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Autore: Nichigin    10/11/2013    2 recensioni
"Arthur stava iniziando a irritarsi seriamente. La camicia bagnata gli si era attaccata alla pelle e la voce assurda dell'americano gli faceva venire il mal di testa. Il pomeriggio non doveva andare così; erano previsti solo lui e il suo tea. Magari qualche unicorno di passaggio, al massimo, ma NON Alfred!" [UsUk]
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo otto

- Arrivo… un attimo… - mormorò tra sé Kiku mentre attraversava la camera cercando di fare il meno rumore possibile, per raggiungere il telefono che vibrava come se ne andasse della sua esistenza, facendo tremare la scrivania.
Yao dormiva ancora, abbracciato come un bambino al cuscino che il giapponese gli aveva messo tra le braccia per scendere dal letto senza che lui si accorgesse della sua assenza; e sarebbe stato meglio se non si fosse svegliato.
- Pronto, parla Honda. – disse portandosi il cellulare all’orecchio e cercando di usare un tono di voce ancora più basso del solito, mentre azzardava qualche altro passo in direzione del salotto, dove sperava di poter parlare liberamente.
- Mon ami Kiku grazie al cielo hai risposto! – esclamò la voce di Francis, esageratamente alta contro il suo orecchio. Kiku sobbalzò, ricordandosi improvvisamente di aver lasciato il vivavoce attivato. Il telefono gli sfuggì dalle mani, e il giapponese tentò uno scatto in avanti per afferrarlo, ma mancò la presa, e l’apparecchio cadde sul pavimento con un suono preoccupante. Raccattò il cellulare da terra immediatamente, costatando con un certo sollievo che era ancora funzionante e spense il vivavoce che continuava a far echeggiare la voce confusa del francese dall’altra parte del filo, che gli chiedeva se tutto andasse bene.
- È tutto a posto Francis-san, mi era solo caduto il telefono… - rispose velocemente, affrettandosi a uscire dalla camera, quando un mugolio soffocato e uno sbadiglio proveniente dal letto lo fecero immobilizzare.
- Kiku dove sei? Voglio le coccole! – esclamò la voce di Yao, improvvisamente molto vitale. Kiku alzò gli occhi al soffitto e posò una mano sul microfono del cellulare perché Francis non sentisse la conversazione – probabilmente imbarazzante – che stava per seguire.
- Ni-ni, sono al telefono.
- Metti giù, allora. Voglio le coccole. Quelle che mi hai fatto stanotte non bastano. – ribatté Yao con la sua miglior voce da bambino viziato, tirandosi a sedere sul letto. Kiku si sedette sul bordo del materasso, sospirando, e il cinese rotolò su un fianco per avvicinarsi a lui, per poi posare la testa sulle sue ginocchia.
- Sembri un gatto… - mormorò il giapponese, accarezzandogli piano i capelli. Yao si esibì in un’espressione beata che sarebbe sicuramente stata a pennello sul musetto di un gatto mentre faceva le fusa, e mugolò un “miao”. – Sì, sì, adesso fai il bravo gattino e lascia che il tuo padrone parli al telefono. Poi giocherò di nuovo con te. Dicevi Francis-san?
- Era la voce di Wang quella?
- Quale voce? Devi essertela immaginata. – rispose senza scomporsi Kiku, con un sorriso serafico stampato sul volto.
- Sì, sì, sarà come dici tu. – borbottò velocemente Francis con aria poco convinta, per poi cambiare argomento: - Ti ricordi di Jones, vero? Alfred Jones.
- Certo. Gli avrò prestato una ventina di videogiochi horror… che ha combinato?
Francis prese un respiro profondo e fece una pausa tragica, prima di rivelare il misfatto: - È uscito con Arthùr.
Kiku non ebbe una reazione sufficientemente sconvolta. - …oh. Sono felice per loro.
- Aspetta che finisca di parlare. Pare che l’appuntamento sia stato un disastro completo. E ora i due non si vogliono più vedere.
- …caratteri incompatibili? – suggerì Kiku. Conosceva entrambi abbastanza bene da poter affermare che una relazione tra quei due avrebbe significato una catena interminabile di litigi.
- No, no. Sono sicuro che siano fatti l’uno per l’altro. E poi Arthùr è palesemente innamorato perso, mi pare un vero spreco lasciare la situazione com’è ora.
- Ti rendo conto di cosa accadrebbe se tu ti stessi sbagliando?
- Perfettamente. È per questo che mi sto rivolgendo a te Kiku, perché sono sicuro che non fallirai. Mi serve un piano per rimetterli insieme; ora, tu sai che io non sono un esperto in queste cose… e qui entri in gioco tu. Io darò una mano a mettere in atto il piano.
Kiku ci rimuginò sopra per qualche secondo. Certo, non aveva molte esperienze pratiche in quel campo, ma con tutti i dati sulla situazione e creando i flag giusti…
- Sono a tua disposizione, Francis-san. Ora dimmi tutto quello che sai sulla situazione.
Dopo una decina di minuti Kiku chiuse la telefonata e si lasciò cadere all’indietro sul letto.
- Che succede? – chiese Yao, alquanto confuso.
- Nulla di diverso dal solito. Arthur-san ha un problema e Francis-san mi chiama per risolverlo.
- Ma uffa. Perché devi essere tu a pensarci? – sbuffò il cinese, prevedendo che quel “problema” gli avrebbe portato via il fidanzato per un tempo indefinito.
- Perché sono l’unico ad avere una certa esperienza di Gal Games nel giro di conoscenze di Francis. Lui è abilissimo a capire i problemi sentimentali di chiunque, ma più di lì non va.
- …esperienza di cosa…?
Kiku fece una risatina. Quel suo particolare hobby era una delle cose che Yao non doveva venire a sapere. – Niente, niente, Ni-ni. Ora lasciami andare, avrei un “malefico piano” da progettare.
- Scordatelo. Mi hai promesso che avresti giocato con me, ricordi? – ribatté Yao, bloccandogli i polsi sopra la testa con uno scatto felino. – Mister Oppio può aspettare.
- Dovresti smetterla con questo razzismo verso gli inglesi, sai.
- Non è colpa mia se m’ispirano un odio naturale. – ribatté il cinese alzando le spalle. – Ma passiamo ad argomenti più interessanti… - aggiunse, abbassandosi per mordicchiare un punto alla base del collo di Kiku che, come aveva imparato durante la loro relazione, era particolarmente sensibile.
- Yao… avrei delle cose da fare…
- Sono più importanti di me…? – mugolò il cinese con un’aria dispiaciuta e i suoi migliori occhi da cucciolo abbandonato.
- …ah, al diavolo, lo sai che quando fai così non resisto… - borbottò Kiku, liberandosi dalla stretta dell’altro per invertire le posizioni.
Dopotutto i problemi di Arthur potevano aspettare per qualche ora, giusto…?
 
***
 
Kiku suonò il campanello dell'appartamento di Alfred, stampandosi sul volto un sorriso amichevole e sperando che tutto andasse come previsto - convincere l'americano a collaborare era una parte fondamentale del piano. Poteva presupporre che in quel momento anche Francis si stesse lavorando Arthur.
Alfred aprì la porta e gli rivolse una smorfia che poteva essere paragonata a un fantasma del suo solito sorriso allegro.
- Kiku. Che ci fai qui?
- Sono venuto a vedere come te la stai cavando, dopo… beh, lo sai.
- Abbastanza bene, direi. Ho passato momenti peggiori. Vuoi entrare?
- Se posso. - il giapponese si sfilò velocemente le scarpe ed entrò nell'appartamento. La prima sensazione fu di essere entrato in una grotta. Di quelle buie e piccole in cui devi farti largo a fatica. Solo che in quel caso Kiku non doveva districarsi tra stalattiti e simili, ma tra pile di scatole di pizza vuote e confezioni giganti di gelato finite.
Alfred attraversò l'ingresso con l'aria di aver fatto quella strada centinaia di volte, senza sfiorare nemmeno uno degli oggetti sparpagliati a terra, per poi sparire in una porta laterale, che Kiku dedusse fosse la cucina dal fatto che l'americano ne uscì con in mano un enorme barattolo di gelato e un cucchiaio.
- Vieni. - borbottò Alfred, e condusse Kiku in salotto. Il giapponese si sedette con una certa circospezione sul divano, e Alfred si lasciò cadere accanto a lui.
Il giapponese si schiarì la voce, cercando di elaborare un buon modo per iniziare il discorso. - Quindi… come stai?
- Benisshimo. - biascicò Alfred con la bocca piena di gelato.
- Perché è vero o per il gelato?
- …per entrambi i motivi.
- Alfred! - lo ammonì Kiku puntandogli un dito contro. - Non puoi stare lì a struggerti e mangiare gelato come una versione moderna di Winnie the Pooh col vaso di miele.
- …non posso?
- No. Devi reagire. Arthur non è l'unico ragazzo al mondo, sai.
- Ma non ce ne sono altri come lui. Lui è così… - fece una pausa, corrugando la fronte come se si stesse sforzando di trovare una definizione adatta. - …irritante. - concluse infine. A Kiku sarebbe potuto venire da ridere, se Alfred non avesse pronunciato quella parola come se fosse la sintesi perfetta del motivo per cui non potesse amare nessun altro.
- Non è propriamente una caratteristica positiva, lo sai vero?
- Hai una definizione migliore?
- …no, in effetti no.
Alfred si limitò a prendere un'altra enorme cucchiaiata di gelato. Kiku si chiese come facesse a mettere in bocca tutta quella roba senza slogarsi la mascella.
- Cosa ho sbagliato? - chiese infine l'americano.
- Beh, non vorrei risultare privo di tatto, ma… circa tutto.
- Non dovevo portarlo in discoteca, eh?
Kiku annuì. - Non è proprio il tipo.
- …l'ho anche baciato, sai. Credo sia stata la cazzata più grande che ho combinato.
Il giapponese decise di rimanere in silenzio, aspettando che Alfred finisse di sfogarsi.
- Gli ha fatto schifo. Me l'ha detto, ti rendi conto, me l'ha detto in faccia e io ci sono rimasto così male. Non è da me restarci male. Io sono l'eroe, maledizione! - Alfred tirò su col naso.
- Ma sei innamorato. - intervenne cautamente Kiku. Alfred annuì.
- Non ho nessuna speranza, vero?
Kiku pensò a quello che gli aveva detto Francis, che Arthur stava male quanto Alfred, e si chiese se dovesse dirlo. Ma del resto, non era quello il suo compito.
- Forse dovresti provare a dimenticarti di lui.
- Non so se ce la posso fare.
- Posso permettermi di darti un consiglio?
- Spara.
- Datti una sistemata ed esci di qui. Se ti distrai starai meglio.
Alfred sbuffò e si strinse al petto il barattolo di gelato con aria possessiva. - Sto bene qui.
- No tu non stai bene. - ribatté Kiku con un tono che non ammetteva repliche. - Ora mi dai quel gelato e vieni con me.
- Piuttosto la morte!
Kiku dovette combattere per qualche secondo nel tentativo di strappargli il barattolo dalle mani, ma infine riuscì a spuntarla.
- Bene! - esclamò trionfante portando il gelato fuori dalla portata dell'americano. - E ora vatti a cambiare!
- E che diavolo dovrei mettermi?!
- Questo! - rispose Kiku piazzandogli in mano una borsa di carta che si era portato dietro per tutto il tempo.
- E cos'è? - borbottò Alfred sbirciandone il contenuto.
- Qualcosa di adatto al posto dove voglio portarti. Tu hai bisogno di divertirti un po', ecco la verità. - concluse il giapponese spingendo Alfred in bagno e chiudendo la porta. - E vedi di darti un aspetto presentabile.
Riuscito anche in quell'impresa, Kiku appoggiò la schiena alla porta e sospirò. Era fatta - beh, quasi fatta. La riuscita del piano dipendeva solo dagli unici due che ne erano all'oscuro, alla fine.
  
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