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Autore: _Trixie_    04/11/2013    9 recensioni
[Spoiler terza stagione, Swan Queen]
La storia prende il via dopo L’Isola Che Non C’è, Henry è stato salvato e ora è tornato a Storybrooke, con la sua famiglia al completo. Al loro ritorno scopriranno che alcune cose sono cambiate, non solo a Storybrooke, ma anche nel loro animo, e che altre, invece, sono semplicemente destinate a rimanere tali.
“«Ora credi di poter avere la persona che desideri?» domandò Regina, appoggiandosi alla lavastoviglie con il fianco per chiuderla.
«Non lo so. Forse… forse ora c’è una speranza».
«Sei schifosamente figlia di tua madre» rise Regina, facendole segno con il capo di seguirla.
«Voleva essere un insulto?» domandò Emma, mentre percorreva i corridoi di casa Mills e si sedeva nello stesso luogo in cui Regina l’aveva accolta la prima volta in cui si erano incontrate.
«No, non esattamente» confessò il sindaco, mentre prendeva posto di fronte a Emma. «Comunque, se c’è una speranza, dovresti provarci. Scommetto che non sa nemmeno quello che provi».
Emma spalancò la bocca, stupita.
«Te lo sei dimenticata, Swan? Io so sempre tutto quello che succede a Storybrooke… o che non succede».”
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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Personaggi: Emma Swan, Regina Mills, Henry Mills (Biancaneve | Mary Margaret Blachard, Tremotino | Signor Gold, Principe Azzurro | David Nolan, Belle)
Pairing: Swan Queen (Rumbelle, Snowing )
Tipo di coppia: Femslash (Het)
Rating: Arancione
Generi: Sentimentale, Slice of life, Triste
Note: What if?
Avvertimenti: Spoiler!
Introduzione: La storia è stata scritta dopo alcune puntate della terza stagione, perciò alcuni dettagli (come il fatto che David sia impossibilitato a tornare a Storybrooke) non sono stati presi in considerazione. E non perché non volessi farlo, ma perché i produttori sono troppo imprevedibili e giocano certi scherzi poco simpatici.
La storia è composta da cinque capitoli e l'aggiornamento sarà ogni lunedì ;D 
Spero che vi piaccia, buona lettura, 
Trixie :)

 
A K., per la pazienza nell'aiutarmi 
a scegliere i titoli.
 
 
 
I. Primo bacio
 
 
Quando Regina, Emma e tutti gli altri tornarono dall’Isola Che Non C’è con Henry, scoprirono che i giorni a Storybrooke non erano trascorsi esattamente nel più tranquillo dei modi.
«Belle!» urlò il signor Gold dal ponte della nave di Uncino che stava attraccando al porto. Nonostante l’andatura poco regolare, l’uomo fu il più veloce a scendere sulla terra ferma per stringere a sé la ragazza che gli corse incontro.
Gli abitanti di quel piccolo angolo del Maine, che sembravano essersi raccolti al porto, applaudirono quando videro Henry, stretto tra le sue mamme, sorridere sano e salvo.
«Ma che diavolo è successo qui?» domandò invece Regina, rabbuiandosi immediatamente mentre il suo sguardo scorreva in lontananza.
«Cosa?» domandò Emma, che ancora non aveva notato nulla, ma che impallidì nel seguire lo sguardo di Regina. Oltre gli edifici del porto, piccole linee di fumo si alzavano verso il cielo grigio a brevi intervalli.
«Belle, cosa è accaduto alla mia città?» domandò il sindaco alla ragazza quando la ebbe raggiunta. Il signor Gold stava giusto chiedendo il quel momento la ragione degli occhi tristi di Belle e delle sue numerose scottature sugli avambracci e sul volto.
«Un incendio nella foresta» disse Belle, scuotendo la testa. «Siamo riusciti a domarlo solo da qualche ora, non abbastanza in fretta perché non si propagasse alla città. La scuola e molte case in quella zona sono andate distrutte, insieme a un’ampia parte della foresta».
«Un incendio? Avete fatto delle indagini? Sapete già se è scoppiato a causa di un caso sfortunato o se è stato provocato da qualcuno?» intervenne Emma.
«Abbiamo già il nostro piromane» disse Ruby, che si unì alla conversazione con Mary Margaret e David. Gli unici a rimanere sulla nave furono Uncino e Neal.
«Chi è stato?» domandò Regina, con furia.
«Ritiri gli artigli, sindaco Mills» la avvisò Ruby. «Avete presente la storia dei tre porcellini? Pare proprio che il signor Ludwing abbia incendiato la casetta di paglia costruita nel bosco da uno dei tre fratellini Spoink. Non sopportava gli schiamazzi dei tre bambini mentre giocavano vicino alla sua proprietà».
«Tieni» aggiunse Belle, consegnando un paio di chiavi ad Emma. «Io e Ruby ci siamo occupate dell’ufficio dello Sceriffo e delle questioni amministrative più urgenti in vostra assenza, ma ormai il compito è vostro. Abbiamo arrestato il signor Ludwing, ma lui ha dichiarato di non voler discutere con una donna della questione, è più misogino di quanto mi aspettassi».
«Grazie, ragazze» disse Emma, lanciando un’occhiata eloquente a Regina. Il sindaco scosse la testa, non capendo ciò che l’altra cercava di suggerirle.
«Credo che ti stia consigliando di ringraziare le signorine» bisbigliò il signor Gold nell’orecchio di Regina, che fece una smorfia.
«Sì, certo, grazie» sputò alla fine, con poca convinzione.
Ruby e Belle annuirono, imbarazzate almeno tanto quando Regina.
«Eravamo così preoccupati per voi…» disse Belle, portandosi le mani al petto.
«Ma sono tornati e perché non festeggiare? Tutti da Granny’s, gente!» urlò Ruby, voltandosi verso la folla. «Henry è sano è salvo!»
 
Il giorno dopo il suo ritorno a Storybrooke, Regina aveva ripreso il diretto comando amministrativo della città e si era ritrovata alle prese con una quantità incredibile di richieste relative all’incendio. Per giunta, il mal di testa con il quale si era svegliata quella mattina era uno dei più feroci che avesse mai avuto, forse perché in città c’erano stati schiamazzi e urla fino all’alba a causa dell’improvvisata festa di Ruby, cui aveva partecipato solo per qualche ora, rimanendo per lo più in disparte. Quelle non erano situazioni che le si addicevano.
Così come l’amministrazione di una città non si addiceva a Belle, a giudicare dai documenti e dal disordine che trovò sulla propria scrivania.
La ragazza aveva organizzato in squadre gli abitanti di Storybrooke perché iniziassero a ricostruire le zone che l’incendio aveva divorato, ma ognuna di loro aveva problemi e richieste che sembravano irrisolvibili senza l’aiuto di Regina.
Mancavano gli attrezzi, i materiali, gli uomini, le capacità.
Il sindaco capì che dal suo ufficio non avrebbe risolto assolutamente nulla, così si vide costretta a raggiungere la zona in ricostruzione, nonostante le occhiate poco amichevoli di molti concittadini, che ancora vedevano in lei la cattiva.
Fece della sua auto il centro organizzativo e scoprì che in realtà Storybrooke non mancava assolutamente di nulla e che semplicemente le risorse venivano gestite male.
Leroy sembrava conoscere a menadito ogni chiodo presente nella città e per questo divenne il suo principale interlocutore, nonostante la poca simpatia che scorreva tra i due.
Regina si ripeteva in continuazione di mantenere la calma ogni volta che il nano le lanciava battute sarcastiche.
«Credo che Sua Maestà abbia fatto un’infelice scelta in quanto abbigliamento quest’oggi. Perché non va a casa? Solo per cambiarsi, naturalmente, non è che io trovi insopportabile la Sua presenza».
In effetti, Regina portava stivali alti ormai completamente macchiati di terra, gonna e un poco pratico cappotto, ma non aveva tempo per tornare a casa.
Henry passò a salutarla dopo la scuola, allestita da Belle nei locali della biblioteca con l’intento di conservare un’apparente quotidianità almeno per i più piccoli.
Il ragazzino lasciò il suo zaino sul sedile anteriore dell’auto di Regina e poi raggiunse David e Neal, che lavoravano fianco a fianco per ricostruire l’aula dell’edificio scolastico dove insegnava Mary Margaret. Seguendo suo figlio Regina scorse i capelli biondi di Emma, cui Henry diede un veloce bacio prima di correre via.
Regina non sapeva esattamente cosa fosse successo tra Neal, Emma e Uncino, ma tra loro c’era un’evidente tensione e sembrava che Emma facesse di tutto pur di stare lontana da entrambi. Il vero problema era Neal, che trascorreva molto tempo in compagnia di Henry e, inaspettatamente, di David, mentre Uncino sembrava preferire la solitudine della sua barca e aveva chiaramente fatto capire che non avrebbe alzato un dito per aiutare i cittadini di Storybrooke.
Il giovane sceriffo dovette sentissi osservata, perché si voltò in direzione di Regina e accennò un sorriso, che il sindaco non colse perché distolse immediatamente lo sguardo.
«Tieni» disse una voce qualche minuto dopo, alle spalle di Regina. La donna si voltò e vide Emma porgerle una tazza con del caffè caldo. «Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere» aggiunse.
«Grazie» rispose sorpresa il sindaco, accettando la tazza, ma osservando sospettosa Emma Swan, che si appoggiò al baule dell’auto.
Regina non era per nulla abituata a quei gesti gentili, anche se durante l’esperienza che avevano condiviso sull’Isola Che Non C’è le due donne avevano imparato a convivere e ad unire le forze. Perdere un figlio e provare a salvarlo le aveva avvicinate sempre di più ogni giorno, mostrando loro che ciò che Emma non sarebbe mai stata in grado di fare era alla portata di Regina e viceversa.
«Ho visto che mi stavi osservando, prima».
«Non ti stavo affatto osservando. Mi chiedevo solo in che guaio ti fossi cacciata questa volta» minimizzò Regina, appoggiandosi accanto allo sceriffo.
«Assolutamente nessuno» mentì Emma, sorseggiando il proprio caffè.
«Non sono esattamente la tua… confidente, Swan, ma ti conosco abbastanza da sapere quando stai mentendo. E ora stai mentendo. Cosa hai fatto a Neal e a Unicino?» domandò Regina.
Emma rimase per qualche secondo senza parole, colpita dallo spirito di osservazione e deduzione dell’altra.
«Io…» sospirò. Non aveva ancora raccontato a nessuno di quello che era successo.
E con chi mai si sarebbe potuta confidare su quella dannata isola? David? I diretti interessati? Mary Margaret? Forse, ma da quando aveva scoperto il rapporto di parentela che esisteva tra loro, non riusciva più a guardarla come un’amica.
Sull’Isola, comunque Emma non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea che Regina potesse interessarsi alla sua vita privata e persino ascoltare i suoi problemi.
Certamente, si disse lo sceriffo, si sta solo preoccupando dell’effetto che la mia relazione con Neal o Uncino potrebbe avere su Henry.
«Ho detto a uno dei due di amarlo e ho baciato l’altro. E poi ho dato il ben servito a entrambi» sintetizzò infine Emma. «Ora userai la cosa per danneggiare la mia immagine?»
«No» disse Regina lapidariamente, abbassando lo sguardo. «Non ho motivo di farti del male. Lo sai che non sono più quella donna».
«Hai ragione, scusa».
«Non importa» minimizzò Regina. «Capisco la tua mancanza di fiducia».
Emma sospirò e trangugiò il proprio caffè. In realtà, aveva imparato a fidarsi di Regina, dopo tutto quello che era successo sull’Isola, e ora aveva davvero bisogno di confidarsi con qualcuno che non fosse la propria madre.
«Non provo nulla per Neal e nemmeno per Uncino, non in senso romantico. Non riesco a perdonare Neal per avermi abbandonata e nutro rancore verso di lui, mentre detesto Uncino per quel suo modo spavaldo di porsi e… tutto il resto» spiegò Emma con un gesto vago nella mano che fendette l’aria. «Ma non è davvero questo il problema. Il problema è che, a volte, molto raramente, quasi mai, a dire il vero, provo questo strano e del tutto ingiustificabile impulso di baciare… un’altra persona. E te lo sto dicendo perché mi fido» disse Emma, che parlando si era spostata davanti a Regina.
Il sindaco tacque, guardando l’altra negli occhi sena scorgervi alcun segno di menzogna.
«È una persona che non credi di poter avere, non è vero?» domandò Regina. «Lo capisco dallo sguardo che hai, dal tono di voce».
«No, non posso averla».
«Credo che tu ti stia sbagliando. Con il viso e il corpo che ti ritrovi, dubito che qualcuno possa dirti di no e, in ogni caso, la tua fama di Salvatrice gioca odiosamente a tuo favore» considerò Regina.
Emma sorrise.
«Quasi non ti riconosco, sindaco Mills».
«Quasi ti sopporto, signorina Swan».
 
«Forse non ti è chiaro, nanerottolo, chi di noi ha il potere qui» sibilò Regina Mills in direzione di Leroy, con il viso stravolto dalla rabbia e gli occhi ridotti a due fessure.
«E forse a te non è chiaro, strega, chi di noi ha le capacità migliori, qui» ribatté il nano, anch’egli furioso.
Era il quarto giorno di ricostruzione e i rapporti tra il sindaco e Leroy erano diventati sempre più tesi, logorandosi ora dopo ora, centimetro dopo centimetro, fino all’esperazione. Regina non faceva che rivolgersi a lui in tono scortese e Leroy insisteva nel trasgredire le decisioni di Regina di proposito, anche quando si trattava della scelta migliore.
«Vedi di darmi ascolto d’ora in poi, perché mi viene voglia di strapparti il cuore dal petto ogni volta che ti vedo» lo minacciò Regina.
«Un giorno ti ritroverai la punta del mio piccone conficcata nel tuo, di cuore».
«C’è qualche problema qui?» intervenne Emma Swan, che proprio in quel momento li raggiunse, in cerca di Leroy. Voleva delle indicazioni su ciò che avrebbe dovuto fare quel giorno per aiutare a ricostruire.
«Non sono affari che ti riguardano, Swan» abbaiò Regina, senza distogliere lo sguardo di Leroy.
«Regina, sono sicura che si tratti solo di un malinte-»
«Oh, maledizione, taci. Vai a occuparti dei tuoi dannati problemi sentimentali invece di ficcare sempre il naso nei miei affari» ritorse Regina, alzando il tono della voce.
Emma rimase in silenzio per qualche secondo. Ora sì che riconosceva Regina.
«Avevo bisogno di parlare con Leroy» disse Emma, spostando lo sguardo sul nano.
«Tutto, pur di non dover stare in presenza di questa strega».
«Ti ho già avvisato una volta» disse Regina, facendo un passo avanti.
«Che paura!» commentò Leroy ironicamente. «Se non ti dispiace io vado a fare qualcosa di davvero utile per la città, invece di fingere di supervisionare i lavori. Dimmi tutto, Emma» aggiunse il nano, voltando le spalle a Regina e afferrando il braccio di Emma, per trascinarla lontano dal sindaco.
Lo Sceriffo si voltò per incrociare lo sguardo di Regina, ma questa sembrava troppo impegnata a stringere i pugni e a controllare la rabbia per farci caso.
 
Quella sera Henry cenò da Regina e i due decisero di guardare un vecchio film trasmesso in televisione per trascorrere la serata. Il bambino si addormentò quasi subito, così Regina diminuì il volume e lo coprì con una coperta. Gli accarezzò i capelli castani e guardò il suo piccolo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente, trattenendo le lacrime che minacciavano di rigarle le guance al pensiero di perderlo di nuovo.
A volte, durante la notte, si svegliava terrorizzata, cercando di eliminare dalla propria memoria le immagini di Pan che teneva prigioniero Henry. In quei momenti si trovava a combattere contro la necessità di raggiungerlo, a casa di Emma, e di stringerlo a sé, ma quando quell’impulso si faceva troppo potente per essere vinto – e Regina lo sapeva di non essere mai stata brava a contrastare le passioni violente che si scatenavano in lei – quando non riusciva a resistere alla paura che potesse essere successo qualcosa a suo figlio, Regina usciva nel bel mezzo della notte e guidava fino alla casa di Emma, assicurandosi che tutto fosse tranquillo.
Perciò averlo tanto vicino, quella sera, le dava una calma tale che stava quasi per addormentarsi anche lei, cullata dal respiro ritmico del ragazzo, quando si accorse della macchina gialla che sfrecciò di fronte alla finestra della sala. Emma era venuta a prendere Henry come avevano deciso.
Sospirando amareggiata, Regina fece attenzione a non svegliare Henry mentre si alzava e andava ad aprire la porta. Si trovò di fronte Emma, con il dito a pochi centimetri dal campanello.
«Si è addormentato, non volevo che il suono lo svegliasse» spiegò Regina, in risposta allo sguardo interrogativo di Emma. «Vuoi… entrare?» aggiunse, incerta e titubante.
«Non lo so, credi che debba andare a risolvere i miei problemi?» disse Emma sarcastica.
«Oh, andiamo, mi hai trovata in un momento di rabbia» le fece notare Regina.
«Almeno in quel momento ti ho riconosciuta». 
Le parole di Emma ferirono Regina e lo Sceriffo se ne accorse, a causa dell’ombra cupa che attraversò gli occhi del sindaco.
«Vado a svegliare Henry» disse Regina, accennando a chiudere la porta.
«Aspetta, Regina, non volevo dire che… » tentò Emma, senza sapere come proseguire. «L’invito ad entrare è ancora valido?»
Regina la studiò per qualche secondo, poi annuì e si fece da parte. Accompagnò Emma fino in salotto, dove Henry dormiva ancora beatamente.
«Dorme così bene» disse Emma, sorridendo.
«Già. Io non ci riesco più. A dormire senza fare incubi, intendo» sussurrò Regina, guardando l’altra di sottecchi. «Sai, per via di quello che sarebbe potuto succedere su quell’Isola, a Henry».
«Lo so, Regina, nemmeno io ci riesco. Di notte mi sveglio e controllo che lui sia al sicuro».
«Non volevo essere scortese con te, ieri mattina, solo con quel nanerottolo di Leroy» disse Regina.
«È una brava persona».
Regina fece una smorfia, senza aggiungere altro. Emma stava diventando per il sindaco qualcosa di pericolosamente simile a un’amica, me pretendere che lei sopportasse quei nani sarebbe stato davvero troppo.
Entrambe le donne osservarono Henry per qualche minuto.
«Se vuoi… se Henry vuole, può restare qui a dormire, qualche volta» disse Emma. «In fondo, la sua stanza è vuota, no?»
Regina rimase sorpresa dalla proposta di Emma e si voltò a guardarla di scatto.
«Posso provare a fingere, ma sai perfettamente che non sono cambiata. Non così tanto perché tu possa lasciarmi tuo figlio per un’intera notte. Potrei fuggire con lui» disse il sindaco, con tono secco.
Emma sorrise.
«Non avresti mai detto una cosa del genere prima. E in ogni caso non c’è bisogno di cambiare proprio tutto, di te. Alcune cose sono…ok».
«Un complimento incoraggiante, Swan» commentò sarcasticamente Regina.
«Sull’Isola hai fatto cose che io non avrei mai potuto fare».
«Sull’Isola ho fatto cose che non nessuno dovrebbe mai fare».
«Per salvare nostro figlio» precisò Emma, indicando Henry. I sussurri delle sue mamme non sembravano infastidirlo in alcun modo.
Regina sentì una scarica lungo la schiena, rendendosi conto di quando Emma si fidasse di lei. Lo sceriffo ancora non poteva saperlo, ma sarebbe arrivato il momento in cui l’immagine che Regina stava dipingendo di sé si sarebbe macchiata e l’odio di Emma nei confronti del sindaco avrebbe preso il sopravvento.
Succedeva sempre così, quando le persone iniziavano a fidarsi di Regina, a un certo punto loro semplicemente smettevano di crederci. E allora anche Regina smetteva di crederci.
«Credo che dovremmo svegliarlo» considerò Regina dando un taglio a quella conversazione e, avvicinandosi lentamente a Henry, si chinò all’altezza del volto del ragazzino. «Henry» sussurrò, scoccandogli un bacio leggero sulla fronte. «Henry, tesoro, ti devi svegliare».
Il ragazzo stropicciò gli occhi e, lentamente, mise a fuoco Regina.
«È già ora di andare a scuola?» mugugnò, stropicciandosi gli occhi.
«No, tesoro» sorrise Regina. «Vai a casa con Emma, forza».
Henry alzò la testa e si guardò intorno, prima di incrociare lo sguardo di Emma. Si alzò e si strinse la coperta sulle spalle.
«Ciao, mamma» disse a Regina, mentre si dirigeva all’ingresso.
Barcollò leggermente e mise le scarpe in malo modo. Il sindaco si morse le labbra per non rimproverarlo: sarebbe caduto e si sarebbe fatto male.  
«Buonanotte, Regina» aggiunse Emma, con un sorriso incerto.
«Veglia su di lui» disse la donna, seguendoli fino all’ingresso.
Quando Emma si girò verso di lei un’ultima volta, vide solo la porta bianca con il numero 108 appeso al centro. Non si accorse di Regina che sorrise, guardandoli dallo spioncino.
 
«Tieni» disse Emma, avvicinandosi a Regina che cercava di decifrare una lettera di richiesta da parte di Leroy. Si era bloccata alla seconda riga, non riuscendo a capire la fine della parola che iniziava con “tr”. Aveva la vaga impressione che fosse un velato insulto diretto a lei, volutamente scritto in modo ambiguo, ma non ebbe il tempo di verificarlo, colta alla sprovvista da Emma.
«È la coperta che Henry ha portato a casa per sbaglio, è tua. L’ho lavata» aggiunse lo sceriffo.
«È stato gentile da parte tua, grazie» sorrise Regina, sorpresa dal gesto di Emma.
Era la seconda volta in pochi giorni che Emma si presentava da lei per una questione che non riguardasse minimamente Henry, l’unica cosa che avrebbe potuto essere oggetto della loro conversazione.
«Non è nulla di importante» minimizzò lo sceriffo, mentre le sue dita sfioravano quelle dell’altra, nel passarle la coperta.
«Grazie lo stesso».
«D’accordo, allora, insomma, è tutto. Ci vediamo questa sera? Porto Henry da te per le sette» disse Emma.
«Alle sette, va bene» concordò Regina.
Il sindaco guardò Emma Swan allontanarsi ancora stupita della gentilezza che quella donna le stava dimostrando, una gentilezza che, lo sapeva, non derivava dalla necessità di fare la cosa giusta e nemmeno dal desiderio di sentirsi a posto con la propria coscienza. No, Emma Swan non era quel tipo di persona, lei non era cresciuta nella Foresta Incantata. Lei era cresciuta in un Incubo.
Emma Swan sapeva come andavano queste cose e Regina dubitava fortemente che lei credesse a cose come il lieto fine. Era pur sempre la figlia di Biancaneve, certo, ma da lei non aveva preso nulla.
Perché Emma Swan era il tipo di persona da aver fiducia in Regina, senza illusioni, basandosi solo sulla realtà dei fatti; era il tipo di persona che credeva alle parole di Regina, ascoltando persino quelle taciute; ma soprattutto, Emma Swan credeva in Regina Mills come donna e madre.
  
«Siete in anticipo, è successo qualcosa?» commentò Regina aprendo la porta di casa a Henry ed Emma.
«Mary Margaret e David ci hanno cacciato di casa. È il loro anniversario e vogliono festeggiare» spiegò Henry con un’alzata di spalle, sorpassando Regina e togliendosi il cappotto.
«Oh, capisco» si limitò a dire Regina, guardando turbata Emma.
«Tranquilla, Henry ancora non sa del… modo in cui una coppia… festeggia gli anniversari» si affrettò a precisare Emma.
«Grazie al cielo» disse Regina, visibilmente sollevata.
«Sarà meglio che vada prima che io perda ogni tavolo libero da Granny’s» aggiunse Emma, accennando un saluto e voltandosi. Quando posò il piede sull’ultimo gradino della casa di Regina, la voce del sindaco la fermò.
«Puoi rimanere. A cena » propose Regina.
Emma si voltò lentamente, con la bocca spalancata, incapace di credere alle parole che doveva aver immaginato di udire. Regina Mills la stava invitando in casa sua? Per giunta, sacrificandosi a condividere uno dei pochi momenti che aveva a disposizione per rimanere con Henry.
Il suo primo impulso era stato di accettare, ma probabilmente quello di Regina non era che una cortesia per sdebitarsi del caffè. O della coperta. O forse di entrambi.
Balbettando, Emma si rese conto del tempo che scorreva mentre non riusciva a venire a patti con la propria indecisione, incapace di rispondere all’invito del sindaco.
«Forza, Emma, cosa aspetti?» disse il ragazzino, che aveva origliato le ultime battute della conversazione. Le sue parole sembrarono scuotere Emma e rompere il momento di stallo tra lei e Regina.
«Io…» iniziò Emma, ancora incerta sul da farsi. «Non voglio essere di troppo: è la tua sera con Henry».
«In ogni caso lui parla sempre di te».
«Allora… Rimango».
 
«Ora capisco perché quando ceni da tua madre poi torni a casa con la pancia tanto piena da riuscire a malapena a muoverti» commentò Emma, abbandonandosi allo schienale della sedia dopo aver mangiato l’ultimo boccone di lasagne. Si potevano dire molte cose di Regina, non tutte esattamente lodevoli, ma di certo non si poteva dire che non fosse una cuoca eccellente.
«Se fosse per te mangeremmo sempre pizza» ribatté Henry. «Ce ne sono ancora un po’?» domandò poi, allungando il piatto verso Regina, che annuì.
«Non è assolutamente vero!» protestò Emma.
«Solo perché la nonna cucina per noi» disse Henry, posando il piatto davanti a sé e afferrando coltello e forchetta per avventarsi su un nuovo piatto di lasagne.
Emma fece una smorfia e alzò gli occhi al cielo.
«Non sai cucinare?» domandò Regina, incrociando le mani sotto il mento, i gomiti appoggiati sul tavolo e il busto leggermente sporto in avanti. A differenza della posizione della signorina Swan, quello era un modo appropriato per sedersi a tavola, considerò il sindaco, rassegnata da tempo ai modi poco eleganti di Emma.
«Non bene quanto te» rispose lo sceriffo, che osservava con attenzione la figura di Regina. Oltre ad essere un’eccellente cuoca, Emma dovette ammettere che era una delle donne più belle che avesse mai visto. Si chiese distrattamente quanti anni avesse in realtà, con la storia della maledizione e tutto il resto, ma forse sarebbe stato meglio non indagare.
«Il problema è che non sai nemmeno che forma abbia una padella!» si intromise Henry, dopo aver ingoiato velocemente il boccone che stava masticando.
«Mangia e taci, ragazzino o ti costringerò a pizza e coca-cola per il resto della settimana» lo minacciò scherzosamente Emma.
«Sei una che se la sa cavare facilmente. Pensavo sapessi arrangiarti anche in cucina» considerò Regina.
«No, a dire il vero no. Non stavo abbastanza a lungo in una famiglia perché si fidassero a lasciarmi avvicinare al fornelli o prendere in mano un coltello».
Regina annuì, appoggiandosi allo schienale della sedia e posando le mani in grembo, poi guardò Henry, che faceva scorrere lo sguardo da una mamma all’altra, masticando e concentrandosi sulle sue lasagne.
Nessuna delle due donne sapeva cosa dire, temendo di risvegliare nell’altra ricordi di un passato che volevano entrambe dimenticare.
Il ticchettare dell’orologio e il tintinnare delle forchette sui piatti erano gli unici rumori in quella stanza, ma il ragazzino non sembrò notare quella tensione serpeggiante nell’aria.
«Potrei mangiarne ancora» commentò Henry, quando ebbe finito anche il suo secondo piatto di lasagne.
«Sei un pozzo senza fondo» commentò Emma. «Comunque, si è fatto tardi. Credo che per me sia ora di andare. Ho parlato ad Henry della possibilità di fermarsi a dormire e gli piacerebbe rimanere questa notte» aggiunse, accennando ad alzarsi.
«Vuoi rimanere a dormire?» domandò Regina al bambino, sorpresa.
«Non hai toccato il mio computer mentre ero via, vero?»
«No, certo che no».
«Perfetto! Ciao, Emma» salutò velocemente Henry, dando un bacio sulla guancia alla donna mentre le sfrecciava accanto, diretto alla sua vecchia stanza.
«Ciao» fu tutto ciò che lo sceriffo riuscì a dire, prima di udire un tonfo sordo provenire dalle sue spalle. «Cosa è stato?»
Regina scosse la testa.
«Solo Henry che lascia le scarpe sulle scale» la rassicurò Regina.
«L’ordine non è proprio il suo forte» ammise Emma.
«Questo l’ha preso da te» disse Regina, mentre si alzava per sparecchiare.
Emma fece una smorfia colpevole, incassando il colpo.
«Lascia, faccio io. Sei stata così gentile da condividere la tua sera con Henry con me. Non credere che non sappia quanto ti sia costato invitarmi» disse lo sceriffo.
Emma si alzò e prese piatti e posate dalle mani di Regina, senza lasciarle il tempo di replicare e le portò in cucina. Il sindaco afferrò i bicchieri e la seguì, confusa.
«Non è stato poi tanto male» riuscì infine a dire Regina, porgendo i bicchieri all’altra per avere le mani libere mentre si chinava di ad aprire lo sportello della lavastoviglie, poi aiutò Emma, in silenzio, a mettervi piatti e posate.
«È cambiato qualcosa tra te e Neal? O Uncino?» domandò Regina.
Emma scosse la testa.
«Neal mi odia e non posso biasimarlo. Lo so cosa significa essere abbandonati dalla persona che si ama. Lui lo ha fatto con me. L’unica differenza è che lui lo ha fatto per proteggermi, io… sono solo egoista».
«E Uncino?»
«Non l’ho più visto. Si è rintanato sulla sua Jolly Roger».
«Ora credi di poter avere la persona che desideri?» domandò Regina, appoggiandosi alla lavastoviglie con il fianco per chiuderla.
«Non lo so. Forse… forse ora c’è una speranza».
«Sei schifosamente figlia di tua madre» rise Regina, facendole segno con il capo di seguirla.
«Voleva essere un insulto?» domandò Emma, mentre percorreva i corridoi di casa Mills e si sedeva nello stesso luogo in cui Regina l’aveva accolta la prima volta in cui si erano incontrate.
«No, non esattamente» confessò il sindaco, mentre prendeva posto di fronte a Emma. «Comunque, se c’è una speranza, dovresti provarci. Scommetto che non sa nemmeno quello che provi».
Emma spalancò la bocca, stupita.
«Te lo sei dimenticata, Swan? Io so sempre tutto quello che succede a Storybrooke… o che non succede».
Emma sorrise, sospirò e rimase in silenzio, puntando i propri occhi in quelli di Regina e raccogliendo ogni briciola della propria forza e della propria autodeterminazione.
Non poteva dire una cosa del genere al sindaco, non quando Emma ci aveva messo settimane, mesi, per accettarla.
Non poteva distruggere quella serenità che era venuta a crearsi tra lei e Regina, nonostante i piccoli screzi, solo per egoismo, solo perché lei provava qualcosa che andava di là di un semplice desiderio di amicizia. Doveva pensare ad Henry e a ciò che sarebbe stato meglio fare per Henry.
E poi, non si era mai sentito della Principessa che salva la Regina Cattiva, né in questo, né in nessun altro mondo. Semplicemente, non poteva alzarsi da quella sedia e baciarla, sperando di non venire polverizzata all’istante.
Eppure Emma lo fece e guardò Regina negli occhi per un istante. Poi fuggì.
Perché è questo che Emma Swan era abituata a fare quando le cose diventavano ingestibili.
Emma stava fuggendo e in quel momento aveva deciso di scappare da Regina.
Mise in moto l’auto e guidò per ore, senza mai guardarsi indietro.
 
Emma tornò a casa sua la mattina seguente, poco dopo l’alba. Mary Margaret e David si erano già svegliati e si stavano preparando per uscire. Leroy aveva raccomandato loro di mettersi al lavoro il prima possibile e di sfruttare ogni ora di luce che avevano a disposizione: l’inverno stava arrivando e molti cittadini di Storybrooke ancora non avevano una casa.
«Emma!» esclamò Mary Margaret, infilando il cappotto. «Credevamo stessi dormendo di sopra, con Henry».
«Sono… uscita presto. Un falso allarme» disse lo sceriffo, toccando il proprio distintivo.
«Henry dorme?» chiese David, porgendo il cappellino alla moglie.
«Henry ha passato la notte da Regina» rispose Emma, cercando il latte nel frigorifero pur di non guardare le loro espressioni.
Regina. Ho baciato Regina Mills. Cantilenò una voce nella sua testa, la testa che le aveva tenuto compagnia per il resto della notte, mentre guidava senza meta, via da Storybrooke e dal suo sindaco.
C’era una linea sottile tra follia e audacia e lei sapeva di averla ampiamente oltrepassata la sera precedente.
«Oh» disse David.
«Oh, è per questo che hai quell’aria triste e stanca, tesoro?» chiese Mary Margaret. «Ti manca Henry. Non sei riuscita a dormire affatto questa notte, non è vero?»
«Sì, infatti, non ho chiuso occhio» annuì Emma, riempiendo la tazza di latte.
«Prova a riposare un po’, allora. Parliamo noi a Leroy» disse David.
«D’accordo, grazie, ciao» disse Emma.
«Ciao, tesoro».
 
«Ho lasciato Henry con David. Non ti ho vista oggi, a dare una mano con i lavori» disse Regina entrando nell’ufficio dello sceriffo, senza salutare.
«Io… avevo del lavoro da svolgere» rispose Emma, alzandosi dalla scrivania dietro la quale era seduta. Si aspettava di tutto, ma non la visita del sindaco.
«Swan, te l’ho già detto, io so tutto quello che succede in questa città. Tu non hai niente da fare».
«Burocrazia, archiviazione, sai, quel genere di cose».
«Ti stai nascondendo» l’accusò Regina.
Emma sospirò e tornò a sedersi. Il sindaco aveva colpito nel segno.
«Mi biasimi per questo?»
«No, certo che no. Il tuo è stato un gesto coraggioso, anche se folle. E oserei dire che è stato stupido, da parte tua».
Emma avrebbe voluto sprofondare. Sperò solo che il rossore che sicuramente le aveva inondato il viso non venisse notato. E, soprattutto, sperò che Regina non decidesse di approfittare di quel suo gesto avventato. Certe vecchie abitudini sono dure a morire.
«Almeno su questo siamo d’accordo» riuscì infine a dire Emma, scoprendo di essere in grado di controllare perfettamente il tono della propria voce.
«E così non ti piacciono i pirati e nemmeno i figli del Signore Oscuro, ma hai un debole per le Regine Cattive. Se Biancaneve dovesse scoprirlo morirebbe d’infarto e nemmeno nei miei sogni più rosei avevo mai immaginato un tale destino, Swan. Guadagni un punto per la creatività» commentò Regina, sedendosi di fronte a Emma.
«Stai facendo dell’ironia su quello che è accaduto?» domandò incredulo lo sceriffo.
«Mi biasimi per questo?»
«No, hai uno strano modo di reagire alle situazioni scomode».
«Non sto reagendo, Swan. Tu mi hai… tu hai fatto una cosa. Io so cosa hai fatto e nessun altro lo sa. Credo che la questione si possa chiudere qui».
«Suppongo che dovesse andare così, allora». 





NdA
Volevo solo assicurarvi che Leroy ha scritto semplicemente travi, nel biglietto indirizzato a Regina. Non è colpa sua se ha una scrittura pessima ;D 
Grazie per essere arrivati fin qua, 
Trixie :)

 
   
 
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