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Autore: Kastel    10/11/2013    2 recensioni
Ovvero, il percorso di Akashi e Kuroko che faranno insieme, tra insegnamenti vecchi e scoperte nuove.
Perché non è solo il passato, quello che conta.
E che spirito, si poteva osservare! Non solo così vanitoso da abbellirsi di kimoni di primissima qualità, ma anche così sottilmente furbo nel comprendere che basta l'etichetta per poter dimostrare la propria potenza! Così dannatamente attaccato ai giovani da rendere le vite di due di loro un mezzo inferno!
Né Akashi né Kuroko potevano comprendere, prima del loro incontro che è il punto di partenza di questa storia, quanti e quali danni avessero fatto due donne troppo simili nell'essere state cresciute come portatrici di una tradizione ferrea.

[Coppia: AkaKuro]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Con il passare degli anni, quanto è stato sublime ed elevato va tramutandosi a poco a poco in una farsa.
Yukio Mishima, Cavalli in fuga



Non ricordo con precisione quando le parole di mia nonna hanno iniziato ad apparirmi delle falsità.
O meglio.
Fin da quando ero piccolo passavo molto tempo con lei: entrambi i miei genitori erano impegnati con i rispettivi lavori, quindi era naturale per me trovare mia nonna ad aspettarmi all'uscita da scuola, così come era scontato andare a casa sua per aspettare il loro ritorno.
Dentro a quell'abitazione in stile tradizionale, circondata da un giardino rigoglioso e splendido, ascoltavo mia nonna raccontarmi delle storie meravigliose con accanto una tazza di tè. E non erano semplici racconti: cosa poteva stimolare la fantasia di un bambino meglio di mostri, samurai senza paura e spiriti irrequieti? E come poteva fermarsi il bambino di fronte alla possibilità di dare vita lui stesso a quei mondi così affascinanti?
È stata questa la ragione che mi ha fatto avvicinare al mondo del teatro Nō, la promessa di essere io stesso l'attore principale ed unico di storie senza eguali, qualcosa che né i videogiochi e neppure i libri potevano raggiungere.
Ovviamente mia nonna fu ben felice di insegnarmi ad essere uno Shite, anzi, fu fin troppo zelante quando mi vide pronto ad apprendere. Perfino l'io di cinque anni fa comprese che c'era qualcosa di stonato nel suo modo di fare. E dire che era solo un gioco per me, niente di serio o di improntato al futuro.
Mia nonna smise di raccontarmi quelle fiabe epiche, perché ovviamente il loro lavoro l'avevano fatto. Oramai ero diventato, volente o nolente, il suo burattino, lo strumento per permettere alla nostra famiglia di tornare ad essere la Soh-ke.
Ma feci finta di non vedere. Anzi, mi divertivo ad indossare quei kimoni eleganti e a imparare a muovermi sul palcoscenico, perché mia nonna, in fondo, non mi aveva mentito: potevo davvero essere l'eroe delle storie che qualcuno aveva creato per me. Scoprii anche che alcune opere erano state modificate da mio nonno che, essendo a capo di una delle cinque scuole, aveva questo potere. Erano dei cambiamenti meravigliosi ai miei occhi di bambino, perché erano il regalo che lui aveva lasciato a me, suo nipote. Un augurio di raggiungerlo e superarlo un giorno non troppo lontano.
Era lontano il giorno in cui tutto ciò si sarebbe infranto come uno specchio colpito da un pugno.
Una ferita che sanguina, una cicatrice che fa male.
Nonostante tutto.

 

 

 

“... Ko.”
Guardava fuori dalla finestra, incurante di tutto e tutti.
“... Roko.”
Neppure quella voce in sottofondo poteva disturbarlo dal viaggio che la sua mente aveva intrapreso verso lidi ben diversi di quella misera stanza.
“KUROKO!”
Al terzo richiamo capì di non potersi più concedersi tale diritto.
Girò il viso con calma, quasi a voler prendere in giro quella voce autoritaria che aveva osato disturbarlo mentre stava ragionando su qualcosa di così importante.
“Kuroko Tetsuya! Vedi di stare attento alla lezione!”
Il ragazzo si limitò ad annuire, abbassando poi lo sguardo sulla pagina del quaderno interamente scarabocchiata. Per metà era piena di schemi su possibili traiettorie dei passaggi e i margini di miglioramento che poteva raggiungere, mentre il resto erano dei passi della danza di Atsumori, disegnati in maniera molto grezza e sparsi come chicchi di riso buttati durante un matrimonio.
Solo in un piccolo angolo era diverso, come se le parole che erano segnate sopra fossero state tracciate distrattamente e quasi di malavoglia.

 

Domani saprò.
Saprò chi è davvero Akashi Sejiuro e perché ha studiato così intensamente la mia storia.
Capirò (forse) la verità.
Mi domando solo quanto sarà dolorosa.

 

 

 

“Hai visto?”
Un brusio di voci, un misto tra odio e ammirazione, era il sottofondo del loro passaggio.
“La più forte delle squadre... La Teikou!”
Di sicuro il loro non era un'entrata in scena tra le più silenziose. Ma a loro poco importava, soprattutto per quanto riguardava il capitano, che stava cercando di non perdere quel poco di pazienza che Dio o quel che era gli aveva donato nei confronti di Haizaki.
“Se non si muove...”
E anche le matricole, le vere star della giornata, non consideravano i loro avversari un vero problema.
“È vero che contro alcune di queste squadre non abbiamo mai giocato, ma non mi sembrano poi questo granché.”
“Midorima, per favore, smettila di mangiare schifezze.”
“Comunque sia non dobbiamo abbassare la guardia.”
“Io non mi preoccuperei così tanto, anche se saremo solo noi matricole a giocare non credo ci saranno problemi.”
Aomine girò di poco il viso, fissando il volto del ragazzo che camminava accanto a lui.
“Perciò Tetsu... non essere così nervoso.”
Come fosse stato una marionetta a cui qualcuno aveva tirato troppo bruscamente i fili Kuroko quasi saltò sull'attenti, irrigidito tutto d'un colpo.
“Eh? Hai detto qualcosa, Aomine-kun?”
Aomine lo fissò, chiedendosi se sarebbe riuscito a rilassarsi prima dell'inizio della competizione o sarebbe svenuto d'ansia.
“Per l'appunto. Sbaglio o sei riuscito a passare il test anche se hai fatto un solo canestro? Rilassati!”
“Beh, l'altra volta ero preparato mentalmente. È vero che anche la terza squadra ha giocato varie partite, ma io sono sempre rimasto bordocampo a tifare. Ora invece non solo ho l'uniforme ma sono anche in panchina.”
Fissò a terra, cercando di apparire un poco sicuro di sé nonostante tutto. Poteva farcela. Bastava solo rilassarsi e parlare come prima, tranquillamente.
“Questa è la p-prima partita a c-cui partecipo.”
Se solo il concetto di “Prima partita a cui partecipo” non fosse un sinonimo di “ANSIA”.
“Non balbettare... ASPETTA, SEI SERIO?”
A quella frase tutti compresero il perché fosse così tanto nervoso. Ed anche che, probabilmente, sarebbe stato quasi meglio non avercelo proprio come riserva.
“Ehi... Vedi di non intralciarci almeno.”
Kuroko abbassò il viso, annuendo lentamente. Sapeva benissimo che c'era un dislivello tra lui e le altre matricole, ma potevano tutti stare tranquilli: lui era solo una riserva, niente di più. Non sarebbe sceso in campo a meno che non ci fossero stati problemi od imprevisti. Una probabilità su un milione, in pratica.
“Nijimura... è Haizaki.”
Forse due su un milione.
“HAIZAKI? DOVE CAZZO SEI?”
“Ehi scusa, ma mi sono beccato un raffreddore.”
Come se il suono di dita che pigiavano i tasti su quello che pareva un joystick riuscisse a dare quel tocco di credibilità che serviva alla storia di Haizaki.
“COSA? UN RAFFREDDORE?”
“Seeeeh, un raffreddore con un febbrone da cavallo... Ti giuro, ho anche la tosse... COUGH COUG...”
“MERDA!”
Se lo scopo di Nijimura era quello di privare Akashi del proprio cellulare ci stava riuscendo in maniera perfetta.
“Ha dormito troppo e ora finge di essere malato. Vedi di punirlo A DOVERE, capito?”
“Capito.”
Di tutto quello solo una cosa era certa, per quanto ancora non compresa da Kuroko (non avendo potuto ascoltare la telefonata): che, davvero, era meglio lasciare le probabilità da parte.
Sempre.

 

 

“Dunque, visto che Haizaki non sarà presente ci sarà un cambiamento nella formazione dei titolari.”
Il coach li guardò uno ad uno mentre parlava, tenendo la cartelletta in mano. Nessuno dei cinque giocatori fissava l'uomo, chi perso nei propri pensieri, chi carico e chi ancora con un'aria annoiata sul viso, come se tutto ciò fosse totalmente inutile.
“Il quintetto sarà quindi composto da Akashi, Aomine, Midorima, Murasakibara e, al posto di Haizaki, Kuroko. È tutto.”
Se quello era uno scherzo NON era divertente.
Kuroko rimase paralizzato lì dov'era seduto, fissando il supervisore sconvolto. Aveva capito sicuramente male. Non toccava già a lui scendere in campo. Non era pronto. Non lo era PER NIENTE. E forse avrebbe protestato se Aomine non gli avesse preso il braccio e tirato su, carico come non mai e pronto a combattere. Quanto invidiava quel tipo di sicurezza che nasce solo dalla forza.
Avrebbe voluto rilassarsi e sentirsi un pelo più tranquillo, ma...
“La partita della Teikou sta iniziando!”
“Il loro avversario, il Nanbara, non ha mai partecipato ad un campionato nazionale negli ultimi anni, ma si è sempre classificata bene nei preliminari.”
“Eccoli, eccoli! Ma...”
“... La Teikou ha solo quattro giocatori?”
“Ah no! Ce n'è un altro!”
“Ma... Ma non si nota proprio!”
“Come diavolo fa ad essere un titolare? È come se fosse invisibile!”
… Era impossibile anche solo smettere di tremare di fronte a così tante persone che avevano già espresso un loro giudizio. Fu un miracolo che riuscì a fare il saluto, per quanto la sua voce fosse un tremito unico. Era talmente agitato che neanche si accorse dello sguardo preoccupato che Aomine gli diede mentre si decideva quale squadra avrebbe ottenuto la palla per prima.
E Murasakibara riuscì a vincerla, che fu presa al volo da Akashi.
“Calma Kuroko, bisogna partire piano.”
Lo SBAM che sentì non era tra le risposte contemplate.
Girò il viso di lato, trovandosi davanti la visione di Kuroko caduto come una pera cotta sul pavimento della palestra, apparentemente senza essersi fatto nulla di grave. Akashi rimase senza parole, così come Midorima e Murasakibara. E come potevano commentare quel battesimo di fuoco se non con un “che diavolo stai combinando?!”
Fortunatamente il ragazzo si alzò immediatamente, facendo capire che non era niente di grave alla fine.
“Scusate, sono inciampato. Sto bene.”
Ma bastò guardarlo bene in viso per rendersi conto che no, non era affatto così. Si poteva definire un “Sto bene” un naso che perdeva sangue?
“Tetsu!!!”
Insomma, era appena passato un secondo e già era riuscito ad infortunarsi. Non si poteva dire che l'esordio di Kuroko come titolare della prima squadra della Teikou sarebbe passato inosservato, anzi. Tutto l'opposto. Non che questo ovviamente dava agli altri giocatori la spinta per impegnarsi.
“Non posso crederci... Oltre ad essere un peso mi sta facendo passare la voglia di giocare!”
“Seriamente... Che ha che non va?”
Non era facile spiegare cosa ci fosse di sbagliato in lui (se sbagliato potesse definirsi il termine corretto). Era più semplice comprendere cosa ci fosse di errato nel fatto che lui, in quella squadra, era l'unico a non avere un'abilità innata o una forza fisica tale da sopperire ogni tipo di lacuna. C'era un tale dislivello tra lui, che aveva creato uno stile personale con lo studio e l'impegno, e loro, che erano nati con il talento, che sarebbe bastato solo quello a far capire cosa c'era che non andasse in lui. Era il rendersi conto che non era perfetto. Era la consapevolezza del non essere abbastanza. Era il terrore del comprendere che ciò lo bloccava ancora prima di poter dimostrare quanto valeva.
Un conto era una battaglia, un altro la guerra vera. E lui aveva solo dei proiettili a salve per combattere.

 

 

Eppure anche Nijimura non era nato con il loro talento.
Kuroko, seduto in panchina in attesa che il sangue smettesse di uscire, stava osservando il loro capitano stracciare i propri avversari con una facilità che aveva dell'incredibile.
Il suo non era talento. Non era quel genere di abilità innata che il destino aveva graziato le matricole della Teikou. Era, piuttosto, una questione di forza. Era dotato di quell'energia e potenza fisica che gli permetteva di raggiungere, se non addirittura (momentaneamente) superare, i ragazzi del primo anno.
Osservarlo sfrecciare tra i vari avversari non era semplicemente fantastico: era un vero piacere per gli occhi. Vedere il volto spaesato e sconvolto dei ragazzi della squadra opposta di fronte alla sua velocità e capacità di reazione era meraviglioso. Nijimura era nato per ottenere su di sé il fiato sospeso e sorpreso del pubblico che lo osservava. Eppure a lui non importava: combattere era l'unica cosa che gli interessava, onorare il motto della squadra era il suo scopo. Se poi ciò portava anche popolarità allora era un altro discorso.
La presenza di Nijimura, comunque sia, non coprì l'evidente talento degli altri titolari. Per essere precisi, lo esaltava. Era come se lui fosse in campo non solo per guidare e sostituire Kuroko ma fosse il pennello che dava forma alle vere capacità dei ragazzi del primo anni. Tanto che, ad un certo punto, Murasakibara superò praticamente tutti con un'unica mossa, che fece salire l'entusiasmo di tutto il pubblico.
“Cosa? Un Alley-Oop? Ma questa è una semplice partita delle medie o no?”
“Incredibile! Sono inarrestabili!”
“E tranne Nijimura sono tutte delle matricole!”
Ovviamente, ad uno sguardo più attento, ci si poteva rendere conto che in realtà il talento non poteva sopperire alla mancanza di resistenza: non erano al livello di Nijimura sotto quel punto di vista, abituato a giocare a partite molto più pressanti e pesanti. E nonostante ciò erano di gran lunga migliori di chiunque in quel campo.
Kuroko osservava tutto ciò e si domandava solamente una cosa.
Sarebbe mai arrivato il giorno in cui il suo impegno sarebbe bastato per essere al loro stesso livello?

 

 

“Si è fermato il sangue che perdevi dal naso?”
“... Sì.”
Ma il tempo per fermarsi a pensare e sperare era finito. Era giunto il momento, quello vero, di dimostrare ciò che poteva fare. Poco importava se gli sembrava una missione impossibile quasi, che si sentisse soffocare da tale responsabilità. Sapeva di non avere molte scelte: o accettava o affogava.
La vittoria o la retrocessione.
E dopo tutta la fatica fatta per essere lì, a lottare insieme ad Aomine, non poteva lasciarsi sfuggire quella occasione. Anche perché, nonostante la chiacchierata di quella sera doveva parecchio ad Akashi.
Nonostante ciò che sapeva avergli fatto alle spalle.
Nonostante conoscesse cosa aveva appreso su di lui.
O forse era proprio per questo.
Combattere per dimostrargli che lui non era un burattino di una donna che aveva perso i propri artigli (o meglio, così faceva comodo pensarla: quale tigre morente sarebbe riuscita a condizionare così tanto la propria preda?). Combattere per se stesso.
E forse, anche un poco per chi gli aveva offerto tale possibilità.

 

 

Solo che se già il primo passaggio era stato un fallimento non voleva immaginarsi i successivi.
Eppure, nella sua mente, tutto era calcolato alla perfezione: la forza da mettere nel colpo, la distanza, la velocità, la traiettoria. Ogni minimo particolare era stato levigato ed ogni errore corretto.
Ma tutto ciò si frantumò con la mancata presa da parte di Murasakibara. La palla rotolò fuori campo, dove fu concessa la rimessa per la squadra avversaria.
Il pubblico non aveva neanche compreso cosa fosse successo. Se già era complesso capirlo per chi si trovava in campo diventava praticamente impossibile per degli esterni. E ovviamente nessuno, a partire dallo stesso Murasakibara, era contento.
“Ehi... Ti stai prendendo gioco di me?”
“Affatto.”
“Guarda che ti distruggo.”
“Non farlo, per favore.”
Come fosse possibile che quei due stessero discutendo normalmente con la mano di Murasakibara che premeva su quella di Kuroko in un tentativo di schiacciarlo, non era chiaro a nessuno.
Kuroko sapeva bene cosa tutti stessero pensando. Lo leggeva sui visi di tutti i suoi compagni di squadra. Oh, per lui abituato a giocare con lo sguardo altrui era come chiedergli di leggere un qualsiasi libro: naturale come respirare. E per questo che la sua unica reazione, appena compreso ogni significato dietro il volto preoccupato di Aomine, quello interessato di Midorima e quello dubbioso di Akashi, fu solamente stringere forte i denti, senza pronunciare una parola.
Può provarci quanto vuole, ma se non si impegna sarà solo un peso. Se farà altri errori sarà fuori. Perché uno stile interessante non può sopperire l'evidente mediocrità di un giocatore inutile.
E se perfino i consigli di Akashi non servirono a niente quella volta poteva significare che, davvero, lui non era pronto. Con tutto quello che ciò avrebbe portato.

 

 

Avevano vinto, questo era vero, ma non di certo per merito suo. Anzi, lui era stato solo un peso, così inutile che aveva rischiato di affondare la squadra con sé. Era un qualcosa che in una squadra come la Teikou (improntata sulla vittoria assoluta e totale) non serviva a niente, neanche come riserva.
Sospirò, lasciando cadere le bacchette sul pranzo praticamente intonso. Gli era passata la fame. E se non fosse stato tanto perso nei propri pensieri forse avrebbe considerato di non sprecarlo e regalarlo ad Aomine, che a quanto pareva aveva lasciato a Momoi il compito di preparargli il pranzo. Certo, se quella massa nera e indefinita si potesse definire “pranzo”.
Solo quando una mano passò fra i suoi capelli scompigliandoli con affetto si risvegliò, trovandosi a fissare il pranzo sorpreso.
“Non preoccuparti, c'è un'altra partita. Non abbatterti ora, Tetsu.”
“Aomine-kun...”
Per la prima volta in quella lunghissima giornata Kuroko riuscì a sorridere un poco, per quanto tirato e poco entusiasta fosse.
“Si... Farò del mio meglio.”
Aomine rispose al suo sorriso, salutandolo poi con la mano. Doveva muoversi, se non voleva finire la pausa pranzo senza aver toccato cibo.
Kuroko era così concentrato su Aomine (e sull'appetito appena ritrovato) che neanche si accorse dello sguardo di Akashi su di lui. Una via di mezzo tra il pensoso e l'interessato.
Sapeva bene che Kuroko, con ogni probabilità, si era bruciato la sua occasione. Poco importava che fosse alla sua prima partita in assoluto: in una squadra come la loro non ci si poteva permettere di sbagliare e l'ansia non era una scusa accettabile. Non avrebbe partecipato alla partita prevista nel pomeriggio, poco ma sicuro.
Eppure c'era qualcosa che non gli tornava. Durante il test tutto era filato liscio come l'olio: i passaggi, la misdirection, ogni cosa. Certo, la caduta ad inizio partita non aveva aiutato, all'opposto: lo aveva reso così visibile che neanche se si fosse messo a ballare in cerchio avrebbe sortito il medesimo effetto. In pratica aveva reso vana la misdirection.
Ok, un mistero era stato risolto. Ma gli mancava comprendere il perché i passaggi fossero stati così scoordinati. Cosa aveva sbagliato? Che cosa non aveva calcolato?
Probabilmente il suo ragionamento sarebbe proseguito ancora a lungo se solo la voce di Murasakibara non fosse entrata nel suo campo uditivo, distraendolo.
“Eh? Ma questo non è il portafoglio di Mine-chin?”
“Che cavolo è andato senza i soldi?”
Lo sguardo di Akashi si concentrò sui movimenti di Kuroko, che si era alzato in piedi per avvicinarsi a Murasakibara.
“Glielo porterò io.”
“Mmmh, ok, pensaci tu.”
Akashi vide il portafoglio lanciato e la mano di Kuroko che se lo fece sfuggire. E fu in quel momento che la sua mente comprese.
Eccolo, il secondo errore. L'ingranaggio che era andato fuori controllo. Come diavolo aveva fatto a non pensarci prima?
Forse non era troppo tardi. Ora che aveva capito potevano porci subito sopra una pezza. Potevano farcela.
Gli sarebbe bastato solamente dirglielo.

 

 

 

“No. Non ha senso osservarlo oltre. Verrà retrocesso. Fine della discussione.”
Stava solo pregando di svegliarsi perché la scena che aveva davanti era solo frutto di un incubo. La realtà non poteva essere così crudele da avergli veramente stracciato ogni possibilità di impegnarsi per dimostrare le sue abilità.
Chiuse gli occhi, sentendo gli occhi iniziare ad inumidirsi. No, aveva solo sbagliato ad illudersi. Era stato uno sciocco a credere di poter avere una seconda occasione dopo il fallimento di poche ore prima. Non biasimava il coach: anche lui avrebbe agito così se fosse successa una cosa del genere. Non erano mica in una squadretta qualsiasi. Erano la Teikou, i Re delle squadre medie. E il livello dei giocatori era il motivo principale di quel risultato.
L'impegno non era un valido motivo per premiare qualcuno se ciò non portava riscontri.
“In tal caso retroceda pure me!”
E nonostante ciò c'era ancora qualche testardo che desiderava ancora aiutarlo.
Tutti i presenti (il coach, Nijimura, Kuroko) osservarono sorpresi Aomine, che fissava l'uomo con una forza e decisione negli occhi che faceva ben intendere quante e quali speranze avesse sul ragazzo che stava cercando di proteggere.
“Se anche nella seconda partita non funzionerà mi retroceda insieme a lui.”
Nijimura gli si avvicinò piano, osservandolo come se fosse impazzito. O forse era preoccupato, pensò Kuroko. Del resto Aomine era uno dei giocatori più validi e uscirsene con una proposta del genere era controproducente per loro.
O, più semplicemente, lo considerava un deficiente.
“Sei stupido?”
Gli diede un colpo non troppo forte sulla fronte, come a sottolineare che gli mancava la materia prima oltre che un minimo di buonsenso.
“Almeno dì che abbandonerai il club se proprio vuoi minacciarci, idiota.”
Kuroko, se fosse stato in un'altra situazione, probabilmente avrebbe almeno sorriso: Aomine era scemo poiché ingenuo. Lui non sapeva come il mondo potesse essere crudele con qualcuno proprio a causa del suo essere un asso.
Invece il suo sguardo si spostò sull'allenatore, che osservava Aomine sorpreso. Probabilmente cercava di comprendere cosa passasse per la testa del ragazzo senza riuscirci minimamente.
“Nutri davvero così tanta fiducia in lui?”
Ci mise un poco a rispondere. Era strano credere che una persona così spensierata come lui potesse soppesare le parole da pronunciare ed eppure era proprio ciò che stava facendo.
Stava giocando il tutto per tutto: tanto valeva impegnarsi fino in fondo.
“Nella realtà no.”
Oppure lo stava solo difendendo per un qualche contorto senso di giustizia che però non sbocciava in una fiducia reciproca.
“Solo... Credo che un giorno quel ragazzo rappresenterà la nostra salvezza. Non capisco bene il perché... Ma è questo ciò che percepisco quando lo guardo.”
O forse, anche se non si rendeva conto, nutriva una fede nei suoi confronti così grande da dargli addirittura il ruolo di salvatore.
Kuroko deglutì, sentendosi improvvisamente a corto d'aria. Qualcuno si stava affidando a lui, gli stava donando le sue speranze. Solo che, a differenza della prima persona che gli aveva dato una tale responsabilità, si stava esponendo personalmente per dargli la possibilità di non deludere tali aspettative. Non si era limitato a dargli un dovere, si stava impegnando per difendere quella minima speranza.
Fu la prima volta dove, veramente, si sentì quasi libero dentro una speranza.

 

 

“Va bene, potrà giocare la partita di oggi. Sappi che però mi aspetto che tu rispetta il patto in caso di fallimento da parte sua.”
Poco importava che sia Nijimura che il coach considerassero la sua scelta allucinante: era riuscito nel suo scopo. Ora poteva concedersi di mangiare.
“Oh merda... Dov'è il portafoglio?”
Se solo trovasse i soldi...
“Oh no... Mica l'avrò perso!”
“Tieni, Aomine-kun.”
Una mano pallida reggeva l'oggetto tanto cercato dal ragazzo, porgendoglielo gentilmente.
“Oh grazie, Tet... ASPETTA, DA DOVE ESCI?”
Ci mancò poco che fece un salto all'indietro per lo spavento. Era davvero incredibile la mancanza di presenza di Kuroko, come se avesse un interruttore che si attivava solo quando lo desiderava. E meno male che Aomine era uno di quelli più abituato alla sua trasparenza.
Percepì subito che c'era qualcosa che non andava. Non che Kuroko fosse un chiacchierone, ma almeno qualche parolina la pronunciava quando erano insieme.
“Perché... Hai detto quelle cose?”
Voleva sapere. Comprendere. Capire. Per liberarsi di quel brutto pensiero che era scattato nella sua testa.
Lui è come lei. Spera, prega, e intanto mi distrugge ogni volta.
“Hai sentito tutto?”
Aomine si grattò la nuca distogliendo lo sguardo.
“Bé... Non mi sembrava giusto che un ragazzo come te non avesse avuto la possibilità di sfruttare la propria occasione. Ti sei impegnato così tanto... E sono convinto che la buona volontà venga sempre ripagata con un'opportunità. Tutto qui.”
Non ebbe subito una risposta. Semplicemente perché Kuroko non sapeva cosa dire.
Sospirò un poco, calmando quella vocina nel cervello che tanto lo aveva tormentato fino a poco fa. Era stato uno sciocco anche solo per aver pensato di comparare due persone così diverse come sua nonna ed Aomine. Il ragazzo, semplicemente, era uno ingenuo idealista. Era quasi confortante nel suo essere così generoso per questa ragione.
Non lo aveva aiutato per mero opportunismo ma per gentilezza. Qualcosa che gli mancava da così tanto tempo che sembrava quasi incredibile.
Sorrise un poco, fissando Aomine negli occhi.
“Non posso permettere che Aomine-kun venga retrocesso.”
“Allora basterà solo impegnarti nella prossima partita. Non è difficile!”
Alzò il pugno portandolo davanti al proprio viso, sorridendo fiducioso.
“Hai ancora una possibilità. E sono sicuro che l'afferrerai al volo. Ce la farai!”
Per la volta in vita propria Kuroko avrebbe voluto permettersi di piangere davanti a qualcuno. Perché raramente gli capitava di sentirsi così felice da commuoversi.
Batté il pugno con quello di Aomine, annuendo.
“...Sì!”

 

Lontano da loro c'era qualcuno. Li stava osservando, appoggiato al muro per reggersi in piedi. Era così pallido che se qualcuno gli fosse passato accanto si sarebbe chiesto se fosse stato il caso di portarlo in un ospedale per farlo controllare.
Stava lì, semplicemente in piedi, con uno sguardo che era indecifrabile.
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Si piegò in due e vomitò l'anima, stringendosi lo stomaco con forza. Sentiva la testa scoppiare ma non poteva staccare lo sguardo da quella scena.
Era una battaglia così feroce fra due tipi di sentimenti diversi che stavano per spezzare in due la persona che li stava provando.
Volontà di aiutarlo, stargli vicino perché sa, perché Aomine è un idiota.
Volontà di spezzarlo, di ucciderlo perché sa, perché lo odia.
Chiuse gli occhi coprendosi il volto con le mani, tremando.
Alla fine solo una frase venne pronunciata, con una voce come se uscisse dalla profondità dell'Inferno stesso.
Daiki... Sei un idiota.”

 

 

 

 

 

Note.

Questo capitolo è stato il parto vero e proprio. Totale. Unico. Via, via.
Ringrazio La Strega di Ilse per l'aiuto datomi e per le recensioni lasciatemi.
Comunque ho giusto un paio di note da scrivere.


La Soh-ke è la famiglia principale nella scuola del Teatro Nō. Come ho scritto nel testo sono cinque: la Kanze (観世), la Hosho (宝生), la Komparu (金春), la Kita (喜多) la Kongo (金剛). E solo il capofamiglia della Soh-ke ha diritto di scelta sul tipo di opera da rappresentare ed eventuali modifiche.

 

L'altra nota è più di ordine amministrativo.
Ho deciso di eliminare i titoli dei capitoli perché non mi piacciono molto e ho ben poca fantasia nel crearli.
La seconda è che parto per una settimana, da mercoledì a mercoledì. Non mi porterò dietro il pc ma cercherò comunque di lavorare al capitolo nuovo nonostante tutto.

 

 

Per il resto ho finito. Al prossimo capitolo.

   
 
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