno tutte le persone che conosceva - compresi suo padre e la sua ex ragazza - che venne interrotto da sua nonna, la quale decise che quello era il momento più opportuno per stringere sia lui che Sherlock in un soffocante abbraccio.
 
*
 
- Eccoci qui! Questa è la stanza – annunciò Harry quando tutti gli ospiti se ne furono andati a bordo dei calessi di legno, entrando in un’enorme camera da letto.
 
- Grazie, Harry, e grazie anche a te, nonna – sorrise John.
 
- Ti piace il letto, Sherlock? – chiese la nonna, ammiccante.
 
- Suppongo di sì.
 
- Avete preparato anche la mia vecchia stanza? – domandò John, speranzoso, tentando di non figurarsi il peggio.
 
- Oh, Johnny! Non siamo così ingenue da pensare che a casa dormiate in letti separati!
 
- No. Non siete ingenue per niente…
 
- Perfetto allora! Vi lasciamo sistemar… oh, attento!
 
Un enorme palla di pelo rossa si era lanciata ai piedi di Sherlock, artigliandogli le costose scarpe nere.
- John. John, levamelo di dosso!
 
Il biondo, fra le risa generali, prese fra le braccia un improvvisamente mansueto siriano rosso, accarezzandogli le orecchie e i pigri occhi grigi.
- Oh, e tu chi sei?
 
- Si chiama Gigì, lo abbiamo preso al gattile – spiegò Harry. – Prima non era così grasso.
 
- Attenti a non farlo uscire o se lo portano gli uccelli! – raccomandò la nonna.
 
- Dubito ce la facciano a sollevarlo – commentò Sherlock.
 
Harry rise, scuotendo appena il capo.
- Oh, quasi dimenticavo! Se avete voglia di accucciolarvi al caldo… - porse loro una coperta spessissima.
 
John la afferrò, passando il gatto alla sorella.
- Grazie, Harry. Noi adoriamo accucciolarci.
 
- Non è nemmeno una parola vera…
 
- Zitto, Sherlock… Buonanotte, ragazze.
 
- Buonanotte! – strizzò l’occhio nonna Hudson, chiudendosi la porta alle spalle.
 
*
 
- John.
 
- Hmm…
 
- John.
 
- Sherlock…
 
- John! Sta suonando!
 
- Cosa…?
 
- Il mio telefono, ovviamente! Appena sveglio sei ancora più tonto!
 
- È nella tasca, prendilo…
 
Sherlock si alzò di malavoglia dalla poltrona sulla quale aveva passato tutta la notte, ben sveglio, e raggiunse il proprio cappotto, piegato su una sedia. Il cellulare era nella tasca.
- Chi ce lo ha messo lì?
 
- Tu, come sempre… E se devi parlare vai fuori o sveglierai tutta la casa…
 
Il consulente lanciò un’occhiata offesa a John, avvolto fra le coperte del letto con espressione assonnata, e, avvoltosi nel cappotto - era ancora totalmente vestito -, uscì alla chetichella dalla camera e dalla casa. C’era una nebbiolina bassa che aleggiava sul suolo e il moro sentiva la consistenza dell’erba e della rugiada sotto i piedi nudi.
- Sherlock Holmes – disse, portandosi l’apparecchio all’orecchio. – Lestrade, quante volte ti ho detto che preferisco i messaggi?! Avete preso Moffat, una buona volta? Sì, so che avevo ragione su tutto… Ancora quel gatto, come diamine avrà fatto ad uscire! No, ovvio che non ho un gatto. È della nonna di John. Smettila di ridere, dannazione!
 
Il gatto soffiò al cielo ancora semi-buio e Sherlock, a bocca aperta, ebbe appena il tempo di osservare l’orrenda visione di un’enorme poiana che calava giù dal nulla, artigliando il felino e volando via a fatica con il suo considerevole fardello.
 
- Non ci credo, John mi ucciderà se faccio mangiare il gatto ciccione di sua nonna. Smettila di ridere, ho detto, Lestrade! Scendi giù, ridammi il gatto! Il gatto, dammi il gatto!
 
Inspiegabilmente - o forse semplicemente perché i suoi artigli si stavano spezzando sotto il peso della palla di grasso e pelo rosso - e il felino atterrò, traumatizzato, sulle proprie zampe.
 
- Oh, grazie a Dio. Il dannato gatto è salvo. Senti, Lestrade, interrogate Moffat. Sono praticamente certo che dei suoi compari, come Gatiss e Thompson, lavorino ancora per lui. Aggiornami per messaggi appena ci saranno sviluppi. E non ridere mai più di me, altrimenti…
 
Lestrade non sentì mai cosa gli avrebbe fatto Sherlock, perché la poiana, indispettita dalla colazione mancata, calò nuovamente e portò via fra gli artigli il telefono del consulente.
Sherlock si tuffò sul gatto, ancora immobile e rigido sull’erba, e lo sollevò per aria, scuotendolo in una maniera che voleva essere invitante e non disperata come invece appariva.
- Andiamo, maledetto uccello! Predi il gatto, il gatto! Se vuoi mangiare un po’ di ciccia vieni qua, mangia questo coso! Ti assicuro che prenderai ben poco nutrimento da un ammasso di cip e plastica e vetro e alluminio! Vieni, dannazione, vieni…
 
- Sherlock.
 
- John, grazie al cielo sei qui! Hai un fucile o qualcosa del genere? Sapevo che avrei dovuto mettere il mio arpione in valigia.
 
- Non ti chiederò perché tu possegga un arpione… E no, non ho un fucile, purtroppo, l’ho dato via giusto ieri.
 
- Non è il momento di fare sarcasmo, una poiana mi ha preso il telefono!
 
- E agitare il gatto per aria ti farà riavere il telefono…?
 
- Sto cercando di tentarla con uno stuzzichino, ovviamente.
 
John si sforzò di non ridere.
- Ovviamente. Senti, ordineremo un altro telefono con la stessa sim e potrai comunque parlare con Lestrade per e-mail. E adesso, in nome della sanità mentale, lascia andare quel povero gatto.
 
Sherlock si rese conto di stare ancora tenendo fra le braccia il felino e lo lasciò andare, osservandolo sospettoso mentre correva dentro casa agitando le grosse zampe.
- Non mi piace quel gatto, assomiglia a mio fratello. Pure i nomi sono identici.
 
- Il nome “Gigì” sarebbe identico a “Mycroft”?
 
Il consulente si limitò a sbuffare e incrociò le braccia al petto, imbronciato.
- Beh? La giornata di oggi prevede interazioni sociali?
 
- Non credo, puoi rientrare o fare un giro, io vado a tagliare legna.
 
- Vai a… tagliare legna?
 
- Sì, beh… c’è un boschetto qui vicino. Prendo l’ascia dallo sgabuzzino e vado.
 
Sherlock lo squadrò per un istante.
- Fa’ come ti pare, io sono dentro.
 
John prese un sospiro di sollievo ed iniziò ad avviarsi.
- Non fare esperimenti strani mentre sono via e cerca di mantenere integro tutto!
Sherlock annuì impercettibilmente e fece un mezzo sorriso e John, con un tuffo al cuore, si trovò nuovamente a pensare che quello di andare a spaccare legna era il modo più adatto per ritrovare la propria mascolinità. Apparentemente, si stava calando fin troppo nella parte.
 
*
 
Sherlock, entrato nella casa ancora silenziosa, prese a guardarsi intorno, cosa che, la sera prima non era stato possibile fare con tutta quella gente.
Notò delle foto sulla mensola sopra il grande camino in salotto ed altre appese alle pareti.
Ce n’erano alcune con quella che poteva perfettamente essere identificata come la madre di John, qualcuna la ritraeva abbracciata ai figli ancora piccoli, altre sorridente insieme al marito. Doveva essere morta quando John era solo un ragazzino, probabilmente per una malattia progressiva o un incidente, comunque qualcosa che l’aveva portata via all’improvviso.
Presumibilmente John doveva aver sofferto molto.
Altre foto avevano come oggetto Harry - diploma, prima auto, con la migliore amica/ragazza - altre John – un giovane e smilzo John, con dei piccoli brufoli in viso. Alcune delle cornici che ritraevano il suo assistente, però, fecero storcere il naso a Sherlock: prima abbracciava una bambina, poi una ragazzina, poi una ragazza praticamente donna. In quelle paia di occhi verdi e morbidi boccoli rossi, il consulente ritrovò facilmente Mary Morstan, l’ex di John. L’ultima fotografia insieme era al momento del loro diploma, forse si erano lasciati poco dopo, perché John aveva abbandonato la Facoltà di medicina a un passo dalla laurea, per poi trasferirsi a Londra. 
 
Sherlock si sentì quasi frastornato da tutte quelle informazioni.
In realtà, a parte qualche deduzione veloce, non si era mai interessato fino in fondo a John - cioè la persona con cui aveva trascorso la maggior parte degli ultimi tre anni - ed adesso si sentiva quasi in colpa.
Forse avrebbe dovuto…
 
- Harriet, non se ne parla.
 
- Oh, andiamo, papà!
 
Sherlock si immobilizzò nella propria esplorazione, tendendo le orecchie verso le voci provenienti dalla cucina adiacente.
 
- Non mi scuserò con John per avergli detto la verità. Non posso scusarmi dopo che lui ha lasciato l’Università per… andare a fare il piccolo detective. Dopo che si improvvisa gay e decide di sposare un uomo che a malapena sopportava.
 
- Papà, il lavoro di John è importante per lui. Magari non gli piace stare dietro a una scrivania a prescrivere farmaci a bambini col raffreddore e vecchiette con sintomi assurdi…
 
- Perché non dovrebbe piacergli?! Mio nonno, mio padre, io… siamo sempre stati medici!
 
Si sentì una breve risata di Harry.
- Beh, io non lo sono, no? Magari si salta una generazione.
 
- Harriet. Tu non mi prendi sul serio…
 
- Papà, io ti ho sempre preso sul serio. Vorrei solo farti ragionare. Mi hai forse mai detto di essere una delusione? Io non sono mai stata un medico, scrivo libri! Inoltre, ho un passato di alcolizzata e sono gay da quando ho dieci anni! Non mi hai mai rimproverato nulla di questo. Perché con John dovrebbe essere diverso? Si vede perfettamente quanto ami quell’uomo e noi siamo la sua famiglia, dobbiamo accettarlo, dobbiamo volergli bene ed appoggiare le sue scelte. Perché, che ti piaccia o meno, mio fratello - tuo figlio! - sposerà Sherlock Holmes ed andrà a vivere con lui a Londra stabilmente. Vuoi forse che non lo vediamo per tre anni - di nuovo?!
 
Sherlock raddrizzò le spalle e si diresse al piano di sopra facendo il meno rumore possibile: aveva decisamente bisogno di una doccia.
 
*
 
Fu uscendo dal box della doccia che Sherlock si rese conto di non aver preso qualcosa con cui asciugarsi.
Sfortunatamente, tra lui e gli asciugamani nell’armadio accanto al letto a soli tre metri di distanza, stava accucciato sul tappetino di fronte a lui, pronto a balzare - anche se il consulente aveva parecchi dubbi sulla distanza che avrebbe potuto raggiungere con tutto quel grasso addosso -, il gatto Gigì.
- Gatto, pussa via. Non costringermi a ucciderti e dissezionarti.
 
Ricevette uno sguardo pigro e grigio in risposta.
 
- Oh, va bene.
Sherlock allungò un piede e spostò di lato il tappetino col gatto sopra, lasciandosi la via libera.
Ora, il consulente avrebbe raggiunto senza ulteriori difficoltà l’armadio e si sarebbe avvolto in un asciugamano ma non si era accorto che - nel mentre che il suo udito era compromesso dall’acqua scrosciante della doccia - John era rientrato dalla sua mattinata boscaiola, andando a spogliarsi totalmente dagli abiti sudati sul balcone che dava sulla camera da letto – e anche lui, a sua volta, non era riuscito a sentire i passi e la voce del proprio capo, avendo le cuffiette del suo iPod nelle orecchie.
 
Quindi, Sherlock uscì indisturbato dal bagno, facendo la linguaccia al gatto alle proprie spalle, ed andò a sbattere contro un altrettanto ignaro e nudo John. Caddero tutti e due sul pavimento e dopo un attimo di shock, si guardarono.
 
- Oh Dio, sei tutto nudo!
 
- Bell’osservazione, John.
 
- Spost… Alzat… Levati!
 
Sherlock si alzò con grazia e con lentezza dal pavimento e si coprì col candido lenzuolo del letto.
Mentre era di spalle, John cercò con tutto se stesso di non guardargli la fine della schiena - anche se con scarso successo - e si coprì a sua volta con un asciugamano.
- Che ci facevi nudo e tutto bagnato in giro?!
 
- Il tuo dannato gatto non mi faceva passare e io avevo scordato l’asciugamano.
 
- Che c’entra quel povero gatto, adesso?!
 
- Te l’ho detto: non mi faceva passare. Non farmi ripetere.
 
John sospirò.
- Va bene – aprì la porta del bagno, dalla quale effettivamente sgattaiolò via a coda ritta il micio. – Vado a farmi una doccia.
 
*
 
- Eri… tutto nudo – la voce di John, dal letto, interruppe il silenzio notturno nella camera.
 
- Dov’è il problema, a casa mia sto la maggior parte del tempo senza vestiti.
 
- …Okay, radiamo questo argomento dalle nostre conversazioni.
 
- Come preferisci – rispose Sherlock, appollaiato sulla poltrona poco distante dal letto. – Prima ho sentito tuo padre e tua sorella parlare.
 
- Intendi che hai origliato.
 
- No, intendo che li ho sentiti. E mi è sembrato di capire che ci sia dell’attrito fra te e tuo padre.
 
- Non c’è bisogno di possedere la scienza della deduzione per capirlo. E comunque non mi va di parlarne: Stamford non te lo chiederà, nel questionario.
 
Sherlock aspettò qualche altro secondo prima di aprire bocca e dire velocemente tutto quello che aveva da dire. Confidava che John avrebbe capito perché lo stesse facendo.
- Mi piacciono le api. Prendo lezioni di violino da quando avevo sette anni. Il mio telefilm preferito è Doctor Who. Non parlo di persona con mio fratello Mycroft da circa quattro anni, anche se so che lui mia spia quasi costantemente. Non sono mai stato attratto dal sesso. Ho iniziato a drogarmi quando avevo sedici anni, alla morte dei miei; ho smesso a vent’anni, quando Lestrade scoprì il mio talento e mi aiutò a fondare la Consulting Company. Adoro abbuffarmi di dolci e poi non mangiare per giorni – fece una pausa e prese un respiro. – Ci sono anche altre cose, ma non voglio affaticare il tuo piccolo cervello tutto in una volta. …John?
 
- Sono qui, io… stavo pensando.
 
- Addirittura
 
- Davvero non sei mai stato attratto dal sesso?
 
- È davvero questa l’unica cosa che hai elaborato?
 
- Beh, è che è… strano.
 
- Sì, suppongo che per voi sia così.
 
John sbuffò una risata e si sistemò sul cuscino, con le mani dietro la testa.
- Cos’è Doctor What?
 
- Who.
 
- Quello. Cos’è?
 
- È una serie tv, ha cinquant’anni. Davvero non ne hai mai sentito parlare?
 
- Non saprei… magari se mi canticchi la sigla…
 
- Non si può canticchiare.
 
- Sto aspettando.
 
- Beh, fa, più o meno… tun turù tun turù tunturururuturù weeee dooo doo weee dooo… perché ridi?!
 
- Niente è che… certo che conosco Doctor Who, è che volevo sentirti canticchiare.
 
Anche Sherlock si lasciò trasportare dalla risata dell’altro e si coprì gli occhi con le mani - prima giunte sotto il mento.
 
- Sherlock?
 
- John.
 
- Io non vorrei che tu fraintendessi, ma…
 
- Parla.
 
- Tu sei un uomo davvero… fantastico.
 
Il consulente trattenne il respiro per un attimo e lasciò scivolare lo sguardo sul viso dell’assistente, trovandolo rilassato e sincero.
- Ti ringrazio – disse, leggermente imbarazzato.
 
- Tun turù tun turù…
 
- Oh, andiamo, John. Cresci!
 
- … tun turù tun turù… Dai!
 
- No. Non me lo farai fare di nuovo.
 
- Turù tuntutù tunturuturutunturù…
 
- …Weee dooo…
 
- …Doooo wee dooo…
 
- …Doooo weee dooo dooo weee dooo…
 
- Weee oooo…
 
- Tu rù rù ruuuu…
 
- Weee dooooooooooo!
E si trascinarono di nuovo a ridere l’uno con l’altro, finché non si addormentarono.
 
 
 
 
 
(1) “ihtimaam” vuol dire “interessante” in arabo
  
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