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Autore: radioactive    11/11/2013    5 recensioni
CAP. 6 Il cigolio del legno si mischiava al battito del cuore del ragazzo tanto da confondergli le idee, non capiva più se il suo cuore era malandato come quelle travi o se l’Arena era viva quanto il suo cuore, aveva il terrore che ciò che lo teneva sospeso in aria crollasse sotto i suoi piedi.
Ma Ariel si bloccò di colpo, Lyosha avrebbe voluto chiederle che diamine stesse facendo, che erano inseguiti!. Ma lei non si muoveva, immobile, fissava ciò che solo in un secondo istante il fratello identificò come Sean, quello che li aveva derubati.
«Ciao, otto»
[...] Stavano per morire, stavano per morire!
CAP. 10 Caesar Flickerman trattava tutti i tributi come validi concorrenti, Lyosha invece, agli occhi del presentatore, era già morto.
| 72esimi Hunger Games ● Lyosha e Ariel Isaacs ● DISTRETTO 8 |
EDIT - testo in via di revisione e betaggio (01 capitoli su 14) + cambio grafica [in data 11/11/2013]
→ I capitoli 15, 16 e 17 sono degli SPINOFF di Die on the front page, just like the stars.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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     » PAGINE RUBATE Ø2  

              fiori bianchi, blu e gialli – in tinta con il vestito.

 

 

 

 

«Alza il mento» mormorò l’addetta al trucco e Lyosha ubbidì. Nello specchio riusciva a vedere la cicatrice più chiara del suo colorito sbocciare come un fiore al centro della gola, percepiva anche la pelle vibrare sotto quel marchio quando diceva qualcosa, borbottava, tossiva. Prima che se ne accorgesse era tutto scomparso sotto uno strato di trucco color pelle.

Non sapeva se essere grato o meno a Capitol City per avergli dato la possibilità di parlare – ma quel che sapeva era che l’operazione era stata fatta per loro. Al Presidente Snow poco importava se Lyosha poteva parlare o meno, quel che veramente gli premeva era che fosse in grado di esprimersi durante l’intervista, nel Tour della Vittoria e via dicendo.

«Abbiamo finito» la voce dell’altra preparatrice lo svegliò da quei pensieri, facendogli raddrizzare la schiena mentre osservava il ciuffo di capelli ricadergli di lato, quasi accennando gli occhi blu che avevano ripreso un po’ di colore e vivacità dal suo ritorno dall’Arena.

Vilette, seduta quasi davanti a Lyosha – posta in diagonale – accennò ad un applauso mentre si alzava e la treccia le ricadeva dietro le spalle, «ottimo lavoro ragazze» disse mentre la terza aiutante ricompariva da terra, in mano teneva ago e filo per fare un appunto al pantalone grigio fumo del Vincitore. Le tre sorelle – Lyosha lo scoprì poi, che erano gemelle – sorrisero alla stilista e, raccolte le loro cose, sparirono dietro la porta nelle loro salopette animalier e la maglietta color evidenziatore abbinate alle scarpe dalla suola alta.

La Capitolina tese una mano a Lyosha, facendolo alzare dalla sedia e girandogli attorno. Era chiaro come il sole che il ragazzo non si sentisse bene in quel vestito – come non si sentiva bene da quando aveva lasciato l’Arena. Lo conosceva abbastanza da pensare che, se fosse stato completamente lucido, avrebbe già fatto qualche scenata per la morte della sorella.

E invece non era successo nulla dal suo risveglio: o Lyosha ancora soffriva in silenzio, oppure Capitol City gli aveva somministrato qualcosa per renderlo più docile. In tutti i casi, poco importava – qualsiasi cosa tenesse a freno il ragazzo, quella sera, andava bene. Non poteva permettersi nessuna gaffe con Caesar Flickerman.

«Lo avevo detto: il grigio ti dona molto» gli sorrise con serenità, aggiustandogli il fazzoletto nel taschino della giacca.

Lyosha alzò lo sguardo, incontrando gli occhi bicromatici dell’altra. In quelle pietre blu poteva vedere tutta la tristezza del mondo concentrata in uno sguardo. Ebbe la sicurezza che il ragazzo non fosse sotto l’effetto di nessun farmaco – ma prima che potesse rivolgergli una qualche domanda, Lloyd entrò rumorosamente sbattendo i tacchi contro il marmo della suite, con le dita afferrava una mela verde visibilmente morsicata.

«Lyosha, tesoro» lo chiamò sarcasticamente, puntandolo con la mano che teneva il frutto, «siamo d’accordo che sei il Vincitore, ma Caesar non aspetta! E tantomeno Amaryllis» disse, mordendo ancora il pomo.

Dalla porta, si sentì la voce squillante dell’altra Capitolina, era arrabbiata, «ha ragione!» urlò.

«Amaryllis!» la rimproverò Cecelia, gli sembrava, anche lei fuori la stanza.

Il ragazzo sorrise, iniziando a camminare verso l’uscita, seguito poi dalla Mentore ben vestita e dalla stilista. Forse quella serata sarebbe andata meglio di quanto potesse credere.

 

 

Lyosha era stato abbandonato sotto il palco dello studio di Caesar, Amaryllis gli aveva spiegato come sarebbe andata la serata e la mattina successiva: tutto il gruppo sarebbe stato presentato a Capitol City, Caesar l’avrebbe salutato, qualche domanda per spezzare un po’ la tensione e poi via a vedere un lunghissimo – interminabile, a parer suo – filmato dove gli Strateghi avrebbero condensato quella settimana e più di Hunger Games, e Lyosha sapeva che ci sarebbe stata dentro anche la morte della sorella. Era preparato anche a quello. Finito il filmato, il Presidente Snow sarebbe arrivato ad incoronarlo.

Come da manuale, l’inno nazionale di Panem gli riempì le orecchie fino a perforargli i timpani, dall’alto riusciva a sentire i nomi annunciati con foga delle tre gemelle, di Amaryllis, Vilette, Cecelia e Lloyd – tutte quante accolte da applausi e fischi di consenso. Sentì il suo nome venir pronunciato dall’allegra voce di Caesar e la pedana sulla quale era posto alzarsi – come quella della camera di lancio. Si ritrovò avvolto in un lenzuolo di luci colorate ma si sforzò di tenere gli occhi aperti e le labbra tirate in un sorriso.

Caesar lo raggiunse e gli appoggiò la mano sulla spalla, sorridente nel suo completo dorato per l’occasione, accompagnò Lyosha alla poltrona ricamata dove il Vincitore si accomodava ogni anno, sedendosi di fianco a lui, «un sacco di donne, eh?» commentò, aspettandosi una risposta.

Forse lo sa, pensò il ragazzo dell’8, forse lo sa che posso parlare.

«Già» disse semplicemente, ridacchiando e abbassando lo sguardo. Sentì il pubblico andare in delirio e anche dei piedi battere per terra per incrementare gli applausi.

Caesar assecondò i Capitolini, tirandosi leggermente indietro come per sorpresa e chinandosi subito dopo in avanti come un bambino curioso, «Lyosha, mi stupisci!» disse con un sorriso – contagiando l’Isaacs, «è una cosa che hai scoperto di poter fare? Come un blocco psicologico o…» stava bluffando, lo sapeva. Ma il pubblico si beveva la recita e questo non faceva altro che aiutare Lyosha. Anche alla fine degli Hunger Games, c’era bisogno di aiuto.

«Sono stati gli Strateghi» rispose, cercando di sembrare il più naturale possibile. Rivolse uno sguardo verso Lloyd sull’altro lato del palco, vicino a lei Vilette sorrideva scambiando qualche parola con Cecelia, «sono stati molto gentili».

Era il primo aggettivo che gli balzò in mente per elogiare la Capitale – sapeva cosa voleva dire mettersi contro le regole, una volta, al suo distretto, un paio di giovani uomini (trent’anni, non di più) erano andati in giro per l’8 cantando canzoni su liberazione dalla monarchia e rivoluzione dello stato, erano stati frustrati pubblicamente il giorno dopo.

Caesar fece qualche altra battuta, creando l’atmosfera tranquilla e catturando l’attenzione del pubblico, le luci scesero lentamente e il lungometraggio sull’Arena occupò il grande schermo posto alle loro spalle. Se Lyosha sopravviveva anche al riassunto dell’Arena, allora poteva definitivamente dirsi Vincitore. Solo allo scadere di quelle tre ore sarebbe finalmente uscito dagli Hunger Games.

Non pianse, non disse una parola né osò muovere un muscolo durante tutto il filmato – neanche l’angoscia che provò quando il corpo del ragazzino del Distretto 4 fu stritolato riuscì a smontare la maschera di impassibilità che si era imposto, neanche le sue dita per terra o le crude immagini dell’ago che gli cuciva le dita mentre il suo viso si contorceva di dolore. Ma quando riconobbe la foresta nuda in cui i Favoriti si erano scontrati, le labbra si schiusero leggermente e gli occhi parvero prestare attenzione a quello che succedeva realmente. Seguì con attenzione – in realtà era timore, ma questo nessuno lo sapeva – il combattimento tra Lexi, Liv e Fraser, vide il primo piano del petto di Liv trafitto dalla lama del ragazzo dell’1. Il combattimento successivo, il rapimento di Ariel, i propri occhi di un blu tempesta, le mani tremanti e la ferita alle dita sanguinanti con i punti strappati.

La gola di Ariel su cui volava il coltello di Lexi, la risata della Favorita si percepiva appena con il sottofondo musicale, un colpo di cannone lontano. Lyosha che fissava le due ragazze morte, lui che si spostava verso Fraser, lui che uccideva Fraser. La voce di Claudis che lo annunciava Vincitore e le ultime note della musica su sfondo nero – come la fine di un film ben costruito e soddisfacente.

Le luci si accesero gradualmente, gli occhi di Lyosha erano lucidi e la sinistra – provvista di protesi alle dita mancanti – tappava la bocca per non far uscire nessun suono. Senza aspettare il consenso di nessuno, Lloyd attraversò il palco passando dietro a Caesar e chinandosi vicino alla spalla del ragazzo, «va tutto bene» gli mormorò piano, mentre nella sala si diffondeva un tenue applauso di condoglianze.

Forse, Capitol City stava iniziando ad imparare dai propri errori.

Si asciugò le lacrime con il fazzoletto ben ripiegato nel taschino, il presentatore chiese a Lyosha se fosse pronto a proseguire e, ricevuto un assenso con il capo, seguì l’inno di Panem e l’incoronazione con il Presidente Snow.

 

 

Lyosha ritornò all’ottavo piano del Centro di Addestramento con una certa nostalgia – davanti alla sua camera, c’era il letto in cui Ariel aveva trascorso le sue ultime notti prima dell’Arena. Rimase fermo davanti a quella porta con la giacca in mano mentre sentiva, vicino all’entrata, Vilette parlare con le tre gemelle riguardo a quando si sarebbero viste il giorno dopo per l’intervista del Vincitore.

Sospirò chiudendo gli occhi, facendo dietrofront per andare nella propria camera, si lasciò cadere a peso morto sul soffitto e guardò come le prime luci del mattino dipingessero il cristallo del lampadario sopra di loro. Avvertì una profonda tristezza montargli addosso e si accorse poco dopo di aver ripreso a piangere, un singhiozzo gli risalì lungo la gola rumorosamente, facendolo sussultare.

Tre colpi alla porta e poi il viso di Lloyd sbucare fuori dalla fessura, tra le labbra una sigaretta ormai consumata, «mi hanno obbligato a venire a chiederti come stai» disse, prendendo la stecca tra le dita e premendola contro il muro per spegnerla – c’era rabbia, nel suo gesto. «Poteva venire Vilette, tu a lei piaci e lei piace a te», quando entrò Lyosha si accorse che nella mano libera aveva le scarpe con il tacco, la sua Mentore aveva i piedi piccoli, notò.

«Sto bene» mentì, rigirandosi sul letto per mettersi a pancia in su, si passò la mancina tra i capelli e sfregando la guancia contro le lenzuola pulite vide un leggero alone di trucco color carne abbandonare la sua pelle per depositarsi sulla coperta.

«Non ne dubito…» mugolò l’altra, appoggiandosi sul muro vicino alla porta, se ne sarebbe andata presto – Lyosha non aveva molta voglia di parlare. «Verrò a chiamarti per mezzogiorno, l’intervista è alle due» e con un colpo di reni si rimise dritta, afferrando il pomello della porta.

«E poi?» la domanda gli uscì come un sussurro, molto più bassa di quanto si aspettasse.

Riuscì a vedere, nella penombra della stanza, gli occhi della dona puntati su di lui e le labbra piegate in un sorriso leggero, tra compassione e sollievo.

«Poi si torna a casa».

Un sonoro click riempì il vuoto della stanza, Lyosha rimase solo con i propri pensieri. Allungò una mano, afferrò il cuscino più grande che avesse a disposizione e se lo premette contro la faccia, urlando tutte le grida di diciassette anni. Urlando, l’idea gli suonava quasi amara nella mente. La sua voce – che non era sua, era della Capitale – gli arrivava soffocata alle orecchie.

Soffocata come era anche l’idea della morte di Ariel. Si chiese quale sarebbe stato il momento in cui avrebbe potuto lasciarsi andare.

 

 

Lyosha non credé  di aver mai sentito tanto rumore in vita sua: le tre preparatrici gli avevano ordinato di rifarsi il bagno, erano andate a cercare i peli di una barba rasata meno di ventiquattro ore prima ed era quasi sicuro che gli avessero tagliato ulteriormente i capelli. Indossava una camicia azzurra e dei pantaloni neri tenuti su con delle bretelle – una sciarpa color crema gli avvolgeva il collo ricadendo in avanti sul petto.

Una volta pronto, fu accompagnato da Lloyd fino al pianterreno e lì, appena fuori l’ascensore, Caesar aspettava quasi saltellando sul posto il Vincitore, accogliendo Lyosha con un abbraccio quasi esilarante.

Probabilmente fa così ogni anno.

«In perfetto orario!» commentò, posando una mano sulla schiena di Lyosha e scortandolo vicino all’ingresso dove era stata portata la poltrona della sera prima, attorno a questa i fiori regnavano sovrani bianchi e blu, ogni tanto si intravedevano dei boccioli gialli.

Il ragazzo si sedette naturalmente con una gamba sotto la coscia, accorgendosi della sua posizione, tentò di sfilare il piede flesso per sedersi in modo più decoroso, ma la risata di Caesar lo fermò e il movimento della sua mano – a ventaglio – accompagnò le sue parole di rassicurazione, «non preoccuparti, siediti come sei più comodo, dobbiamo parlare di te oggi, no?».

Prima che Lyosha potesse rispondere, il conto alla rovescia di un membro dello staff delle riprese catturò la sua attenzione e un’altra donna gli fece segno di sorridere. Caesar salutò il pubblico da casa e l’Isaacs si immaginò di essere in diretta nazionale.

Flickerman fu molto bravo a mettere a proprio agio l’altro: parlarono del cibo, raccontò qualche barzelletta e lo interrogò sui nomi dei fiori che componevano i meravigliosi bouquet, trovandoli poi in tinta sia con l’abito di Lyosha che con i suoi occhi.

«La tua stilista ti ha mai detto che hai degli occhi favolosi?» commentò Caesar.

«La mia stilista trova tutto favoloso, anche te» la battuta gli uscì spontanea e si chiese come l’avesse presa Vilette, si appuntò mentalmente di chiederle scusa e ridacchiò all’idea del viso della donna imbarazzato – o arrabbiato. «Dico davvero!» aggiunse poi, chinandosi verso Caesar che riprese a ridere più forte.

«Allora penso che abbia trovato favoloso anche il tuo coraggio nell’Arena, no? Mi riferisco alla ferita sul braccio e alle dita», fece una pausa, osservando Lyosha irrigidirsi appena e stringere a pugno la mano semibionica, «come vanno le protesi?» domandò con più accortezza.

«Bene, se non fosse per il metallo freddo direi che sono perfette» disse con un sorriso un po’ forzato, Cecelia dietro i cameraman sospirò – Lloyd era uscita a fumare. «Comunque il coraggio è irrilevante, mi sarò anche tagliato le dita e ustionato un braccio, ma non sarei capace di saltare da… non lo so, il terzo piano di un palazzo se me lo chiedessero in circostanze diverse dagli Hunger Games. Penso sia qualcosa che abbia a che fare con l’energia che non sai di avere…» la frase rimase in qualche modo sospesa.

Ci fu un breve momento di pausa dove Caesar si toccò i capelli, come cercando la forza di fare la prossima domanda. «Scusa la franchezza, Lyosha, ma ora dovremo entrare nel vivo dell’intervista e… come ti sei sentito quando Amaryllis pronunciò il tuo nome come tributo maschio di questa edizione?» qualcosa in lui chiedeva perdono per la domanda – quella e tutte le seguenti che avrebbe fatto.

«Avrei voluto vomitarle sulle scarpe» rispose dopo poco, senza pensarci. Decise di ripiegare sulle risposte “divertenti” per alleggerire la tensione, Lloyd gli aveva spiegato come doveva muoversi: cautela.

Caesar sorrise, rilassandosi a sua volta mentre adagiava le spalle alla poltrona, «seriamente» riprese Lyosha, «avrei voluto vomitare – personalmente, non mi sarei mai offerto per accompagnare Ariel nell’Arena» pronunciare quelle parole gli fece male, «mi sarei limitato a sperare che tornasse a casa, forse avrei accettato la sua morte e basta. Ma andare con lei agli Hunger Games e non essere stato capace di proteggerla è stato…» i suoi occhi si persero nel vuoto.

La mano del presentatore gli sfiorò la spalla con cautela, «mi dispiace per Ariel, Lyosha» disse sottovoce, aveva lo sguardo lucido ma il ragazzo non sapeva se i suoi sentimenti fossero sinceri o meno, aveva importanza?. «Ti chiederei di parlarne, ma se non te la senti…» in qualche modo era supplichevole.

Lyosha respirò a fondo, sfilando la gamba da sotto la coscia, un brivido gli percorse la schiena e gli occhi si piantarono sulle mani, prima che iniziasse a parlare – l’ultimo sforzo.

«Ero davvero felice, il giorno della Mietitura, perché era la mia penultima, e magari una volta diciottenne avrei potuto cercare di sistemarmi, mettere su famiglia. E invece sono stato estratto, quando salutammo – io ed Ariel – nostra madre al Palazzo di Giustizia, le avevo detto che avrei protetto Ariel, perché doveva tornare lei a casa, non io. Mia madre non mi ha mai voluto bene come ne voleva a mia sorella, penso fosse per la questione della voce» istintivamente si portò una mano alla gola, «era andato tutto bene. Se ero riuscito a cicatrizzarmi una ferita con il ferro caldo, uccidere due persone e tagliarmi due dita, quanto mi ci voleva per bere un po’ d’acqua avvelenata e lasciarmi morire mentre Ariel vagava alla mia ricerca? Niente». Lloyd era rientrata, lo fissava con occhi seri vicino a Cecelia.

«Come sapevi che Ariel non si sarebbe uccisa prima? Magari per sbaglio, nell’Arena o…―».

«Lo sapevo e basta, ha sempre fatto quello che le dicevo. E ha continuato anche nell’Arena, una volta uscita di là avrebbe vissuto come le avevo pregato di fare: ti farò uscire da qui e tu potrai tornare dalla mamma. Nessuno dei due pensava realmente alla morte dell’altro», c’era tristezza, nella sua voce. «A me, invece, nessuno ha detto che cosa dovevo fare se fossi uscito da lì. Nessuno pensava che sarei stato io a vincere», un sospiro gli sfuggì dalle labbra, si catturò con i denti l’interno della guancia e intrecciò le dita delle mani tra loro, il metallo freddo pulsava sotto il contatto con la pelle.

«Devo trovare la mia strada» concluse, alzando lo sguardo e rivolgendolo coraggiosamente a Caesar, «anche se sarà un po’ difficile…» e riabbassò gli occhi, grattandosi una tempia.

«Per via di tua madre, immagino» suggerì debolmente il Capitolino.

Lyosha annuì, i suoi movimenti erano lenti e morbidi come se coperti da un lenzuolo – faceva tutto piano, con calma, come se avesse paura che un movimento brusco avesse potuto tirare fuori ciò che lui doveva tenere assolutamente dentro; «anche per quello, mi manca» si passò la manica della camicia sugli occhi, riaprendoli lucidi, «mi mancano entrambe». E in breve si ritrovò a lacrimare come la sera prima davanti alla morte di Ariel, si riasciugò gli occhi con la manica del vestiario e poi con la sciarpa – fino a quando il presentatore non gli offrì sotto il naso il proprio fazzoletto.

«Grazie…» disse con cortesia, asciugandosi le lunghe ciglia.

«Penso sia superfluo dire che Capitol City è al tuo fianco per sostenere il tuo lutto» ancora, la mano di Caesar gli toccò la spalla.

Il ragazzo scosse la testa, ripiegando il fazzoletto dell’altro e posandoselo sulle ginocchia, «certe cose bisogna sopportarle da soli, l’ho imparato nell’Arena», non voleva risultare un ribelle né sentirsi nelle orecchie le grida di disapprovazione di Lloyd nel caso dicesse qualcosa di sbagliato – eppure le sue labbra si mossero ancora, «mi hanno già portato via la famiglia, non intendo condividere con nessuno il ricordo di questa».

Flickerman annuì quasi come se potesse comprendere appieno le sue parole, «come ho detto, Lyosha, il tuo coraggio è favoloso, come i tuoi occhi». Salutò il pubblico con un gesto della mano e il segnale che informava la ripresa si spense.

Lyosha si alzò, seguito subito da Caesar che lo catturò in un altro abbraccio, stavolta più consolatorio – quasi dispiaciuto, «sei stato bravo». L’Isaacs si divincolò dalla sua presa salutandolo distrattamente, schivò le altre persone e raggiunse Lloyd e Cecelia, insieme si avviarono verso l’ascensore.

«Andiamo a casa» mormorò la ex-Mentore di Ariel, arruffando i capelli al Vincitore. Lloyd sospirò e fece segno a Lyosha di entrare per primo nell’ascensore.

Ma quale casa? pensò la donna, appoggiandosi al muro della cabina, questo ragazzo non ha più una casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



«Se continuerete a rinnegare quanto c'è di brutto in ciò

che fate, non imparerete mai dai vostri errori.»

[MAGNUS BANE; Shadowhunters – TMI]

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE D’AUTRICE«viviamo e respiriamo parole»

 

Sappiate solo che mi sono espressamente rifiutata di rileggere ciò di cui sopra, perché lo trovo molto deludente per il semplice fatto che non c’è tutto il dolore che avrei desiderato. E insomma, pace e amèn. L’unico motivo per cui pubblico e non tendo di riscriverlo è che sono quasi sicura uscirebbe peggio di questo – e poi yingsu mi ha detto di pubblicarla, quindi eventualmente prendetevela con lei ♥

La citazione finale, insomma, la amo – amo la frase e Magnus Bane! Ci tenevo che lo sapeste.

Mi scuso anche per il lungo – lunghissimo capitolo, ma spero sia abbastanza piacevole da leggere nonostante tutto. La sequenza degli avvenimenti è ripresa da Hunger Games, dopo l’intervista Lyosha è andato a raccattare le sue cose e poi a prendere il treno per l’8 – di cui c’è uno SNIPPET nell’epilogo.

 

Ci vediamo all’ultimo capitolo ;)

radioactive,

 

 

 

 

 

a n g o l o s p a m

a.    I’m frozen to the bones. { HUNGER GAMES – long – nuovi tributi, 73rd edizione } yingsu

b.    Sarò lì quando cadrai. { SOVRANNATURALE – long – angeli/demoni } yingsu

c.     Terza base. { ROMANTICO – onesto – spinoff de Sarò lì quando cadrai – Seth/Nid (slash!) } yingsu

d.    Piove sui nostri volti. { HUNGER GAMES – shot – Lyosha (OC) + Tallulah (OC) } radioactive

 

   
 
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