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PAGINE RUBATE Ø2
fiori bianchi, blu e gialli – in tinta con il vestito.
«Alza il mento» mormorò l’addetta al trucco e Lyosha ubbidì. Nello specchio riusciva a vedere la cicatrice
più chiara del suo colorito sbocciare come un fiore al centro della gola,
percepiva anche la pelle vibrare sotto quel marchio quando diceva qualcosa,
borbottava, tossiva. Prima che se ne accorgesse era tutto scomparso sotto uno
strato di trucco color pelle.
Non sapeva se essere
grato o meno a Capitol City per avergli dato la
possibilità di parlare – ma quel che sapeva era che l’operazione era stata
fatta per loro. Al Presidente Snow poco importava se Lyosha
poteva parlare o meno, quel che veramente gli premeva era che fosse in grado di
esprimersi durante l’intervista, nel Tour della Vittoria e via dicendo.
«Abbiamo finito» la
voce dell’altra preparatrice lo svegliò da quei pensieri, facendogli
raddrizzare la schiena mentre osservava il ciuffo di capelli ricadergli di
lato, quasi accennando gli occhi blu che avevano ripreso un po’ di colore e
vivacità dal suo ritorno dall’Arena.
Vilette, seduta quasi
davanti a Lyosha – posta in diagonale – accennò ad un
applauso mentre si alzava e la treccia le ricadeva dietro le spalle, «ottimo
lavoro ragazze» disse mentre la terza aiutante ricompariva da terra, in mano
teneva ago e filo per fare un appunto al pantalone grigio fumo del Vincitore.
Le tre sorelle – Lyosha lo scoprì poi, che erano
gemelle – sorrisero alla stilista e, raccolte le loro cose, sparirono dietro la
porta nelle loro salopette animalier e la
maglietta color evidenziatore abbinate alle scarpe dalla suola alta.
La Capitolina tese
una mano a Lyosha, facendolo alzare dalla sedia e
girandogli attorno. Era chiaro come il sole che il ragazzo non si sentisse bene in quel vestito – come non si
sentiva bene da quando aveva lasciato l’Arena. Lo conosceva abbastanza da
pensare che, se fosse stato completamente lucido, avrebbe già fatto qualche
scenata per la morte della sorella.
E invece non era
successo nulla dal suo risveglio: o Lyosha ancora
soffriva in silenzio, oppure Capitol City gli aveva somministrato qualcosa per renderlo
più docile. In tutti i casi, poco importava – qualsiasi cosa tenesse a freno il
ragazzo, quella sera, andava bene. Non poteva permettersi nessuna gaffe con Caesar
Flickerman.
«Lo avevo detto: il
grigio ti dona molto» gli sorrise con serenità, aggiustandogli il fazzoletto
nel taschino della giacca.
Lyosha alzò lo sguardo,
incontrando gli occhi bicromatici dell’altra. In quelle pietre blu poteva
vedere tutta la tristezza del mondo concentrata in uno sguardo. Ebbe la
sicurezza che il ragazzo non fosse sotto l’effetto di nessun farmaco – ma prima
che potesse rivolgergli una qualche domanda, Lloyd entrò rumorosamente
sbattendo i tacchi contro il marmo della suite, con le dita afferrava una mela
verde visibilmente morsicata.
«Lyosha,
tesoro» lo chiamò sarcasticamente,
puntandolo con la mano che teneva il frutto, «siamo d’accordo che sei il
Vincitore, ma Caesar non aspetta! E tantomeno Amaryllis» disse, mordendo ancora il pomo.
Dalla porta, si
sentì la voce squillante dell’altra Capitolina, era arrabbiata, «ha ragione!»
urlò.
«Amaryllis!»
la rimproverò Cecelia, gli sembrava, anche lei fuori
la stanza.
Il ragazzo sorrise,
iniziando a camminare verso l’uscita, seguito poi dalla Mentore ben vestita e
dalla stilista. Forse quella serata sarebbe andata meglio di quanto potesse
credere.
◊ ◊ ◊
Lyosha era stato
abbandonato sotto il palco dello studio di Caesar, Amaryllis gli aveva spiegato come sarebbe andata la serata
e la mattina successiva: tutto il gruppo sarebbe stato presentato a Capitol City, Caesar l’avrebbe
salutato, qualche domanda per spezzare un po’ la tensione e poi via a vedere un
lunghissimo – interminabile, a parer suo – filmato dove gli Strateghi avrebbero
condensato quella settimana e più di Hunger Games, e Lyosha sapeva che ci sarebbe stata dentro anche
la morte della sorella. Era preparato anche a quello. Finito il filmato, il Presidente
Snow sarebbe arrivato ad incoronarlo.
Come da manuale,
l’inno nazionale di Panem gli riempì le orecchie fino
a perforargli i timpani, dall’alto riusciva a sentire i nomi annunciati con
foga delle tre gemelle, di Amaryllis, Vilette, Cecelia e Lloyd – tutte
quante accolte da applausi e fischi di consenso. Sentì il suo nome venir
pronunciato dall’allegra voce di Caesar e la pedana
sulla quale era posto alzarsi – come quella della camera di lancio. Si ritrovò
avvolto in un lenzuolo di luci colorate ma si sforzò di tenere gli occhi aperti
e le labbra tirate in un sorriso.
Caesar lo raggiunse e gli
appoggiò la mano sulla spalla, sorridente nel suo completo dorato per
l’occasione, accompagnò Lyosha alla poltrona ricamata
dove il Vincitore si accomodava ogni anno, sedendosi di fianco a lui, «un sacco
di donne, eh?» commentò, aspettandosi una risposta.
Forse lo sa, pensò il ragazzo dell’8, forse lo sa che posso parlare.
«Già» disse
semplicemente, ridacchiando e abbassando lo sguardo. Sentì il pubblico andare
in delirio e anche dei piedi battere per terra per incrementare gli applausi.
Caesar assecondò i
Capitolini, tirandosi leggermente indietro come per sorpresa e chinandosi
subito dopo in avanti come un bambino curioso, «Lyosha,
mi stupisci!» disse con un sorriso – contagiando l’Isaacs,
«è una cosa che hai scoperto di poter fare? Come un blocco psicologico o…» stava bluffando, lo sapeva. Ma il pubblico si beveva la
recita e questo non faceva altro che aiutare Lyosha.
Anche alla fine degli Hunger Games,
c’era bisogno di aiuto.
«Sono stati gli
Strateghi» rispose, cercando di sembrare il più naturale possibile. Rivolse uno
sguardo verso Lloyd sull’altro lato del palco, vicino a lei Vilette sorrideva
scambiando qualche parola con Cecelia, «sono stati
molto gentili».
Era il primo
aggettivo che gli balzò in mente per elogiare la Capitale – sapeva cosa voleva
dire mettersi contro le regole, una volta, al suo distretto, un paio di giovani
uomini (trent’anni, non di più) erano andati in giro per l’8 cantando canzoni
su liberazione dalla monarchia e rivoluzione dello stato, erano stati frustrati
pubblicamente il giorno dopo.
Caesar fece qualche altra
battuta, creando l’atmosfera tranquilla e catturando l’attenzione del pubblico,
le luci scesero lentamente e il lungometraggio sull’Arena occupò il grande
schermo posto alle loro spalle. Se Lyosha
sopravviveva anche al riassunto dell’Arena, allora poteva definitivamente dirsi
Vincitore. Solo allo scadere di quelle tre ore sarebbe finalmente uscito dagli Hunger Games.
Non pianse, non
disse una parola né osò muovere un muscolo durante tutto il filmato – neanche
l’angoscia che provò quando il corpo del ragazzino del Distretto 4 fu
stritolato riuscì a smontare la maschera di impassibilità che si era imposto,
neanche le sue dita per terra o le crude immagini dell’ago che gli cuciva le
dita mentre il suo viso si contorceva di dolore. Ma quando riconobbe la foresta
nuda in cui i Favoriti si erano scontrati, le labbra si schiusero leggermente e
gli occhi parvero prestare attenzione a quello che succedeva realmente. Seguì
con attenzione – in realtà era timore,
ma questo nessuno lo sapeva – il combattimento tra Lexi,
Liv e Fraser, vide il primo piano del petto di Liv trafitto dalla lama del
ragazzo dell’1. Il combattimento successivo, il rapimento di Ariel, i propri
occhi di un blu tempesta, le mani tremanti e la ferita alle dita sanguinanti
con i punti strappati.
La gola di Ariel su
cui volava il coltello di Lexi, la risata della
Favorita si percepiva appena con il sottofondo musicale, un colpo di cannone
lontano. Lyosha che fissava le due ragazze morte, lui
che si spostava verso Fraser, lui che uccideva
Fraser. La voce di Claudis che lo annunciava
Vincitore e le ultime note della musica su sfondo nero – come la fine di un
film ben costruito e soddisfacente.
Le luci si accesero
gradualmente, gli occhi di Lyosha erano lucidi e la
sinistra – provvista di protesi alle dita mancanti – tappava la bocca per non
far uscire nessun suono. Senza aspettare il consenso di nessuno, Lloyd attraversò
il palco passando dietro a Caesar e chinandosi vicino
alla spalla del ragazzo, «va tutto bene» gli mormorò piano, mentre nella sala
si diffondeva un tenue applauso di condoglianze.
Forse, Capitol City stava iniziando ad imparare dai propri errori.
Si asciugò le
lacrime con il fazzoletto ben ripiegato nel taschino, il presentatore chiese a Lyosha se fosse pronto a proseguire e, ricevuto un assenso
con il capo, seguì l’inno di Panem e l’incoronazione
con il Presidente Snow.
◊ ◊ ◊
Lyosha ritornò all’ottavo
piano del Centro di Addestramento con una certa nostalgia – davanti alla sua
camera, c’era il letto in cui Ariel aveva trascorso le sue ultime notti prima
dell’Arena. Rimase fermo davanti a quella porta con la giacca in mano mentre
sentiva, vicino all’entrata, Vilette parlare con le
tre gemelle riguardo a quando si sarebbero viste il giorno dopo per
l’intervista del Vincitore.
Sospirò chiudendo
gli occhi, facendo dietrofront per andare nella propria camera, si lasciò
cadere a peso morto sul soffitto e guardò come le prime luci del mattino
dipingessero il cristallo del lampadario sopra di loro. Avvertì una profonda
tristezza montargli addosso e si accorse poco dopo di aver ripreso a piangere,
un singhiozzo gli risalì lungo la gola rumorosamente, facendolo sussultare.
Tre colpi alla porta
e poi il viso di Lloyd sbucare fuori dalla fessura, tra le labbra una sigaretta
ormai consumata, «mi hanno obbligato a venire a chiederti come stai» disse,
prendendo la stecca tra le dita e premendola contro il muro per spegnerla –
c’era rabbia, nel suo gesto. «Poteva venire Vilette,
tu a lei piaci e lei piace a te», quando entrò Lyosha
si accorse che nella mano libera aveva le scarpe con il tacco, la sua Mentore
aveva i piedi piccoli, notò.
«Sto bene» mentì,
rigirandosi sul letto per mettersi a pancia in su, si passò la mancina tra i
capelli e sfregando la guancia contro le lenzuola pulite vide un leggero alone
di trucco color carne abbandonare la sua pelle per depositarsi sulla coperta.
«Non ne dubito…» mugolò l’altra, appoggiandosi sul muro vicino alla
porta, se ne sarebbe andata presto – Lyosha non aveva molta
voglia di parlare. «Verrò a chiamarti per mezzogiorno, l’intervista è alle
due» e con un colpo di reni si rimise dritta, afferrando il pomello della
porta.
«E poi?» la domanda gli uscì come un
sussurro, molto più bassa di quanto si aspettasse.
Riuscì a vedere,
nella penombra della stanza, gli occhi della dona puntati su di lui e le labbra
piegate in un sorriso leggero, tra compassione e sollievo.
«Poi si torna a casa».
Un sonoro click riempì il vuoto della stanza, Lyosha rimase solo con i propri pensieri. Allungò una mano,
afferrò il cuscino più grande che avesse a disposizione e se lo premette contro
la faccia, urlando tutte le grida di diciassette anni. Urlando, l’idea gli suonava quasi amara nella mente. La sua voce –
che non era sua, era della Capitale – gli arrivava soffocata alle orecchie.
Soffocata come era
anche l’idea della morte di Ariel. Si chiese quale sarebbe stato il momento in
cui avrebbe potuto lasciarsi andare.
◊ ◊ ◊
Lyosha non credé di aver mai sentito tanto rumore in vita sua:
le tre preparatrici gli avevano ordinato di rifarsi il bagno, erano andate a
cercare i peli di una barba rasata meno di ventiquattro ore prima ed era quasi
sicuro che gli avessero tagliato ulteriormente i capelli. Indossava una camicia
azzurra e dei pantaloni neri tenuti su con delle bretelle – una sciarpa color
crema gli avvolgeva il collo ricadendo in avanti sul petto.
Una volta pronto, fu
accompagnato da Lloyd fino al pianterreno e lì, appena fuori l’ascensore, Caesar aspettava quasi saltellando sul posto il Vincitore,
accogliendo Lyosha con un abbraccio quasi esilarante.
Probabilmente fa così ogni anno.
«In perfetto
orario!» commentò, posando una mano sulla schiena di Lyosha
e scortandolo vicino all’ingresso dove era stata portata la poltrona della sera
prima, attorno a questa i fiori regnavano sovrani bianchi e blu, ogni tanto si
intravedevano dei boccioli gialli.
Il ragazzo si
sedette naturalmente con una gamba sotto la coscia, accorgendosi della sua
posizione, tentò di sfilare il piede flesso per sedersi in modo più decoroso, ma la risata di Caesar lo fermò e il movimento della sua mano – a ventaglio
– accompagnò le sue parole di rassicurazione, «non preoccuparti, siediti come
sei più comodo, dobbiamo parlare di te oggi, no?».
Prima che Lyosha potesse rispondere, il conto alla rovescia di un
membro dello staff delle riprese catturò la sua attenzione e un’altra donna gli
fece segno di sorridere. Caesar salutò il pubblico da
casa e l’Isaacs si immaginò di essere in diretta
nazionale.
Flickerman fu molto bravo a mettere a proprio agio l’altro: parlarono del cibo,
raccontò qualche barzelletta e lo interrogò sui nomi dei fiori che componevano
i meravigliosi bouquet, trovandoli poi in tinta sia con l’abito di Lyosha che con i suoi occhi.
«La tua stilista ti
ha mai detto che hai degli occhi favolosi?» commentò Caesar.
«La mia stilista
trova tutto favoloso, anche te» la battuta gli uscì spontanea e si chiese come
l’avesse presa Vilette, si appuntò mentalmente di
chiederle scusa e ridacchiò all’idea
del viso della donna imbarazzato – o arrabbiato. «Dico davvero!» aggiunse poi,
chinandosi verso Caesar che riprese a ridere più
forte.
«Allora penso che
abbia trovato favoloso anche il tuo coraggio nell’Arena, no? Mi riferisco alla
ferita sul braccio e alle dita», fece una pausa, osservando Lyosha
irrigidirsi appena e stringere a pugno la mano semibionica, «come vanno le
protesi?» domandò con più accortezza.
«Bene, se non fosse
per il metallo freddo direi che sono perfette» disse con un sorriso un po’
forzato, Cecelia dietro i cameraman sospirò – Lloyd
era uscita a fumare. «Comunque il coraggio è irrilevante, mi sarò anche
tagliato le dita e ustionato un braccio, ma non sarei capace di saltare da… non lo so, il terzo piano di un
palazzo se me lo chiedessero in circostanze diverse dagli Hunger
Games. Penso sia qualcosa che abbia a che fare con
l’energia che non sai di avere…» la frase rimase in
qualche modo sospesa.
Ci fu un breve
momento di pausa dove Caesar si toccò i capelli, come
cercando la forza di fare la prossima domanda. «Scusa la franchezza, Lyosha, ma ora dovremo entrare nel vivo dell’intervista e… come ti sei sentito quando Amaryllis
pronunciò il tuo nome come tributo maschio di questa edizione?» qualcosa in lui
chiedeva perdono per la domanda – quella e tutte le seguenti che avrebbe fatto.
«Avrei voluto
vomitarle sulle scarpe» rispose dopo poco, senza pensarci. Decise di ripiegare
sulle risposte “divertenti” per alleggerire la tensione, Lloyd gli aveva
spiegato come doveva muoversi: cautela.
Caesar sorrise,
rilassandosi a sua volta mentre adagiava le spalle alla poltrona, «seriamente»
riprese Lyosha, «avrei voluto vomitare –
personalmente, non mi sarei mai offerto per accompagnare Ariel nell’Arena»
pronunciare quelle parole gli fece male, «mi sarei limitato a sperare che
tornasse a casa, forse avrei accettato la sua morte e basta. Ma andare con lei
agli Hunger Games e non
essere stato capace di proteggerla è stato…» i suoi
occhi si persero nel vuoto.
La mano del
presentatore gli sfiorò la spalla con cautela, «mi dispiace per Ariel, Lyosha» disse sottovoce, aveva lo sguardo lucido ma il
ragazzo non sapeva se i suoi sentimenti fossero sinceri o meno, aveva importanza?. «Ti chiederei di
parlarne, ma se non te la senti…» in qualche modo era
supplichevole.
Lyosha respirò a fondo,
sfilando la gamba da sotto la coscia, un brivido gli percorse la schiena e gli
occhi si piantarono sulle mani, prima che iniziasse a parlare – l’ultimo sforzo.
«Ero davvero felice,
il giorno della Mietitura, perché era la mia penultima, e magari una volta
diciottenne avrei potuto cercare di sistemarmi, mettere su famiglia. E invece
sono stato estratto, quando salutammo – io ed Ariel – nostra madre al Palazzo
di Giustizia, le avevo detto che avrei protetto Ariel, perché doveva tornare lei a casa, non io. Mia madre non mi ha mai voluto bene come ne voleva a mia
sorella, penso fosse per la questione della voce» istintivamente si portò una
mano alla gola, «era andato tutto bene. Se ero riuscito a cicatrizzarmi una
ferita con il ferro caldo, uccidere due persone e tagliarmi due dita, quanto mi
ci voleva per bere un po’ d’acqua avvelenata e lasciarmi morire mentre Ariel
vagava alla mia ricerca? Niente».
Lloyd era rientrata, lo fissava con occhi seri vicino a Cecelia.
«Come sapevi che
Ariel non si sarebbe uccisa prima? Magari per sbaglio, nell’Arena o…―».
«Lo sapevo e basta,
ha sempre fatto quello che le dicevo.
E ha continuato anche nell’Arena, una volta uscita di là avrebbe vissuto come
le avevo pregato di fare: ti farò uscire
da qui e tu potrai tornare dalla mamma. Nessuno dei due pensava realmente
alla morte dell’altro», c’era tristezza, nella sua voce. «A me, invece, nessuno
ha detto che cosa dovevo fare se fossi uscito da lì. Nessuno pensava che sarei
stato io a vincere», un sospiro gli sfuggì dalle labbra, si catturò con i denti
l’interno della guancia e intrecciò le dita delle mani tra loro, il metallo
freddo pulsava sotto il contatto con la pelle.
«Devo trovare la mia
strada» concluse, alzando lo sguardo e rivolgendolo coraggiosamente a Caesar, «anche se sarà un po’ difficile…»
e riabbassò gli occhi, grattandosi una tempia.
«Per via di tua
madre, immagino» suggerì debolmente il Capitolino.
Lyosha annuì, i suoi
movimenti erano lenti e morbidi come se coperti da un lenzuolo – faceva tutto
piano, con calma, come se avesse paura che un movimento brusco avesse potuto
tirare fuori ciò che lui doveva tenere assolutamente
dentro; «anche per quello, mi manca» si passò la manica della camicia sugli
occhi, riaprendoli lucidi, «mi mancano entrambe». E in breve si ritrovò a
lacrimare come la sera prima davanti alla morte di Ariel, si riasciugò gli
occhi con la manica del vestiario e poi con la sciarpa – fino a quando il
presentatore non gli offrì sotto il naso il proprio fazzoletto.
«Grazie…»
disse con cortesia, asciugandosi le lunghe ciglia.
«Penso sia superfluo
dire che Capitol City è al tuo fianco per sostenere il
tuo lutto» ancora, la mano di Caesar gli toccò la
spalla.
Il ragazzo scosse la
testa, ripiegando il fazzoletto dell’altro e posandoselo sulle ginocchia,
«certe cose bisogna sopportarle da soli, l’ho imparato nell’Arena», non voleva
risultare un ribelle né sentirsi nelle orecchie le grida di disapprovazione di
Lloyd nel caso dicesse qualcosa di sbagliato – eppure le sue labbra si mossero
ancora, «mi hanno già portato via la famiglia, non intendo condividere con
nessuno il ricordo di questa».
Flickerman annuì quasi come se potesse comprendere appieno le sue parole, «come ho
detto, Lyosha, il tuo coraggio è favoloso, come i
tuoi occhi». Salutò il pubblico con un gesto della mano e il segnale che
informava la ripresa si spense.
Lyosha si alzò, seguito
subito da Caesar che lo catturò in un altro
abbraccio, stavolta più consolatorio – quasi dispiaciuto, «sei stato bravo». L’Isaacs si divincolò dalla sua presa salutandolo
distrattamente, schivò le altre persone e raggiunse Lloyd e Cecelia,
insieme si avviarono verso l’ascensore.
«Andiamo a casa»
mormorò la ex-Mentore di Ariel, arruffando i capelli al Vincitore. Lloyd
sospirò e fece segno a Lyosha di entrare per primo
nell’ascensore.
Ma quale casa? pensò la donna, appoggiandosi al muro della cabina,
questo ragazzo non ha più una casa.
«Se
continuerete a rinnegare quanto c'è di brutto in ciò
che fate, non
imparerete mai dai vostri errori.»
[MAGNUS BANE; Shadowhunters – TMI]
NOTE
D’AUTRICE ◊ «viviamo e
respiriamo parole»
Sappiate
solo che mi sono espressamente rifiutata di rileggere ciò di cui sopra, perché
lo trovo molto deludente per il
semplice fatto che non c’è tutto il dolore che avrei desiderato. E insomma, pace e amèn. L’unico motivo per cui
pubblico e non tendo di riscriverlo è che sono quasi sicura uscirebbe peggio di
questo – e poi yingsu
mi ha detto di pubblicarla, quindi eventualmente prendetevela con lei ♥
La
citazione finale, insomma, la amo –
amo la frase e Magnus Bane! Ci tenevo che lo sapeste.
Mi
scuso anche per il lungo – lunghissimo capitolo, ma spero sia abbastanza
piacevole da leggere nonostante tutto. La sequenza degli avvenimenti è ripresa
da Hunger Games, dopo
l’intervista Lyosha è andato a raccattare le sue cose
e poi a prendere il treno per l’8 – di cui c’è uno SNIPPET nell’epilogo.
Ci
vediamo all’ultimo capitolo ;)
radioactive,
• a n
g o l o s p a m •
a.
I’m frozen to the
bones. { HUNGER GAMES – long – nuovi tributi, 73rd edizione
} yingsu
b.
Sarò lì
quando cadrai. { SOVRANNATURALE – long – angeli/demoni } yingsu
c.
Terza base. {
ROMANTICO – onesto – spinoff
de Sarò lì quando cadrai – Seth/Nid (slash!) } yingsu
d.
Piove sui
nostri volti. { HUNGER GAMES – shot – Lyosha (OC) + Tallulah (OC) } radioactive