Io
no
<<
Procediamo? >> chiede il parrucchiere.
<<
Subito, voglio tornare come prima, il mio
rosso >> rispondo entusiasta.
<<
Bene, mettiamoci al lavoro allora >>
dice.
Ed
è quello che fa. Comincia dal taglio, poi il colore
e… dopo due ore di agonia….
<<
Finito >> dice Julien.
<<
Sei bellissima, mi ero dimenticata quanto ti
donasse il rosso >> dice Alice guardandomi soddisfatta.
<<
Eccoti lo specchio >> dice Cathy
porgendomelo.
Lila.
La mia vecchia e cara Lila. Non pensavo potesse
mancarmi così tanto, sei tornata finalmente. Chi mi ama deve
amarmi per come
sono. La vera Lila. Devo dire che il rosso non è proprio
quello di prima, però
sempre meglio del mio vecchio colore con le meches.
Ringrazio
Julien e Cathy ci riaccompagna a casa.
Chissà cosa ne penserà la mia famiglia del
ritorno della vecchia Lila. Presto
lo scoprirò.
<<
Grazie Cathy, a domani >> dico
saltando giù dall’auto.
Appena
arrivo a casa il mio primo pensiero è papà.
Cosa ne penserà del mio nuovo, ma in fondo vecchio, look?
È la sua opinione che
m’interessa di più tra tutte.
<<
Papà? >> dico.
Non
risponde nessuno.
<<
Papà, papà >> insisto.
<<
Lila, sei tornata >> dice mamma.
<<
Dov’è papà? >> chiedo.
<<
Vedo che hai cambiato look, ti sta molto
bene questo colore >> risponde.
Sembra
ubriaca.
<<
Dov’è papà? >> insisto.
<<
È dovuto partire in fretta >>
risponde.
<<
Così, senza preavviso? >> chiedo
dispiaciuta.
<<
E… tesoro, il lavoro di tuo padre >>
dice andando su per le scale.
Non
mi ha nemmeno avvertito. Poteva anche mandarmi un
sms, invece niente. Perché, che sarà successo?
Vado
in camera mia, la notte porta consiglio e magari
anche qualche spiegazione in più. In questo momento sono
tanti i misteri della
mia famiglia. Forse è meglio fare un bel bagno caldo per
schiarirmi le idee
prima di andare a dormire. E proprio prima di andare a dormire ecco
quello che
mi aspettavo: il messaggio di papà.
“Scusa
tesoro, sono dovuto partire subito, non ho
potuto nemmeno salutarti, in bocca al lupo per gli esami, ci vediamo
prima
della tua partenza. Baci papà.”.
Ecco,
questo è il papà che conosco, quello che mi
racconta sempre tutto e mi rende partecipe della sua vita. Wow,
dovrò passare
gli esami senza di lui, senza il suo sostegno. Ma in fin dei conti
tornerà
subito dopo, prima dell’inizio del mio incubo.
<<
Dai, almeno ci toglieremo il pensiero
>> dice convinta Cathy.
<<
Io non guardo, fatelo voi per me >>
aggiunge Alice tenendoci per mano.
Ci
avviciniamo ai risultati e con un occhio aperto e
uno chiuso cerco il mio nome nella lista. Montgomery, Montgomery,
eccomi.
Montgomery Sheila promossa. Sì, finalmente ho finito il
liceo, ho superato gli
esami e questo è quello che conta di più adesso.
Poi cerco quello di Alice, be
lei è all’inizio della lista.
<<
Promossa >> dico contenta.
<<
Anch’io? >> chiede Alice curiosa.
<<
Ovvio, puoi aprire gli occhi adesso >>
rispondo.
<<
Tutte e tre promosse, visto, che vi avevo
detto? >> dice Cathy.
<<
Adesso dobbiamo festeggiare >>
aggiunge Alice.
<<
Sì, la mia partenza >> rispondo
scherzosa.
<<
Ah ah, divertente, il tuo volo parte stasera
>> dice Cathy.
<<
Infatti, possiamo festeggiare pomeriggio
>> dice Alice.
<<
Mi dispiace ragazze, ma devo fare le valige
>> rispondo dispiaciuta.
<<
Allora festeggeremo aiutandoti a fare le
valige >> dice scherzosa Cathy.
<<
Non penso sarà divertente, però grazie
>> rispondo.
<<
Credimi lo sarà >> dice Alice
allontanandosi.
<<
Ci vediamo dopo allora >> dice Cathy
salutandomi.
<<
A dopo ragazze >> termino.
Mi
aspetta una bella passeggiata fino a casa adesso.
Mi aiuterà a schiarirmi le idee e magari anche a mantenermi
in forma. Metto gli
auricolari e comincio la corsetta.
<<
Ti serve un passaggio? >>
Sento
una macchina alla mia sinistra fermarsi. Ti
prego dimmi che non è lui. Non Luck.
<<
Ehi mi hai sentito? >> insiste.
Mi
giro e… le mie preghiere non sono state ascoltate.
<<
No grazie >> rispondo.
<<
Preferisci camminare piuttosto un comodo
sedile di pelle? >> chiede scherzoso.
<<
Sì, non vado con gli sconosciuti >>
rispondo.
<<
Ed io sarei uno sconosciuto? >> dice
beffardo.
Non
gli rispondo nemmeno, aumento il volume e
comincio a correre più veloce.
<<
Bene, vuol dire che farò una corsa con te
>> continua posteggiando l’auto quasi in mezzo
alla strada.
<<
Fa come vuoi, non posso impedirti di
mantenerti in salute >> rispondo.
E
comincia a parlare, ma non capisco una parola di
quello che dice. Preferisco la musica alle sue parole.
<<
Hai capito? >> dice quasi vicino casa
mia.
Non
dico niente, faccio finta di non sentire.
<<
Lila, hai ascoltato una parola di quello che
ho detto? >> continua togliendomi gli auricolari.
<<
Sinceramente no e non m’interessa, grazie di
avermi accompagnato a casa inutilmente >> termino
entrando nel mio
vialetto.
<<
Sappi solo che io non ho fatto niente
>> dice restando fuori dal cancelletto.
Lo
ignoro, apro la porta e me la richiudo alle spalle
lasciandolo lì. Come può dirmi che non ha fatto
niente? Ha baciato una ragazza
che nemmeno io so chi è, perché insiste su questa
storia? Per fortuna però non
lo vedrò più. Né lui, né i
ragazzi di scuola. Da quando tra me e Luck è finita,
io non conto più niente. Lila chi? Ah, la sorella di Sam.
Non so neanche come
Sam sia rimasta famosa dopo la sua rottura con Luck. Be, non
è il mio caso. È
tornata la vecchia Lila e in fin dei conti non mi dispiace.
<<
E con questo abbiamo finito >> dice
Alice stanca.
<<
Già tutto pronto >> dice Cathy.
<<
Mi mancherete troppo >> rispondo
abbracciandole.
<<
Ci sentiremo tutti i giorni, resteremo in
contatto, in fin dei conti cosa sono tre mesi >> dice
Alice.
<<
Niente in effetti, ma dai miei nonni sono
un’eternità >> rispondo.
<<
Lila, andiamo >> urla papà
dall’ingresso.
<<
È ora di salutarci >> dico con una
lacrima che mi riga il volto.
<<
Ci mancherai >> dice Cathy
salutandomi.
<<
Mi raccomando, fai conquiste >> aggiunge
Alice.
<<
No grazie, io ho chiuso con i ragazzi
>> rispondo.
Scendo
le scale con le valigie in mano e ad
aspettarmi ci sono mamma e Sam.
<<
Abbi cura di te >> dice Sam
abbracciandomi.
<<
Anche tu >> rispondo.
<<
Ciao tesoro, mi raccomando comportati bene
dai nonni >> dice mamma salutandomi.
Solo
questo gli interessa? Pronto, tua figlia sta per
andarsene!
Annuisco, non
posso promettergli niente. Saluto tutti e mi dirigo verso
l’auto di papà.
<<
Hai preso tutto >> mi chiede una volta
salita in auto.
<<
Credo di si >> rispondo.
Mette
in moto e via, direzione aeroporto.
<<
Ciao tesoro, ci vedremo presto, magari
qualche volta ci vediamo a New York, ho qualche cliente lì
>> dice
abbracciandomi.
Be
magari, almeno una figura amica. Non voglio
lasciarlo, no. Ma perché devo andare via, che cosa ho fatto?
Meglio non
chiederglielo, altrimenti ricomincerebbero le discussioni con la mamma.
<<
A presto, papà >> termino.
Prendo
le valige che sono quasi più pesanti di me e
mi dirigo verso il check-in. Non amo gli aerei, soffro di vertigini.
Non potrò
tenere la mano a nessuno o forse potrei chiedere al mio vicino. Non so,
ci
penserò dopo. Dopo un’ora d’attesa, ecco
il mio volo. Salgo a bordo e… non
penso che terrò la mano a qualcuno. È un bambino.
Il mio vicino è un bambino
che sembra più coraggioso di me. Non posso farmi vedere
debole. Quindi chiudo
gli occhi e aspetto che termini il decollo. E in meno di cinque minuti
sono già
tra le nuvole.
<<
Grazie di aver scelto la nostra compagnia e
buona giornata >> dice l’assistente di volo con
il microfono.
Sono
queste le parole che mi svegliano. Sono
arrivata, sono a terra. Scendo dall’aereo e passo a prendere
le valige. Ad
aspettarmi c’è qualcuno. Un uomo che non ho mai
visto con in mano un cartello.
“Montgomery”. Questo c’è
scritto, il mio cognome. Mi avvicino a lui, sarà per
me quel cartello.
<<
Io mi chiamo Sheila Montgomery, sta cercando
me? >> chiedo.
<<
Lei è la nipote del signor Richard
Wanderbilt? >> domanda.
<<
Sì, mio nonno >> rispondo.
<<
Perfetto, devo accompagnarla alla villa. I
suoi nonni si scusano per non essere venuti a prenderla
>> dice.
Wow,
i miei nonni si scusano con me. Questa sì che è
una cosa da scrivere nel calendario.
<<
Non c’è problema, andiamo >>
rispondo.
Prende
le valige e mi accompagna a un’auto bellissima
che mi condurrà verso il mio incubo.
Avevo
dimenticato quanto fosse bella New York.
Quattro anni sono passati dall’ultima visita dai nonni. Poi
sono venuti sempre
loro da noi. Amo New York, i grattacieli, le luci, l’aria che
si respira. È
tutto diverso qui rispetto a Millville.
Questa
è l’unica cosa che mi consola adesso. Sono qui
nella grande Mela ma in pratica da prigioniera. I nonni sono terribili.
A
vederli sembrano gentili e cari, ma poi conoscendoli meglio si rivelano
tutto
il contrario.
Appena
arriviamo al cancello, la casa mi sembra più
grande. Casa, chiamiamola casa quella. È il sogno di ogni
persona. Poi qui a
New York, dove un monolocale costa un occhio della testa, avere due
mila metri
quadri tutti per te è un privilegio. Ma non mi
cambierà questo. Chiunque si
monterebbe la testa, chiunque persino Sam si è fatta
abbindolare da loro. Io
no. A me non interessano i soldi né tantomeno il potere.
Già perché loro hanno
anche quello. I Wanderbilt sono famosi qui a New York. Il nonno
è il
proprietario del famoso teatro Metropolitan, lo stesso dove la mamma si
esibiva
prima di trasferirci a Millville. La nonna le ha trasmesso
l’amore per la danza
e il nonno le ha permesso di diventare una ballerina acclamata.
Già il nonno.
Lui controlla tutto e tutti. Io no. Non potrà controllare
anche me, non glielo
permetterò. Voglio cavarmela da sola e farcela con le mie
forze, non perché
sono la nipote dei Wanderbilt.
<<
Lila tesoro, sono felice di vederti, come
stai? >> dice la nonna venendomi incontro.
<<
Bene grazie nonna, non ricordavo quanto
fosse bella casa vostra >> rispondo.
Che
non mi chieda niente sulla questione di Luck.
<<
È anche casa tua >> dice
abbracciandomi.
Le
sorrido, non so casa dire, preferisco stare zitta.
<<
Sheila, cara, hai fatto buon viaggio?
>> mi chiede il nonno scendendo da delle scale palladiane
che sembrano di
una reggia.
Be,
questa casa in fin dei conti lo è.
<<
Sì grazie >> rispondo garbatamente
come una vera Wanderbilt.
Ma
che sto facendo? Cinque minuti in questa casa e
già mi comporto da brava signorina? È vero, i
ricchi hanno il potere di
persuaderti e di farti cambiare. Non ci credevo fino a poco fa.
“Io no”, forse
diventerà un “Io non lo so”.
<<
Che cosa è successo con quel ragazzo, come
si chiamava? >>dice il nonno facendo finta di non sapere.
Lui
sa tutto, più di quanto vorrei.
<<
Niente, non è successo niente >> rispondo.
<<
Ci sarà un motivo per cui tua madre ti ha
mandato qui >> dice il nonno.
Ecco,
vorrei saperlo anch’io il motivo. Tutti lo
sanno. Io no. Io non so mai niente, sono sempre l’ultima a
sapere le cose.
<<
Me lo stavo chiedendo anch’io >>
rispondo.
Ecco,
questa è la Lila che conosco. Mi ero
preoccupata.
<<
Richard non è il momento di parlarne
>> lo interrompe la nonna che sembra stia prendendo le
mie difese.
<<
Infatti, sono stanca, dove posso sistemarmi?
>> chiedo.
<<
Vieni, ti mostro la tua stanza >>
risponde la nonna facendomi strada.
Wow.
È più grande di camera mia e Sam messe insieme.
È ampia e spaziosa e… tutta rosa. Odio il rosa,
è da femminucce. È più adatto
per una come Sam. Forse l’avevano progettata per lei, la
nipote prediletta, la
nobile erede dei Wanderbilt. Ed io? Io no. Ormai ci ho fatto
l’abitudine, non
mi arrabbio più. E non mi dispiaccio nemmeno. Mi dispiace
una sola cosa: dover
restare per tre mesi in una stanza tutta rosa con i fiocchi. Sembra un
confetto.
<<
Questa è la tua stanza >> dice la
nonna orgogliosa.
<<
Ah, è… grande >> rispondo.
Non
sapevo cosa dire. Non ammetterò mai che mi piace
il rosa, nemmeno sotto tortura.
<<
Bene, se hai bisogno chiama pure. Buonanotte
tesoro >> dice nonna dolcemente.
Non
ci casco nel tranello. Nemmeno quando mi
riempivano di giocattoli, li pensavo persone dolci, tantomeno adesso
che sono
cresciuta.
<<
Grazie nonna, notte >> rispondo.
Be
notte, sono quasi le quattro del mattino. Ho preso
l’ultimo volo da Millville ed eccomi qui, tutta sola in una
stanza che sembra
delle barbie. Non fa per me, mi sa che dovrò rivoluzionarla
un po’. Ci penserò
domattina, adesso non ho neanche le forze per pensare. Una bella
dormita e
tutto tornerà normale. Be, ci vorranno tre mesi prima che
tutto tornerà
“normale”: Dovrò tornare a casa mia.
<<
Eccola la bella addormentata si è svegliata
finalmente >> dice ironico il nonno.
<<
Buongiorno >> rispondo.
<<
Buongiorno, è già ora di pranzo, il sole
è
alto nel cielo e tu hai saltato la colazione >> dice
quasi scocciato.
Che
gli ho fatto? Sono arrivata da meno di dodici ore
di cui più della metà le ho trascorse a dormire,
cosa avrò mai fatto?
<<
Non faccio mai colazione >> rispondo.
<<
Be, da adesso la farai, in questa casa ci
sono delle regole che dovrai rispettare. Oggi è un giorno
per ambientarti, da
domani signorina ti sveglierai come le persone
“normali” >> dice
soffermandosi su quest’ultima parola.
Perché
io non sarei normale? Si è visto lui che per
prendere una tazzina di caffè chiama la cameriera?
Loro
non sanno nemmeno cosa sia la normalità. Ecco
perché mamma è scappata da loro. Lei non lo
ammetterà mai, ma io sono sicura
che sia così. Non è diventata
un’alcolizzata per il lavoro perso, né tantomeno
per la famiglia, ma per lo stile di vita. Anche se papà
lavora come un pazzo
per mantenere la sua famiglia non è abbastanza. Non per lei.
Non apprezza cosa
fa lui per noi, no. Ma in fin dei conti, come potrebbe, è
cresciuta in
quest’ambiente. Chiunque sarebbe come lei ma spero di non
diventarlo io. Io no.