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Autore: ely91    02/11/2004    5 recensioni
NDamministrazione: inserisci un'introduzione valida, che sia un riassunto della trama o citazioni della stessa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luna Lovegood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’m Luna Lovegood. Salve. Il mio nome è Luna Lovegood. Il razionale non rientra nel mio stile di vita. Sono una corvonero del quinto anno e ho scoperto da poco il vero senso della vita. Ho 15 anni e voglio tanto bene al mio papà, il direttore della rivista più interessante del mondo: il Cavillo. Tanto bene lo voglio anche a mia madre, che ora è un stella e mi guarda da lassù. L’anno scorso ho conosciuto nuovi amici tutti speciali. Ginevra, ovvero Ginny Weasley, che conoscevo già, Neveille Paciock, un simpatico grifondoro del sesto anno, un po’ sovrappeso, ma determinato; Harry Potter, sapete chi è, inutile che ve lo spieghi; Hermione Granger, simpatica quando non si mette contro le mie opinioni e Ronald Weasley, sesto anno, fratello di Ginny. Adorabile. Dotato di uno spiccato senso dell’umorismo. Sono stati loro, a farmi vivere. A farmi conoscere l’emozioni della vita. Insieme abbiamo lottato, grazie all’istruttivo quanto bizzarro Dumbledore’s Army, imparando nuovi incantesimi, utilissimi per le lotte future (utili anche contro i Kiuj del deserto…). Siamo stati catturati da una banda di infausti Serpeverde, che sono stati ridotti a polpetta dopo pochi secondi di resistenza, e abbiamo volato, prima di varcare le soglie dell’inferno. L’ultimo attimo felice. Magnifici quei cavalli, lo dico sempre. Discendono dai Fernhit, ecco perché. Dotati di ali e di un ottimo appetito, ci hanno condotto nel luogo dove non mi sarei mai sognata di andare: Ministero della Magia: Ufficio Misteri. La notte limpida mi permetteva di guardare le espressioni che i miei compagni di avventura avevano preso: e in quel momento compresi. Harry, certo che una persona dall’identità indefinita, fosse in pericolo al Ministero, è corso senza badare alla distanza o al tempo o ai mezzi. L’avrebbe fatto. Non sapeva come, ma lo avrebbe fatto. L’idea dei Thersal venne a me e a Ginny, così che decidemmo di proporla. Eppure qualcosa ancora non mi era chiaro, e la situazione mi offendeva: io, una perspicace corvonero, non riuscivo a capire il motivo per cui tutti si ostinassero a seguire Harry, che, per inciso, non desiderava la presenza di altri all’infuori di egli stesso. Eppure loro insistevano e anch’io lo facevo, sebbene ancora non capissi il perché. Fu solo quando i Thersal si librarono alti nel cielo, e le espressioni di terrore vinte da una sottile vena di coraggio si dipinsero sui volti di tutti, che capii. Loro erano suoi amici. Ma non amici semplici. Amici di quelli che ti seguono, nella vita o nella morte, nel bene o nel male, nel reale o nell’assurdo. Perché era lì che eravamo diretti. Nell’assurdo. Com’era possibile che questo tale si trovasse là dove Harry aveva detto che era? Non aveva significato. Doveva essere una persona molto importante per Harry. Un familiare. Purtroppo non i suoi genitori. In ogni modo, Hermione, Ron, Ginny, Neveille, erano più che decisi a seguire Harry, anche in capo al mondo, e a eliminare tutte le sue paure, le sue incertezze, ed esserne partecipi. Con il cuore e con l’anima. Fu allora che qualcosa dentro di me scattò. Una forte voglia di volontà, di combattere, come se già avessi saputo quello che stesse per accadere, quello a cui stavo andando incontro. Anch’io ero una di loro, ora. Unita a loro. Nella vita, o nella morte. Nel bene o nel male. Nel reale, o nell’assurdo. Quando i cavalli ci portarono a destinazione, tutti noi, infreddoliti, ma decisi e sicuri più che mai, seguimmo Harry, la nostra linfa vitale, il nostro unico riferimento. Attraversammo in fretta la parte del Ministero da Harry predestinata e lui non lo trovò. Non trovò quello che credeva di trovare. Ed era deluso, amareggiato, impaurito. Lo so come si sentiva. Perché sentivo anch’io le stesse cose. Ricordo che il silenziò calò nella stanza. Com’era possibile? Harry quella stanza l’aveva sognata, se avevo capito bene, avevamo attraversato quegli immensi e contorti corridoi…e ora? Neanche io sapevo dove mi trovavo, per che cosa, con quale scopo…ma c’ero. C’ero perché sentivo di doverci essere. Poi una voce mi distrasse. Un uomo, incappucciato, seguito da una ventina di altri suoi simili, stavano ricattando Harry. Lui aveva in mano una profezia. Sua. Che portava il suo nome. Loro la volevano. Ma lui gli negò il permesso. Noi gli negammo il permesso. Cominciammo a combattere. E loro sembravano riportare una certa difficoltà nel tenerci testa. Poi, un corridoio ci divise. Fu come un interminabile incubo. Ginny rimase ferita, ma io riuscì a farla franca, incassando, però, una Cruciatus. Avevo sempre sentito parlare di quella maledizione, ma parlarne e provarla sul proprio corpo sono due oggetti completamente diversi. Il dolore. E nient’altro. Dopo aver resistito pochi altri inutili attimi, mi colpirono, e, prima di perdere i sensi, la voce di Harry mi riempì le orecchie… <>… Mi risvegliai in infermeria, e Ginny, che non aveva recato particolari infortuni, mi aggiornò. Il cuore mi batteva a mille. Era arrivato Silente…ed Harry aveva rotto la profezia… poi, la notizia della morte di quel parente per cui tutti noi avevamo rischiato la vita, pur non essendo pienamente coscienti della sua identità, mi provocò un tuffo al cuore. Una doccia fredda. Non lo conoscevo, ma mi ricordo di aver pianto. Harry ci teneva. Gli voleva bene, chiunque egli fosse… e quindi anche io gli volevo bene. Noi eravamo una sola cosa. Una sola persona. Un solo dolore. Ora sono qui, e penso sempre a quella notte. Anche se non può sembrare, quella notte ci ha fusi ed ora siamo legati: dai sentimenti, dai ricordi, dal più sconosciuto degli incantesimi. Lo sento. Quella sera stessa, Harry, viso triste che comunicava un pianto recente, mi si avvicinò, io gli chiesi cosa facesse lì impalato, invece di partecipare al banchetto, e lui rispose di non avere fame e ripassò a me la domanda. Io gli risposi che dovevo appendere l’annuncio con i miei oggetti scomparsi. Lui ne fu colpito. Provava pena per me. Lo sentii. Come ho detto in precedenza, eravamo un'unica entità. La sera, quando parlo con la mamma, le chiedo sempre di salutarmi quel signore a cui Harry avrebbe donato la propria vita. E lei mi risponde che lo farà. Lo fa sempre. Ora, che siamo in guerra, mi rendo sempre più conto di quello che un uomo come Voldemort possa fare. E, anche se la mia faccia non esprime alcuna emozione di nessun tipo, questo non vuol dire che io non pensi, che non viva. D’altronde io sono Luna “Lunatica” Lovegood…
  
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