Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: _Zexion_    12/11/2013    2 recensioni
Jean non avrebbe mai più visto il suo sorriso, non avrebbe sentito le sue parole ed i suoi rimproveri. Non ci avrebbe più riso insieme, né scherzato.
« Marco… sei tu? »
Non una risposta, non un movimento. « Non posso crederci… proprio tu… » un sussurro, la consapevolezza, la crudeltà delle azioni. « Cos’è successo? »
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Next Time.
Fandom: Shingeki no Kyojin
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Note: Al mio Marco, mia moglie, che l’ha letta e mi ha dato il suo parere prima che venisse pubblicata. E che l’ha betata XD
E’ tutta tua amor, perché sei tu <3

 
Next Time.
 
La sensazione del sudore freddo che lentamente percorreva la sua pelle. Il dolore alla base del petto, dove il cuore sembrava aver mancato più di un battito, la consapevolezza.
Tutto quello lo colse come un fiume in piena, mentre rimaneva fermo ed immobile davanti al corpo senza vita di quello che era il suo migliore amico, la persona che più lo amava al mondo.
Aveva detto così, una volta, Marco.
Eppure ora giaceva fermo, con il volto straziato ed un arto mancante a guardare il vuoto, sfigurato per sempre. Mai più vivo.
Jean non avrebbe mai più visto il suo sorriso, non avrebbe sentito le sue parole ed i suoi rimproveri. Non ci avrebbe più riso insieme, né scherzato.
« Marco… sei tu? »
Non una risposta, non un movimento. « Non posso crederci…  proprio tu… » un sussurro, la consapevolezza, la crudeltà delle azioni. « Cos’è successo? »

Più tardi, quella sera, mentre riposava sopra la sua branda nella camera insieme agli altri, il posto accanto a lui era vuoto. Jean rimase a guardarlo per ore, senza dormire, senza chiudere occhio per il sonno.
Solo quando la sensazione di qualcosa di freddo che gli scivolava sulla guancia lo distrasse da quella sensazione di vuoto, il sentimento che si fece avanti per riempirlo fu il dolore, mentre la mano si posava sul letto freddo di Marco ed i ricordi lo straziavano dentro.

 
« Dear God, If  I ever… get to find someone to love again, if I met him in another life again…
 I’ll… hold him gently. »
 
― Dresda, oggi. ―


Il rumore della metro che passava, il vento freddo che inevitabilmente lo investiva non appena l’ultima locomotiva fosse passata, la musica a tutto volume nelle orecchie, lo sguardo assente.
Jean era fermo vicino alla linea gialla della stazione ad aspettare, consapevole che entro poco sarebbe potuto tornare a casa
La sua vita, d’altronde, all’alba dei diciotto anni, si poteva riassumere in scuola e lavoro, che esercitava la sera dei weekend come cameriere in un ristorante. D’altronde, al tempo stesso, l’università non era mai stata così faticosa come gli avevano fatto sembrare. Forse perché nonostante tutto gli piacevano  le materie che gli proponeva ed era sempre stato più portato per i lavori intellettuali, benché fisicamente non avesse da invidiare nessuno, ma i suoi voti salvo qualche materia raggiungevano una media accettabile e più senza alcun problema.
Quello che a conti fatti mancava nella sua vita, era una persona importante.
La sensazione di vuoto incolmabile anche nello stare con qualcuno che poteva rappresentare qualcosa di più, così come la consapevolezza che quella sensazione appartenesse solo a lui. Jean aveva iniziato a dare per scontato quelle piccole cose che a volte venivano chiamati segni, semplicemente vivendo senza cercare nessuno.
Questo, almeno, fino a quel giorno.
Se avesse dovuto descrivere il sentimento offuscato che si fece avanti quando sollevò lo sguardo dal proprio lettore mp3, avrebbe potuto definirlo “soffocante”. Il sollievo, il batticuore, il dolore, la sensazione che qualcosa stesse sfuggendo dalle sue dita ad una velocità impareggiabile, la voglia di gridare, urlare, gettarsi sui binari e correre.
Jean sollevò lo sguardo, incontrando la figura di un ragazzo dai capelli neri, le lentiggini a corniciare le guance, la felpa arancione troppo larga ed il sorriso flebile e dolce che rivolgeva a qualcuno che non riusciva a vedere in quel momento.
Rimase fermo un nesso di tempo abbastanza lungo per far sì che due treni passassero dinanzi a lui offuscando la vista sul binario opposto, mentre solamente una parola, un nome, fuoriusciva dalle sue labbra senza che nemmeno lui ne carpisse il significato, mentre delle immagini di quella che sembrava una vita passata si facevano largo nella sua mente.
« Marco. »
Ma quando il treno che si era fermato all’altro binario ripartì, non vi era più traccia di quel ragazzo.
Ed insieme a lui se ne andò la consapevolezza che la sua vita non sarebbe più stata la stessa.
Rimase fermo in quel punto anche quando il proprio treno arrivò, sentendo i mormorii della gente che gli passava accanto. Solo in quel momento si rese conto che aveva il viso bagnato di calde lacrime.

 
Ricordava perfettamente il sole ed il gremire delle cicale in quella giornata afosa. L’addestramento era stato particolarmente duro la mattina, ma fino a che rimaneva tale e non un’esperienza di vita vera, in realtà i cadetti si divertivano a tranciare parti di cartone di giganti finti. Solo una gara a chi faceva più punti.
A volte venivano sgridati per prendere sotto gamba la situazione, altri invece venivano lasciati in pace.
Jean rimaneva al fianco di Marco che in quel momento sembrava andar particolarmente d’accordo con Berthold in una discussione che non poteva sentire e semplicemente il ragazzo sorrise, guardando altrove.
Erano vicini, con le braccia che si sfioravano e Jean si rendeva conto che in sua compagnia per un secondo, un solo attimo dedito al riposare, si dimenticava completamente di quello che aveva intorno, come se esistessero solamente loro due.
« Oi, Jean. Sembri accanto alla fidanzata, sai? »
Quella voce lo riscosse dai propri pensieri e vide Connie ridere insieme a Sasha e gli altri, Marco che sembrava essere arrossito. Di rimando, chissà perché, forse sapendo di essere colpevole nei propri sentimenti, arrossì anche lui  prima di sorridere ed alzarsi, pronto all’ennesima “rissa” che ne sarebbe scaturita.
« Gelosia, Connie? »
« Ti piacciono i maschietti, Jean? »
« Ragazzi… »
La voce di Marco sembrò fare per bloccarli ma oramai era troppo tardi. Ed alla fine il pomeriggio si perse tra le risa dei cadetti e le urla del comandante.

« Terra chiama Jean, Jean rispondi? » La voce di Connie lo richiamò alla realtà, facendogli sbattere le palpebre un paio di volte. Non disse niente lì per lì, semplicemente aggrottando le sopracciglia e sbuffando, chiudendo il libro solo perché aveva notato che la lezione era finita.
« Che vuoi? »
« Come mai tanto scorbutico? Stavo chiedendo a te ed agli altri se vi andava di uscire al pub stasera. Per festeggiare la fine di questa sessione di esami. »
« Ma io devo ancora finire gli esami, Connie. »
Il ragazzo sbatté le palpebre confuso, prima di battere un pugno sul palmo della mano aperta.
« Giusto. Eri assente durante quello di letteratura, vero? » l’espressione di Jean fu abbastanza eloquente da fargli capire cosa pensasse in quel momento e, poco dopo, ridacchiò divertito.
« Peccato, eh? Avevamo intenzione di chiedere anche ai compagni del secondo anno di venire con noi. Berthold voleva portare anche Reiner, Annie e Marco con lui.  Immagino dovremmo fare senza di te…? »
Ma senza nemmeno un po’ di preavviso, Jean si tirò su di scatto, guardando Connie come se avesse appena visto un fantasma.
« Marco? » Il compagno di corso annuì, un po’ sorpreso e confuso.
« E’ nella stessa classe di Ber, pare che sia simpatico… »
« Vengo. »
« Eh? Ma il tuo esame? »
« Lo farò lo stesso, tanto ho già studiato. Non preoccupartene. Voglio venire. »
Connie alzò il braccio, portando la mano tra nuca e spalle e grattando appena quel punto, scrollando poco dopo le spalle.
« Ok. Non immaginavo tu conoscessi Marco! »
« Non lo conosco. » “Non sono nemmeno sicuro che sia lui.”
« Allora perché…? »
Jean raccolse la sua roba in fretta, senza dire una parola, andando subito verso la porta. Sentì Connie chiamarlo per nome e, per tutta risposta, alzò la mano a mo’ di saluto, allontanandosi in fretta con un « Fammi sapere l’ora! » sparendo così nel corridoio.

 
« Oi, Marco! Si può sapere perché ultimamente fai così? Mi eviti, te ne stai lontano! Se ti ho fatto qualcosa dimmelo! »
Un leggero tremolio che gli scuoteva le spalle, il labbro stretto tra i denti a causa del nervosismo. Marco si girò, il viso leggermente rosso che risaltava le lentiggini, impossibile dire se per irritazione od altro.
« Davvero vuoi saperlo? Bene! Ma poi non osare darmi la colpa, Jean. »

Quella sera, al pub, Jean continuava a guardarsi intorno, nervoso. Cercava di dare un senso a quella sensazione che da giorni sembrava essersi impadronita di lui, così come quei ricordi, quelle strane divise, quegli incubi che sembravano affollare la sua mente senza tregua.
Tutto, da quando aveva visto quel ragazzo alla stazione.
Era strano pensare come un nome potesse risvegliare tutte quelle sensazioni, sia di come una persona amica di amici non si fosse mai vista prima e che proprio quel giorno, quella sera, dopo quell’incontro, si facesse improvvisamente viva.
Jean non era mai stato superstizioso. Non aveva mai pensato che potesse esistere una vita oltre quella che si aveva in quel momento, così come la reincarnazione, il fato o il destino. Aveva accettato gradualmente che tutto quello fosse una scusa alla quale si aggrappavano le persone senza speranza, come ad esempio Eren Jeager, che continuava a stare dietro al professore di letteratura sostenendo che era stato il destino a farli incontrare, anche se di fatto appena i loro sguardi si incrociavano il ragazzo sembrava averne il terrore.
Insomma, sproloqui da pazzo.
Eppure, nemmeno avessero deciso di vendicarsi su di lui, improvvisamente anche lui si era ritrovato in quel circolo vizioso, ad aspettare la figura di qualcuno che probabilmente non era nemmeno la persona che stava cercando.
Credendo, sperando, che i puzzle della sua vita si incastrassero in qualche maniera.
Respirò a fondo mentre prendeva tra le mani il proprio drink, bevendone un sorso e volgendo lo sguardo in basso, sul tavolino.
Un comportamento che aveva fatto preoccupare molta gente, molti amici, visto che a conti fatti persino la vicinanza di Mikasa che lo innervosiva sembrava esser scontata ed inutile. 
« Oi, Jean. Sei sicuro di stare bene? » La voce di Armin lo colse alla sprovvista, ma si limitò ad annuire come se non vi desse alcun peso, perso nei suoi pensieri.
« … Jean? »
« Ehi, ecco Reiner e Berthold! Ragazzi, siamo qui! » La voce di Eren lo distrasse dai suoi pensieri, finendo con l’alzare di scatto il capo spaventando Armin e facendo corrucciare Mikasa, lo sguardo che freneticamente li cercava nella folla.
E poi, semplicemente, ci fu la sensazione di qualcosa che si scioglieva nel petto, una catena che sembrava allentare la presa, un calore che non sapeva definire nemmeno lui.
Reiner si avvicinò con la sua solita espressione burbera, scostandosi per dare spazio al nuovo arrivato che sorrise gentilmente e la voce di Berthold si fece largo al tavolino occupato.
« Ehi, ragazzi. Lui è Marco Bodt, un mio compagno di corso. Da oggi si unirà a noi. Mi ci è voluto un po’ per convincerlo, quindi visto che è timido trattatelo con riguardo. »
« Ehi, Ber, da che pulpito! Come se tu non fossi così! »
Un coro di risate si alzò intorno a lui e Jean sorrise appena, incontrando lo sguardo di Marco e sorprendendo tutti gli altri mentre allungava una mano per andare a stringere quella del ragazzo di fronte a sé.
« … Io sono Jean. »
A quel nome Marco sembrò riscuotersi dall’imbarazzo alla quale sembrava esser stato sottoposto ed una luce gli attraversò gli occhi, mentre il sorriso si fece un po’ più tremulo, la voce un po’ più pacata.
« Jean. E’ un piacere. »

 
« Cosa? »
« Mi piaci, Jean. Mi piaci così tanto che è diventato doloroso, starti accanto. »
Il ragazzo deglutì, passando una mano tra i capelli neri, ridacchiando appena, nervoso.
« E’ una noia per te, sapere dei miei sentimenti, vero? Mi dispiace. Davvero, mi dispiac- »
« No! Marco, io…! »
Il frastuono di un fulmine, la terra che per un attimo sembrò tremare. I due ragazzi volsero lo sguardo verso le mura, mentre la figura del Titano Colossale faceva capolinea da lì dietro.
Un brivido attraversò la spina dorsale di entrambi e la voce dei superiori che richiamavano alle armi li distrassero per un attimo.
Marco fu il primo a reagire, pronto a correre verso i compagni di squadra, pronto a combattere.
Jean sentì qualcosa bloccargli la gola e l’attimo dopo lo seguì, fermandolo per un polso.
« Marco! Quando tutto questo sarà sistemato, ti darò la mia risposta! Perciò… »
L’altro mostrò  un’espressione sorpresa e poi il suo solito sorriso, nemmeno avesse capito,  semplicemente annuendo. Non dissero nient’altro, correndo verso gli altri, pronti ad affrontare  il pericolo nonostante la paura.
Erano soldati e quello era il loro lavoro, benché non fossero stati i loro piani iniziali.
Benché avessero dovuto entrare a far parte di altre Legioni per aver salva la vita.
Jean guardò la schiena di Marco allontanarsi, ancora ignaro di cosa sarebbe accaduto durante quella giornata che sembrava prospettare l’inferno.
La guardò e respirò a fondo mentre il suono del proprio cuore che batteva velocemente
rimbombava nelle orecchie.

“Perciò… sopravvivi, Marco. Anche io devo dirti una cosa.”

Un sorriso ad incorniciargli il volto ed piccolo sbuffo divertito.
« Il piacere è tutto mio, Marco. »







« … Ragazzi, sapevate che Jean aveva certi gusti? »
« Connie, sei morto! »



 
  
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