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Autore: clairefarron    11/11/2013    1 recensioni
La storia incomincia con Eleanor, che fugge: dall'infelicità, dalla rabbia, da tutto, fino a quando non si ferma in un internet cafè per poter raccontare la sua giornata alla sua amica Danielle. La vita di una ragazza adolescente non è per niente facile, ma quella di Eleanor è particolare. Nulla potrebbe andare peggio di così.
Questa è solo una OS, chissà se riuscirò magari a continuarla trasformandola in una storia vera e propria... Intanto mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, accetto ogni tipo di critica. E se trovate errori ortografici non esitate a segnalarmi (mi è capitato di trovar scritto del ciccione che divorava un 'bambino' al posto di un 'panino'). Buona lettura, se leggerete.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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            Ogni goccia di pioggia che cade è come un centinaio di aghi che mi colpiscono.
La pioggia forte e incessante fa ormai parte del mio quadro triste e sconsolato. Il pesante profumo di umido mi perfora le narici, il soave picchiettio della pioggia sull'asfalto mi fa rabbrividire, l'oscurità della notte m'inghiottisce lasciandomi senza respiro. E qui immobile ammiro le immagini di vite che invidio scorrermi davanti agli occhi: guardo passarmi di fronte momenti allegri, spensierati di persone che non conosco, ma che forse avrei potuto conoscere in altre circostanze, alcune che corrono cercando di ripararsi dalla pioggia, altre che camminano stringendo tra le mani i loro ombrelli variopinti, cercando di arrivare a destinazione il prima possibile, così da poter godere dell'atmosfera calda e accogliente di casa. Resto ferma vicino al lampione dalla luce soffusa, con pugni serrati e sguardo volto verso terra, aspettando. Non so esattamente cosa, ma continuo ad attendere ormai da ore. Il fruscio delle foglie mosse dal vento di un paio di alberi poco più in là, accompagnate dal cantilenante crepitio della pioggia e dal rombo echeggiante nell'aria delle macchine che, in lontananza, si avvicinano sfrecciando davanti a me, mi ricorda molto un coro di alcune di quelle opere liriche, lunghi e bassi vocalizzi che preannunciano o conducono una scena infelice e cupa. Un'auto che percorre la strada lentamente mi permette di ammirare, anche se per un solo istante, la mia immagine riflessa nei vetri: la chioma castano scura e ondulata completamente bagnata, tanto quanto i vestiti pesanti che porto addosso, la felpa nera ha assorbito più acqua possibile, mentre i pantaloni poco meno zuppi. Sento continue goccioline di pioggia percorrere dalla fronte fino al mento tutto il mio viso contornato dal rancore e il disprezzo, non so se rivolto a me stessa o agli altri. Incrocio le braccia, stringendomi forte, fino a quasi stritolarmi e affogo nel più grande sconforto. Ho forse l'aspetto peggiore di quello di un vagabondo.
 I miei pensieri rimbombano nel cranio, vorrei poter mettermi le mani in testa e strapparmi via i capelli, giusto per alleviare quel dolore che mi sta devastando, ma le forze mi occorrono per correre via il più lontano possibile, da tutto e da tutti, seppur sia quasi l'unica ragazza ormai in circolazione.
Incomincio a correre, non sapendo né che ora fosse né dove stessi andando, voglio solo perdere tutto il fiato che ho in corpo. Almeno potrò sentire qualcosa. L'aria fresca passa leggera tra i miei capelli facendoli svolazzare qua e là, un'accennata sensazione di libertà mi pervade pian piano, fino a quasi esplodermi dentro, il paesaggio scorre velocemente davanti a me. Prendo a correre ancor più in fretta e poi mi rendo conto che mi sono addentrata in città. La gente che mi fissa, non riesco a capire se è scioccata o semplicemente in pena per me: un centinaio di volti che scorrono velocemente, li analizzo uno ad uno, ricavando dettagli che, se nei giorni passati avessi voluto scovare, non sarei riuscita nemmeno a scrutarli da lontano, perché io non volevo vedere, non mi interessava. Ora nemmeno un piccolo particolare mi sfugge: c'è chi pensa che sia matta, c'è chi è seriamente preoccupato e c'è chi pensa che una disgraziata l'ha appena urtato. Al diavolo quello che pensa la gente. Ogni singola persona che oltrepasso è l'ennesima dimostrazione di ipocrisia e menefreghismo. Finché non mi conoscono sono un problema di questione di qualche attimo e nel caso mi conoscessero, non li importerebbe. Sento che pian piano le forze stanno per cedere, ma all'improvviso un'insegna attira la mia attenzione: un internet cafè. E poi mi viene in mente pure lei, Danielle. E' già da un po' che non la sento più... e ho bisogno di lei. Non esito nemmeno un attimo, entro, ordino un caffè – seppur sia piuttosto tardi – e corro al primo computer libero, per controllare se mi avesse inviato qualcosa. L'atmosfera qui è piuttosto piacevole e accogliente, il cameriere è stato dolce e gentile, quasi rassicurante. Forse il mio stato pietoso l'aveva intenerito un poco. Seduta su questa sedia scomoda, aspetto con impazienza che il computer si accendi. Intanto non posso fare a meno di notare il tizio seduto accanto a me, messo nella tipica posizione di qualcuno che non ha niente da fare e sta temporeggiando su siti inutili: gomiti sul tavolo, faccia appoggiata al pugno sinistro mentre la mano destra si destreggia col mouse ed espressione stanca e annoiata. Dubito che lui abbia qualcuno che lo aspetti impazientemente a casa. Finalmente il mio computer s'è acceso e, come pensavo, ecco una sua nuova e-mail:
 
 
From: danif_@hotmail.com
To: el_scott@hotmail.com                                                                           04-29-2012        h. 01.25
 
Hey El!
Era un po' che non ti scrivevo, scusa, ma sia mai che l'erede dell'impresa Fox stacchi un attimo dallo studio!
Come puoi vedere ho trovato il tempo solo all'una del mattino...
Fuori “STRANAMENTE” sta piovendo; riesco a sentire ogni goccia che graffia il vetro della mia finestra... mi piace guardare quelle goccioline scivolare giù, mi rilassa.
Ho voglia di suonare, ma per il momento mi devo accontentare di palpare le mie cosce immaginandomi quei tasti bianchi e neri del mio vecchio pianoforte.
Oggi Adam mi ha lasciato una rosa nell'armadietto... quando vuole è molto dolce! Quando gli ho chiesto una motivazione mi ha detto che non ce ne doveva essere una necessariamente... semplicemente per ricordarmi quanto sia bella (a suo parere!) e quanto il colore di quel fiore riporti ai miei capelli e alle mie labbra... RUFFIANO! Ahahah
Ieri invece ho detto ai miei di essermi iscritta ad un corso di potenziamento per il college, almeno potrò avere qualche ora libera... ho il cervello fuso che mi cola dalle orecchie! Ho bisogno di una passeggiata, perché no, anche sotto la pioggia... mi piace l'odore di bagnato e quell'aria di malinconia che gira per l'Irlanda.
Adesso però è meglio che vada a dormire...
Buona notte!
(Anche se credo tu stia già dormendo),
 
Danielle
 
“E' di una settimana fa” penso tra me e me. Chissà cosa pensa mi sia capitato... oppure non le importa, chi lo sa. E' una ragazza veramente impegnata, la sua famiglia è alquanto famosa e cerca sempre di darsi da fare per non deluderli. Per non parlare del suo grandioso fidanzato Adam. Quando mi rinfaccia certe cose mi viene voglia di odiarla. Poi mi vengono in mente tutte le nostre chiacchierate e i nostri pensieri. La sua vita all'apparenza sembra perfetta, ma non lo è.
Faccio un lungo sospiro, come se potesse aiutarmi a scaricare almeno un briciolo di rabbia che provo dentro di me, pongo le mani giusto sopra la tastiera, chiudo gli occhi e cerco di tirar fuori tutto quello che provo.
 
From: el_scott@hotmail.com           
To: danif_@hotmail.com                                                                             05-06-2012     h. 22.24
 
Cara Danielle,
perdonami, non ho potuto scriverti prima. Però credo che tu ricordi il fatto che raramente riesco a trovare un computer libero in giro. Ovvio poi che sono stata abbastanza occupata col lavoro in libreria. Mi dispiace che tu debba sforzarti tanto per apparire almeno un briciolo all'altezza del tuo compito e sono felice che il tuo ragazzo sia così dolce. Però devo ammettere che dal mio punto di vista pare ci sia sotto qualcosa... ma non salterei a conclusioni senza avere certezze. Poi chi sono io per darti consigli su ragazzi? Te vorresti tanto fare una bella passeggiata, magari sotto la pioggia: guarda caso sono tutta bagnata, dalla testa ai piedi, perché mi è venuta quella insana voglia di stare accanto ad un lampione sotto la pioggia, a fissare il vuoto. Sento rabbia e frustrazione dentro di me, tu non puoi nemmeno immaginare il trambusto dei miei sentimenti ora.
So che potrebbe non importarti, ma sembri una ragazza che ascolta... io ci provo.
Questa mattina mi sono svegliata il prima possibile per poter sgattaiolare senza problemi e senza sentire la voce stridula di Victoria. Zaino in spalla, passo dopo passo, riesco a uscire di casa tranquillamente. L'autobus passa alla fermata ogni mattina alle 7.45 e avevo poco meno di due ore da riempire. Decido quindi di andare fino al parco, quello dove passo la maggior parte del mio tempo libero, ormai l'avrai capito. Non ricordo di averti mai detto cosa avesse così tanto di speciale quel posto... forse un giorno te lo racconterò. Il sole stava per sorgere, era un po' freschetto ma poco importava, tutto è meglio di stare a casa con quella smorfiosa. Fatto sta che non appena sono riuscita a raggiungere destinazione, mi arrampico come mio solito sull'unico tiglio presente nel parco e incomincio a pensare e ad ascoltare il soave rumore delle foglie che si sfregano l'un l'altra. Ma poco importa. Passate le due ore e arrivata alla fermata dell'autobus, trovo Peggy, quella maledetta che non fa che perseguitarmi. -Eccola, l'idiota del villaggio,- diceva con quella sua stupida aria da gatta morta -chi ti ha vestito oggi, un barbone cieco?- e giustamente il suo gruppetto ride prendendosi gioco di me. Credo che tu mi conosca abbastanza da capire che non mi lascio prendere in giro così facilmente, infatti le rispondo: -Dolce Peggy, se ci fosse tanto oro quanto tu sei zoccola, credimi, la povertà non esisterebbe più-. Ammetto che ho ridacchiato un po' sotto i baffi, l'ho trovata una battuta abbastanza divertente, ma le espressioni della gente attorno a me sembravano tutto meno che divertite e i loro sguardi erano più taglienti di una lama. Hai mai provato quella maledetta sensazione? Quella in cui ti senti tanto lontana dal mondo circostante che ti sembra di trovarti in territorio straniero con gente poco simpatica? Normalmente provo questa sensazione in ogni istante della mia vita, ma in quel momento mi sentivo incredibilmente peggio e volevo solo sprofondare. Il mio battito era accelerato, il respiro si era fatto più pesante e intanto Peggy si apprestava lentamente verso di me e non avevo idea di che cosa stesse per fare. Tutto era accaduto in un secondo, prima lei era rimasta lì di fronte a me, immobile e imbestialita, e subito dopo il suo pugno mi era arrivato dritto in faccia, facendomi cadere a terra.
-Non osare insultarmi in questo modo, pezzente- è l'unica frase che sento prima che partano i calci, sia da parte sua e sia da quella dei suoi amichetti.
Il dolore era forte, la sofferenza era insostenibile, sentivo che mi mancava il respiro e il gusto di sangue persisteva in bocca. A quel punto ho cercato di aprire gli occhi, ma avevo la vista annebbiata, ero certa che a momenti sarei svenuta. Poi, in un istante, ho provato quella mia continua sensazione di vuoto. Ti è mai capitato di sentire d'esser semplicemente una spettatrice piuttosto che il direttore e il personaggio principale della tua vita? So che può sembrare strano detto così... e forse nemmeno avrai capito bene cosa intendo. Parlo di quei momenti in cui qualsiasi cosa tu faccia, con chiunque ti capiti davanti, tu ti senti completamente svuotata. Così mi sentivo in quel momento. Ma proprio quando ero sul punto di perdere i sensi, ho sentito il suono del clacson dell'autobus, così Peggy e i suoi tirapiedi mi lasciano distesa a terra per qualche secondo per poi così, non appena l'autobus si era piazzato di fronte a noi, portarmi di peso dentro il veicolo con tanta disinvoltura, fino a scaricarmi sul primo posto a sedere libero. Possibilmente lontano da loro, questo era ovvio. Avrei voluto di certo ribellarmi, ma il mio corpo non sarebbe mai stato forte quanto la mia volontà. Mi sono fatta trascinare aggrappata in qualche modo ai due ragazzi, che eseguivano ogni dannato ordine di Peggy. A volte mi chiedo se siano i suoi schiavi personali. Mentre salivamo gli scalini, ho posato lo sguardo sull'autista: mi fissava intensamente, quasi inquieto, sapeva quanto stessi soffrendo, eppure non ha reagito in alcun modo. Molto spesso le persone mi guardano in quel modo, con pena e giudizio. Ecco perché evito spesso gli occhi della gente: fissano per giudicare, sono convinti di conoscere tutto ciò di cui non avranno mai la più pallida idea. Jack e Ricky, da quanto avevo capito questi erano i loro nomi, mi hanno scaricato nel primo posto libero che trovano. Non ho avuto l'onore di assistere alla loro sfilata verso i posti di fondo, ero troppo concentrata sul dolore lacerante, sfogandomi con piccoli e soffocati lamenti e spremendo le palpebre più che potevo, come se fosse servito a qualcosa. Avevo il fiatone, sentivo che l'aria, per quanto la cercassi, non riuscivo a catturarla, mi sfuggiva come un piccolo uccellino, quindi cercavo di conservare ciò che avevo più che potevo. La paura è arrivata a un livello talmente alto che ormai è come se non la sentissi più. Te lo dico ora e forse te lo ripeterò continuamente nelle prossime e-mail: sono certa che non provare più nulla sia la sensazione più orribile al mondo. E' come non esistere.
Il tragitto, per quanto lungo, non ha aiutato molto a riprendermi. Lo stomaco era più che dolorante, forse qualche costola s'era inclinata, o probabilmente mi stavo immaginando tutto, la bocca aveva perennemente il gusto di sangue. Barcollavo, ma riuscivo a tenermi in piedi, pensavo a come fosse conciato il mio viso in quel momento e mi chiedevo come avrei potuto affrontare tutta la giornata a scuola. Attraversando il cortile, cercavo di non incrociare lo sguardo di qualcuno, volevo evitare di guardare tutti quei volti contornati della più vasta varietà di odio e considerazioni negative. Come io sono irrilevante per loro, essi sono irrilevanti per me. Ho proseguito ciondolando lievemente per i corridoi fino ad arrivare al bagno delle ragazze, dove avevo deciso di trascorrere la mattinata. Devo ammettere che quelle sono state le ore più sollevanti di tutto il giorno, ma sfortunatamente poco importa. Sono arrivata a quel punto in cui quei pochi momenti felici, o perlomeno tranquilli, vengono messi da parte per far spazio a quelli negativi, che sovrabbondano. Guardo il futuro come un uomo guarda la tomba di un parente morto. Riflessioni a parte, durante tutto quel tempo ho pensato come avrebbe potuto essere la mia vita se quell'orribile fatto non fosse mai accaduto... Poi puntualmente le lacrime hanno cominciato a scivolar via sulle mie guance. Non ho intenzione di annoiarti con storielle della mia infanzia, nel caso ti interessasse me lo chiederai.
Non appena suona la campanella del pranzo, ho esitato un po', ma alla fine ho deciso di manifestarmi alla mensa, già avevo saltato troppe lezioni, e non avevo idea ancora di come giustificarmi con i professori, poi era come se la stessi dando per vinta a Peggy, cosa che non mi andava giù. Il chiasso dei ragazzi echeggiava già in tutti i corridoi, passo dopo passo la mia tensione saliva, però almeno le forze sono riuscita per lo più a recuperarle. Dopo aver spalancato le porte, mi sono fermata ad osservare la sala per qualche istante: ampi tavoli colmi di ragazzi e ragazze che chiacchieravano spontaneamente del più e del meno... Io non me lo posso mai permettere, nessuno vuole stare seduto accanto ad una disgraziata come me, nessuno ha mai pensato che avessi dei sentimenti. Per loro sono solo una bestia da maltrattare per loro divertimento. In quel momento, intanto, la compagnia era l'ultimo dei miei problemi: puntavo alla discrezione, non avevo intenzione, né tanto meno desideravo interagire con qualcuno. Mentre mi facevo servire la solita poltiglia deforme, all'improvviso ho sentito un piccolo coro stonare una sottospecie di filastrocca. Mi sono concentrata e ho ascoltato attentamente, ancora ricordo le parole:
 
“FRIGNA DALLA SERA ALLA MATTINA,
NEANCHE FOSSE UNA BAMBINA,
QUANDO LA PICCHI SI DIMENA
CERCANDO OGNI VOLTA DI FARCI PENA,
HA SEMPRE ATTEGGIAMENTI DA BULLA
QUANDO INVECE E' SOLO GRULLA.
INDOVINATE DI CHI PARLA LA GENTE?
DI EL, LA PERDENTE”
 
Mi erano venuti i brividi. Non per la paura, ma per la collera: ero arrivata al limite, sentivo che dovevo fare qualcosa. Quindi mi sono diretta furiosamente verso di loro. La mia camminata aggressiva aveva catturato l'attenzione di tutte le persone, oppure c'era la probabilità che fossi conciata piuttosto male, non avevo avuto il coraggio di guardarmi allo specchio prima. Non appena sono arrivata a destinazione, le risate maligne della tavolata mi hanno accolta, ciò nonostante era puntato costantemente su Peggy, nessun altro.
- Allora mia cara, ti soddisfa la canzone? E' dedicata solo ed esclusivamente a te.-
Ho cercato di placare la mia voglia immane di prenderla a schiaffi, rispondendo semplicemente:    - Certo, era molto graziosa, ma devo farti solo una piccola e semplice domanda.- La sua espressione da scherzosa si era fatta interrogativa. Quello che volevo.
- Per la parola grulla, conoscevi già il suo significato, te l'ha detto qualcuno o dentro quella enorme e orrenda borsa, oltre a i trucchi che ogni giorno ci permettono di guardarti in faccia senza vomitare - anche se sappiamo tutti benissimo che i trucchi non fanno miracoli, ma questo effettivamente è già un buon risultato -, tieni per caso anche un piccolo dizionario?-
Era furibonda. L'avevo notato perché, come ho concluso la domanda, aveva preso tutto il cibo che si trovava nel mio piatto e me lo aveva spalmato in faccia. Mi sono voltata e l'ho guardata dritta negli occhi con tutto l'odio possibile. Ormai a quel punto avevo perso completamente il controllo, avrei reagito ad ogni mio impulso. Cosa che, oltretutto ho fatto.
Mi sono lanciata contro di lei, caricando con tutta la forza che avevo in corpo un pugno che le è finito dritto in naso. Lei è cascata dalla sedia, ormai era accovacciata a terra mugugnando qualche lamento. Ed era calato il silenzio in sala. A quel punto non avevo più controllo, guardavo con gusto perverso il cacciatore che si era finalmente trasformato in preda. Volevo assaporare quella sensazione fino in fondo, anche perché la mia mente non era più lucida. Barcollando, Peggy cerca di rialzarsi e tenta di colpirmi, cosa che non le è riuscita. L'ho spinta violentemente per scaraventarla di nuovo a terra, quindi ho incominciato a calciare forte verso il suo stomaco. Proprio come stamattina. Peccato che questa volta è stata lei ad essere presa a calci. Spero che la novità non l'abbia sconvolta molto. Dai numerosi versi di frustrazione dubito che l'abbia presa filosoficamente. Prima che continuassi con i calci, delle mani da dietro si sono strette intorno alle mie braccia e mi hanno velocemente allontanata da lei. Mi dimenavo, volevo liberarmi e proseguire, mi ero messa in testa di restituirle tutto il male che mi aveva fatto, ma non me l'hanno permesso. E' vero, la violenza non risolve nulla, ma dà grandissima soddisfazione.
Mi avevano trascinata fuori e fatta aspettare in un angolino, poi mi hanno chiamata in presidenza. Comunque, prima di entrare mi hanno fatta aspettare giusto fuori dalla porta, in attesa delle accuse e della sentenza: riuscivo chiaramente a sentire le urla da dentro la stanza. Ero certa che fossero i genitori di Peggy ad accanirsi in quel modo col preside, sapevo che cosa mi sarebbe accaduto, ma semplicemente non avevo voglia di dare spiegazioni. Anche perché come al solito non mi avrebbe ascoltata nessuno: chi avrebbe mai prestato attenzione alle ragioni di una disadattata che ha appena aggredito furiosamente la loro figlia, a tal punto da quasi farla svenire? Nessuna giustificazione avrebbe mai retto. D'un tratto il baccano si era interrotto e la porta si era spalancata, da dietro il preside Gibbs mi invitava ad entrare. Entrando in quella sala scura, l'atmosfera era agghiacciante, tutti gli occhi erano puntati su di me. Nemmeno il tempo di sospirare, che la madre si era fatta avanti prontamente:
-Brutta stronza, come ti permetti di...- e le sue mani all'improvviso si gettano su di me, puntando al mio collo, ma d'istinto mi sono spostata, quindi tutto quello che poteva tentare era di graffiarmi, tirarmi i capelli, spingermi contro il muro e farmi più male possibile finché poteva. In fondo la capivo. Subito il padre e Gibbs hanno cercato di staccarla da me, prima che la situazione diventasse seria. Forse quella famiglia è geneticamente propensa a massacrare la gente. E' un vero peccato non poterlo scoprire veramente. Mentre l'uomo cercava di rincuorare e tranquillizzare la moglie, gli sono sfuggite queste parole:
-Tesoro, sta tranquilla, i tuoi graffi non la toccheranno mai quanto la sua patetica vita l'ha fatto.- Poi, ha rivolto gli occhi verso di me e ha aggiunto: -Guardala, non potrebbe cadere più in basso. Mi ricorda molto suo padre, questo dice tutto.-
Bang, come un proiettile sparato che ti tortura ma non ti uccide. Lo odiavo, odiavo la mia vita. Nulla mi ha mai urtata più della consapevolezza di quanto sia ridicolamente pietosa e miserabile la mia vita.
-Cosa ti è saltato in mente? Avrebbe potuto finire peggio di quanto ti saresti aspettata...- era incominciato l'interrogatorio di Gibbs.
Ho chiuso gli occhi per un attimo, preso il respiro e gli ho risposto: -Che cosa ci faccio qui?-
Dai loro visi era ovvio che la domanda era poco chiara e di certo non volevo lasciarli col dubbio, quindi ho continuato: -La mia presenza qui vale pressoché nulla. Ogni singola parola che pronuncerei sarebbe fiato sprecato. Siete ottusi, ridicoli e tanto più ipocriti. Non cambierete mai la vostra opinione su di me, quindi perchè perdere tempo?-
Si vedeva, ero stata spiazzante. Chiunque con un briciolo di buon senso avrebbe ammesso le colpe e implorato perdono. Ora che ci penso, non credo di essere tanto normale.
-Ora,- e mi sono avviata verso l'uscita -non ho dubbi che vi farà molto piacere se io me ne vado, quindi- mi sono voltata, ho aperto la porta e ho fatto cenno con la mano -statemi bene, spero abbiate una bella giornata. Io non so nemmeno cosa sia.-
Ed ecco che sono corsa via, da tutto e da tutti, vagando pioggia per ore. Probabilmente ho pianto o forse mi sono solo confusa con le gocce di pioggia. Fatto sta che ora mi ritrovo a quest'ora in un internet cafè, descrivendoti la mia lunga e deludente giornata. Spero che questa e-mail ti abbia intrattenuta abbastanza. Ora è meglio che vada, ho appena visto l'ora ed è un po' tardi. Fammi sapere se hai qualche novità da raccontarmi.
 
Baci,
Eleanor”
 
Non ricordo bene cosa ho scritto, sarà pieno di errori, o forse no. Poco importa.
La pioggia cade allo stesso ritmo di prima, ma l'effetto su di me è cambiato: non ferisce, compatisce. Ora è come se ogni gocciolina volesse carezzarmi tutto il viso e consolarmi. La strada del ritorno è notevolmente lunga, ma il tempo è più che veloce. Almeno esso se lo può permettere di sfuggire. Per mia sfortuna sono legata a queste catene invisibili che già da anni cerco di allentare, aspettando il momento giusto per il stacco netto. Passo dopo passo mi ritrovo di fronte al mio carcere: tanto accogliente di fuori, ancor più invivibile dentro. Mi arrendo ai fatti ed entro a casa, senza smettere di domandarmi cosa mai ho fatto di male per meritarmi la mia vita.
  
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