Punishment
“Who’s that geek?”
“That’s Marcel,
don’t talk about him like that.”
“Why not?”
“His boyfriend is Louis Tomlinson,
brò.”
“Louis
Tomlinson, cosa devo fare
con te?”
Louis
roteò gli occhi, giocando
distrattamente con il piercing nel lobo dell’orecchio e
osservando le persone
che uscivano in fretta dalla scuola mentre lui era bloccato
nell’ufficio del
preside.
“Louis Tomlinson” lo
richiamò il preside in questione, un uomo
grasso e quasi totalmente calvo che si vantava di essere stato un
aitante e
biondo giovane un tempo –
tipo
qualche secolo prima – e che in quel momento lo fissava con
un sopracciglio
pulsante dal nervosismo
“Le piace
dire il mio nome,
Signore?” sbuffò Louis, incrociando le braccia al
petto e aggrottando la
fronte.
Il preside Horan si
massaggiò una
tempia, borbottando qualcosa sulla maleducazione; poi
sospirò, rivolgendo al
ragazzo seduto davanti a lui lo sguardo più gelido che
trovò nel suo
repertorio.
“Visto che
ha finito la sua
entusiasmante predica, posso andarmene?” incalzò
Louis e ticchettò il pavimento
con una scarpa, seguendo il ritmo di una canzone rock che aveva sentito
da
qualche parte.
“Tre
settimane di punizione”
sbottò l’uomo; Louis trasalì,
bloccandosi.
“Tre
settimane per una scritta
innocua?” esclamò, pentendosi di quello che aveva
scritto sul muro
dell’istituto – d’accordo, non si sarebbe
mai pentito. Quello stronzo del
professore di matematica era, appunto, uno stronzo e qualcuno doveva
pur aver
il compito di ricordarlo a tutti.
“Rimarrai
ogni giorno qui a
scuola, oltre l’orario scolastico, per
un’ora” continuò l’altro.
“E svolgerai i
tuoi normali compiti per i giorni successivi in compagnia di uno
studente.”
“Uno
studente?” domandò Louis,
nascondente la speranza. Se magari gli avessero assegnato almeno Liam
magari
avrebbero trovato il modo di chiudersi nei bagni a fumare o scappare
dalla
finestra o –
“Scelto da
me personalmente.”
Addio
speranza, è stato bello conoscerti,
pensò
Louis con uno sbuffo.
“Amico, non
pensi di aver
esagerato?” Liam sorrise divertito, infilandosi la sigaretta
accesa tra le
labbra strette.
“No?”
replicò Louis con una
scrollata di spalle, appoggiandosi al muro del bagno.
Nella mente di Liam
tornò
l’immagine della scritta – e il disegno piuttosto
esplicito vicino ad essa – e
lui scoppiò a ridere. “Insultare Nicholas
Grimshaw? Stupido da parte tua.”
Louis gli prese la
sigaretta
dalla bocca e la incastrò nella propria. “Se lo
merita” soffiò, e una nuvola di
fumo nero aleggiò tra loro. “Svolgerai
i
tuoi normali compiti in compagnia di uno studente”
imitò l’accento
irlandese del preside, irritato.
“Magari
è carino” tentò l’altro,
inarcando un sopracciglio.
“Sarà
uno sfigato del cazzo”
sbottò Louis con una smorfia. “Uno di quei nerd
con il gilet del nonno e una
vita sociale inesistente.”
“O magari
è carino.”
“Sei
ripetitivo, Payne.”
“Cerco solo
di essere ottimista”
Liam gli diede un colpo sulla nuca, riprendendosi la sigaretta.
“Sei in
ritardo, Tomlinson.”
Louis
roteò gli occhi chiari.
“Buon pomeriggio a lei, professore. Non doveva esserci uno
studente?”
Il professore lo
guardò con
cipiglio serio, tradito dai vaporosi capelli rosa – come posso
portare rispetto a un uomo con dei cazzo di
capelli rosa?,
si chiese mentalmente Louis – e incrociò
le braccia al petto. “Ti sta aspettando in classe, io sono
qui solo per
assicurarmi che resti dentro nell’ora prestabilita.”
“Che onore,
sono pure
sorvegliato” borbottò, entrando in aula;
lì dentro, un ragazzo era seduto su
una sedia con la testa tuffata in un libro spesso.
Louis
sbuffò, irritato, perché
quel tipo urlava sfigato da tutti
i
pori. Fece cadere la tracolla su un banco, producendo un tonfo che
rimbombò
nell’aula spoglia e che fece alzare la testa
dell’altro ragazzo nella sua
direzione.
E Louis non poteva
credere che
avesse sul serio un gilet marrone
addosso, sopra una camicia bianca e pulita, da cui spuntava una
cravatta
marrone; indossava dei pantaloni lunghi e dello stesso colore, un paio
di
occhiali neri con una montatura ridicolamente spessa e uniti in centro
da un
pezzo di scotch –
scotch, scherziamo? –
mentre i capelli castani erano coperti da
gel.
Louis,
però, cercò di nascondere
la sorpresa nell’incontrare quegli occhi verdi,
perché quelli erano proprio il contrario
di sfigati.
“Ehm,
ciao?” balbettò lui con un
sorriso impacciato.
No, nemmeno la voce
profonda era
da sfigati, Louis doveva ammetterlo – ma quello non cambiava
nulla.
Louis
inarcò le sopracciglia e
l’altro arrossì. Sfigato.
“Se avete
bisogno di me sono
nella sala insegnati” il professore di matematica fece un
segno dietro di sé
con il pollice.
“Certo,
signor Grimshaw” il
ragazzo annuì, mettendosi in piedi e chiudendo il libro che
stava leggendo.
Louis
grugnì qualcosa, prima che
l’uomo si chiudesse la porta dell’aula alle spalle
lasciandoli soli.
“Marcel”
il ragazzo gli sporse
una mano e cazzo, pure il nome era
da
sfigato.
Louis lo
squadrò, annoiato.
“Dovrebbe interessarmi?”
Marcel
sussultò, ritardo in
fretta la mano, e il sorriso che aveva sul volto scomparve.
“Uh, no, immagino”
sussurrò, prendendo un libro enorme dallo zaino e posandolo
sul banco. “Il
signor Grimshaw mi ha dato un foglio con il tuo orario e domani hai
biologia,
quindi potremmo –”
Louis lo interruppe
con una
risata sarcastica. “Mi prendi per il culo?”
Marcel si
accigliò, aggrottando
la fronte; Louis si issò sulla cattedra, aggiustandosi il
ciuffo rosso e
tirando fuori un pacchetto di sigarette.
“Non hai
intenzione di...?”
Marcel indicò i compiti.
“Ovviamente
no?” Louis si strinse
nelle spalle, giocando con l’accendino.
“Non
dovresti fumare, il signor
Grimshaw –”
“Il signor
Grimshaw, il signor
Grimshaw” cantilenò Louis, imitando la sua voce
più bassa. “Il piccolo nerd ha
una cotta per lui?”
Le guance di Marcel
diventarono
rosse. “Io – no – non sono gay.”
“Come vuoi,
piccolo nerd”
ammiccò, accendendosi una sigaretta.
“Mi chiamo
Marcel” ribatté,
stringendo una mano a pugno, e Louis ridacchiò.
“Ti ho
già detto che non mi
interessa.”
Rimasero in silenzio,
Louis che
fumava seduto sulla cattedra e Marcel che leggeva il suo libro seduto
al banco,
i minuti che passavano dettati dal ritmo snervante
dell’orologio appeso al
muro.
“Che
palle!” sbuffò d’un tratto
Louis, l’altro trasalì per lo spavento.
“Mi sto annoiando.”
“Potremmo
studiare –”
“Non sono
così disperato, grazie
mille.”
Marcel trattenne un
sorriso
mordendosi il labbro inferiore e, d’accordo, nemmeno quelle
labbra gonfie erano
da sfigato.
Louis scosse la
testa,
sdraiandosi sulla cattedra. “Marcel”
mugugnò. “Marcel come?”
“Non avevi
detto che non ti
interessa?”
Louis si permise un
sorriso visto
che l’altro aveva ancora il volto rivolto alle pagine e non
poteva vederlo; ma,
quello che non poteva vedere Louis, era che i suoi occhi verdi erano
immobili e
attenti. “Ho detto anche che mi sto annoiando.”
Marcel
tentennò, sfiorando una
pagina con le dita e voltandola con delicatezza, come se potesse
infrangersi da
un secondo all’altro, prendendosi più tempo del
necessario per rispondere.
“Marcel Styles.”
“Styles”
ripeté Louis. “Mi suona
familiare.”
“Per mio
fratello” borbottò.
“Veniva in questo liceo qualche anno fa, ora è al
college. Era famoso per le
sue feste.”
“Mmh”
il fumo uscì dalle labbra
socchiuse di Louis. “Penso di esserci stato ad un paio. Henry
Styles?”
“Edward”
lo corresse, una smorfia
infastidita.
Louis si rimise
seduto, incuriosito.
“Non vai d’accordo con lui.”
“È
un pallone gonfiato” annuì
vigorosamente. “Si crede il padrone del mondo solo
perché ha una bella faccia.”
Louis
buttò la sigaretta fuori
dalla finestra aperta e con un colpo di reni balzò
giù dalla cattedra,
arrivando davanti al banco di Marcel. “Deve essere di
famiglia, allora.”
Marcel
alzò un sopracciglio,
guardandolo, e i suoi occhi finirono in quelli azzurri di Louis.
“Che cosa?”
Louis gli tolse gli
occhiali,
notando che senza quelli i suoi occhi sembravano ancora più
profondi e verdi e belli. “Avere
una bella faccia.”
Marcel
sobbalzò vistosamente,
arrossendo e prendendogli gli occhiali dalle mani per rimetterseli;
infilò di
nuovo la testa nel libro, sperando di nascondere il rossore e ignorando
quello
che aveva detto Louis, che ghignò divertito.
“Queste
feste” Louis si sedette a
gambe incrociate sul banco, cambiando argomento. Marcel gliene sarebbe
stato
grato, se non fosse stato occupato ad imbarazzarsi per
l’eccessiva vicinanza
tra il cavallo dei pantaloni dell’altro e le sue mani, che
strinsero il libro
con più forza.
“Erano
tutte organizzata in casa
Styles?” continuò Louis, ticchettando due dita sul
ginocchio nudo – i jeans
erano strappati in quel punto – seguendo una musica
inesistente.
Marcel si
portò il libro più
vicino al volto, ostentando naturalezza; annuì, aggrottando
appena la fronte.
“C’eri
anche tu?”
Il castano rise,
specchiandosi
negli occhi dell’altro. “Scherzi? Il fantomatico
Edward Styles non può
permettersi che il fratellino sfigato gli rovini le serate”
scosse la testa.
“Rimanevo in camera mia con le cuffie
nell’orecchie, per non sentire la
spazzatura che metteva di sotto, e leggevo. Perché
rossi?”
Louis
inarcò le sopracciglia,
perplesso. Marcel continuò a tenere gli occhi fissi sulle
parole d’inchiostro,
ma indicò con un cenno del capo i capelli
dell’altro.
“Oh”
scrollò le spalle. “In
realtà – non lo so? Mi piace il rosso.”
Marcel distolse
finalmente gli
occhi dal volume, indugiando sui ciuffi accesi del ragazzo maggiore.
Fece per
dire qualcosa, ma la porta si spalancò di colpo ed entrambi
trasalirono.
“Punizione
conclusa” ghignò
Grimshaw. “Per oggi.”
Louis
sbuffò, alzandosi, e presa
la sua tracolla andò via senza dire nulla.
Marcel chiuse il
libro con un
tonfo, pensando amaramente che quel tipo strano poteva almeno
salutarlo.
“Ieri sera
non mi hai voluto
parlare di questo sfigato.”
Louis
roteò gli occhi, rivolgendo
un sospiro annoiato all’amico. “No,
appunto.”
“Era
così orribile?”
L’altro si
passò una mano tra i
capelli rossi – perché
rossi? – e
sorrise dentro di sé al ricordo della sua voce.
“Non si fa i fatti propri”
replicò, il tono distaccato.
Liam
mugugnò qualcosa,
arrendendosi; buttò il pacchetto di sigarette finito nel
cestino ed entrò a
scuola, seguito da Louis. Il ragazzo non si trattenne dal spalancare
gli occhi,
quando incontrarono sulla rampa di scale Marcel insieme a una ragazza
– la sua
ragazza? – che indossava una camicetta scollata e blu, i
capelli sciolti e
scuri che le cadevano sul petto e degli occhiali sottili.
Marcel
arrossì trovandosi gli
occhi di Louis addosso, così abbassò i propri e
si avvicinò al muro per farli
passare. Nell’istante in cui Louis fece lo stesso.
Dannate scale
strette, pensarono entrambi.
Liam non si
curò nemmeno di
preoccuparsi per il migliore amico – da quando Louis voleva
far passare un nerd
prima di loro due? – visto che era troppo occupato a fissare
la ragazza.
“Qualche
problema, amico?” sbottò
quella.
No, quello.
Quello?
Liam
sbatté le palpebre, il cuore
che si fermava all’improvviso. Anche Louis si
immobilizzò, ché nonostante
stesse guardando Marcel sentì chiaramente
la fottuta voce maschile di quella che avrebbe dovuto
essere una ragazza.
“Veronica”
si presentò – uhm – la
persona, sbuffando. “Ora vi levate dai coglioni?”
Liam
annuì, troppo confuso per
ribattere. Veronica e Marcel li sorpassarono, l’una con lo
sguardo fisso
davanti a sé e l’altro che osservava con la coda
dell’occhio Louis.
“Era un
trans?” Louis inarcò le
sopracciglia, incredulo.
“Non lo
so” Liam scrollò le
spalle, un sorriso malizioso sul volto. “So solo che ha un
bel culo.”
Louis gli diede uno schiaffo sulla nuca.
Il rosso
passò davanti al
professore senza guardarlo, buttando il suo zaino sul pavimento come il
giorno
prima, e – come il giorno prima – Marcel lo stava
aspettando seduto a un banco
con un libro posato sopra.
“Sono in
sala insegnanti” disse
Grimshaw, sorridendo a Marcel, e si chiuse la porta alle spalle.
Louis
grugnì, sedendosi sul suo
banco solo per vederlo arrossire. Non che gli piacesse il volto di quel ragazzo
mentre era completamente rosso. Lo divertiva soltanto, ecco.
“Quella
Veronica –” incominciò
Louis, rompendo il silenzio che si era formato.
Marcel
posò un dito tra le pagine
per tenere il segno e chiuse il libro. “Era un
ragazzo” lo interruppe, “fino
alla terza liceo, quando si è trasferita qui e ha deciso di
ricominciare con
un’altra vita. Una vita da ragazza. Quando sarà
maggiorenne farà l’operazione;
prima si chiamava Zayn – non le piace essere chiamata Zayn
– ora è Veronica”
elencò con un’alzata di spalle.
Louis
aggrottò la fronte. “E tu
mi hai detto questo perché...?”
“Credevo
stessi per chiedermelo.”
“Volevo
solo domandarti se stesse
insieme” ghignò quando le sue guance si tinsero di
porpora.
“Ah”
borbottò. “No, certo che no”
sembrò combattuto dall’aggiungere un ti
interessa? sfacciato, uno di quelli che sa dire suo fratello
prima di
leccarsi le labbra e far cadere chiunque ai suoi piedi; peccato che lui
non ne
fosse capace, così tornò a leggere.
Ecco, quello
sapeva farlo bene. Poteva rimanere ore a perdersi nei suoi
romanzi, poteva leggere fino all’alba senza sentire la
stanchezza, poteva
dimenticare ogni cosa se apriva un libro.
E, a proposito di
libri, quello
che teneva tra le mani gli fu strappato via da Louis.
“Ehi!”
esclamò, sorpreso e
indignato. Louis sogghignò, mettendosi in piedi con uno
scatto e allontanandosi
da lui; fece il giro della cattedra tallonato da Marcel che
“ridammelo!”
continuava a strillare, preoccupato che potesse rovinarlo.
“Senza
fretta, piccolo nerd” lo
schernì Louis, tenendo lontano da sé il ragazzo
mettendogli una mano contro il
petto, l’altra intenta a tenere il libro, che si
portò dietro la schiena quando
Marcel allungò le braccia.
Era quasi
imbarazzante il fatto
che Marcel fosse più alto di Louis quando era ovvio che
fosse più piccolo –
anche se Louis non sapeva quanti anni avesse; si appuntò
mentalmente di
scoprirlo – e Louis lo avrebbe sicuramente pensato, se la sua
mente non fosse
stata occupata dall’inondazione del verde dei suoi occhi e
del rosso delle sue
labbra.
“Ridammelo”
mormorò Marcel, la
voce incastrata da qualche parte.
“Prendilo”
lo sfidò Louis, e le
cose che accaddero dopo si successero troppo velocemente per
distinguerle una
dall’altra. Marcel si rese soltanto conto che si era spinto
troppo vicino a
Louis, che aveva avvertito il tonfo di qualcosa che cadeva per terra
(poteva
essere benissimo il libro oppure il suo cuore), che si era ritrovato
con le
mani premute sulla schiena di Louis e con una mano di Louis premuta
contro la
propria, di schiena. Avvertì il desiderio irrazionale di far
combaciare le loro
bocche, così vicine tra loro, ma poi si impose di non farlo,
ché sicuramente
all’altro non importava nulla di uno sfigato come Marcel.
Louis
deglutì, pensando di dire
una battuta tagliente delle sue, ma il profumo di Marcel lo distrasse. È
solo un cazzo di sfigato, si impose di
pensare, prendendosi
mentalmente a schiaffi e allontanandolo con uno spintone dal proprio
corpo, per
poi dargli le spalle e sedersi su un banco a caso.
Marcel
barcollò indietro per la
sorpresa, ferito – neanche lui capiva perché
– da quel rifiuto improvviso. È
solo un dannato stronzo,
si impose di pensare, raccogliendo il libro e sedendosi al suo banco.
Per il resto
dell’ora nessuno dei
due disse nulla; per la prima volta, Marcel non riuscì a
dimenticare qualcosa leggendo.
“Tesoro,
ieri non mi hai neanche
chiamata per raccontarmi della punizione”
cinguettò Veronica, sbattendo le
ciglia truccate.
Marcel si chiese
distrattamente
come potesse essere così dolce con lui e così
scontrosa con tutti gli altri, ma
in fondo il motivo lo sapeva. “Non c’era niente da
raccontare” scosse la testa,
fingendo un sorriso.
“So
benissimo quando mi menti”
gli ricordò l’altra, dandogli un pizzicotto sulla
guancia.
Marcel rise,
massaggiandosi però
la parte lesa, ché Veronica non era mica tanto debole.
“Sul serio, non è
successo nulla” insisté, gli occhi azzurri di
Louis e la sua bocca sottile che
entrarono dentro di lui con prepotenza. Ma che gli stava succedendo?
Era solo
un ragazzo che faceva finta di essere un punk per diventare qualcuno.
Lui non
aveva bisogno di Louis, aveva bisogno soltanto di Veronica. Veronica
che gli
schioccò davanti al volto due dita per svegliarlo dal coma
in cui era
momentaneamente caduto.
“Credo
invece che sia successo
qualcosa che t’ha ridotto in questo stato” fece un
sorriso furbo, che fu subito
cancellato da un’espressione seria. “Toglitelo
dalla testa.”
Marcel
sussultò, arrossendo.
“Chi?”
“Sai
benissimo chi” sospirò la
migliore amica. “E sai benissimo anche tutto quello che ha
combinato dal primo
anno. È uno stronzo, sì? Sta ripetendo la quarta
per la terza volta perché non
studia – sinceramente, non so come possa essere arrivato fino
alla quarta – e
combina casini su casini. È il classico cattivo ragazzo
pieno di problemi.
Toglitelo dalla testa.”
“Lui non mi
piace” bofonchiò
Marcel, infilandosi un pezzo di pane in bocca per concentrarsi in
qualche altra
cosa.
Veronica si
avvicinò a lui –
facendo strisciare per terra la sedia della mensa con un suono acuto
– e gli
posò un bacio sulla tempia. “Meglio
così” sorrise, nonostante sapesse anche lei
che a Marcel quel Louis Tomlinson piacesse eccome.
“No, certo che no” Louis
digrignò i denti, accoltellando la sua
carne con foga, gli occhi puntati su due figure poco lontane dal loro
tavolo.
“No, certo che non stanno insieme”
sibilò. “Lei gli sta solo leccando
la faccia, perché dovrebbero
stare insieme?”
Liam non si trattenne
dal
scoppiare a ridere. “Gli ha solo baciato la fronte,
Lou.”
Louis lo
fissò offeso. “Solo?
Stai scherzando?”
L’altro si
prese la testa tra le
mani, rassegnato. “È da quando siamo arrivati in
mensa che sei geloso di cui
due, puoi piantarla?”
“Geloso,
io?”
Liam
ghignò. “Sembra quasi
che lui ti piaccia.”
Il rosso gli
puntò una forchetta
contro. “Ritira quello che hai detto, Payne.”
Liam rise di nuovo.
“È da
‘sta mattina che non insulti nessuno,
quello sfigato ti sta rammollendo.”
“Sta’
zitto” replicò l’altro.
“Coglione” aggiunse, incrociando le braccia al
petto.
“Ops”
Marcel fece un passo
indietro dopo essersi scontrato con Louis, troppo preso dal pensare a
– beh – lui per
accorgersi che proprio lui fosse
entrato in bagno.
“Ciao”
Louis si morse un labbro
per non sorridere e cazzo, Liam aveva ragione, si stava rammollendo.
“È
la prima volta che mi saluti”
esclamò Marcel, improvvisamente di buon umore.
“Dovrei tatuarmelo da qualche
parte.”
Louis
ghignò, ché quel qualche
parte uscito da quelle labbra
gonfie suonava perverso nonostante
Marcel fosse ironico, e lo capì anche il castano.
“Cioè”
arrossì, pentendosi di
quell’unica volta che aveva osato scherzare con Louis.
“Non intendevo, uhm, io,
cioè –”
“Calmati”
Louis alzò le mani in
aria. “È tutto okay.”
Marcel
annuì, fissando il
pavimento. “Allora, uhm, ci vediamo oggi.”
“È
un appuntamento?”
“Cosa
– no!” trillò, imbarazzato.
“Intendevo...”
“Giusto,
preferiresti un
appuntamento con qualche altra persona” si posò
l’indice sul mento, facendo
finta di riflettere. “Ad esempio, Veronica?”
Marcel
sgranò gli occhi. “Di che
parli?”
“Non fare
finta di niente, si
vede che sei interessato a lei. Cos’è, eri venuto
in bagno per farti una sega
pensando a come sarebbe stato se te l’avesse fatta
lei?” Louis sogghignò,
guardandolo mentre se ne andava in fretta e si sbatteva la porta alle
spalle.
Il ragazzo si
appoggiò al
lavandino, fissando il suo riflesso negli occhi; quegli occhi freddi
contornati
da una stupida riga di matita nera che li facevano sembrare ancora
più chiari.
“Sei uno stronzo” sussurrò al suo
riflesso. “Potresti diventare suo amico e
stai mandando tutto a puttane” chiuse gli occhi, respirando a
fondo. “Marcel
non ti merita.”
Louis
avvertì una strana
sensazione allo stomaco quando, entrato nell’aula, si accorse
che fosse vuota.
Marcel non sarebbe più venuto? Se l’era presa
così tanto?
Si voltò
di scatto, sentendo il
rumore di passi affrettati, e si impose di non sorridere vedendo il
ragazzo in
questione che entrava correndo. Marcel fece per scusarsi per il
ritardo, ma poi
ricordò a se stesso che fosse Louis
e
allora non disse nulla.
Louis lo
osservò in silenzio
mentre posava con delicatezza la cartella vicino al banco che occupava
ogni
pomeriggio; si concentrò – senza volerlo, o forse
sì – sulle gocce di sudore
che gli imperlavano la fronte, sui capelli mossi che sfuggivano al gel,
sugli
occhiali che gli scivolavano dal naso dritto.
“Non hai
caldo?” gli sfuggì,
indicando con il mento il gilet che indossava – quella volta
di un color sabbia
– come ogni giorno, d’altronde.
“Non hai
qualche canna da fumarti
invece di rompere il cazzo?”
Tutti e due
trasalirono,
soprattutto Marcel, che non capiva come avesse seriamente fatto a
pronunciare
quelle parole.
“Il piccolo
nerd deve essere
proprio alterato per dire parolacce” Louis
aggrottò la fronte, Marcel rimase in
silenzio, tirando fuori il libro con calma.
“Allora,
che hai?” incalzò Louis,
incuriosito e – preoccupato? Sul
serio?
Il castano mise da
parte quello
che aveva detto Louis poche ore fa, in bagno, concentrandosi sul
messaggio che
gli era arrivato prima.
“Edward”
borbottò Marcel. “Questo
fine settimana viene a trovarci dal college.”
“Quindi?”
Marcel
sbatté le palpebre. “Quindi
dovrò dividere la camera con lui,
quindi insisterà a
chiedermi cose
sulla scuola, quindi mi
prenderà in
giro quando scoprirà che non ho ancora una
ragazza” gesticolò, innervosito.
“Magari
è cambiato” tentò; stava
davvero cercando di sollevare il morale di Marcel? Che
cosa patetica.
“Non lo
conosci” brontolò
l’altro. “Sicuramente organizzerà una
festa per rivedere i suoi vecchi compagni
di liceo e io sarò bloccato in camera mia.”
Louis aprì
la bocca, ma non seppe
che dire. Deglutì, avvicinandosi a lui e alzando una mano in
avanti. Marcel lo
guardò con sospetto, spalancando gli occhi quando quella
mano si posò tra i
suoi capelli. Louis gli portò dietro a un orecchio un ciuffo
nocciola, il cuore
che impazziva nel petto.
“Eri
spettinato” spiegò, sperando
di non essere arrossito. Perché lui era Louis,
e Louis non arrossiva.
Marcel trattenne il
respiro,
accorgendosi che l’altro fosse arrossito. Anzi, no, se lo era
sicuramente
immaginato. Perché lui era Louis,
e
Louis non arrossiva.
“Pronto,
Tomlinson?”
Louis si
alzò di scatto dal
letto, in faccia uno stupido sorriso e il cuore che aumentava i
battiti.
“Marcel?” replicò, chiedendosi come
potesse avere il suo numero di cellulare e
da quando lo chiamasse Tomlinson e da quando lui lo chiamava per nome.
“Conosci
mio fratello?”
Louis
aggrottò la fronte,
confuso. “Edward?”
“Proprio
io!” esclamò quello.
“Allora ti ricordi di me, credevo mi avessi
dimenticato.”
Louis
cercò di ridere. “Come
potrei, amico?”
“Ottimo!
Sicuramente saprai che
sabato sera faccio una festa a casa mia, spero che tu venga.”
“Leeyum.”
“Dimmi,
Lou.”
“Dovresti
ricordarti che quella è
un fottuto ragazzo.”
Liam rise, bevendo
d’un fiato la
vodka che era rimasta nel suo bicchiere. “Non ho
pregiudizi” scrollò le spalle,
tornando a fissare Veronica, che confabulava con una ragazza bionda e
che si
guardava intorno preoccupata.
Louis non
poté darle torto, visto
che lui faceva lo stesso da quando aveva messo piede lì
dentro. Una moltitudine
di corpi stava ballando in quel momento nel salotto di casa Styles,
però di Marcel
nemmeno l’ombra. Certo, Louis sapeva che sarebbe rimasto in
camera sua, ma
aveva continuato a sperare che arrivasse da un momento
all’altro.
“Vado a
parlarle” decise Liam,
passando il suo bicchiere vuoto a Louis, che sbuffò.
“Mi lasci
solo in questo modo?”
Liam gli sorrise.
“Provaci con
qualcuno, va’ a ballare. Divertiti,
Lou, siamo ad una cazzo di festa.”
Louis
roteò gli occhi, fissando
l’amico che se ne andava con troppo alcool delle vene, e si
chiese perché lui
non fosse ancora ubriaco. In genere era la parte che preferiva, quella
di bere.
“Il grande
Louis Tomlinson.”
Louis
sussultò per quella voce,
incredibilmente simile a quella del fratello, e si girò con
un ghigno.
“Il grande
Edward Styles”
replicò, Edward gli diede una pacca sulla spalla.
“Allora, ti
diverti?”
“Come non
mai” mentì Louis,
versandosi qualcosa di alcolico nel bicchiere di Liam e bevendo.
Edward
annuì soddisfatto,
invitandolo a ballare, ma Louis declinò promettendo che lo
avrebbe raggiunto
alla prossima canzone; Edward si strinse nelle spalle, andandosene con
un
sorriso.
Louis rimase a bere,
i piedi che
gli formicolavano per il desiderio di mettersi a cercare la camera di
Marcel, e
quando perse il conto del numero dei bicchieri non riuscì a
ricordarsi perché
non avrebbe dovuto andare da Marcel e baciarlo contro una parete.
Uscì dal
salotto, proseguendo per
il corridoio e aprendo porte a caso – trovò nel
bagno due ragazze che
vomitavano, in una stanza da letto una coppia che pomiciava, in cucina
un
ragazzo e una ragazza seminudi intenti a baciarsi che
preferì eliminare dai
ricordi – finché cercò di aprirne una,
ma era chiusa a chiave.
“Andate
a far sesso in un’altra stanza!” urlò
qualcuno da dentro. Bingo.
“Mar-cel”
strascicò Louis,
sorridendo. “Sono io, apri.”
Sentì una
sedia che strisciava,
dei passi e il rumore di una chiave che girava nella toppa.
“Louis?”
Il rosso rise,
entrando dentro e
chiudendo la porta. “Esatto! Ti mancavo?”
Marcel lo
squadrò, per poi
sorridere.
“Quanto hai
bevuto?”
Louis scosse con
convinzione la
testa. “Poco” si fece più vicino.
“Ho visto tuo fratello e ti sbagli.”
“Mi
sbaglio?”
“Eh,
sì” annuì, aggrappandosi
alle sue spalle. “So che pensi che lui sia più
bello di te” lo fissò, le iridi
azzurre che sembravano più calde. “Ma non
è così: tu sei più bello.”
Marcel
arrossì, incredulo. “Cosa
– che stai dicendo?”
“La
verità!” trillò Louis,
buttandosi a peso morto sul suo letto. “Hai il soffitto
bianco” notò,
guardandosi poi intorno. “Hai le pareti bianche.”
“Lo
so” Marcel ridacchiò,
ignorando quello che aveva detto prima e sedendosi vicino a lui.
“È la mia
camera.”
Louis lo
osservò, improvvisamente
serio. “Tu mi odi.”
Il castano
sbatté le palpebre.
“Cosa? No, certo che no.”
“Ma
dovresti” l’altro si tirò su
di scatto, incrociando le gambe. “Perché non mi
odi?”
Marcel sorrise.
“Sei troppo
ubriaco per ricordarti qualcosa, domani, vero?”
Louis
annuì, perplesso. Marcel
gli portò un ciuffo di capelli rossi dietro un orecchio,
come aveva fatto Louis
il pomeriggio prima a scuola. “Sei troppo bello per venire
odiato.”
Louis socchiuse gli
occhi,
posando la guancia contro la mano di Marcel, che pensò di
morire per quel
contatto. Si morse il labbro inferiore, prese coraggio e fece
appoggiare la
testa di Louis sulla sua spalla, avvolgendolo con un braccio. Louis
sorrise.
“Rimango
qui ‘sta notte” mormorò
contro il suo petto, stringendo in un pugno la camicia grigia.
“Penso che
dovresti chiedermi il
permesso” Marcel gli accarezzò un fianco,
sorridendo.
“Mmh”
mugugnò Louis. Alzò la
testa, incontrando gli occhi verdi di Marcel, che cercò di
non arrossire quando
lo sguardo di Louis finì sulla sua bocca.
“Mi
piacciono le tue labbra”
mormorò il rosso, soffiandoci sopra.
“Da-davvero?”
“Vero”
affermò, protendendosi in
avanti, ma Marcel gli mise una mano sulla bocca.
“Sei
ubriaco.”
“Ubriaco”
ripeté Louis,
strizzando gli occhi. “No, sto okay.”
Marcel sorrise,
staccandosi da
lui e facendolo sdraiare sul suo letto. “Dormi, sei
stanco.”
Louis lo
tirò per il colletto,
stampandogli un bacio sulla tempia. “Non farti leccare la
faccia da Veronica”
bofonchiò, prima di addormentarsi.
Marcel
inarcò le sopracciglia,
divertito, e fece per allontanarsi da lui, ma finì per
sfiorargli appena le
labbra con le proprie. “Buonanotte, Louis”
sussurrò; si allontanò con le guance
rosse, uscendo della camera e chiudendo a chiave per paura che qualcuno
potesse
entrare.
Appena la porta si
chiuse, Louis
sorrise e si sfiorò la bocca con un dito.
“Marcel.”
Louis socchiuse gli
occhi,
richiudendoli quando furono feriti dal sole.
Mal di testa.
Grugnì un
lamento, girandosi sul
letto, e schiacciò la faccia contro il cuscino.
Mal di testa. Profumo
di Marcel.
Si mise seduto di
scatto – e,
auch, mal di testa –
accorgendosi che
quella non era camera sua e di essere sdraiato sotto delle coperte non
sue.
Osservò le pareti bianche, gli scaffali colmi di libri, un
tappeto
all’apparenza morbido per terra, una scrivania con sopra un
computer nero e un
libro.
Trasalì
quando un ragazzo con i
ricci castani entrò nella camera. Aveva l’aria
terribilmente familiare, con gli
occhi verdi e la bocca rossa e – Marcel.
“Marcel.”
Il ragazzo si
voltò verso di lui,
spalancando gli occhi e mettendosi subito gli occhiali, che aveva
posato su una
mensola prima di andare in bagno.
“Louis.”
Il rosso si
massaggiò le tempie.
“Piano. Dolore. Testa.”
Marcel
annuì, abbassando la voce.
“Buongiorno” sorrise, sperando che una parte di
Louis ricordasse cosa era
successo in quella stanza la sera prima.
“Che ci
faccio qui?”
Come non detto.
Gli angoli della
bocca di Marcel
e le sue spalle si piegarono all’ingiù.
“Ieri sera ti ho trovato addormentato
nel corridoio e ti ho fatto dormire nel mio letto”
mentì, aprendo un’anta
dell’armadio e cercando una cravatta.
“Oh”
Louis aggrottò la fronte,
sorpreso. “Grazie?”
Non si ricordava
nulla di cosa
fosse successo dopo che Liam si era allontanato, non si ricordava
neanche
perché lo avesse fatto; ricordava solo tanto alcool e delle
labbra morbide
premute appena contro le sue, ma forse stava sognando.
“Stai
uscendo?” aggiunge Louis,
troppo stanco per alzarsi.
Marcel
annuì, finendo di mettersi
la cravatta. “Con Veronica” spiegò,
sorridendo quando le parole di Louis gli
tornarono alla mente. Non farti leccare
la faccia da Veronica.
Louis distolse lo
sguardo,
vedendo il suo sorriso allegro. Veronica doveva essere importante per
farlo
sorridere in quel modo, non come lui. In fondo, cosa si aspettava? Era
già
tanto se Marcel fosse così gentile.
“Però
tu puoi restare a letto”
precisò il castano. “Se non te la senti di
alzarti, dico.”
Louis scosse la testa
– pentendosene
subito: dolore – e si
mise in piedi
lentamente. “Ci vediamo a scuola” fece per uscire,
poi si girò verso Marcel e
incontrò i suoi occhi riflessi nello specchio.
“Dovresti metterti meno gel nei
capelli, in questo modo ti stanno bene.”
Marcel
arrossì e Louis, vedendolo
chiaramente, ghignò soddisfatto.
“Avete
dormito nello stesso
letto?” trillò Veronica, gli occhi nocciola
spalancati.
Marcel
sbuffò. “Cosa ti
aspettavi, che lo avessi fatto dormire per terra?”
Veronica si strinse
nelle spalle.
“Se lo meritava, quello stronzo.”
“Non
è così stronzo” protestò
debolmente, girando la sua cioccolata calda seduto davanti
all’amica, nel bar
sotto casa sua. Non
da ubriaco,
aggiunse mentalmente. “Da dove viene quello?”
indicò con un dito il segno
rossastro sul collo della ragazza, una smorfia beffarda sulla bocca.
Veronica sorrise,
nonostante
avesse capito che stava cercando di cambiare argomento. “Un
ragazzo, alla
festa, niente di importante.”
Marcel
ridacchiò, scuotendo la
testa. “Dettagli, Vè, voglio i dettagli.”
Lei
scoppiò a ridere, coprendosi
una bocca con la mano; sembrò indecisa se parlare o no, alla
fine si arrese.
“Quando mi hai praticamente cacciato fuori dalla tua stanza
dicendo di
partecipare alla festa, ho incontrato un ragazzo e abbiamo, uh, fatto
amicizia.”
“Amicizia,
certo” Marcel roteò
gli occhi. “E chi è questo ragazzo?”
Veronica
abbassò gli occhi,
posandoli sulle sue unghie smaltate di nero. “Ehm,
l’amico di Louis?”
Marcel si
strozzò con la
cioccolata, gli occhi fuori dalle orbite. “Ti sei fatta
– ti sei fatta Liam Payne?”
“Allora,
domenica sei uscito con
Veronica.”
Marcel
aggrottò le sopracciglia,
alzando lo sguardo su Louis che, seduto a gambe incrociate sul suo
banco, lo
stava fissando da ormai un quarto d’ora.
Erano passati cinque
giorni da
quella mattina e Louis non riusciva a smettere di pensare
all’essersi svegliato
nel letto di Marcel, e Marcel non riusciva a smettere di pensare alle
sue
labbra su quelle di Louis.
“Quindi?”
“Quindi lo
fate, non so, spesso?”
Marcel si
accigliò, confuso.
“Cosa?”
“Uscire insieme” Louis scollò le spalle.
Non era geloso, la voce di Liam nella
sua testa doveva smetterla di dirlo, grazie tante.
“Lei
è la mia migliore amica”
sbuffò il castano, tornando a leggere. “Usciamo
insieme solo come amici.”
“Quindi
potremmo farlo anche
noi.”
“Cosa?”
“Uscire
insieme solo come amici.”
Marcel lo
guardò di scatto,
incredulo.
“Non posso
credere che tu lo
abbia invitato ad uscire.”
“Non posso
credere che lui abbia
accettato.”
Liam rise e diede un
colpo sulla
guancia a Louis. “Lui ti piace sul serio, non è
così?”
Louis
abbassò gli occhi e
sorrise.
Era sabato pomeriggio
e due
ragazzi, in due case completamente diverse, erano completamente in
crisi.
Louis si
fissò allo specchio,
torturandosi il labbro inferiore. Nell’ultima settimana si
era sciolto con Marcel e voleva
fare una
buona impressione su di lui quella sera, nonostante fosse
un’uscita da amici.
Si pentì
un po’ di averlo
invitato a guardare un film, il pomeriggio prima, ma ormai non poteva
più
tirarsi indietro. Osservò il suo riflesso, quel ragazzo con
la matita sugli
occhi e i capelli rossi, un piercing all’ombelico, uno al
sopracciglio e due
alle orecchie, un paio di boxer neri addosso. Sfiorò i
tatuaggi sparsi,
ricordando ogni volta in cui era stato dal tatuatore per farli e il
dolore – ma
anche il piacere – che aveva provato nei giorni successivi.
Respirò a
fondo, continuando a
mordersi il labbro inferiore mentre si toglieva un piercing dopo
l’altro e
mentre si lavava via il trucco nero.
“Lo faccio
per Marcel” sussurrò a
se stesso, sentendosi a disagio senza quelle cose ormai familiari.
Intanto, lontano da
lui, un altro
ragazzo di qualche anno più piccolo era davanti allo
specchio di camera sua.
Marcel
finì di asciugarsi i
capelli con un asciugamano, osservando poi i ricci umidi che gli
cadevano sulla
fronte. Dovresti metterti meno gel, in
questo modo ti stanno bene.
Prese dalla scrivania
una
confezione di lenti a contatto, che aveva comprato quella mattina
stessa, e
posò gli occhiali. Non le aveva mai messe, le lenti, ma non
si immaginava che
fosse così difficile.
Dopo
mezz’ora, con gli occhi
rossi e lucidi, riuscì finalmente a infilarsele.
Guardò il suo riflesso, senza
gel e senza occhiali dalla montatura spessa; spostò gli
occhi sui vestiti che
aveva preparato, una maglia semplice che non sapeva neanche
più di avere –
invece delle sue camicie, gilet e cravatte – e dei jeans
aderenti rubati
dall’armadio del fratello.
Sospirò a
fondo. “Lo faccio per
Louis.”
Erano le sette e
mezza e Marcel,
davanti al cinema, fu sicuro di prendersi un infarto.
Perché non
poteva essere Louis quel ragazzo
senza piercing, con una camicia bianca
addosso e senza matita
nera sugli occhi.
Louis sorrise,
vedendolo, perché
non poteva essere Marcel quel
ragazzo
senza gel, camicia e quant’altro, ma con addosso invece una felpa larga e dei pantaloni stretti.
“Chi sei
tu, che ne hai fatto di
Marcel Styles?” esclamò, divertito, mentre Marcel
lo fissava, gli occhi
spalancati.
“I
tuoi...” gli indicò la faccia,
sorpreso; Louis rise.
“Ho pensato
che ti sarei piaciuto
di più in questo modo” si strinse nelle spalle,
passandosi una mano tra i
capelli.
Marcel
sussultò. “Io ho – sì, beh
– cercato di non avere l’aspetto di uno sfigato,
insomma.”
“Perché?”
“Per
piacerti” borbottò, le
guance rosse.
Louis si morse la
lingua,
prendendogli una mano. “Se ti baciassi prima del film ti
offenderesti?”
“Oh,
sta’ zitto” ribatté Marcel,
sorridendo, prendendo il volto di Louis tra le mani e baciandogli
appena le
labbra.
Louis
ghignò, artigliandogli i
fianchi magri e approfondendo il bacio.
“Volevamo
ringraziarla, Signor
preside.”
Horan
inarcò le sopracciglia,
passando lo sguardo da un sicuro di sé Louis Tomlinson e un
timido Marcel
Styles.
“Come,
prego?”
“Volevamo
ringraziarla” ripeté
Louis – la matita nera e i piercing tornati al loro posto,
dopo che Marcel gli
aveva confessato di preferire il cattivo
ragazzo – con la mano stretta in quella di Marcel
– gli occhiali, il gel,
il gilet, la camicia e la cravatta di nuovo addosso, visto che Louis
gli aveva
detto di adorare il suo aspetto da nerd, ma
aveva aggiunto di mettersi i jeans stretti più spesso
perché gli fasciavano il culo che
era una
meraviglia. Sue testuali parole, si intende.
“Per aver
fatto finire Louis in
punizione” spiegò Marcel, vedendo lo smarrimento
del preside.
“Sa,
Signore, io e Marcel ci
siamo messi insieme” Louis sorrise. “Ed
è grazie a lei” detto questo, uscirono
dalla presidenza mettendosi a ridere.
Horan si
grattò il capo,
perplesso, ma si strinse nelle spalle e sorrise.
“Chi
è quello sfigato?”
“È
Marcel, non parlare di
lui in questo modo.”
“Perché?”
“Il
suo ragazzo è Louis
Tomlinson, amico.”
Note: Hola.
Mh, ho iniziato
questa os quando
non ho trovato più Marcel/Louis da leggere – ho
paura di averle lette tutte,
quindi ok – e mi sono messa d’impegno per finirla,
ché ne ho abbandonate
davvero troppe su Word.
Comunque, il dialogo
in inglese è
preso da una fan art trovata su tumblr che mi ha dato
l’ispirazione e, boh,
avevo voglia di scrivere di un Zayn-Veronica. Quindi
ok.
BEEH, recensite,
sì? Vi prego.
Ps: Horan
è così sexy, I know.
Pps: MA NON SONO
TROPPO TENERI
MARCEL E LOUIS? AW.