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Autore: ChildrenOfTheBarricade    09/11/2013    3 recensioni
Parigi, Modern AU
Tra chi non sa chi è, chi non sa cosa vuole e chi non sa come ottenerlo. Tra non riesce a far pace col passato, chi fatica a fermarsi a vivere il presente e chi non riesce a prospettarsi un futuro. Tra i Les Amis, l'Università, e le domande senza risposta.
- E/R- Eponine/Combeferre -Courfeyrac/Jehan -Joly/Musichetta/Bossuet -Marius/Cosette
(Per la serie "le storie non finiscono mai com'erano iniziate" : iniziata come raccolta di shot)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Enjolras, Eponine, Grantaire, Marius Pontmercy
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. Eponine/R (Friendship); Eponine/Combeferre

Perché dovrebbe volere me?

 

 

"Io lo odio." esordì Grantaire sedendosi malamente sul bancone del bar e ignorando del tutto l'occhiataccia di Eponine, fino a quel momento impegnata a ripulire il ripiano con uno straccio.
Mancavano una decina di minuti alla chiusura e il locale era vuoto, fatta eccezione per Combeferre, seduto a un tavolo poco lontano e completamente assorto nella lettura; con ogni probablità aveva perso il senso del tempo, ma per qualche ragione Eponine non aveva ancora ritenuto necessario farglielo notare.

"Cosa è successo?" domandò stancamente, appoggiando i gomiti al bancone e voltandosi in direzione di Grantaire, che in quel momento appariva ancora più trasandato del solito, con i capelli arruffati e le unghie incrostate d'argilla.
"Niente."
"Come sarebbe a dire niente?"
"Che non ne voglio parlare." mugugnò il ragazzo, osservando con estrema attenzione la cucitura laterale dei suoi jeans, che stava progressivamente perdendo punti e aveva ormai creato un buco all'altezza del ginocchio.
Eponine simulò un principio di svenimento.
"Presto, mi serve un calendario, un'agenda, qualsiasi cosa! Devo segnarmi questo giorno! Hey Ferre! Tu lo sai che giorno è oggi?"
Combeferre, bruscamente strappato al suo universo letterario, le rispose con l'aria spaesata di chi è appena stato buttato giù dal letto.
"Ehm... il sette Dicembre?"
"No no, è il primo giorno da quattro anni in cui R non vuole parlare di Enjolras!"  esclamò, con il tono più sorpreso e deliziato che riuscisse a produrre, mentre Combeferre cercava di mascherare il sorriso che gli era nato sulle labbra e Grantaire  la guardava come se avesse voluto spaccarle qualcosa in testa.
"Oh, ma sei uno spasso!" commentò acido "Ma non potresti magari evitare di sventolare i miei sentimenti ai quattro venti?"
"A quello ci pensi da solo."
"Non è vero!"
"Allora forse dovresti smetterla di sbavare quando lo guardi."
"Io non..."

Il loro maturo e pacifico scambio di opinioni venne interrotto dalla voce pacata di Combeferre, che finalmente si era accorto dell'ora tarda.
"Maledizione, sono in ritardo! Dovevo incontrarmi con Joly per studiare almeno mezz'ora fa... sarà preoccupato."
"Sicuramente" decretò laconicamente Grantaire, che era tornato a concentrarsi sui suoi jeans bucati, con l'espressione più infelice del mondo dipinta in viso.
"Beh mi conviene scappare, ciao R! Ciao 'Ponine." aggiunse poi con un sorriso, prima di sistemarsi la borsa su una spalla e dirigersi verso l'uscita.
Eponine lo seguì con lo sguardo finchè non scomparve dietro la porta a vetri, e probabilmente aveva un'aria troppo sognante, o un sorriso troppo idiota, perchè Grantaire si sentì in dovere di commentare: "Meglio lui che Pontmercy, comunque."
"Oh, smettila subito! 'Ferre è un amico."
"Naturalmente. E io sono Delacroix."
La ragazza sbuffò sonoramente, mentre finiva di pulire il bancone e si legava i capelli scuri alla meno peggio, arrangiandoli in una coda.
"Ti stai inventando tutto."
"Beh, forse dovresti smetterla di sbavare quando lo guardi" la scimmiottò lui.
Eponine decise che era il caso di lanciargli addosso lo straccio.
 

Diversi battibecchi più tardi, erano entrambi nel cortile dell'università a tremare nell'aria gelida di dicembre. Eponine si sistemò meglio la sciarpa attorno al collo e gettò uno sguardo al cielo plumbeo e statico, identico ai giorni precedenti. Sembrava che il tempo non passasse più, ogni ora era identica alla precedente: grigia e maledettamente fredda.
"Detesto l'inverno. E questo freddo indecente." decretò rabbrividendo, mentre si incamminavano verso gli alloggi studenteschi. 
Grantaire viveva lì grazie alla borsa di studio che aveva ottenuto, mentre la casa di Eponine era un piccolo monolocale poco fuori dall'ateneo,  il cui affitto la preoccupava costantemente. Ad ogni modo, fare quel piccolo pezzo di strada insieme era diventato una specie di rituale per i due ragazzi, un momento per staccarsi da una routine che soffocava entrambi. 
"E detesto anche il ghiaccio!" aggiunse scocciata, dopo aver rischiato di scivolare per l'ennesima volta sul terreno incrostato di neve.
Grantaire ridacchiò, passandole un braccio attorno alle spalle, giusto per evitarle una rovinosa caduta a cui sarebbero seguiti una varietà esorbitante di maledizioni e ingiurie di ogni genere, di cui avrebbe preferito fare a meno.
"A me non dispiace."
"Questo perché sei un maledetto cinico che ama tutto quello che gli altri odiano e odia quello che agli altri piace."
Il ragazzo sbuffò e alzò gli occhi al cielo, mantenendo però il sorriso sulle labbra.
"A proposito di amore e odio" disse lei ad un tratto "non mi hai detto cosa è successo con Enjolras." 
"Niente."
"Ascolta" ribatté un po' spazientita "se non hai intenzione di dirmi che succede, almeno levati quell'espressione da funerale perc..."
Il ragazzo scosse la testa. "Non hai capito. Non è successo niente, nel senso di niente."

Nel frattempo erano arrivati ai dormitori: un'enorme costruzione intonacata di un rosso opaco e costellata di finestre, con un tetto spiovente. Se l'intenzione dell'architetto che l'aveva progettata era quella di rimandare all'idea di atmosfera casalinga, è il caso di dire che aveva fallito miseramente. 
Grantaire si allontanò dall'amica e appoggiò fiaccamente la schiena al muro dell'edificio, seppellendo le mani gelate nelle tasche del cappotto.
"Sono settimane che mi evita. Non risponde ai messaggi, né alle chiamate, e le poche volte che riesco a incrociarlo nei corridoi, trova una scusa e scappa via." spiegò con un sospiro.
"Oh..."
"Già."
"Avete litigato?"
"Non che io sappia."
“Ma allora che...”
“Non lo so ‘Ponine.”

Per un po’ tra i due ragazzi cadde il silenzio: Grantaire fissava un punto nel vuoto, immerso nei suoi pensieri ed Eponine cercava disperatamente le parole giuste da dire per confortare l’amico, senza però avere particolare successo. 
Alla fine fu lui a parlare per primo: “ Forse si è semplicemente accorto che può avere di meglio.”
“Smettila di dire stronzate, per carità!”
“Oh andiamo ‘Ponine, è evidente che  uno come me non sarà mai alla sua altezza! Perché mai dovrebbe volere me?”
La ragazza dovette far leva su tutto il suo scarso autocontrollo per non prenderlo a schiaffi seduta stante. Contò quindi fino a dieci, lasciando trapelare tutta la sua rabbia e disapprovazione solo attraverso lo sguardo, piantando le iridi scure in quelle di lui. Dopodiché gli diede uno schiaffo.
“Non parlare mai più così, okay? Mai. Non lo meriti, nessuno lo merita.”
Grantaire, neanche troppo sorpreso, si limitò a passarsi il dorso della mano sulla guancia colpita, accennando un sorriso malinconico.
“Meglio che vada ora. Ci vediamo.” sussurrò, accennando un leggero movimento del capo a mo’ di saluto e dandole le spalle.

 

Eponine guardò la sagoma dell’amico svanire dentro l’edificio con un groppo in gola e un pessimo presentimento. Sapeva benissimo cosa sarebbe successo ora: Grantaire  avrebbe passato un’indefinito lasso di tempo a compatire se stesso e a scatenare invettive contro la vita, la provvidenza, il destino, la rivoluzione francese e le manie di controllo. Dopodiché avrebbe dato fondo a quel che restava delle riserve di alcool che lui e Bahorel tenevano nascoste nel cassetto dei calzini e nell’armadietto dei medicinali, si sarebbe messo a  schizzare nervosamente sul primo blocco da disegno capitatogli sotto mano, per poi stracciare tutto nel momento in cui si sarebbe reso conto che ognuna di quelle linee dure e spezzate, ogni colore utilizzato, gli ricordava Enjolras in qualche modo. Per completare la routine, sarebbe andato al bar vicino all’ateneo per sacrificare tutti i risparmi, suoi e altrui, nel tentativo di affogare l’angoscia nel vino.
Che ci riuscisse o no, qualcuno -e quel qualcuno era solitamente Eponine- doveva occuparsi di andarlo a riprendere, sperando che fosse abbastanza sobrio da reggersi in piedi e che nessun professore l’avesse visto in quelle condizioni. 
Un fiocco di neve le sfiorò la guancia e la riscosse dai propri pensieri; sollevò lo sguardo, stupita e meravigliata. Non che ci fosse effettivamente qualcosa di sorprendente nella caduta di qualche fiocco nel bel mezzo di dicembre, ma, da qualche ora, quella stessa neve che aveva visto cadere con regolarità ogni inverno della sua vita, aveva assunto un significato completamente diverso. 


 

6 Dicembre 2012 

Eponine era assolutamente, pienamente, incontrovertibilmente disgustata dall’inverno. Detestava la sensazione di freddo umido capace di penetrarle fino alle ossa e non andarsene più, e le sagome spoglie degli alberi che si stagliavano contro il cielo piatto e incolore la deprimevano a livelli intollerabili. In generale la trovava una stagione piena di disagi e miseria, in cui ogni cosa veniva spogliata della propria bellezza e lasciata a marcire, dimenticata.
Eppure, le sembrava tutto così diverso adesso. Il freddo non era più così pungente se Combeferre le stava accanto, le tinte neutre e piatte del cielo non sembravano più monotone, ma serene e pacifiche, e quando la neve aveva iniziato a cadere placida, la ragazza era ormai convinta di trovarsi in una favola. 

Non erano andati lontano alla fine: Combeferre l’aveva portata in un parco nei pressi dell’università e, a dire il vero, Eponine era convinta di esserci già passata un paio di volte. Però ora le appariva tutto sotto una luce diversa. Forse era la voce del ragazzo che camminava al suo fianco e che sembrava avere una qualche conoscenza su ogni cosa incontrassero: statua, albero o sasso che fosse. Eponine lo ascoltava, e dimenticava tutto il resto: Gavroche che, a casa da solo, avrebbe potuto combinare qualunque cosa (anche se lei aveva chiesto alla vicina di controllarlo quando poteva), l’affitto arretrato, Marius che si faceva ogni giorno più lontano. Già, perché da quando era arrivata Cosette, Marius era ne era rimasto talmente conquistato da dimenticarsi di tutto il resto. Eponine non lo aveva mai incolpato di nulla, di nessuna delle sofferenze che le aveva procurato il suo comportamento -del resto, non era colpa sua se lei era stata così STUPIDA da innamorarsi di lui- ma ora, ora era più che amareggiata. Era furiosa. Aveva fatto tanto per lui, con tutto il più autentico disinteresse, e sapeva di non meritarsi di venire messa da parte così bruscamente.

“Okay, questo è il posto.” disse Combeferre, fermandosi davanti a un piccolo spiazzo erboso, ora coperto di neve. Sullo sfondo, tra gli alberi, si intravedevano le affollate strade di Parigi, ma sembravano come sospese, congelate in un attimo perfetto. Al centro del prato c’era una vecchia panchina di ferro, piena di incisioni e bellissimi decori, sovrastata da un albero enorme -forse era una quercia? Oh, chissene importa di che albero è.
 “Non è niente di speciale in realtà, ma è uno dei miei posti preferiti. Non chiedermi perché.” continuò il ragazzo accennando un sorriso. 
Se quello non era niente di speciale, allora lei aveva decisamente bisogno di vedere più posti nuovi, perché lo trovava assolutamente meraviglioso. 
“E’ da togliere il fiato” sussurrò, prima di prendere la mano di Combeferre e trascinarlo verso il centro dello spiazzo. “Dai vieni!” esclamò ridendo, incurante delle occhiatacce dei passanti, irriverente come al suo solito.
Il ragazzo la seguì divertito fino alla panchina, che la quercia - perché era effettivamente una quercia- aveva miracolosamente riparato dalla neve. 
“Sono felice che ti piaccia” disse mentre si sedevano vicini “ ho provato a convincere Joly a studiare qui una volta, ma a quanto pare è allergico ad ogni tipo di polline, anche a quelli invernali.”
“Esistono pollini invernali?” domandò lei con una smorfia perplessa sul viso.
“No, certo che no. Ma vaglielo a spiegare!”

Passarono un’infinità di tempo su quella panchina, a parlare di qualunque cosa passasse loro per la mente, e lei non ricordava di essersi mai sentita più libera e leggera. Ad ogni risata, ad ogni nuovo argomento, ad ogni aneddoto della vita di entrambi che veniva raccontato, i due ragazzi si facevano più vicini, tanto che, quando lo squillo di un cellulare li distrasse, Eponine aveva la testa appoggiata alla spalla di Combeferre, che le circondava la vita con un braccio. Quando il ragazzo dovette staccarsi da lei per rispondere al telefono, lei sentì una violenta ondata di freddo percorrerle le ossa fino a farla rabbrividire; fu come essere svegliati bruscamente da un bel sogno, quando vorresti avere ancora tempo per dormire. Era quasi scesa la sera senza che loro se ne accorgessero: il cielo aveva finalmente cambiato tonalità, l’aria si era fatta ancora più fredda e lei doveva assolutamente tornare a casa da Gavroche. 
Però non si mosse. Sbirciò in direzione di Combeferre, che, appoggiato all’albero, parlava concitato al cellulare. Se Eponine non lo avesse conosciuto bene, avrebbe potuto dire che sembrava quasi irritato dalla conversazione. 
Quando però chiese spiegazioni, il medico si limitò a sorriderle e scuotere la testa.
“Niente di importante” 
“Oh. Beh... io...” incominciò, alzandosi controvoglia e stiracchiandosi i muscoli indolenziti dal freddo e dall’immobilità “credo sia ora di andare. Devo passare a comprare qualcosa per cena, e la vicina mi ucciderà per essere stata fuori tutto questo tempo, e..”
Non ci fu occasione per elencare altri motivi però, perché Combeferre le aveva catturato il viso con una mano e aveva appoggiato le proprie labbra su quelle di lei, nel bacio più bello e dolce che Eponine avesse mai ricevuto. Il più inaspettato, anche.
Per un attimo le parve che il suo cuore si fosse fermato, e un attimo dopo batteva così forte che ogni palpito le rimbombava nelle orecchie. Credette di crollare a terra, e poi di essere completamente senza peso. Pensò di star sognando, ma quando riaprì gli occhi lui era ancora lì, era davvero lì’.
Non riuscì a trattenere che un sorriso raggiante le si dipingesse sulle labbra, mentre allacciava le braccia dietro al collo del ragazzo, ripetendo il suo gesto, mettendo in quel bacio tutta la felicità che provava in quel momento e che non avrebbe mai creduto potesse toccare a lei. 
Ci sarebbe stato tempo per le parole, per le spiegazioni, per i dubbi e i ripensamenti. Ci sarebbe stato tempo per ascoltare le lamentele della sua bisbetica vicina di casa. Ma quel momento apparteneva a loro e a nessun altro, ed era perfetto.

 

 

 

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Hey guys!

E’ stata una faticaccia questo capitolo e confesso che non l’ho riletto :S
Però sono troppo curiosa di sapere cosa ne pensate voi!
Eponine e Ferre mi piacciono da morire, ma sono coooosì complicati!
Poi, stavo pensando che potrei trasformare tutto ciò in una long perchè forse c'è un po' di confusione.
Non saprei, suggeritemi!

Grazie a tutti voi che leggete e recensite and stuff, 
siete fantastici!

Alla prossima :)

  
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