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Autore: Bluemask    10/11/2013    3 recensioni
È solo un cazzo di sfigato, si impose di pensare Louis, allontanandolo con uno spintone dal proprio corpo.
Marcel barcollò indietro per la sorpresa, ferito – neanche lui capiva perché – da quel rifiuto improvviso. È solo un dannato stronzo, si impose di pensare.
-
Louis sperò di non essere arrossito. Perché lui era Louis, e Louis non arrossiva.
Marcel si accorse che lui fosse arrossito. Anzi, no, se lo era sicuramente immaginato. Perché lui era Louis, e Louis non arrossiva.
-
“Tu mi odi.”
“Cosa? No, certo che no.”
“Ma dovresti, perché non mi odi?”
“Sei troppo bello per venire odiato.”
-
[Marcel/Louis] [Veronica-Zayn/Liam]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Punishment

 

 

 

 

“Who’s that geek?”

“That’s Marcel, don’t talk about him like that.”

“Why not?”

“His boyfriend is Louis Tomlinson, brò.”

 

 

 

 

“Louis Tomlinson, cosa devo fare con te?”

Louis roteò gli occhi, giocando distrattamente con il piercing nel lobo dell’orecchio e osservando le persone che uscivano in fretta dalla scuola mentre lui era bloccato nell’ufficio del preside.

Louis Tomlinson” lo richiamò il preside in questione, un uomo grasso e quasi totalmente calvo che si vantava di essere stato un aitante e biondo giovane un tempo – tipo qualche secolo prima – e che in quel momento lo fissava con un sopracciglio pulsante dal nervosismo

“Le piace dire il mio nome, Signore?” sbuffò Louis, incrociando le braccia al petto e aggrottando la fronte.

Il preside Horan si massaggiò una tempia, borbottando qualcosa sulla maleducazione; poi sospirò, rivolgendo al ragazzo seduto davanti a lui lo sguardo più gelido che trovò nel suo repertorio.

“Visto che ha finito la sua entusiasmante predica, posso andarmene?” incalzò Louis e ticchettò il pavimento con una scarpa, seguendo il ritmo di una canzone rock che aveva sentito da qualche parte.

“Tre settimane di punizione” sbottò l’uomo; Louis trasalì, bloccandosi.

“Tre settimane per una scritta innocua?” esclamò, pentendosi di quello che aveva scritto sul muro dell’istituto – d’accordo, non si sarebbe mai pentito. Quello stronzo del professore di matematica era, appunto, uno stronzo e qualcuno doveva pur aver il compito di ricordarlo a tutti.

“Rimarrai ogni giorno qui a scuola, oltre l’orario scolastico, per un’ora” continuò l’altro. “E svolgerai i tuoi normali compiti per i giorni successivi in compagnia di uno studente.”

“Uno studente?” domandò Louis, nascondente la speranza. Se magari gli avessero assegnato almeno Liam magari avrebbero trovato il modo di chiudersi nei bagni a fumare o scappare dalla finestra o –

“Scelto da me personalmente.”

Addio speranza, è stato bello conoscerti, pensò Louis con uno sbuffo.

 

 

 

“Amico, non pensi di aver esagerato?” Liam sorrise divertito, infilandosi la sigaretta accesa tra le labbra strette.

“No?” replicò Louis con una scrollata di spalle, appoggiandosi al muro del bagno.

Nella mente di Liam tornò l’immagine della scritta – e il disegno piuttosto esplicito vicino ad essa – e lui scoppiò a ridere. “Insultare Nicholas Grimshaw? Stupido da parte tua.”

Louis gli prese la sigaretta dalla bocca e la incastrò nella propria. “Se lo merita” soffiò, e una nuvola di fumo nero aleggiò tra loro. “Svolgerai i tuoi normali compiti in compagnia di uno studente” imitò l’accento irlandese del preside, irritato.

“Magari è carino” tentò l’altro, inarcando un sopracciglio.

“Sarà uno sfigato del cazzo” sbottò Louis con una smorfia. “Uno di quei nerd con il gilet del nonno e una vita sociale inesistente.”

“O magari è carino.”

“Sei ripetitivo, Payne.”

“Cerco solo di essere ottimista” Liam gli diede un colpo sulla nuca, riprendendosi la sigaretta.

 

 

 

“Sei in ritardo, Tomlinson.”

Louis roteò gli occhi chiari. “Buon pomeriggio a lei, professore. Non doveva esserci uno studente?”

Il professore lo guardò con cipiglio serio, tradito dai vaporosi capelli rosa – come posso portare rispetto a un uomo con dei cazzo di capelli rosa?, si chiese mentalmente Louis – e incrociò le braccia al petto. “Ti sta aspettando in classe, io sono qui solo per assicurarmi che resti dentro nell’ora prestabilita.”

“Che onore, sono pure sorvegliato” borbottò, entrando in aula; lì dentro, un ragazzo era seduto su una sedia con la testa tuffata in un libro spesso.

Louis sbuffò, irritato, perché quel tipo urlava sfigato da tutti i pori. Fece cadere la tracolla su un banco, producendo un tonfo che rimbombò nell’aula spoglia e che fece alzare la testa dell’altro ragazzo nella sua direzione.

E Louis non poteva credere che avesse sul serio un gilet marrone addosso, sopra una camicia bianca e pulita, da cui spuntava una cravatta marrone; indossava dei pantaloni lunghi e dello stesso colore, un paio di occhiali neri con una montatura ridicolamente spessa e uniti in centro da un pezzo di scotch  scotch, scherziamo? – mentre i capelli castani erano coperti da gel.

Louis, però, cercò di nascondere la sorpresa nell’incontrare quegli occhi verdi, perché quelli erano proprio il contrario di sfigati.

“Ehm, ciao?” balbettò lui con un sorriso impacciato.

No, nemmeno la voce profonda era da sfigati, Louis doveva ammetterlo – ma quello non cambiava nulla.

Louis inarcò le sopracciglia e l’altro arrossì. Sfigato.

“Se avete bisogno di me sono nella sala insegnati” il professore di matematica fece un segno dietro di sé con il pollice.

“Certo, signor Grimshaw” il ragazzo annuì, mettendosi in piedi e chiudendo il libro che stava leggendo.

Louis grugnì qualcosa, prima che l’uomo si chiudesse la porta dell’aula alle spalle lasciandoli soli.

“Marcel” il ragazzo gli sporse una mano e cazzo, pure il nome era da sfigato.

Louis lo squadrò, annoiato. “Dovrebbe interessarmi?”

Marcel sussultò, ritardo in fretta la mano, e il sorriso che aveva sul volto scomparve. “Uh, no, immagino” sussurrò, prendendo un libro enorme dallo zaino e posandolo sul banco. “Il signor Grimshaw mi ha dato un foglio con il tuo orario e domani hai biologia, quindi potremmo –”

Louis lo interruppe con una risata sarcastica. “Mi prendi per il culo?”

Marcel si accigliò, aggrottando la fronte; Louis si issò sulla cattedra, aggiustandosi il ciuffo rosso e tirando fuori un pacchetto di sigarette.

“Non hai intenzione di...?” Marcel indicò i compiti.

“Ovviamente no?” Louis si strinse nelle spalle, giocando con l’accendino.

“Non dovresti fumare, il signor Grimshaw –”

“Il signor Grimshaw, il signor Grimshaw” cantilenò Louis, imitando la sua voce più bassa. “Il piccolo nerd ha una cotta per lui?”

Le guance di Marcel diventarono rosse. “Io – no – non sono gay.”

“Come vuoi, piccolo nerd” ammiccò, accendendosi una sigaretta.

“Mi chiamo Marcel” ribatté, stringendo una mano a pugno, e Louis ridacchiò.

“Ti ho già detto che non mi interessa.”

Rimasero in silenzio, Louis che fumava seduto sulla cattedra e Marcel che leggeva il suo libro seduto al banco, i minuti che passavano dettati dal ritmo snervante dell’orologio appeso al muro.

“Che palle!” sbuffò d’un tratto Louis, l’altro trasalì per lo spavento. “Mi sto annoiando.”

“Potremmo studiare –”

“Non sono così disperato, grazie mille.”

Marcel trattenne un sorriso mordendosi il labbro inferiore e, d’accordo, nemmeno quelle labbra gonfie erano da sfigato.

Louis scosse la testa, sdraiandosi sulla cattedra. “Marcel” mugugnò. “Marcel come?”

“Non avevi detto che non ti interessa?”

Louis si permise un sorriso visto che l’altro aveva ancora il volto rivolto alle pagine e non poteva vederlo; ma, quello che non poteva vedere Louis, era che i suoi occhi verdi erano immobili e attenti. “Ho detto anche che mi sto annoiando.”

Marcel tentennò, sfiorando una pagina con le dita e voltandola con delicatezza, come se potesse infrangersi da un secondo all’altro, prendendosi più tempo del necessario per rispondere. “Marcel Styles.”

“Styles” ripeté Louis. “Mi suona familiare.”

“Per mio fratello” borbottò. “Veniva in questo liceo qualche anno fa, ora è al college. Era famoso per le sue feste.”

“Mmh” il fumo uscì dalle labbra socchiuse di Louis. “Penso di esserci stato ad un paio. Henry Styles?”

“Edward” lo corresse, una smorfia infastidita.

Louis si rimise seduto, incuriosito. “Non vai d’accordo con lui.”

“È un pallone gonfiato” annuì vigorosamente. “Si crede il padrone del mondo solo perché ha una bella faccia.”

Louis buttò la sigaretta fuori dalla finestra aperta e con un colpo di reni balzò giù dalla cattedra, arrivando davanti al banco di Marcel. “Deve essere di famiglia, allora.”

Marcel alzò un sopracciglio, guardandolo, e i suoi occhi finirono in quelli azzurri di Louis. “Che cosa?”

Louis gli tolse gli occhiali, notando che senza quelli i suoi occhi sembravano ancora più profondi e verdi e belli. “Avere una bella faccia.”

Marcel sobbalzò vistosamente, arrossendo e prendendogli gli occhiali dalle mani per rimetterseli; infilò di nuovo la testa nel libro, sperando di nascondere il rossore e ignorando quello che aveva detto Louis, che ghignò divertito.

“Queste feste” Louis si sedette a gambe incrociate sul banco, cambiando argomento. Marcel gliene sarebbe stato grato, se non fosse stato occupato ad imbarazzarsi per l’eccessiva vicinanza tra il cavallo dei pantaloni dell’altro e le sue mani, che strinsero il libro con più forza.

“Erano tutte organizzata in casa Styles?” continuò Louis, ticchettando due dita sul ginocchio nudo – i jeans erano strappati in quel punto – seguendo una musica inesistente.

Marcel si portò il libro più vicino al volto, ostentando naturalezza; annuì, aggrottando appena la fronte.

“C’eri anche tu?”

Il castano rise, specchiandosi negli occhi dell’altro. “Scherzi? Il fantomatico Edward Styles non può permettersi che il fratellino sfigato gli rovini le serate” scosse la testa. “Rimanevo in camera mia con le cuffie nell’orecchie, per non sentire la spazzatura che metteva di sotto, e leggevo. Perché rossi?”

Louis inarcò le sopracciglia, perplesso. Marcel continuò a tenere gli occhi fissi sulle parole d’inchiostro, ma indicò con un cenno del capo i capelli dell’altro.

“Oh” scrollò le spalle. “In realtà – non lo so? Mi piace il rosso.”

Marcel distolse finalmente gli occhi dal volume, indugiando sui ciuffi accesi del ragazzo maggiore. Fece per dire qualcosa, ma la porta si spalancò di colpo ed entrambi trasalirono.

“Punizione conclusa” ghignò Grimshaw. “Per oggi.”

Louis sbuffò, alzandosi, e presa la sua tracolla andò via senza dire nulla.

Marcel chiuse il libro con un tonfo, pensando amaramente che quel tipo strano poteva almeno salutarlo.

 

 

 

“Ieri sera non mi hai voluto parlare di questo sfigato.”

Louis roteò gli occhi, rivolgendo un sospiro annoiato all’amico. “No, appunto.”

“Era così orribile?”

L’altro si passò una mano tra i capelli rossi – perché rossi? – e sorrise dentro di sé al ricordo della sua voce. “Non si fa i fatti propri” replicò, il tono distaccato.

Liam mugugnò qualcosa, arrendendosi; buttò il pacchetto di sigarette finito nel cestino ed entrò a scuola, seguito da Louis. Il ragazzo non si trattenne dal spalancare gli occhi, quando incontrarono sulla rampa di scale Marcel insieme a una ragazza – la sua ragazza? – che indossava una camicetta scollata e blu, i capelli sciolti e scuri che le cadevano sul petto e degli occhiali sottili.

Marcel arrossì trovandosi gli occhi di Louis addosso, così abbassò i propri e si avvicinò al muro per farli passare. Nell’istante in cui Louis fece lo stesso.

Dannate scale strette, pensarono entrambi.

Liam non si curò nemmeno di preoccuparsi per il migliore amico – da quando Louis voleva far passare un nerd prima di loro due? – visto che era troppo occupato a fissare la ragazza.

“Qualche problema, amico?” sbottò quella.

No, quello.

Quello?

Liam sbatté le palpebre, il cuore che si fermava all’improvviso. Anche Louis si immobilizzò, ché nonostante stesse guardando Marcel sentì chiaramente la fottuta voce maschile di quella che avrebbe dovuto essere una ragazza.

“Veronica” si presentò – uhm – la persona, sbuffando. “Ora vi levate dai coglioni?”

Liam annuì, troppo confuso per ribattere. Veronica e Marcel li sorpassarono, l’una con lo sguardo fisso davanti a sé e l’altro che osservava con la coda dell’occhio Louis.

“Era un trans?” Louis inarcò le sopracciglia, incredulo.

“Non lo so” Liam scrollò le spalle, un sorriso malizioso sul volto. “So solo che ha un bel culo.”
Louis gli diede uno schiaffo sulla nuca.

 

 

 

Il rosso passò davanti al professore senza guardarlo, buttando il suo zaino sul pavimento come il giorno prima, e – come il giorno prima – Marcel lo stava aspettando seduto a un banco con un libro posato sopra.

“Sono in sala insegnanti” disse Grimshaw, sorridendo a Marcel, e si chiuse la porta alle spalle.

Louis grugnì, sedendosi sul suo banco solo per vederlo arrossire. Non che gli piacesse il volto di quel ragazzo mentre era completamente rosso. Lo divertiva soltanto, ecco.

“Quella Veronica –” incominciò Louis, rompendo il silenzio che si era formato.

Marcel posò un dito tra le pagine per tenere il segno e chiuse il libro. “Era un ragazzo” lo interruppe, “fino alla terza liceo, quando si è trasferita qui e ha deciso di ricominciare con un’altra vita. Una vita da ragazza. Quando sarà maggiorenne farà l’operazione; prima si chiamava Zayn – non le piace essere chiamata Zayn – ora è Veronica” elencò con un’alzata di spalle.

Louis aggrottò la fronte. “E tu mi hai detto questo perché...?”

“Credevo stessi per chiedermelo.”

“Volevo solo domandarti se stesse insieme” ghignò quando le sue guance si tinsero di porpora.

“Ah” borbottò. “No, certo che no” sembrò combattuto dall’aggiungere un ti interessa? sfacciato, uno di quelli che sa dire suo fratello prima di leccarsi le labbra e far cadere chiunque ai suoi piedi; peccato che lui non ne fosse capace, così tornò a leggere.

Ecco, quello sapeva farlo bene. Poteva rimanere ore a perdersi nei suoi romanzi, poteva leggere fino all’alba senza sentire la stanchezza, poteva dimenticare ogni cosa se apriva un libro.

E, a proposito di libri, quello che teneva tra le mani gli fu strappato via da Louis.

“Ehi!” esclamò, sorpreso e indignato. Louis sogghignò, mettendosi in piedi con uno scatto e allontanandosi da lui; fece il giro della cattedra tallonato da Marcel che “ridammelo!” continuava a strillare, preoccupato che potesse rovinarlo.

“Senza fretta, piccolo nerd” lo schernì Louis, tenendo lontano da sé il ragazzo mettendogli una mano contro il petto, l’altra intenta a tenere il libro, che si portò dietro la schiena quando Marcel allungò le braccia.

Era quasi imbarazzante il fatto che Marcel fosse più alto di Louis quando era ovvio che fosse più piccolo – anche se Louis non sapeva quanti anni avesse; si appuntò mentalmente di scoprirlo – e Louis lo avrebbe sicuramente pensato, se la sua mente non fosse stata occupata dall’inondazione del verde dei suoi occhi e del rosso delle sue labbra.

“Ridammelo” mormorò Marcel, la voce incastrata da qualche parte.

“Prendilo” lo sfidò Louis, e le cose che accaddero dopo si successero troppo velocemente per distinguerle una dall’altra. Marcel si rese soltanto conto che si era spinto troppo vicino a Louis, che aveva avvertito il tonfo di qualcosa che cadeva per terra (poteva essere benissimo il libro oppure il suo cuore), che si era ritrovato con le mani premute sulla schiena di Louis e con una mano di Louis premuta contro la propria, di schiena. Avvertì il desiderio irrazionale di far combaciare le loro bocche, così vicine tra loro, ma poi si impose di non farlo, ché sicuramente all’altro non importava nulla di uno sfigato come Marcel.

Louis deglutì, pensando di dire una battuta tagliente delle sue, ma il profumo di Marcel lo distrasse. È solo un cazzo di sfigato, si impose di pensare, prendendosi mentalmente a schiaffi e allontanandolo con uno spintone dal proprio corpo, per poi dargli le spalle e sedersi su un banco a caso.

Marcel barcollò indietro per la sorpresa, ferito – neanche lui capiva perché – da quel rifiuto improvviso. È solo un dannato stronzo, si impose di pensare, raccogliendo il libro e sedendosi al suo banco.

Per il resto dell’ora nessuno dei due disse nulla; per la prima volta, Marcel non riuscì a dimenticare qualcosa leggendo.

 

 

 

“Tesoro, ieri non mi hai neanche chiamata per raccontarmi della punizione” cinguettò Veronica, sbattendo le ciglia truccate.

Marcel si chiese distrattamente come potesse essere così dolce con lui e così scontrosa con tutti gli altri, ma in fondo il motivo lo sapeva. “Non c’era niente da raccontare” scosse la testa, fingendo un sorriso.

“So benissimo quando mi menti” gli ricordò l’altra, dandogli un pizzicotto sulla guancia.

Marcel rise, massaggiandosi però la parte lesa, ché Veronica non era mica tanto debole. “Sul serio, non è successo nulla” insisté, gli occhi azzurri di Louis e la sua bocca sottile che entrarono dentro di lui con prepotenza. Ma che gli stava succedendo? Era solo un ragazzo che faceva finta di essere un punk per diventare qualcuno. Lui non aveva bisogno di Louis, aveva bisogno soltanto di Veronica. Veronica che gli schioccò davanti al volto due dita per svegliarlo dal coma in cui era momentaneamente caduto.

“Credo invece che sia successo qualcosa che t’ha ridotto in questo stato” fece un sorriso furbo, che fu subito cancellato da un’espressione seria. “Toglitelo dalla testa.”

Marcel sussultò, arrossendo. “Chi?”

“Sai benissimo chi” sospirò la migliore amica. “E sai benissimo anche tutto quello che ha combinato dal primo anno. È uno stronzo, sì? Sta ripetendo la quarta per la terza volta perché non studia – sinceramente, non so come possa essere arrivato fino alla quarta – e combina casini su casini. È il classico cattivo ragazzo pieno di problemi. Toglitelo dalla testa.”

“Lui non mi piace” bofonchiò Marcel, infilandosi un pezzo di pane in bocca per concentrarsi in qualche altra cosa.

Veronica si avvicinò a lui – facendo strisciare per terra la sedia della mensa con un suono acuto – e gli posò un bacio sulla tempia. “Meglio così” sorrise, nonostante sapesse anche lei che a Marcel quel Louis Tomlinson piacesse eccome.

 

 

 

No, certo che no” Louis digrignò i denti, accoltellando la sua carne con foga, gli occhi puntati su due figure poco lontane dal loro tavolo. “No, certo che non stanno insieme” sibilò. “Lei gli sta solo leccando la faccia, perché dovrebbero stare insieme?”

Liam non si trattenne dal scoppiare a ridere. “Gli ha solo baciato la fronte, Lou.”

Louis lo fissò offeso. “Solo? Stai scherzando?”

L’altro si prese la testa tra le mani, rassegnato. “È da quando siamo arrivati in mensa che sei geloso di cui due, puoi piantarla?”

“Geloso, io?”

Liam ghignò. “Sembra quasi che lui ti piaccia.”

Il rosso gli puntò una forchetta contro. “Ritira quello che hai detto, Payne.”

Liam rise di nuovo. “È  da ‘sta mattina che non insulti nessuno, quello sfigato ti sta rammollendo.”

“Sta’ zitto” replicò l’altro. “Coglione” aggiunse, incrociando le braccia al petto.

 

 

 

“Ops” Marcel fece un passo indietro dopo essersi scontrato con Louis, troppo preso dal pensare a – beh – lui per accorgersi che proprio lui fosse entrato in bagno.

“Ciao” Louis si morse un labbro per non sorridere e cazzo, Liam aveva ragione, si stava rammollendo.

“È la prima volta che mi saluti” esclamò Marcel, improvvisamente di buon umore. “Dovrei tatuarmelo da qualche parte.”

Louis ghignò, ché quel qualche parte uscito da quelle labbra gonfie suonava perverso nonostante Marcel fosse ironico, e lo capì anche il castano.

“Cioè” arrossì, pentendosi di quell’unica volta che aveva osato scherzare con Louis. “Non intendevo, uhm, io, cioè –”

“Calmati” Louis alzò le mani in aria. “È tutto okay.”

Marcel annuì, fissando il pavimento. “Allora, uhm, ci vediamo oggi.”

“È un appuntamento?”

“Cosa – no!” trillò, imbarazzato. “Intendevo...”

“Giusto, preferiresti un appuntamento con qualche altra persona” si posò l’indice sul mento, facendo finta di riflettere. “Ad esempio, Veronica?”

Marcel sgranò gli occhi. “Di che parli?”

“Non fare finta di niente, si vede che sei interessato a lei. Cos’è, eri venuto in bagno per farti una sega pensando a come sarebbe stato se te l’avesse fatta lei?” Louis sogghignò, guardandolo mentre se ne andava in fretta e si sbatteva la porta alle spalle.

Il ragazzo si appoggiò al lavandino, fissando il suo riflesso negli occhi; quegli occhi freddi contornati da una stupida riga di matita nera che li facevano sembrare ancora più chiari. “Sei uno stronzo” sussurrò al suo riflesso. “Potresti diventare suo amico e stai mandando tutto a puttane” chiuse gli occhi, respirando a fondo. “Marcel non ti merita.”

 

 

 

Louis avvertì una strana sensazione allo stomaco quando, entrato nell’aula, si accorse che fosse vuota. Marcel non sarebbe più venuto? Se l’era presa così tanto?

Si voltò di scatto, sentendo il rumore di passi affrettati, e si impose di non sorridere vedendo il ragazzo in questione che entrava correndo. Marcel fece per scusarsi per il ritardo, ma poi ricordò a se stesso che fosse Louis e allora non disse nulla.

Louis lo osservò in silenzio mentre posava con delicatezza la cartella vicino al banco che occupava ogni pomeriggio; si concentrò – senza volerlo, o forse sì – sulle gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, sui capelli mossi che sfuggivano al gel, sugli occhiali che gli scivolavano dal naso dritto.

“Non hai caldo?” gli sfuggì, indicando con il mento il gilet che indossava – quella volta di un color sabbia – come ogni giorno, d’altronde.

“Non hai qualche canna da fumarti invece di rompere il cazzo?”

Tutti e due trasalirono, soprattutto Marcel, che non capiva come avesse seriamente fatto a pronunciare quelle parole.

“Il piccolo nerd deve essere proprio alterato per dire parolacce” Louis aggrottò la fronte, Marcel rimase in silenzio, tirando fuori il libro con calma.

“Allora, che hai?” incalzò Louis, incuriosito e – preoccupato? Sul serio?

Il castano mise da parte quello che aveva detto Louis poche ore fa, in bagno, concentrandosi sul messaggio che gli era arrivato prima.

“Edward” borbottò Marcel. “Questo fine settimana viene a trovarci dal college.”

“Quindi?”

Marcel sbatté le palpebre. “Quindi dovrò dividere la camera con lui, quindi insisterà a chiedermi cose sulla scuola, quindi mi prenderà in giro quando scoprirà che non ho ancora una ragazza” gesticolò, innervosito.

“Magari è cambiato” tentò; stava davvero cercando di sollevare il morale di Marcel? Che cosa patetica.

“Non lo conosci” brontolò l’altro. “Sicuramente organizzerà una festa per rivedere i suoi vecchi compagni di liceo e io sarò bloccato in camera mia.”

Louis aprì la bocca, ma non seppe che dire. Deglutì, avvicinandosi a lui e alzando una mano in avanti. Marcel lo guardò con sospetto, spalancando gli occhi quando quella mano si posò tra i suoi capelli. Louis gli portò dietro a un orecchio un ciuffo nocciola, il cuore che impazziva nel petto.

“Eri spettinato” spiegò, sperando di non essere arrossito. Perché lui era Louis, e Louis non arrossiva.

Marcel trattenne il respiro, accorgendosi che l’altro fosse arrossito. Anzi, no, se lo era sicuramente immaginato. Perché lui era Louis, e Louis non arrossiva.

 

 

 

“Pronto, Tomlinson?”

Louis si alzò di scatto dal letto, in faccia uno stupido sorriso e il cuore che aumentava i battiti. “Marcel?” replicò, chiedendosi come potesse avere il suo numero di cellulare e da quando lo chiamasse Tomlinson e da quando lui lo chiamava per nome.

“Conosci mio fratello?”

Louis aggrottò la fronte, confuso. “Edward?”

“Proprio io!” esclamò quello. “Allora ti ricordi di me, credevo mi avessi dimenticato.”

Louis cercò di ridere. “Come potrei, amico?”

“Ottimo! Sicuramente saprai che sabato sera faccio una festa a casa mia, spero che tu venga.”

 

 

 

“Leeyum.”

“Dimmi, Lou.”

“Dovresti ricordarti che quella è un fottuto ragazzo.”

Liam rise, bevendo d’un fiato la vodka che era rimasta nel suo bicchiere. “Non ho pregiudizi” scrollò le spalle, tornando a fissare Veronica, che confabulava con una ragazza bionda e che si guardava intorno preoccupata.

Louis non poté darle torto, visto che lui faceva lo stesso da quando aveva messo piede lì dentro. Una moltitudine di corpi stava ballando in quel momento nel salotto di casa Styles, però di Marcel nemmeno l’ombra. Certo, Louis sapeva che sarebbe rimasto in camera sua, ma aveva continuato a sperare che arrivasse da un momento all’altro.

“Vado a parlarle” decise Liam, passando il suo bicchiere vuoto a Louis, che sbuffò.

“Mi lasci solo in questo modo?”

Liam gli sorrise. “Provaci con qualcuno, va’ a ballare. Divertiti, Lou, siamo ad una cazzo di festa.”

Louis roteò gli occhi, fissando l’amico che se ne andava con troppo alcool delle vene, e si chiese perché lui non fosse ancora ubriaco. In genere era la parte che preferiva, quella di bere.

“Il grande Louis Tomlinson.”

Louis sussultò per quella voce, incredibilmente simile a quella del fratello, e si girò con un ghigno.

“Il grande Edward Styles” replicò, Edward gli diede una pacca sulla spalla.

“Allora, ti diverti?”

“Come non mai” mentì Louis, versandosi qualcosa di alcolico nel bicchiere di Liam e bevendo.

Edward annuì soddisfatto, invitandolo a ballare, ma Louis declinò promettendo che lo avrebbe raggiunto alla prossima canzone; Edward si strinse nelle spalle, andandosene con un sorriso.

Louis rimase a bere, i piedi che gli formicolavano per il desiderio di mettersi a cercare la camera di Marcel, e quando perse il conto del numero dei bicchieri non riuscì a ricordarsi perché non avrebbe dovuto andare da Marcel e baciarlo contro una parete.

Uscì dal salotto, proseguendo per il corridoio e aprendo porte a caso – trovò nel bagno due ragazze che vomitavano, in una stanza da letto una coppia che pomiciava, in cucina un ragazzo e una ragazza seminudi intenti a baciarsi che preferì eliminare dai ricordi – finché cercò di aprirne una, ma era chiusa a chiave.

 “Andate a far sesso in un’altra stanza!” urlò qualcuno da dentro. Bingo.

“Mar-cel” strascicò Louis, sorridendo. “Sono io, apri.”

Sentì una sedia che strisciava, dei passi e il rumore di una chiave che girava nella toppa. “Louis?”

Il rosso rise, entrando dentro e chiudendo la porta. “Esatto! Ti mancavo?”

Marcel lo squadrò, per poi sorridere.

“Quanto hai bevuto?”

Louis scosse con convinzione la testa. “Poco” si fece più vicino. “Ho visto tuo fratello e ti sbagli.”

“Mi sbaglio?”

“Eh, sì” annuì, aggrappandosi alle sue spalle. “So che pensi che lui sia più bello di te” lo fissò, le iridi azzurre che sembravano più calde. “Ma non è così: tu sei più bello.”

Marcel arrossì, incredulo. “Cosa – che stai dicendo?”

“La verità!” trillò Louis, buttandosi a peso morto sul suo letto. “Hai il soffitto bianco” notò, guardandosi poi intorno. “Hai le pareti bianche.”

“Lo so” Marcel ridacchiò, ignorando quello che aveva detto prima e sedendosi vicino a lui. “È la mia camera.”

Louis lo osservò, improvvisamente serio. “Tu mi odi.”

Il castano sbatté le palpebre. “Cosa? No, certo che no.”

“Ma dovresti” l’altro si tirò su di scatto, incrociando le gambe. “Perché non mi odi?”

Marcel sorrise. “Sei troppo ubriaco per ricordarti qualcosa, domani, vero?”

Louis annuì, perplesso. Marcel gli portò un ciuffo di capelli rossi dietro un orecchio, come aveva fatto Louis il pomeriggio prima a scuola. “Sei troppo bello per venire odiato.”

Louis socchiuse gli occhi, posando la guancia contro la mano di Marcel, che pensò di morire per quel contatto. Si morse il labbro inferiore, prese coraggio e fece appoggiare la testa di Louis sulla sua spalla, avvolgendolo con un braccio. Louis sorrise.

“Rimango qui ‘sta notte” mormorò contro il suo petto, stringendo in un pugno la camicia grigia.

“Penso che dovresti chiedermi il permesso” Marcel gli accarezzò un fianco, sorridendo.

“Mmh” mugugnò Louis. Alzò la testa, incontrando gli occhi verdi di Marcel, che cercò di non arrossire quando lo sguardo di Louis finì sulla sua bocca.

“Mi piacciono le tue labbra” mormorò il rosso, soffiandoci sopra.

“Da-davvero?”

“Vero” affermò, protendendosi in avanti, ma Marcel gli mise una mano sulla bocca.

“Sei ubriaco.”

“Ubriaco” ripeté Louis, strizzando gli occhi. “No, sto okay.”

Marcel sorrise, staccandosi da lui e facendolo sdraiare sul suo letto. “Dormi, sei stanco.”

Louis lo tirò per il colletto, stampandogli un bacio sulla tempia. “Non farti leccare la faccia da Veronica” bofonchiò, prima di addormentarsi.

Marcel inarcò le sopracciglia, divertito, e fece per allontanarsi da lui, ma finì per sfiorargli appena le labbra con le proprie. “Buonanotte, Louis” sussurrò; si allontanò con le guance rosse, uscendo della camera e chiudendo a chiave per paura che qualcuno potesse entrare.

Appena la porta si chiuse, Louis sorrise e si sfiorò la bocca con un dito. “Marcel.”

 

 

 

Louis socchiuse gli occhi, richiudendoli quando furono feriti dal sole.

Mal di testa.

Grugnì un lamento, girandosi sul letto, e schiacciò la faccia contro il cuscino.

Mal di testa. Profumo di Marcel.

Si mise seduto di scatto – e, auch, mal di testa – accorgendosi che quella non era camera sua e di essere sdraiato sotto delle coperte non sue. Osservò le pareti bianche, gli scaffali colmi di libri, un tappeto all’apparenza morbido per terra, una scrivania con sopra un computer nero e un libro.

Trasalì quando un ragazzo con i ricci castani entrò nella camera. Aveva l’aria terribilmente familiare, con gli occhi verdi e la bocca rossa e – Marcel.

“Marcel.”

Il ragazzo si voltò verso di lui, spalancando gli occhi e mettendosi subito gli occhiali, che aveva posato su una mensola prima di andare in bagno.

“Louis.”

Il rosso si massaggiò le tempie. “Piano. Dolore. Testa.”

Marcel annuì, abbassando la voce. “Buongiorno” sorrise, sperando che una parte di Louis ricordasse cosa era successo in quella stanza la sera prima.

“Che ci faccio qui?”

Come non detto.

Gli angoli della bocca di Marcel e le sue spalle si piegarono all’ingiù. “Ieri sera ti ho trovato addormentato nel corridoio e ti ho fatto dormire nel mio letto” mentì, aprendo un’anta dell’armadio e cercando una cravatta.

“Oh” Louis aggrottò la fronte, sorpreso. “Grazie?”

Non si ricordava nulla di cosa fosse successo dopo che Liam si era allontanato, non si ricordava neanche perché lo avesse fatto; ricordava solo tanto alcool e delle labbra morbide premute appena contro le sue, ma forse stava sognando.

“Stai uscendo?” aggiunge Louis, troppo stanco per alzarsi.

Marcel annuì, finendo di mettersi la cravatta. “Con Veronica” spiegò, sorridendo quando le parole di Louis gli tornarono alla mente. Non farti leccare la faccia da Veronica.

Louis distolse lo sguardo, vedendo il suo sorriso allegro. Veronica doveva essere importante per farlo sorridere in quel modo, non come lui. In fondo, cosa si aspettava? Era già tanto se Marcel fosse così gentile.

“Però tu puoi restare a letto” precisò il castano. “Se non te la senti di alzarti, dico.”

Louis scosse la testa – pentendosene subito: dolore – e si mise in piedi lentamente. “Ci vediamo a scuola” fece per uscire, poi si girò verso Marcel e incontrò i suoi occhi riflessi nello specchio. “Dovresti metterti meno gel nei capelli, in questo modo ti stanno bene.”

Marcel arrossì e Louis, vedendolo chiaramente, ghignò soddisfatto.

 

 

 

“Avete dormito nello stesso letto?” trillò Veronica, gli occhi nocciola spalancati.

Marcel sbuffò. “Cosa ti aspettavi, che lo avessi fatto dormire per terra?”

Veronica si strinse nelle spalle. “Se lo meritava, quello stronzo.”

“Non è così stronzo” protestò debolmente, girando la sua cioccolata calda seduto davanti all’amica, nel bar sotto casa sua. Non da ubriaco, aggiunse mentalmente. “Da dove viene quello?” indicò con un dito il segno rossastro sul collo della ragazza, una smorfia beffarda sulla bocca.

Veronica sorrise, nonostante avesse capito che stava cercando di cambiare argomento. “Un ragazzo, alla festa, niente di importante.”

Marcel ridacchiò, scuotendo la testa. “Dettagli, Vè, voglio i dettagli.”

Lei scoppiò a ridere, coprendosi una bocca con la mano; sembrò indecisa se parlare o no, alla fine si arrese. “Quando mi hai praticamente cacciato fuori dalla tua stanza dicendo di partecipare alla festa, ho incontrato un ragazzo e abbiamo, uh, fatto amicizia.”

“Amicizia, certo” Marcel roteò gli occhi. “E chi è questo ragazzo?”

Veronica abbassò gli occhi, posandoli sulle sue unghie smaltate di nero. “Ehm, l’amico di Louis?”

Marcel si strozzò con la cioccolata, gli occhi fuori dalle orbite. “Ti sei fatta – ti sei fatta Liam Payne?”

 

 

 

“Allora, domenica sei uscito con Veronica.”

Marcel aggrottò le sopracciglia, alzando lo sguardo su Louis che, seduto a gambe incrociate sul suo banco, lo stava fissando da ormai un quarto d’ora.

Erano passati cinque giorni da quella mattina e Louis non riusciva a smettere di pensare all’essersi svegliato nel letto di Marcel, e Marcel non riusciva a smettere di pensare alle sue labbra su quelle di Louis.

“Quindi?”

“Quindi lo fate, non so, spesso?”

Marcel si accigliò, confuso. “Cosa?”
“Uscire insieme” Louis scollò le spalle. Non era geloso, la voce di Liam nella sua testa doveva smetterla di dirlo, grazie tante.

“Lei è la mia migliore amica” sbuffò il castano, tornando a leggere. “Usciamo insieme solo come amici.”

“Quindi potremmo farlo anche noi.”

“Cosa?”

“Uscire insieme solo come amici.”

Marcel lo guardò di scatto, incredulo.

 

 

 

“Non posso credere che tu lo abbia invitato ad uscire.”

“Non posso credere che lui abbia accettato.”

Liam rise e diede un colpo sulla guancia a Louis. “Lui ti piace sul serio, non è così?”

Louis abbassò gli occhi e sorrise.

 

 

 

Era sabato pomeriggio e due ragazzi, in due case completamente diverse, erano completamente in crisi.

Louis si fissò allo specchio, torturandosi il labbro inferiore. Nell’ultima settimana si era sciolto con Marcel e voleva fare una buona impressione su di lui quella sera, nonostante fosse un’uscita da amici.

Si pentì un po’ di averlo invitato a guardare un film, il pomeriggio prima, ma ormai non poteva più tirarsi indietro. Osservò il suo riflesso, quel ragazzo con la matita sugli occhi e i capelli rossi, un piercing all’ombelico, uno al sopracciglio e due alle orecchie, un paio di boxer neri addosso. Sfiorò i tatuaggi sparsi, ricordando ogni volta in cui era stato dal tatuatore per farli e il dolore – ma anche il piacere – che aveva provato nei giorni successivi.

Respirò a fondo, continuando a mordersi il labbro inferiore mentre si toglieva un piercing dopo l’altro e mentre si lavava via il trucco nero.

“Lo faccio per Marcel” sussurrò a se stesso, sentendosi a disagio senza quelle cose ormai familiari.

Intanto, lontano da lui, un altro ragazzo di qualche anno più piccolo era davanti allo specchio di camera sua.

Marcel finì di asciugarsi i capelli con un asciugamano, osservando poi i ricci umidi che gli cadevano sulla fronte. Dovresti metterti meno gel, in questo modo ti stanno bene.

Prese dalla scrivania una confezione di lenti a contatto, che aveva comprato quella mattina stessa, e posò gli occhiali. Non le aveva mai messe, le lenti, ma non si immaginava che fosse così difficile.

Dopo mezz’ora, con gli occhi rossi e lucidi, riuscì finalmente a infilarsele. Guardò il suo riflesso, senza gel e senza occhiali dalla montatura spessa; spostò gli occhi sui vestiti che aveva preparato, una maglia semplice che non sapeva neanche più di avere – invece delle sue camicie, gilet e cravatte – e dei jeans aderenti rubati dall’armadio del fratello.

Sospirò a fondo. “Lo faccio per Louis.”

 

 

 

Erano le sette e mezza e Marcel, davanti al cinema, fu sicuro di prendersi un infarto.

Perché non poteva essere Louis quel ragazzo senza piercing, con una camicia bianca addosso e senza matita nera sugli occhi.

Louis sorrise, vedendolo, perché non poteva essere Marcel quel ragazzo senza gel, camicia e quant’altro, ma con addosso invece una felpa larga e dei pantaloni stretti.

“Chi sei tu, che ne hai fatto di Marcel Styles?” esclamò, divertito, mentre Marcel lo fissava, gli occhi spalancati.

“I tuoi...” gli indicò la faccia, sorpreso; Louis rise.

“Ho pensato che ti sarei piaciuto di più in questo modo” si strinse nelle spalle, passandosi una mano tra i capelli.

Marcel sussultò. “Io ho – sì, beh – cercato di non avere l’aspetto di uno sfigato, insomma.”

“Perché?”

“Per piacerti” borbottò, le guance rosse.

Louis si morse la lingua, prendendogli una mano. “Se ti baciassi prima del film ti offenderesti?”

“Oh, sta’ zitto” ribatté Marcel, sorridendo, prendendo il volto di Louis tra le mani e baciandogli appena le labbra.

Louis ghignò, artigliandogli i fianchi magri e approfondendo il bacio.

 

 

 

“Volevamo ringraziarla, Signor preside.”

Horan inarcò le sopracciglia, passando lo sguardo da un sicuro di sé Louis Tomlinson e un timido Marcel Styles.

“Come, prego?”

“Volevamo ringraziarla” ripeté Louis – la matita nera e i piercing tornati al loro posto, dopo che Marcel gli aveva confessato di preferire il cattivo ragazzo – con la mano stretta in quella di Marcel – gli occhiali, il gel, il gilet, la camicia e la cravatta di nuovo addosso, visto che Louis gli aveva detto di adorare il suo aspetto da nerd, ma aveva aggiunto di mettersi i jeans stretti più spesso perché gli fasciavano il culo che era una meraviglia. Sue testuali parole, si intende.

“Per aver fatto finire Louis in punizione” spiegò Marcel, vedendo lo smarrimento del preside.

“Sa, Signore, io e Marcel ci siamo messi insieme” Louis sorrise. “Ed è grazie a lei” detto questo, uscirono dalla presidenza mettendosi a ridere.

Horan si grattò il capo, perplesso, ma si strinse nelle spalle e sorrise.

 

 

 

 

“Chi è quello sfigato?”

“È Marcel, non parlare di lui in questo modo.”

“Perché?”

“Il suo ragazzo è Louis Tomlinson, amico.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note: Hola.

Mh, ho iniziato questa os quando non ho trovato più Marcel/Louis da leggere – ho paura di averle lette tutte, quindi ok – e mi sono messa d’impegno per finirla, ché ne ho abbandonate davvero troppe su Word.

Comunque, il dialogo in inglese è preso da una fan art trovata su tumblr che mi ha dato l’ispirazione e, boh, avevo voglia di scrivere di un Zayn-Veronica. Quindi ok.

BEEH, recensite, sì? Vi prego.

Ps: Horan è così sexy, I know.

Pps: MA NON SONO TROPPO TENERI MARCEL E LOUIS? AW.

 

  
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