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Autore: dilpa93    10/11/2013    7 recensioni
“Il momento della morte, come il finale di una storia, dà un significato diverso a ciò che lo ha preceduto”
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kate Beckett, Martha Rodgers, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
Capitoli:
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“C'è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce”
Leonard Cohen
 



Lancia un’occhiata al sedile del passeggero dove i fazzoletti, impregnati delle sue lacrime, sembrano voler sottolineare le sue debolezze.
Sono anni che non si lasciava andare all’autocommiserazione ed ora, solo ripensando alle parole del dottor Bolkowitz, sente gli occhi andare in fiamme.
Si concede ancora qualche istante prima di scendere dalla macchina, nella speranza che il rossore svanisca o che per lo meno si attenui così da non essere notato, nonostante sappia bene che quei pochi minuti non impediranno a nessuno di notare che ha pianto.
Quando le porte dell’ascensore si aprono si sorprende di trovare Castle seduto accanto alla sua scrivania sulla quale poggia il gomito sinistro. La mano stringe ritmicamente una pallina antistress, vicino a lui una tazza di caffè sembra essere stata dimenticata.
“Castle, cosa ci fai qui?”
Colto alla sprovvista lascia la presa sulla piccola palla di gomma che fa un sonoro splash nella bevanda nera.
“Ah i-io, ti aspettavo.”
“Si, lo avevo capito. La domanda è... perché. Non c’è stato alcun omicidio e io ero-”
“Impegnata”. Con le dita tenta di far sparire dalla scrivania ogni traccia di caffè con il solo risultato di spanderlo sulla superficie liscia e lucida. “A proposito...” prosegue sfregando tra loro le mani pulendole alla meglio. “Appuntamento galante?” Con un fazzolettino di carta asciuga il legno, gettandolo poi nel cestino.
“Alle nove del mattino?” Lascia la giacca di lino sulla sedia prima di chinarsi ad accendere il pc.
“Magari una colazione o forse una colazione a seguito di una piacevole nottata”, ammicca sporgendosi verso di lei, avvicinandosi pericolosamente al suo viso tanto da sfiorarle impercettibilmente la guancia con il naso.
“Credo che tu ed io abbiamo una concezione molto diversa della parola piacevole Castle.” Rilancia inarcando il sopraciglio con fare volutamente provocatorio.
Voltandosi i loro profili quasi si carezzano avendo come unica barriera una sottile linea d’aria.
Si allontana rapidamente, riacquistando in fretta lucidità, forse troppo in fretta per i gusti dello scrittore, deluso dalla fine di quel giochetto malizioso instauratosi tra loro.
Si siede, digitando veloce la password richiesta.
Le dita giocherellano con la tastiera per qualche minuto, fino a che con la coda dell’occhio non intercetta il capitano alle sue spalle dirigersi nel suo ufficio.
Curioso come il suono dei suoi passi e il lieve scricchiolio delle suole in gomma riecheggino nella stanza. Dopo averlo visto accomodarsi sulla poltrona in pelle, decide di alzarsi e raggiungerlo.
“Ho bisogno di parlare col capitano. Puoi andare a casa Castle, non credo che oggi ci sarà qualcosa di... interessante.”
“Non ci penso affatto, sono stato qui tutta la mattina e poi a casa non ho nulla da fare.”
“Giusto, tranne che occuparti di una figlia adolescente e... ah già, scrivere un libro. Non ti ho forse in mezzo ai piedi per questo motivo?” Chiede  cercando di dare alla voce la giusta inflessione per fargli credere di essere scocciata e spazientita. Trucchetto che ormai Castle ha imparato a riconoscere. Le partite a poker che da anni riempiono le sue serate altrimenti solitarie lo hanno istruito a sufficienza, permettendogli di smascherare qualsiasi tic o tranello in cui potrebbe cadere e che lo farebbero perdere.
“Detective Beckett, così ferisce i miei sentimenti! Ma hai ragione, sono qui per scrivere e perché tu sei la mia... ispirazione”, sospira con enfasi in modo spiccatamente teatrale, lieto di aver trovato un’alternativa alla parola musa che lei tanto odia. Non che essere definita ‘ispirazione’ la riempia di orgoglio e felicità, ma per il momento soprassiede, continuando a prestare ascolto alle giustificazioni dello scrittore. “Ed è sempre per questa ragione che non me ne andrò anche se ci sono solo orrende scartoffie da compilare.”
La vede alzare gli occhi al cielo, risposta più che soddisfacente per lui, simbolo della sua resa e, mentre sorride sornione, lei scompare alla sua vista. Anche le sue labbra si increspano in un sorriso ed è lieta che sia riuscito a strappargliene uno persino in quel giorno.
 
“Da quanto tempo sarà dentro Beckett?”
“Saranno almeno venti minuti.” Grugnisce Esposito continuando poi a raffreddare la bevanda calda con piccoli seppur sonori sbuffi.
Dalla macchina dell’espresso ancora esce del vapore. Dal momento in cui Castle l’aveva gentilmente regalata al distretto, la pausa caffè non era più stata tanto male. Lo stesso caffè era di gran lunga migliore. Quella strana patina bruciata era solo uno sbiadito ricordo, come anche il sapore amaro che permaneva nonostante la quantità spropositata di zucchero versato.
“Ragazzi, che fate?” Li sorprende Castle alle spalle soffiando sui loro colli.
“Noi? Niente.”
Rispondono all’unisono.
La loro sincronia lo ha sempre affascinato, portandolo a domandarsi se anche lui, un giorno, sarebbe mai riuscito a trovare una sintonia simile con qualcuno. Non sa spiegarsi il perché, ma qualcosa nella sua testa, una vocina martellante e perforante, lo spinge a sperare che questa persona sia Kate.
“Wow, spiate Beckett. Vi siete ridotti a questo?”
“Parli proprio tu che sei il primo ad impicciarsi della sua vita.” Lo imbecca Ryan offeso dalla sua precedente insinuazione.
“Vero. Allora, cosa avete scoperto?”
“Nulla, ma sapete”, Ryan posa il cucchiaino nel lavabo. Nel caffè il turbine creatosi sta già svanendo e finalmente il fastidioso tintinnio dovuto allo scontro del metallo con la ceramica cessa, “sono in grado di leggere il labiale.” Gonfia il petto, fiero di quella sua strana e particolare abilità.
“Davvero? Avanti John Nash, facci vedere.” Lo canzona il compare sospingendolo davanti alla vetrata dove, socchiudendo gli occhi, il giovane detective si concentra il più possibile per carpire anche il più impercettibile movimento di labbra attraverso le fessure delle veneziane abbassate della sala break.
 
“Signore, so che è chiedere molto visto che non potrò più essere operativa al cento per cento, ma non voglio lasciare questo lavoro. Sicuramente sarei più utile sul campo che ferma ad una scrivania ad occuparmi della parte legale. So di non essere indispensabile, che un agente altamente qualificato potrebbe tranquillamente prendere il mio posto.”
La osserva senza staccare da lei lo sguardo, le palpebre non osano chiudersi. Vede la bocca muoversi eppure non riesce a distinguere nessuna parola. Sa che proverà a scusarsi, che cercherà di convincerlo che nonostante tutto lei è ancora un importante elemento. È sempre stato protettivo nei suoi confronti, quasi paterno, da quando, dopo quel giorno in cui l’aveva colta a frugare tra i fascicoli di vecchi casi con una torcia in mano, aveva fatto di tutto per averla in squadra con lui. Non ha alcun bisogno di convincerlo, lui cercherà sempre di aiutarla e di proteggerla.
“So anche che-”
“Beckett adesso basta!” Batte la mano sulla scrivania, con moderata violenza, guardandola ammutolire e mordersi nervosamente il labbro.
“Bene”, pare compiaciuto del risultato, mentre gli angoli della bocca gli si piegano all’in su e il tono della voce torna pacato cercando di rassicurarla. “Ora che ho la tua attenzione lasciami dire che non ho assolutamente intenzione di lasciarti a casa, il licenziamento non è tra le opzioni. Ti dimostrerai utile come al solito, sarai in grado di coordinare la squadra anche da qui, non ho alcun dubbio sulle tue capacità.”
Cerca di sorridergli in segno di gratitudine per quelle parole nonostante il groppo in gola sembri impedirglielo.
 
“Allora, che cosa stanno dicendo?”
Il bisogno impellente di soddisfare la propria curiosità fa si che lo scrittore aspetti solo pochi secondi prima di porre quella domanda.
“Lui ha detto nonostante la tua capra sia salata farai un buon lavoro e lei-”
“Aspetta, aspetta, aspetta... la tua capra sia salata? Bro sei sicuro abbia detto questo?”
“Sicurissimo, senza ombra di dubbio.”
“Magari stanno parlando in codice. Cospirazioni aliene... Piccoli omini verdi stanno tentando di invaderci!”
L’occhiataccia ricevuta da Esposito lo fa desistere dal proseguire con ulteriori congetture poco realistiche.
“Sentiamo, cosa avrebbe detto ora Beckett?” Chiede con accennato scetticismo Javier.
Non mollerò la pesca, fosse l’ultima frutta che mangio. Sapete cosa? Io ci rinuncio.” Afferma a seguito di sguardi perplessi e poco amichevoli. “Se vuole ce lo dirà lei.”
“Ho sempre pensato fosse il più debole...” Mugugna lo scrittore che, incrociate le braccia al petto, guarda di sottecchi l’irlandese abbandonare la stanza addentando una succulente ciambella.
“Disse l’uomo che parlava di omini verdi che vogliono conquistarci.”
“Ma tu credi a questa eventualità, non è vero?”
“Ah, è ovvio”, e anche lui lo lascia solo ad osservare la collega. Guardandola gli è impossibile non domandarsi “cosa è che ti preoccupa Kate?
 
 
Schiuma il latte, tra le mani la tazza di ceramica blu inizia ad assorbire il calore del caffè rilasciando un piacevole tepore. La soffice spuma sfrigola scivolando lentamente sopra il liquido scuro.
“Con tanta schiuma”, le sorride porgendoglielo una volta arrivato di fronte a lei. La detective dà un’occhiata all’orologio inclinando impercettibilmente il polso verso di sé.
“Ho controllato, sono le quattro e venti... Ho notato che ti accerti sempre dell’ora prima di prendere il caffè nel pomeriggio.” Spiega accorgendosi del suo sguardo dubbioso, “non ho idea del perché tu lo faccia, ma ecco... spero di non aver sbagliato.”
“Va benissimo. Grazie Castle.”
“Ehi, abbiamo un caso!” Esclama quasi euforico Ryan posando con un colpo secco la cornetta sul ricevitore. Dal secondo cassetto della scrivania afferra la glock riponendola nella fondina ascellare, lo stesso fa Esposito incamminandosi verso l’ascensore.
Anche lo scrittore, all’udire quelle parole, muove un passo nella loro direzione. Basta un secondo perché si accorga che Kate non è dietro di lui.
“Becks, tu non vieni?” Domanda Kevin dopo aver visto le porte dell’ascensore aprirsi davanti a sé.
“No, andate voi, ho delle cose da sbrigare. Mi aggiornerete più tardi.”
“Tu vieni Castle?”
Il suo sguardo si posa su di lei, già seduta alla scrivania, e poi nuovamente sui due detective. “No, andate pure.”
“Oh, no, Castle vai, non c’è bisogno che tu rimanga.”
“Si invece. Sono il tuo partner ora, non mi scollerò da te così facilmente.”
Ride, rimettendosi poi china a lavorare sulle carte.
 
Cosa avrebbe fatto, avrebbe detto loro la verità, oppure avrebbe inventato ogni volta una scusa diversa? Quanto avrebbe resistito?
Poco, o forse sarebbe stato il suo finto orgoglio a permetterle di andare avanti a mentire.
 
 
Maggio 2009
 
“Dite che è arrivato il momento di fare qualcosa?”
Con la sedia si avvicina ai colleghi, approfittando della momentanea assenza della detective.
“Riguardo?”
Domanda con spiccata curiosità Ryan.
“Riguardo Beckett.” Esclama cercando tuttavia di mantenere un tono di voce basso nel caso in cui lei fosse piombata improvvisamente alle loro spalle. “Non so se ve ne siete accorti, ma è oltre un mese che non si schioda da qui.”
“Nah, sicuramente ricordi male.”
“Qual è l’ultima volta che l’hai vista sulla scena di un crimine, o partecipare all’arresto di un sospettato, o ad un inseguimento?”
Rick boccheggia, senza parole, cercando tra i suoi ricordi, cosa che gli provoca la deformazione della bocca in una buffa smorfia. Le labbra si muovono senza sosta formando mezze parole e strani e silenziosi gorgheggi.
“Proprio come pensavo.”
“D’accordo... idee?”
“Qualcuno dovrebbe parlarle...”
“Oh, no, non guardate me. Solo perché sono l’ultimo arrivato è giusto affidarmi un incarico che anche un kamikaze rifiuterebbe?”
“Va bene, giochiamocela.”
“Morra cinese?”
“Al meglio di tre.”
“Pronti... Via!”
 
Dopo tutte le volte che gli è capitato di sfidarli ancora si fa fregare dai loro trucchetti come un bambino che, ingenuamente, casca nei tranelli del monopoli ma, prima di andare verso quella missione suicida, ha ancora una carta da giocarsi. L’ultimo e solo asso nella manica.
 
 
“Castle e...” L’anatomopatologa si sporge verso destra tentando di individuare dietro l’imponente figura dello scrittore quella della sua amica e collega. “Castle. Come mai qui da solo?” Smette di armeggiare con provette e vetrini coprendo alla meglio il corpo sul tavolo in acciaio posto tra loro.
“Avevo bisogno di parlare con te. Spero di non aver interrotto nulla.”
“Non preoccuparti, stavo giusto per cominciare l’autopsia, ma io e il mio amico riprenderemo più tardi la nostra conversazione privata. Di cosa devi parlarmi?”
Sfrega tra loro le mani, lisciando poi il tessuto dei pantaloni all'altezza delle cosce.
“Ormai penso di conoscerti, perciò non ci girerò intorno, soprattutto perché la tua vicinanza a quei bisturi mi mette un po’ di agitazione.”
Ne raccoglie uno girandolo lentamente tra le mani; la luce fredda dei neon riflette sulla superficie metallica, la quale scivola indisturbata sui polpastrelli, ricoperti dal lattice dei guanti, carezzandoli.
Sorride divertita dallo sguardo preoccupato dell’uomo che le sta davanti.
“Ecco... stavo appunto dicendo che, che... mettilo giù, ti prego.”
“D’accordo writer boy.” Ridacchia divertita. “Ora che sei più tranquillo dimmi.”
“Sai cosa sta succedendo a Beckett, qualcosa di cui potrebbe aver tenuto all’oscuro me e i ragazzi?”
“Di cosa parli?”
“Nell’ultimo periodo l’abbiamo vista piuttosto strana. Non vogliamo farci gli affari suoi, ok, forse giusto un pochino, ma-”
“Castle, ascoltami, è la sua vita, credo che dovreste smetterla di pensare a lei e concentrarvi su di voi. Posso capire i ragazzi, la conoscono da anni, ma tu la conosci da cinque minuti, non farti spazio, non insinuarti in lei, non criticare il suo modo di vivere, la sua reazione potrebbe essere inaspettata e avere spiacevoli conseguenze soprattutto per te, ma anche per lei.”
Il tono risulta più sprezzante di quanto progettato, le parole suonano poco amichevoli alle sue stesse orecchie.
“Non te l’ho domandato per divertirmi o perché voglio sbattere la vita privata di Beckett in una delle pagine del mio libro.” Tenta di proteggersi da quello che gli è sembrato un attacco, nonostante le intenzioni della patologa fossero completamente diverse. Diventa molto protettiva quando vede la privacy delle persone che le stanno a cuore minacciata. “La verità è che siamo preoccupati e anche io lo sono. Lo sono davvero Lanie.”
“Senti, apprezzo l’onestà ma non sono in possesso di alcuna informazione che possa esservi utile e purtroppo temo che, anche se lo fossi -e bada non sto dicendo di esserlo- non potrei rivelarvi nulla.”
“Capisco. In questo caso torno di sopra.” Sospira afflitto. “Scusa il disturbo.”
“Castle.”
Resta di spalle, appoggiato stancamente con una mano allo stipite della porta.
“Scusami, non avrei voluto parlarti in questo modo.” Si dispiace della sua reazione fumantina. Ha visto la chimica che c’è tra i due, non avrebbe dovuto insinuare, ne tanto meno pensare, che l’interesse di Castle fosse rivolto a secondi fini e non ad una reale preoccupazione. “Ascolta, credo tu abbia capito com’è fatta Kate. Non si apre facilmente alle persone, lo fa con me, è vero, ma accade di rado. Sarebbe felice di sapere che c’è qualcuno che si preoccupa per lei, anche se non lo ammetterebbe mai. Voglio solo che tu sappia che se dovesse dirmi qualcosa farò tutto il possibile per aiutarla. Mi credi, non è vero?”
“Certo.”
Una parola pronunciata quasi con sofferenza, guardando la donna per una frazione di secondo, solo con la coda dell'occhio.
La mano spinge svogliatamente la porta lasciando un alone di condensa sulla placca in metallo.
Sale con calma le scale, sorridendo amaramente.
Se c’è una cosa che la detective aveva messo in chiaro fin dal primo giorno è che lui non avrebbe dovuto, in maniera più assoluta, interferire con il suo lavoro o con il suo mondo. Non è stato in grado di attenersi alla prima richiesta e, nonostante sappia di sbagliare, quella sera avrebbe infranto quella promessa addentrandosi nel suo mondo più di quanto non abbia già fatto.
 
“Ehi Castle, dove eri finito?”
Le compare accanto, come materializzato dal nulla, come se il pavimento si fosse aperto e dopo averlo misteriosamente inghiottito, con lo stesso alone di mistero, lo avesse rigettato fuori.
“Mi erano venute un paio di idee per il prossimo capitolo, così ho cercato un posto tranquillo dove poterle buttare giù.” Improvvisa con evidente successo. “Cosa mi sono perso?”
“I ragazzi sono usciti per seguire una pista sul caso John Doe.”
“Lo sconosciuto trafitto da una ventina di chiodi? Perché mi perdo sempre le cose migliori?”
“Oh, non piangere Castle, non credo risolveranno il caso oggi. Potrai fantasticarci su ancora per un po’, e poi-”, la scritta sconosciuto sul display appena illuminato del telefonino attira la sua attenzione. “Scusami... Beckett.”
“Kate, sono il dottor Bolkowitz. Ci sono buone notizie.”




Diletta's coroner:
Ancora tutto abbastanza tranquillo.
Chissà quale sarà la buona notizia...
Grazie a tutte le persone che hanno letto e recensito il primo capitolo e che hanno inserito la storia fra le seguite.
Buona serata!
  
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