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Autore: Nymeria90    11/11/2013    2 recensioni
– Di che cosa hai paura, Shepard?-
Fissò il cielo sopra di lui e all’improvviso le stelle parvero spegnersi, oscurate da un’ombra scura, enorme, dalla forma vagamente umana.
L’ombra nel cielo guardò giù, verso di lui, dentro di lui, si sentì invadere da un’oscurità che gli ghiacciò l’anima.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì, un istante dopo, non c’era più nulla.
- Di cosa ho paura mi chiedi?- sussurrò con voce roca mentre qualcosa dentro di sé si contorceva, implorandogli di tacere, perché solo così avrebbe potuto dimenticare. Non lo ascoltò: – C’è un’unica cosa che mi fa paura: l’eternità.-
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashley Williams, Comandante Shepard Uomo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Andrej Shepard'
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http://www.youtube.com/watch?v=UGsUK-HxVHE

Londra, 2186

 
Il Big Ben: simbolo di una nazione e di un popolo, stendardo di antiche glorie ed insaziabili ambizioni. All’ombra di quella stanca e vecchia torre nel corso dei secoli pochi avevano deciso il destino di molti.
Sotto lo sguardo severo del Big Ben era stato creato il più grande impero del mondo, ora, più di cinque secoli dopo, quello stesso sguardo osservava, impotente, la fine di quel mondo che tanto a lungo aveva dominato.
Eppure, nonostante tutto, resisteva.
Il maggiore William Coats si appoggiò contro la lancetta dei minuti, ferma ad indicare l’attimo in cui l’apocalisse era iniziata.
Per tre giorni era rimasto sulla torre, in compagnia di un fucile di precisione e di un mucchio di pallottole, alla fine i proiettili erano finiti, ma non i nemici, quelli non finivano mai.
Dall’alto della sua postazione aveva osservato i Razziatori impadronirsi della città, pezzo dopo pezzo, palazzo dopo palazzo, inesorabili come la fine di cui erano portatori.
Aveva cercato di fermarli o rallentarli, ma per ogni abominio che abbatteva due sorgevano al suo fianco. Aveva visto coraggiosi soldati e inermi cittadini fatti a pezzi o impalati su spuntoni metallici che trasformavano gli uomini in mostri. Aveva continuato a sparare, mentre l’ira si trasformava in pietà.
Uomini, donne, vecchi, bambini … i Razziatori non facevano differenza e nemmeno lui: l’armata nemica era composta da schiavi che solo la morte poteva liberare. Ed era la morte quella che lui dava loro, senza esitare, gli occhi asciutti e la mano ferma.
La sua anima era arida come quella dei mutanti.
Com’era la vita prima dei Razziatori? Che suono aveva una risata? Di che colore era il cielo e che sapore avevano le labbra di una donna?
Non ricordava più niente. Gli sembrava di essere nato il giorno in cui i Razziatori erano scesi sulla terra.
- Maggiore Coats? Sei ancora vivo?-
Sobbalzò quando la voce di Anderson uscì roca e distorta dalla ricetrasmittente inserita nel collo dell’armatura.
- Sì, ammiraglio.- rispose, stancamente, non era sicuro che essere vivo fosse una cosa positiva, ma aveva il terrore di morire e ritrovarsi dalla parte sbagliata dello schieramento.
- Com’è la situazione?-
- Come sempre, ammiraglio.- sospirò, osservando i mutanti che brulicavano attorno alla torre – Ho finito le munizioni. Venitemi a prendere.-
- Subito. Ottimo lavoro, figliolo.-
Coats chiuse gli occhi – Grazie, ammiraglio.-
Pochi minuti dopo arrivò la navetta, un vecchio rudere risalente alla guerra del Primo Contatto ma abbastanza solida da resistere ai colpi della fanteria nemica. Bisognava accontentarsi di quello che c’era.
Rivolse un cenno di saluto al pilota, Dean, un vecchio compagno d’accademia, e si abbandonò sul sedile al suo fianco.
- Felice di rivederti tutto intero, Billy.- lo salutò.
- Novità dal comando?-
Dean fece virare la navetta e si allontanò nel cielo grigio di Londra. William represse un sorriso sarcastico: un tempo erano i fumi delle fabbriche ad intossicare il cielo di Londra, adesso erano le ceneri della sua distruzione.
- Si mormora che i Turian si siano ritirati: hanno abbandonato Palaven.-
Coats represse un brivido: se persino i Turian abbandonavano la lotta, che speranze potevano avere loro?
- Perché?-
Dean si strinse nelle spalle - Alcuni dicono che la loro flotta sia stata distrutta, altri invece sostengono che si stanno preparando per lo scontro finale.-
Coats si rilassò leggermente: i Turian erano abbastanza cinici da rendersi conto che abbandonare il pianeta natale fosse l’unico modo per salvarlo.
Era una mossa astuta, intelligente, forse persino vincente, ma Coats non poté fare a meno di pensare che fosse assolutamente inumana, qualunque accezione si volesse dare a quel termine.
Si appoggiò contro lo schienale, distendendo le gambe, era bello avere qualcosa di diverso dalla pietra su cui sedersi – Che cosa dice Anderson?-
Dean fece un verso di scherno – Anderson è convinto che Shepard arriverà a salvarci accompagnato da un coro di angeli …- fece passare la navetta all’interno di un palazzo sventrato, Coats si chiese cosa fosse prima della guerra: una casa? Un ufficio? Un ambulatorio? Non importava, sapeva cos’era ora: un rudere.
- Tu non credi che arriverà?- lui ancora ci sperava, altrimenti cosa gli sarebbe rimasto?
- Se è furbo come dicono se ne starà nascosto in un sistema remoto a bordo della sua nave irrintracciabile ad aspettare che tutto questo finisca. – storse le labbra in una smorfia sarcastica – Chi glielo fa fare di ritornare in questo schifo?-
Coats si frugò nelle tasche alla ricerca di una sigaretta, ne trovò una, schiacciata e spezzata, se l’infilò in bocca e l’accese ignorando il grugnito di protesta di Dean. Aspirò un’ampia boccata: il gusto lo disgustava ma servì a calmarlo, donandogli una parvenza di normalità – Io spero lo faccia per noi.- sussurrò – È per questo che combattiamo, no? L’unico motivo per cui non ci siamo mai arresi ... perché ha promesso che sarebbe tornato.-
Dean fece un versetto scettico – Tu e Anderson siete fatti l’uno per l’altro.- si strinse nelle spalle, come a significare che la cosa non lo riguardava – Poco importa, se non si sbriga troverà solo un bel mucchio di cadaveri e una pila di macerie.- indicò con un cenno il paesaggio desolato che stavano sorvolando – Non è rimasto molto da salvare.-
- Siamo rimasti noi.-
Dean scosse il capo, esasperato, ma non replicò.
Coats buttò la cicca sul pavimento e la schiacciò – Non stiamo andando al quartier generale.- constatò, guardando oltre il finestrino.
Dean scosse il capo – Con questo catorcio? È già bello se arriviamo a destinazione: non siamo i soli a volare nei cieli di Londra e nemmeno i più grossi.- in lontananza si scorgevano le gigantesche ombre scure dei Razziatori che sovrastavano la città, simili a terribili divinità di metallo. Fortunatamente la zona che stavano sorvolando era praticamente deserta, all’arrivo dei Razziatori era stata la prima ad essere colpita e, dopo aver trasformato i palazzi in macerie, i mostri del cielo se ne erano disinteressati. Nella zona erano rimasti solo mutanti e cannibali.
- Atterreremo all’avamposto Manhattan, scommetto che i ragazzi saranno felici di vedere una faccia nuova.- sorrise, di fronte alla sua espressione corrucciata – Non ti preoccupare, Billy, prima o poi invieranno un trasporto decente e potrai riabbracciare il tuo amato ammiraglio.-
- Fottiti, Dean. -
L’altro ridacchiò mentre manovrava per far atterrare la navetta in un’area sgombra dai detriti, accanto ad un palazzo diroccato. La Resistenza aveva fatto un ottimo lavoro, non c’erano segni di vita nell’area, ma Coats sapeva che, proprio tra le macerie di quel palazzo e sotto, nei vecchi tunnel della metropolitana, c’era un piccolo gruppo di uomini armati che resistevano, nonostante tutto.
Quando la navetta toccò terra saltò giù mentre un uomo, che fino a quel momento era rimasto nascosto tra i calcinacci, lo accoglieva con un cenno si saluto – Felice di vederla, maggiore. In molti la davano per disperso.-
Coats strizzò gli occhi per distinguere dei lineamenti sotto lo strato di polvere e fuliggine che ricopriva l’uomo – Non è così facile ammazzarmi, caporale Sutherland.-
Felice di essere stato riconosciuto il caporale gli rivolse un sorriso smagliante, che denunciava la sua giovane età. Coats sospettava non avesse nemmeno vent’anni.
Il ragazzo si diresse verso l’edificio diroccato, una vecchia banca, a giudicare dall’insegna contorta che penzolava da un lato, e gli fece cenno di seguirlo – Da questa parte, maggiore, il vecchio ingresso è stato bloccato, ma ne abbiamo aperto un altro, più sicuro.-
- In quanti siete qui?-
- Circa duecento.- dietro di loro Dean stava spegnando i motori, la navetta era talmente malconcia che poteva essere facilmente scambiata per un relitto: gli schiavi dei Razziatori non erano abbastanza intelligenti da notare la differenza tra un velivolo funzionante e una navetta schiantata.
Erano solo bestie che seguivano l‘istinto e il fiuto, non la ragione.
Aggirarono un’astroauto ribaltata contro il muro dell’edificio, all’interno Coats scorse una sagoma scura reclinata sui comandi, si scoprì ad invidiare la morte rapida del conducente: gli era stata risparmiata una lenta e sfibrante agonia.
Sutherland si fermò davanti ad una porticina di metallo e bussò tre colpi – Kate sono io, John, abbiamo visite.-
La porta si aprì lasciando uscire una donna armata di tutto punto, squadrò Coats dall’alto in basso e annuì – Siamo appena stati avvisati del vostro arrivo, maggiore ...- una luce violenta, accecante, illuminò il cielo grigio di Londra.
Sopra di loro risuonò il terribile boato dei Razziatori, si gettarono tutti a terra, armi alla mano, sorpresi e spaventati, mentre un vento improvviso faceva volare polvere e detriti.
- Cosa diavolo è?- urlò il caporale, riparandosi gli occhi con la mano.
Coats scosse il capo, confuso: quando i Razziatori attaccavano il mondo diventava un abbacinante groviglio di laser vermigli e artigli metallici, ma quella luce bianca, abbagliante, gli era completamente sconosciuta.
Poi alzò lo sguardo e la vide: una gigantesca struttura allungata sovrastava la città, dalla sua base scaturiva un violento fascio di luce bianca che colpiva il suolo con la violenza di un uragano.
C’erano due Razziatori immensi ai lati della struttura, intenti a trainarla verso il centro della città, al loro passaggio le poche strutture sopravvissute alla furia della guerra si sbriciolarono.
Coats impallidì: puntavano dritti a loro.
- Dean!- Coats balzò in piedi, mettendosi a correre verso la navetta e il pilota ancora al suo interno.
- Maledizione, maggiore!- urlò la donna spingendo il caporale oltre la porta di metallo – Si metta al riparo!-
Il laser colpì.
Un boato squarciò l’aria, la terra tremò tutta e Coats venne sbalzato all’indietro, con violenza, come colpito dal pugno di un titano.
Volteggiò nell’aria per secondi lunghi come ore, del tutto ignaro di ciò che accadeva al suo corpo. Atterrò di schiena, sul duro cemento, le ossa scricchiolarono e nella bocca sentì il sapore del sangue, dalle labbra gli uscì un gemito strozzato.
Attraverso le palpebre socchiuse scorse un’ombra china su di lui, mani forti lo strinsero, scuotendolo, strani suoni gli rimbombarono nella testa.
Poi, all’improvviso, come se qualcuno avesse premuto il tasto play, il mondo attorno a lui tornò nitido.
- Maggiore!- Dean era chino su di lui, il bel viso trasfigurato dalla paura – Andiamo Billy, rispondi!-
Tossì e si girò di lato, sputando sangue e un pezzo di dente – Sto bene, non urlare. Cos’è successo?- si tastò alla ricerca di qualche ferita ma tutto sembrava al suo posto.
- Un’esplosione, maggiore. Quel dannato raggio ha preso in pieno la base …- il maggiore seguì il suo sguardo.
Si chiese se l’esplosione non lo avesse sbalzato dall’altra parte della città. La navetta era atterrata davanti ad un grosso edificio di pietra, una banca, alto quattro piani, adesso, invece, tra la cortina di fumo e polvere, non si vedeva altro che una distesa di macerie alte meno di un autocarro. E un puzzo di carne carbonizzata ed esplosivi.
Coats si sollevò in piedi a fatica – Dove sono gli altri?-
Dean non rispose. Lo sapevano entrambi dov’erano gli altri e i duecento uomini dell’avamposto Manhattan: sotto, erano sotto.
Coats corse verso i detriti, incurante dei richiami di Dean, gli parve di scorgere una mano che spuntava da sotto una trave divelta, immaginò che si trattasse di qualcuno rimasto intrappolato. Incurante del fucile che lo intralciava e della puzza di carne bruciata che lo nauseava, cominciò a scavare, togliendo calcinacci e mattoni – Resisti!- urlò, sperando che l’uomo sotto le macerie fosse ancora vivo, toccò le dita protese: gli parvero ancora calde – Aiutami, Dean!-
Il pilota si guardò intorno preoccupato, erano fermi da troppo tempo e le probabilità di essere trovati dai mutanti aumentavano di minuto in minuto, ma alla fine mise da parte la paura e si precipitò al suo fianco, iniziando a scavare a sua volta.
Ben presto la mano divenne un polso con l’orologio, poi un avambraccio, un gomito, una spalla che spuntava da un’apertura abbastanza grande da far passare un corpo; eccitato e speranzoso tirò. Cadde all’indietro, con un braccio in mano.
Non era un uomo ancora vivo, era solo un braccio.
Dean fece un verso raccapricciante e si chinò a vomitare dietro la trave, ma Coats si limitò a lasciar cadere l’arto, improvvisamente svuotato. La cosa peggiore non era l’arto amputato ma il fatto di non esserne turbato. Quante volte in quegli ultimi mesi si era imbattuto in scene del genere?
Si guardò intorno, svuotato e si rese conto che ciò che aveva scambiato per detriti o sassi o pezzi di metallo contorti erano in realtà brandelli umani.
C’erano stati duecento uomini in quel posto, di loro non rimanevano che i pezzi.
Un lamento soffocato lo riscosse: da qualche parte qualcuno piangeva.
I due soldati si diressero verso quel suono e trovarono John, sepolto fino alla vita nei calcinacci. Piangeva, gli occhi sgranati, aggrappato al masso che lo schiacciava, invocando la madre e un Dio in cui non credeva.
Coats s’inginocchiò al suo fianco, cominciando a scavare, subito imitato da Dean, ben presto si ritrovarono le mani insanguinate senza che fosse stato fatto nessun progresso significativo.
Dopo qualche minuto sentirono i rochi ansimi dei mutanti, attirati dall’odore del sangue.
Dean si fermò, paralizzato dalla paura – Stanno arrivando …-
John aveva gli occhi chiusi e il capo reclinato di lato, era ancora vivo, ma non lo sarebbe stato ancora per molto e loro non avevano modo di tirarlo fuori da lì, di certo non scavando a mani nude.
- Vai alla navetta.- mormorò – Io ti raggiungo subito.-
Dean esitò – E lui?-
Mise la mano sulla pistola e lo fissò.
Dean deglutì a vuoto, distolse lo sguardo e si alzò, mettendosi a correre per raggiungere la navetta.
Coats estrasse la pistola e tolse la sicura, osservò John, ancora svenuto, era davvero un ragazzino, col viso striato di lacrime e la barba appena accennata.
Gli premette la pistola sopra il cuore e sparò.
John spalancò gli occhi e fissò i suoi, ci fu un lampo d’incredulità poi il vuoto.
Una folata di vento lo investì e la navetta si alzò leggermente, dal fondo della strada i mutanti stavano cominciando ad arrivare, Coats si alzò e, senza guardarsi indietro, raggiunse il trasporto, saltando nel portellone aperto.
Pochi secondi dopo erano di nuovo in volo e lo spiazzo, sotto di loro, brulicava di mutanti.
Coats chiuse il portellone con un gesto secco e raggiunse Dean nella cabina di pilotaggio, prendendo posto al suo fianco.
Il pilota gli rivolse una rapida occhiata prima di distogliere frettolosamente lo sguardo.
- Aveva gli occhi verdi.- sussurrò, abbandonandosi sul sedile – Aveva gli occhi verdi e non me ne ero mai accorto.-
 
http://www.youtube.com/watch?v=EfK-WX2pa8c

C’era stato un tempo, per molti immemorabile e lontanissimo, ma che risaliva solo a pochi mesi prima, in cui Londra era stata una delle città più belle del pianeta. La scoperta dei portali e della comunità galattica aveva aperto una miriade di possibilità, portando sulle rive del Tamigi politici, imprenditori e turisti da tutta la galassia.
I musei offrivano ai visitatori la storia dell’umanità, mentre nei negozi e nei ristoranti chiunque poteva comprare o assaggiare un piccolo pezzo di quella galassia che l’umanità aveva così faticato a conquistare.
Ma di tutto ciò non rimaneva più nulla.
I parchi erano bruciati, le case e gli alberghi abbattuti, i musei devastati.
E gli uomini massacrati.
L’ammiraglio Anderson si appoggiò allo squarcio che fungeva da finestra, in lontananza riusciva ancora a scorgere il fumo dell’esplosione.
Stava dormendo quand’era accaduto.
Era stato il tintinnio degli oggetti e la sensazione di essere al centro di un terremoto a svegliarlo. La branda ondeggiava, il pavimento sussultava ed aveva avuto la sensazione di trovarsi su una nave persa in mezzo al mare, in balia delle onde.
Poi il mondo si era fermato; Anderson era rimasto immobile sulla branda, aggrappato alle lenzuola, il respiro intrappolato nel petto, finché un mostruoso boato aveva squarciato l’aria, e il tempo, inesorabile, aveva ripreso il suo corso.
Era schizzato giù dalla branda, precipitandosi nella sala in cui si trovava ora, per scorgere qualcosa attraverso lo squarcio nella parete.
La prima cosa che aveva visto era stato un’abbacinante raggio bianco, poche miglia più a sud, proveniva da una struttura gigantesca e allungata che sovrastava, aliena e inquietante, l’intera città. Era talmente fuori posto nei cieli di Londra che, all’inizio, non l’aveva riconosciuta.
Ma, per quanto straordinaria, non era stata quella visione a raggelarlo, bensì il mastodontico fungo di polvere grigia che si ergeva cupo ai suoi piedi, innalzandosi tanto in alto da sfiorarne la base.
Qualcuno al suo fianco, non ricordava chi fosse, nemmeno si era accorto che c’erano altri nella stanza, ebbene quel qualcuno aveva sussurrato “L’avamposto Manhattan … c’erano duecento uomini … Dio abbia pietà di loro …”
Anderson si strofinò il viso e scosse il capo al ricordo di quelle parole: quale Dio?
Lanciò un’occhiata alle sue spalle, verso la porta socchiusa dietro la quale i radiofonisti cercavano disperatamente di mettersi in contatto con qualcuno. Ma la porta rimaneva chiusa, le radio mute: non giungevano notizie, né dall’avamposto, né dal mondo, né, tantomeno, dallo spazio.
Si chiese se fosse sensato sperare ancora in un qualche aiuto.
Guardò l’enorme struttura che dominava la città. Anche da chiusa la Cittadella era bellissima, ma vederla sovrastare i cieli di Londra era a dir poco raccapricciante. Si chiese casa fosse accaduto agli abitanti, all’SSC, al Consiglio.
Forse, si disse, era meglio non conoscere la risposta.
Un radiofonista fece capolino nella stanza – Noi continuiamo a chiamare, ammiraglio, ma risponde nessuno.-
Anderson cercò di dissimulare la sua inquietudine – Non disperare, figliolo.- asserì con una sicurezza che non provava – Londra chiama: qualcuno risponderà.-
L’uomo annuì e lo lasciò solo.
Londra chiama, pensò, ma chi sta chiamando?
I morti dell’avamposto Manhattan? Le flotte di Hackett? La Cittadella? Shepard?
Per quel che ne sapeva poteva non esserci più nessuno all’ascolto.
Il suo ultimo contatto con Hackett e Shepard era stato poco prima del loro attacco combinato alla base di Cerberus, da allora non aveva più avuto notizie.
Forse, dopotutto, l’Uomo Misterioso aveva avuto la meglio, la presenza della Cittadella lì, sulla Terra, non lasciava molte speranze per il futuro. Era ben consapevole che la guerra stava per finire, ma le possibilità che finisse bene erano … praticamente inesistenti. E la colpa, di questo, era anche sua.
Quanti erano morti a causa della sua inazione?
Certo, si era prodigato più di chiunque altro per perorare la causa di Shepard, aveva impedito che finisse davanti alla corte marziale e le sue implorazioni avevano convinto Hackett a schierare le flotte in difesa della Terra, ma era forse sufficiente?
Anderson osservò il fumo che s’innalza nell’aria assieme alle anime di duecento bravi soldati e, mentre il sole, stanco, si apriva un varco tra le nubi che adombravano la città insanguinata, si disse che no, non era stato sufficiente.
Non aveva mai creduto realmente a Shepard.
Lo stimava, era il figlio che non aveva mai avuto, per questo lo aveva difeso, ma quella storia di antichi alieni mietitori di mondi non l’aveva mai convinto.
Che ingenuo sciocco era stato.
Il sangue di milioni, miliardi, di persone, sporcava le sue mani come quelle di tutti i politici che non avevano creduto ad uno Spettro morto.
Se l’avessero fatto cosa sarebbe cambiato?
Forse niente, forse tutto.
Avrebbero potuto costruire bunker, rifugi, depositi d’armi e munizioni, avrebbero potuto preparare i soldati alla guerriglia e i civili alla sopravvivenza, soprattutto, avrebbero potuto scoprire e costruire il Crucibolo molto prima.
Ma non l’avevano fatto e adesso ne pagavano le conseguenze, come i Prothean prima di loro e chissà quanti altri prim’ancora.
La Cittadella era sopra di lui, bella e alinea come l’aveva sempre vista, impenetrabile, irraggiungibile: si chiese se il segreto della loro morte o salvezza fosse custodito al suo interno.
Sospirò, appoggiando il capo contro la fredda parete di mattoni.
Non sentì il radiofonista irrompere, trafelato, nella stanza, ma la sua voce eccitata lo riscosse – Hanno risposto, signore!-
Anderson si voltò, incapace, per una volta, di mascherare le sue emozioni – Chi?- domandò con voce acuta.
- Il comandante Shepard, signore. Stanno mobilitando le flotte: arrivano.-
Anderson non riuscì a trattenere un ruggito di gioia ma la sua esclamazione venne sovrastata dal fragore di una navetta in arrivo. A giudicare dal rumore doveva essere in pessimo stato.
Incuriosito, Anderson guardò fuori, in quel momento la navetta atterrò e dal portellone uscì, malconcio ma incolume, il maggiore Coats: dunque c’era ancora qualcuno vivo, là fuori.
Anderson si allontanò dalla parete e sorrise al radiofonista, il primo vero sorriso da quando la Normandy aveva lasciato Vancouver.
- Londra chiama, ragazzo: facciamogli sentire la nostra risposta.-
 
 
Note
 
Questo capitolo vorrebbe essere speculare e opposto a quello su Thessia. Da una parte c’è un mondo che muore, dei soldati che perdono le speranze, un popolo che non ha possibilità di salvezza, mentre la Terra e la sua gente in qualche modo spera ancora in un lieto fine.
Ho usato il condizionale perché non sono sicura di aver raggiunto l’obiettivo prefissato, ma fa niente, meglio di così non riesco a fare, purtroppo.
 
Mancano pochi capitoli alla fine e che sto cercando di rimandare il più a lungo possibile, mi scuso se vi sto facendo aspettare, ma la prospettiva di chiudere questa storia m’immalinconisce molto.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a questo punto, il vostro sostegno anche silenzioso è stato assolutamente fondamentale.
Alla prossima!
  
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