Mi incamminai
barcollando leggermente verso casa. Che
diamine era successo? Quel grosso signore mi stava per tirare sotto con
il suo
camion ma come avevo fatto a non essere spappolata? Mi ero ritrovata
dall’altra
parte della strada ma il furgone non mi aveva toccata, e quel gran bel
ragazzo
chi era? Ero sicura di non averlo visto mentre attraversavo, e non era
neanche
sull’autobus, me ne sarei accorta. Probabilmente mi stavo
facendo troppe
domande ma i conti non tornavano. Persa nei miei pensieri non mi
accorsi di
essere già arrivata sulla porta di casa. Suonai il citofono
ed entrai, mia
madre appena mi vide sbiancò,
< che cosa hai fatto? Hai i jeans rotti e la
maglia sporca di sangue! > non mi ero neanche accorta di essermi
tagliata il
gomito sfregando sull’asfalto
< merda! I miei pantaloni preferiti. Ahi
brucia! > dissi massaggiandomi la ferita,
< ma che ti è successo
Elizabeth? >. Che palle solo i miei genitori mi chiamavano
ancora così,
< niente mamma stavo camminando, non ho visto una buca e ho
inciampato >,
non potevo mica dirle che stavo per morire non mi avrebbe
più fatta uscire di
casa fino a 40 anni. Andai di fretta in bagno al piano di sopra e mi
disinfettai il braccio. Appoggiai il flacone sul lavandino e guardai la
mia
immagine riflessa nello specchio,
< oddio che orrore! > i miei lunghi
capelli castano scuri erano tutti annodati, il mio viso di solito
pallido era
sporco di terra e sangue. Optai quindi per farmi una doccia.
L’acqua calda mi
aiutò a rilassare i muscoli e a distendere i nervi, nella
mia testa c’era solo
il suono regolare delle gocce che cadevano sul tappetino. Dopo una
decina di
minuti uscii, mi asciugai per bene, presi la crema corpo che preferivo
e mentre
spalmavo ripensavo all’incidente. O meglio al superfusto. Ero
sicura di non
averlo mai visto, una bellezza del genere non la si scorda facilmente,
cosa ci
faceva lì, ma soprattutto perché mi aveva
salvata? Domande che probabilmente
non avrebbero avuto risposta.
< Elizabeeeeeeeeeeeeeeeeth, è
prontooooooooooooooooooooooooooo! > la voce di mia mamma mi
riportò alla
realtà, infilai i pantaloni della tuta, una maglietta a
maniche lunghe e scesi
per il pranzo. Mangiai avidamente la mia porzione di riso freddo, presi
il
telefono e mi chiusi in camera, volevo chiamare Lis ma non sapevo se
dirle
quello che era successo, mi avrebbe presa in giro per tutta la vita.
Composi il
numero ma appena sentii la voce di sua madre rispondere senza motivo
riattaccai. Cosa mai potevo dirle? Non ero sicura neanche io di
ciò che mi era
capitato. Aprii la mia cartella e presi il libro di filosofia, non
avevo la
minima voglia di studiare visto e considerato che la professoressa
quella
mattina ci aveva detto di non sentirsi bene e che il giorno dopo quasi
sicuramente non sarebbe venuta, lo appoggiai sulla scrivania e mi
lasciai
cadere sul letto. Adoravo la mia camera era il nascondiglio che
preferivo in
assoluto insieme alla panchina nascosta dai cespugli nel parco.
L’avevo
sistemata a mio gusto, la cosa che mi piaceva di più era il
grande letto a
baldacchino della mia bisnonna, gli avevo fatto mettere delle tende di
raso
rosa con dei grossi fiocchi per rimborsarle, avevo comprato due grossi
cuscini
dello stesso colore con le frange e dei cuoricini ricamati come il
copriletto.
Anche il puff era rosa, soffice e tutto peloso, la stanza non era molto
grande,
le pareti erano più sobrie, bianche con una striscia di
carta da parati
tassativamente rosa nel mezzo, sotto la finestra c’era la
scrivania con il mio
computer portatile, accanto un mobiletto per i libri e le cianfrusaglie
mentre
l’altra parete era occupata da un grande armadio color legno
chiaro. Mi
avvicinai alla piccola libreria, presi uno dei miei libri preferiti,
Macbeth,
indossai la felpa e uscii di casa. Ovviamente ero diretta alla mia
panchina nel
parco, era un luogo sconosciuto a tutti i ragazzi del paesino di
Busseto, ben
nascosta dagli alberi e al riparo da inutili sguardi. Mi feci spazio
tra i
cespugli controllando prima di non essere vista da nessuno, mi sedetti
tranquilla, quel posto trasmetteva una tranquillità infinita,
si sentivano solo
i canti degli uccelli e il rumore del vento tra le foglie degli abeti.
Inspirai
a pieni polmoni quella brezza leggera e inizia a leggere anche se lo
sapevo a
memoria ormai quel libro. La mia attenzione fu distolta da un rumore
che
proveniva dalle mie spalle, mi girai di scatto e vidi
l’ultima cosa che potessi
immaginare.