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Autore: _Trixie_    11/11/2013    9 recensioni
[Spoiler terza stagione, Swan Queen]
La storia prende il via dopo L’Isola Che Non C’è, Henry è stato salvato e ora è tornato a Storybrooke, con la sua famiglia al completo. Al loro ritorno scopriranno che alcune cose sono cambiate, non solo a Storybrooke, ma anche nel loro animo, e che altre, invece, sono semplicemente destinate a rimanere tali.
“«Ora credi di poter avere la persona che desideri?» domandò Regina, appoggiandosi alla lavastoviglie con il fianco per chiuderla.
«Non lo so. Forse… forse ora c’è una speranza».
«Sei schifosamente figlia di tua madre» rise Regina, facendole segno con il capo di seguirla.
«Voleva essere un insulto?» domandò Emma, mentre percorreva i corridoi di casa Mills e si sedeva nello stesso luogo in cui Regina l’aveva accolta la prima volta in cui si erano incontrate.
«No, non esattamente» confessò il sindaco, mentre prendeva posto di fronte a Emma. «Comunque, se c’è una speranza, dovresti provarci. Scommetto che non sa nemmeno quello che provi».
Emma spalancò la bocca, stupita.
«Te lo sei dimenticata, Swan? Io so sempre tutto quello che succede a Storybrooke… o che non succede».”
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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II. Il primo appuntamento
 

A Storybrooke non ci fu cittadino che non aiutò a ristrutturare la parte della città andata persa nell’incendio e quando finalmente i lavori si conclusero e le case vennero ultimate, le strade vennero decorate e illuminate a festa, mentre nel cortile e nel giardino della scuola vennero disposti tavoli di ogni sorta, grandi, piccoli, quadrati, rotondi, la cui varietà venne superata solo delle innumerevoli sedie a disposizione. Ogni cittadino di Storybrooke portò da mangiare e il banchetto che si tenne fu uno dei più confusi e divertenti che la cittadina avesse vissuto nella sua breve vita, nonostante il pungente freddo autunnale.
Regina Mills sedeva alla stessa tavola di Emma Swan, su invito del piccolo Henry, che tanto aveva insistito per avere tutta la famiglia vicina. Persino il signor Gold si era dovuto rassegnare alle insistenze del ragazzino, alle cui richieste si era immancabilmente unita Belle.
In ogni caso, comunque, Regina non aveva nessun altro che le offrisse un posto alla propria tavola, nemmeno se si era presentata con tre teglie delle sue famose lasagne, una delle quali, naturalmente, era riservata esclusivamente a Henry.
«Oh, no, Regina, con quelle finiremo per morire tutti di indigestione» commentò Emma quando la vide appoggiare una dopo l’altra le teglie.
«Un modo originale per farci fuori persino per la Regina Cattiva» osservò il signor Gold, divertito.
«Tremotino!» lo rimproverò Belle, bonariamente, dandogli una leggera spallata.
«Scusa, tesoro, non ho saputo resistere».
Henry rise e Regina finse di non aver sentito la battuta, mentre Emma si appuntava mentalmente di non fare riferimenti a omicidi conclamati, sospetti o tentati in presenza di Regina.
«Le hai già assaggiate?» domandò invece curiosa Mary Margaret alla figlia.
«Una volta ha mangiato con me e la mamma. Voglio dire, mamma Emma si è fermata a mangiare con me da mamma Regina» specificò Henry. «Forse è tempo che trovi dei nomi in codice per entrambe».
«Davvero? Non ne sapevo nulla» disse Mary Margaret, sorpresa.
«È stata una cosa improvvisa» disse Emma.
«Già, Henry ha insistito tanto» sottolineò Regina.
«Oh, va bene».
«Che affiatamento, si direbbe che L’Isola Che Non C’è non cambi solo l’animo dei bambini, anzi, non vi riconosco quasi più» si intromise il signor Gold, mellifluo. Emma ebbe la sensazione che avesse capito più di quanto gli fosse lecito e lo sguardo duro di Regina le confermò questa impressione.
Non avevano più parlato del-, insomma, di quello che era accaduto, e nessuna delle due aveva intenzione di farlo. Se una temeva l’umiliazione che ne derivava, l’altra temeva di risvegliare desideri che difficilmente sarebbe stata in grado di accettare.
«Oh, Tremotino, smettila di stuzzicare Regina, vieni» disse Belle, tirandolo per un braccio.
«Nonno, andiamo ad allenarci con le spade mentre aspettiamo che arrivino tutti gli altri? Neal ha detto che ci avrebbe aspettato davanti all’ingresso della scuola» propose Henry con entusiasmo.
David lo sollevò da terra e se lo caricò di spalla di traverso, entusiasta della proposta del nipote.
«State attenti voi, con le spade. Henry è solo un bambino!» si raccomandò Mary Margaret.
«Sì, amore, non preoccuparti» urlò David in risposta, agitando appena la mano in segno di saluto.
«Sì, nonna, non preoccuparti» gli fece eco Henry.
Mary Margaret sospirò e scosse la testa, poi guardò Emma.
«Polso» disse lo sceriffo, dopo un istante di riflessione.
«No, questo mese sarebbe la terza volta. Spalla» rispose sua madre.
«Di cosa state parlando?» domandò Regina .
«Oh, nulla. Solo che Neal e David si lasciano prendere un po’ la mano quando giocano con le spade e finiscono sempre per farsi male. Così noi scommettiamo in quale punto del corpo il Principe Azzurro avrà il prossimo livido» spiegò Emma, velocemente.
«Oh, chiaro» annuì Regina.
«Sarà meglio apparecchiare, mezzogiorno si avvicina in fretta. Emma, ti dispiace tornare alla macchina e prendere i piatti? Li ho dimenticati» propose Mary Margaret.
«Nessun problema» rispose pronta lo sceriffo, afferrando le chiavi e allontanandosi dalla madre e Regina.
 
Mary Margaret passò i bicchieri a Regina perché li sistemasse sulla tavola.
«E così tu e Emma siete amiche, ora» disse Biancaneve, con tono leggero.
«Sì, una specie, credo» rispose Regina, guardinga.
«L’hai invitata a cena».
«Henry voleva…»
«Emma non si sarebbe mai fermata se avesse percepito che il tuo era solo un invito di cortesia. E sai che Emma queste cose le capisce» la fermò Mary Margaret con un sorriso. «Volevo solo… volevo solo dirti che va bene, che tu e mia figlia siate amiche. Forse lei riuscirà dove io ho fallito, Regina».
«Cosa intendi dire?»
«Forse riuscirà a farti tornare quella che eri».
 
«Mamma?» disse Henry, quando finì il suo secondo piatto di lasagne.
Sia Emma che Regina si voltarono verso il ragazzo che era seduto tra di loro nello stesso istante.
Il signor Gold non perse questo dettaglio, seppur intento a farsi imboccare da Belle.
Henry sospirò.
«Ve l’ho detto che servono dei nomi in codice. Però intanto a me serve dell’altro cibo, ho fame».
«Henry, hai mangiato due piatti di pasta della nonna, quasi la metà del pasticcio di Belle, due fette della strana frittata del signor Gold e due porzioni delle lasagne di Regina. Non puoi avere fame» elencò Emma, incredula.
Henry le fece segno di avvicinarsi con l’orecchio e lei acconsentì.
«E ho ancora spazio per il tuo dolce alla cannella, anche se so che sarà disgustoso, farò finta di apprezzarlo. In fondo è la prima volta che tocchi un forno» sussurrò.
«Henry!»
«Mangia e zitto?» domandò il ragazzino.
Emma scosse la testa e annuì, mentre Henry porgeva il piatto a Regina.
 
«Una torta alla cannella. Questa deve essere di Mary Margaret o Emma, sono le uniche a sopportarne il gusto!» commentò Tremotino, quando Emma scoprì il piatto sul quale era posato ciò che considerava il suo primo tentativo di cucinare qualcosa.
«L’ha fatta Emma» confermò Henry.
«Oh, in questo caso è molto più probabile che ci uccida questa torta che le lasagne di Regina. Comunque, a giudicare dagli ultimi sviluppi, non mi stupirei se venisse fuori che sono complici» sogghignò Tremotino, gustandosi il rossore leggero sulle guance di Emma e lo sguardo furioso di Regina.
«Hai visto, Emma? Lo sanno tutti che non sai cucinare, persino il signor Gold!» disse Henry.
«Va bene, va bene, d’accordo. Ma almeno provatela» disse Emma, mentre tagliava la torta a fette. «E siate sinceri».
«La sincerità è carente in questo periodo» commentò Neal, che fino a quel momento aveva parlato il minimo indispensabile. Ancora non riusciva a perdonare Emma, eppure non poteva lasciare Storybrooke, per il bene di Henry.
«Ed ecco la prima fetta per il mio nipote preferito» disse subito Mary Margaret, porgendo il piatto a Henry.
«Nonna, sono il tuo unico nipote. Vuoi davvero sacrificarmi per la torta di tua figlia?»
Emma continuò a tagliare e servire le fette che Mary Margaret distribuiva, ma quando ognuno si trovò davanti la propria porzione, nessuno ebbe il coraggio di provare a mangiarla per primo, nemmeno Emma.
«Oh, andiamo, non sarà poi tanto male, è solo una dannata torta» esclamò Regina, spazientita dal silenzio e dell’imbarazzo che si era venuto a creare.
Portò il primo boccone in bocca proprio mentre Henry iniziava a parlare.
«Fossi in te non lo farei».
«Il disgusto potrebbe risvegliare in te istinti omicidi finora sopiti nei confronti della signorina Swan» aggiunse il signor Gold.
Regina cercò di rimanere impassibile e trangugiò il proprio boccone, ma era evidente che la sua non era stata un’esperienza affatto piacevole.
«Non è male, è che non amo la cannella» disse solo, prima si svuotare il proprio bicchiere d’acqua.
«Che strano, non si direbbe proprio da quel che vedo» commentò il signor Gold.
Gli altri si affrettarono a posare le forchette e a scusarsi con Emma: erano tutti davvero pieni.
 
«Tesoro, non mi sembra il caso di portare i bambini nella foresta» disse Mary Margaret qualche ora dopo la conclusione del pranzo. David si era messo a organizzare con Neal e Ruby un’immensa partita di nascondino per i bambini di Storybrooke nella foresta attorno alla città.
«E perché no? Ruby li sta annusando uno ad uno, non corrono nessun pericolo».
«Ti fa ancora male dove ti ha colpito Neal questa mattina?» domandò la donna.
«No, non molto» disse David, mostrandole il polso. Emma aveva indovinato.
«Fa freddo e diventa buio presto, i piccoli potrebbero farsi male. Lo so che vuoi solo che per loro sia una giornata di festa e che Henry si diverta, ma non è sicuro. Perché non giocate a qualcosa di meno… avventuroso?»
«Perché altrimenti non sarebbe tanto divertente» rispose David, baciando la moglie sulla fronte e richiamando l’attenzione dei bambini con un urlo. L’uomo fece un ampio gesto della mano invitando i bambini a seguirlo in direzione della foresta.
Mary Margaret si voltò verso Emma e Regina, ancora sedute a tavola.
«Vado con loro, so muovermi nei boschi, se dovesse succedere qualcosa…» disse Mary Margaret alla figlia.
«Certo, finisco io di sistemare. Ma Ruby, Neal e David se la sanno cavare, non succederà nulla. E poi i genitori di Storybrooke sono felici di non doversi occupare dei propri figli per qualche ora, si fidano del Principe Azzurro» la rassicurò Emma.
«Perché non sanno che tra tutti è quello che si divertirà di più» commentò Mary Margaret, inseguendo David e la piccola e bassa colonna di bambini che già si incamminava vero la foresta.
«Aspettatemi, vengo anche io!» urlò Leroy, seguito dai suoi fratelli, uno dopo l’altro. Per ultimo passò Scricciolo.
Regina fece una smorfia.
«Nani».
«Non li sopporti proprio, eh?» domandò Emma.
«Non godono esattamente della mia simpatia» ammise Regina. «E la cosa è reciproca».
«Ascolta, credi che il signor Gold…» iniziò lo sceriffo. 
«Sì» disse il sindaco, senza nemmeno aspettare che la ragazza concludesse la domanda. «E, credimi, la cosa non fa che infastidirmi».
«Lo trovo solo imbarazzante. E umiliante. Non capisco come faccia il signor Gold a leggermi come se per lui fossi un libro aperto» commentò Emma.
Regina la guardò con gli occhi stretti a due fessure.
«Ti facevo più perspicace » disse, scuotendo la testa, divertita.
«Di cosa stai parlando?»
«Una volta mi hai detto che sapevi leggere tra le righe, Swan. Ancora non hai capito? Il signor Gold lo sa e se il signor Gold lo sa significa che c’è qualcosa da sapere» disse Regina.
«Sa che io…».
«No, Emma, non è il soggetto corretto».
 
Ogni bambino di Storybrooke tornò a casa sano e salvo quella sera, dopo aver giocato a nascondino con il Principe Azzurro. In realtà, ci fu un solo bambino che era finito in un rovo di spine e ora si lamentava del dolore: David.
«Stai fermo, tesoro, è l’ultima, poi le ho tolte tutte» gli disse Biancaneve, che si stava occupando di lui.
Henry stava raccontando per l’ennesima volta di come suo nonno si era infilato in quel cespuglio pur di non farsi trovare, senza badare alle spine.
«Emma? Emma!»
Mary Margaret dovette alzare il tono della voce per richiamare l’attenzione della figlia, che guardava fuori dalla finestra immersa nei propri pensieri.
«Sì? Scusa, stavo pensando ad altro» si affrettò a dire Emma, raggiungendola.
«Mi serve una mano, puoi tenere premuta questa garza sulla spalla di tuo padre mentre cerco dell’altro disinfettante? A cosa pensavi?»
«Oh, nulla, lavoro» disse Emma, facendo come le veniva richiesto.
«Lavori molto, ultimamente» le fece notare David. «Forse dovresti prenderti una pausa, pensare a te stessa. Magari al tuo… cuore. Neal è un bravo ragazzo, forse se tu…» iniziò l’uomo, ignorando completamente la moglie che gli faceva segno di tacere alle spalle di Emma.
«Vedo che Neal parla molto più con te che con me» commentò lo sceriffo, premendo con la garza.
«Dico solo che ci sono cose che dovresti sapere, che dovresti aver capito. Non badare solo alle sue parole, bada ai suoi comportamenti. Di come lui, ad esempio, sia ancora-».
Non badare solo alle sue parole, bada ai suoi comportamenti.
«Sono sicura che tutto questo sia molto interessante, davvero. Ma mi sono appena resa conto di una cosa, scusate, devo tornare di corsa in ufficio» disse Emma, lasciando cadere la garza a terra e precipitandosi fuori di casa con le chiavi dell’auto in mano.
La porta d’ingresso sbatté violentemente, facendo sussultare gli altri tre, rimasti attoniti di fronte al comportamento di Emma.  
«Non credo stia andando in ufficio» commentò Henry, dopo qualche istante di silenzioso stupore.
«Infatti, lo credo anche io» disse Mary Margaret, affrettandosi a tamponare il sangue di David.
«Sorrideva troppo, per una va che in ufficio. La seguiamo?» propose il ragazzino.
«Henry, ma come ti viene in mente? Non spieremmo mai nostra figlia. E nemmeno tu dovresti!» disse Biancaneve, mentre l’entusiasmo per la proposta del nipote svaniva velocemente dal viso di David.
«È per il suo bene» tentò di convincerli Henry.
«No, tesoro, Emma sa badare a se stessa» disse Mary Margaret, anche se in cuor suo moriva dalla voglia di scoprire in quale guaio sua figlia si stesse cacciando.
 
Emma suonò il campanello del numero 108 con insistenza, fino a quando non vide una luce al piano superiore accendersi.
La porta si aprì qualche minuto dopo.
«Henry sta bene?» domandò Regina allarmata quando vide lo sceriffo alla sua porta.
«Sì, sta bene. E io ho capito» disse Emma, entrando senza nemmeno attendere un invito. Il sindaco chiuse la porta dietro di lei.
«Cosa hai capito?» volle sapere Regina, assonnata. Ora che lo preoccupazione per Henry era sparita, il sonno era tornato a impossessarsi di lei.
«Quello che il signor Gold sa. Non erano frecciatine rivolte solo a me, Regina, non è vero? Erano frecciatine rivolte a noi» spiegò Emma, concitata, mordendosi il labbro inferiore.
Regina sorrise.
«Credo che sia meglio che tu torni da Henry, Emma».
«Dimmi se ho ragione o meno».
«Non dirò proprio nulla, Swan, va’ a casa, prima che i tuoi genitori mi accusino di averti rapita» le consigliò Regina.
«Puoi sempre negare. Rispondimi, Regina. Lui parlava di noi, non è vero?»
«Capiresti se mentissi».
«Lo so, per questo voglio che tu mi risponda. Non deve essere la verità, devi solo rispondere».
Regina si strinse la vestaglia attorno al corpo, guardando negli occhi quella giovane che si era precipitata a casa sua solo per un’intuizione.
«Non c’è nessun noi, signorina Swan» disse Regina, aprendo la porta perché Emma se ne andasse.
Lo sceriffo trattenne il respiro e uscì dalla casa del sindaco e, mentre scendeva le scale, sorrise.
Regina aveva mentito e glielo aveva letto negli occhi.
 
Il campanello della casa di Regina suonò. La donna mise le scarpe, prima di andare ad aprire. Doveva andare al lavoro, quella mattina, chi diavolo veniva a casa sua a quell’ora?
«Signorina Swan. Il suono del mio campanello ti piace tanto?» domandò Regina, trovandosi davanti Emma.
«Non è esattamente il suono del campanello che mi piace» rispose con una smorfia lo sceriffo.
Regina aprì la bocca per replicare, poi la richiuse, trattenendosi a stento dal ridere. 
«Ci stai provando con me?»
«Forse».
«Lo sai che una frase del genere è da pervertiti?»
«Sì, potrei saperlo».
«Non hai speranze, Swan» disse Regina, scuotendo la testa.
«Ti dimentichi chi sono i miei genitori» le ricordò Emma.
Il sindaco diede le spalle ad Emma per nascondere il sorriso divertito che quella risposta aveva provocato.
«Cosa ci fai qui? Devo andare al lavoro» disse Regina, allontanandosi dalla porta per indossare il cappotto e prendere la borsa.
«Ho accompagnato Henry a scuola. Passavo di qui per caso e ho pensato che sarebbe stato carino salutare la madre adottiva di mio figlio».
«La scuola è dall’altra parte della città» le fece notare Regina, uscendo di casa e chiudendo la porta dietro di sé.
«Ah, davvero è tanto lontana?» domandò Emma, fingendosi stupita.
«Emma Swan, io verrò anche dal mondo delle fiabe, come lo chiamate voi, ma, Dio, devono essere anni che non rimorchi qualcuno per essere tanto scadente» disse Regina, dirigendosi verso la propria auto seguita a ruota da Emma.
«È che in genere erano gli altri a rimorchiare me. Ed erano uomini» si giustificò Emma. «Comunque, puoi sempre farmi vedere come si fa».
«Buona giornata, Emma Swan» si limitò a dire Regina, mentre saliva in macchina.
Ingranò la marcia e prese la via verso il proprio ufficio, prima che Emma potesse vedere il sorriso che era riuscita ad accendere sul suo volto e che, dannazione, non voleva scomparire.
 
«Regina Mills. Il mio ufficio ti piace tanto?» domandò Emma, quando vide il sindaco entrare nella stazione di polizia.
«Sai, volevo sgranchirmi le gambe, con tutte le ore che passo seduta dietro quella scrivania, e mi sono detta perché non passare a trovare la madre biologica di mio figlio?»
«Il tuo ufficio è dall’altra parte della città, rispetto al mio».
«Ah, davvero è tanto lontano?»
«Hai ragione, come frasi da rimorchio fanno pena» ammise Emma, scuotendo la testa.
«Non stavo rimorchiando» commentò Regina. «Non sono il genere di donna che ha bisogno di parlare per ottenere certe cose» le fece notare il sindaco.
Emma rise.
«Sul serio, cosa ci fai qui?» domandò lo sceriffo, immaginando ci fosse qualche problema di ordine pubblico per la quale venisse richiesta la sua presenza.
«Stiamo andando a pranzo insieme» spiegò Regina, accennando con un cenno del capo alla porta.
«Davvero?» domandò Emma, alzandosi lentamente per indossare la propria giacca.
«Sì, Swan, datti una mossa, la pausa pranzo non dura in eterno».
«Ma tu non hai nessuno che ti impone orari».
«No, appunto, ma tu devi fare rapporto al sindaco».
 
Quando Regina entrò da Granny’s seguita da Emma, tutti i clienti si voltarono incuriositi in direzione delle due donne. Tempesta in arrivo, pensarono alcuni, chiedendosi chi delle due avrebbe preso per i capelli l’altra per prima.
Eppure lo sceriffo e il sindaco si sedettero, ignorando gli sguardi estranei puntati su di loro, come avevano imparato a fare ognuna per conto proprio, mentre crescevano ciascuna in un mondo che non le capiva.
Forse avevano in comune qualcosa in più di un figlio.
«Allora, come è riprendere la routine da sindaco?» chiese Emma, mentre sfogliava distrattamente il menù. Sapeva già cosa avrebbe ordinato.
«Noioso. Non ho mai mangiato in questo locale, non c’è qualcosa che non sia… un panino o una sottospecie di panino?» domandò Regina, scorrendo il menù alla ricerca di qualcosa che somigliasse anche solo vagamente a un pranzo.
«Abiti a Storybrooke da dieci anni e non hai mangiato da Granny’s?»
«Ti sembro il tipo da hot dog, Swan?» chiese ridendo il sindaco.
 «Ma Henry adora mangiare qui, mi ha detto che ci veniva anche con te».
«Sì, certo, lo portavo a fare merenda quando riuscivo ad avere venti minuti di pausa dall’ufficio» disse Regina.
«Dall’ufficio o da Graham?» indagò Emma.
«Siamo già passate agli ex?»
«Le vostre riunioni comunali erano piuttosto… chiacchierate» disse Emma, ricordando il precedente sceriffo con una punto di tristezza.
«Cosa vi porto?» interruppe Ruby, visibilmente a disagio nel dover servire Regina.
«Per me un hamburger con doppio di… tutto. E patatine fritte a parte» disse Emma.
«Il solito, insomma» sorrise Ruby, conoscendo a memoria i piatti preferiti di ogni cliente abituale.
«Ordina anche lei?» chiese poi, guardando il sindaco.
«Io… »
«Un hamburger anche per il signor sindaco. Fallo leggero, Ruby» intervenne Emma, notando che Regina ancora non riusciva a scegliere cosa mangiare dal menù.
«Perfetto, arrivano» annuì Ruby, prendendo i menù e avviandosi in cucina.
«So ordinare da sola» precisò Regina con sguardo truce verso Emma.
«Sì, lo so, ma così è più divertente» minimizzò lo sceriffo.
Dopo qualche minuto arrivarono gli hamburger ordinati, ancora caldi, e Emma sussurrò a Ruby di mettere tutto sul suo conto. In realtà, non si trattava esattamente del conto di Emma, ma di quello di Henry, che si fermava spesso da Granny’s a mangiare anche senza lo sceriffo. A fine mese Emma saldava il conto, ma aveva il forte sospetto, dato l’appetito di suo figlio, che Ruby segnasse meno del dovuto, per questo lasciava delle consistenti mance all’amica.
Ruby rimase sorpresa, ma annuì e non lasciò lo scontrino sul tavolo.
Emma guardò Regina e vide il sindaco che fissava il suo piatto. Sembrava non aver notato quel dettaglio.
«Cosa c’è?» domandò lo sceriffo.
«E poi ti chiedi da chi Henry abbia preso tutto quell’appetito. Sul tuo piatto non ci sta più nulla».
«Faccio un lavoro attivo, ho bisogno di mangiare» si giustificò Emma, risentita e per nulla invidiosa del piatto quasi vuoto di Regina.
«E da te ha anche preso la battuta pronta».
«In questo non scherzi nemmeno tu» ribatté Emma, addentando risentita il proprio hamburger e invitando una riluttante Regina a fare altrettanto.
 
«Quindi questo era una specie di… primo appuntamento?» domandò Emma di fronte al municipio, dove aveva accompagnato Regina.
«Non lo so, tu cosa credi?»
«Credo che se fosse un primo appuntamento, e non dico che lo è stato, ma solo che potrebbe esserlo stato-»
«Continua pure, sembra tu abbia le idee molto chiare».
«Sto solo dicendo che se fosse stato un primo appuntamento, sarebbe carino se tu… mi baciassi» disse Emma, guardando prima la punta dei propri stivali e poi il viso di Regina.
«Ah, capisco. E perché dovrei essere io a farlo?»
«Perché io l’ho già fatto»
«Buon motivo, peccato che questo non sia stato un primo appuntamento» disse Regina, stringendosi nelle spalle.
«Io dico che lo è stato» protestò Emma.
Regina sorrise, di quel sorriso che dedicava soltanto ad Emma e che poteva contenere tutte le parole del mondo, pur non pronunciandone nessuna. Era un sorriso che poteva significare ogni cosa, ma anche il nulla, ed era un sorriso che non si poteva cogliere e basta, lo si doveva decifrare. E, per poterlo fare, non avevi che una scelta. Guardare Regina, dritto negli occhi, e sfidarla.
Per questo, era il sorriso dedicato soltanto ad Emma, perché soltanto Emma aveva l’insana abitudine di sfidarla.
«Lo sai che ho ragione» disse lo sceriffo.
Regina non disse nulla, ma fece un passo avanti verso Emma e le morse il labbro inferiore, solo per qualche secondo.
«A te la scelta se considerarlo un bacio, Emma Swan» sussurrò, mentre si allontanava lentamente camminando all’indietro. Poi si voltò e sparì, inghiottita dalle porte del municipio.
Emma lo considerò un bacio. 
   
 
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