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Autore: Teyra Five    12/11/2013    6 recensioni
Il mondo è diviso in quattro: la terra dei Vampiri, quella dei Licantropi, quella dei Maghi ed, infine, degli Umani.
Elsa è un vampiro, è stata trasformata all'età di cinque anni dal capo dei Vampiri, Samuel, ed ogni volta che guarda nei suoi occhi le sembra di averlo già conosciuto.
Da secoli durano sanguinose guerre tra le quattro razze e solo pochi ne sanno il vero motivo e Samuel non vuole rivelarlo ad Elsa.
Perchè? Cosa nasconde il capo dei Vampiri? Cosa lo lega al passato di Elsa?
Dal capitolo XIII:
Il giovane si accomodò accanto alla ragazza prendendole una mano baciandola. Lei tremò, sentiva i brividi.
Ormai erano tanti mesi che si conoscevano, uscivano di nascosto, parlavano di tutto e di più. Era abituata a sentire le labbra di lui sulle sue mani, ma ogni volta sentiva sensazioni nuove, come se fosse sempre per la prima volta.
Il ragazzo la guardò negli occhi regalandole un sorriso, un raggio di luce.
-I vostri occhi mi ricordano l'oceano. L'oceano di Elisaveta -le disse.
-L'oceano? Ma i miei occhi sono marroni!
-Oh, Lisa, l'oceano non si misura in base al colore, ma in base alla profondità del cuore.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XVII: sangue di vetro
*capitolo scritto completamente dal punto di vista di Samuel.
Inoltre, ci saranno delle parti che avevo già scritto: tutto ciò è programmato per darvi una cronologia.


L'amore diventò il mio punto debole perchè, finalmente, avevo trovato un senso nella vita. Forse non era la cosa più importante per gli altri, ma, per me, era il motivo per cui mi alzavo dal letto ogni mattina.

Russia, 29 maggio 1868

Non mi piaceva stare in mezzo alla gente.
Odiavo trovarmi in posti affolati, preferivo starmene da solo, per conto mio.
Odyn mi aveva portato con sè a quel ballo dicendo che avrei dovuto godermi la mia stupida vita, priva di senso.
Sapevo fare qualsiasi cosa: dipingere, suonare ogni strumento, conoscevo il nome di ogni pianta, parlavo tantissime lingue, conoscevo alla perfezione il greco e il latino e tante altre cose.
Ma forse c'era qualcosa che non sapevo fare: amare.
Il mio amico mi aveva abbandonato in mezzo alla sala e andò a ballare con una dama, mentre io, ero fermo a pensare a quanto avrei voluto andarmene da lì.
Finchè non la vidi.
Era in piedi, sembrava confusa. I suoi capelli castani erano raccolti in un elegante chignon, a parte qualche ciocca sfuggita. Gli occhi oro sembravano splendere quanto le stelle, ma timidi. Il labbro inferiore le tremava leggermente. Sembrava che avesse paura di tutto quel chiasso, di tutte quelle persone presenti al ballo.
Alzò la mano destra per rimettersi a posto il guanto bianco che scendeva scoprendole le dita sottili.
Qualcosa mi guidò verso di lei: il battito cardiaco troppo veloce, il respiro troppo irregolare, la mente troppo distratta dalla sua bellezza, il cuore di ghiaccio che stava per sciogliersi.
-Posso chiedervi questo ballo? -le chiesi allungando la mano. Cercai il suo sguardo e, quando finalmente lo incontrai, mi sorrise timidamente.
E mi diede la sua mano.

Ogni volta che la guardavo arrossiva; cercava di nascondere le felicità che provava, ma io la vedevo lo stesso: dopottutto avevo avuto molto tempo per conoscere l'animo delle persone.
-Come vi chiamate? -le chiesi mentre ballavamo. Lei sorrise, in modo impercettibile pensava, ma quel che vedevo io era un sorriso a trendadue denti.
-Sono Elisaveta Aleksandrovna Bronskaja. Non vi avevo mai visto finora...mi spiace di non essermi presentata subito, perdonatemi -rispose. La sua voce era dolce e trasmetteva una tenerezza indescrivibile. In quel momento avevo capito che, in tutto il resto della mia vita, infinita d'altronde, avrei voluto sentire solo quella voce, di Elisaveta.
-Già. Non ci siamo mai visti perchè sono arrivato poco fa in Russia. Finora vivevo in Inghilterra.
Elisaveta mi guardò sorpresa, aprendo leggermente la bocca. Era strano, infatti, per quell'epoca che in Russia ci fossero stranieri, soprattutto dall'Inghilterra poi. 
Le annuì chiudendo gli occhi e poi mi disse:
-Parlate così bene il russo che non avevo neanche notato che foste straniero...
-Non c'è nulla di grave -le sorrisi e il rossore sul suo viso apparve di nuovo- Mi chiamo Samuel Thunder, lieto di conoscervi, mademoiselle*1

Finito il ballo ci allontanammo uno dall'altro, anche se ci eravamo rivoltati più volte per darci un'ultima occhiata.
Ma io non volevo che fosse l'ultima per davvero.
Odyn, finalmente, tornò da me sorridendo. I balli in Inghilterra erano molto simili a quelli in Russia, tuttavia era comunque molto interessante scoprire gli usi di un nuovo paese. 
Avevo già vissuto in Germania, in Italia ed in Francia, ma dopo un pò di tempo, ogni paese mi dava noia, così decidevo di trasferirmi altrove.
Ora, la mia mente, non era altroché occupata da Elisaveta: qualcosa di lei mi aveva conquistato, e non riuscivo a pensare ad altro. 
-Ehi, Samuel? -mi chiamò Odyn notando che ero perso nei miei pensieri.
-Sì? -gli risposi riprendendomi un attimo.
-Ho detto: forse è meglio che andiamo?
-Oh, va bene. Cominciano ad andarsene tutti, ormai.
-Appunto.

Odyn era un mago: noi due eravamo amici sin da quando avevo sedici anni (quelli veri che risalgono ancora al Medioevo...) e da quel momento in poi nulla era riuscito a distruggere la nostra amicizia.
Nonostante mi fidassi completamente di Odyn, non avevo alcuna intenzione di raccontargli di Elisaveta: a lui interessava poco di amore e cose varie...
Alla fine, decisi di mandarle un mazzo di rose rosse con un biglietto e il giorno in cui riceveva la sua famiglia, sarei venuto a trovarla.

2 giugno 1868

La famiglia Bronskaja riceveva il venerdì: non potevo perdere questa occasione di rivedere Elisaveta.
Tutte le notti prima di quell'atteso giorno, sognavo il suo viso, i suoi capelli castani, il suo sorriso, le sue mani fra le mie. E il cuore mi batteva veloce. E la cosa mi spaventava sempre di più.
Per alcuni momenti avevo tentato, invano, di dimenticarla, di non pensarci, ma poi mi accorsi che l'effetto era contrario: la pensavo ancora di più.

Elisaveta sedeva su un divano nel grande salotto del suo palazzo e stava leggendo un libro. Silenziosamente voltava le pagine, ogni tanto le fuggiva un sorrisino e all'inizio non avevo capito perchè. Poi, all'improvviso, chiuse il libro e si voltò alla porta, da dove la osservavo senza dire una sillaba. Si era accorta di me da un bel pò.
Ci guardammo senza parlare: riconoscevo nei suoi occhi il bisogno di me, in carne ed ossa, non del ricordo rimasto dell'altra sera ed era la stessa cosa che provavo io.
-Siete venuto... -disse infine.
-Sono venuto.
Feci due passi verso di lei che sussultò posando le sue mani in grembo. 
Mi sedetti accanto a lei e le presi la mano baciandogliela con lo sguardo fisso nel suo.
Sentii quasi i brividi quando mi sorrise: mi era sembrato di aver ricominciato a respirare, cosa che non facevo da quel maledetto ballo.

Uscimmo nel giardino, parlavamo del più e del meno sia in russo, sia in inglese. Anche lei parlava perfettamente la mia lingua, però la differenza era il fatto che io sapevo parlare grazie alle mie capacità da vampiro, mentre lei aveva studiato davvero.
Ogni tanto il discorso fra noi cadeva perchè Elisaveta si accorgeva del fatto che la guardavo senza risponderle quando mi faceva una domanda. Probabilmente lei non mi richiedeva più perchè pensava non capissi, invece io non la ascoltavo, la osservavo soltanto. Non che non mi piacesse ascoltarla, no. Solo che avevo bisogno che parlasse, avevo bisogno di sentire la sua voce e le parole avevano perso ogni senso, in quel momento.

Non c'eravamo neanche accorti di quanto fosse diventato tardi. Nel cielo splendevano le stelle e l'aria era leggermente più fredda, ma comunque era meglio delle lunghe giornate di pioggia di Londra.
Mi voltai verso di lei leggendole la delusione negli occhi.
Nemmeno io voglio lasciarti -pensai non accorgendomi che gliel'avevo detto nel pensiero.
Elisaveta mi guardò non capendo, ma poi riprese l'espressione di viso di prima, il che mi spezzava il cuore. Non mi piaceva di vederla così sofferente.
-Dovete andare... -disse lei. Non era una domanda, era una semplice affermazione.
-Vorrei restare, ma si è fatto molto tardi.
-Certo, certo...non posso trattenervi ulteriormente...
-Voi potete farmi tutto quel che volete -le dissi prendendo la sua piccola mano. La liberai dal guanto, volevo un contatto con la sua pelle. Le sfiorai le noche e le dita con le labbra e lei tremò.
-Samuel...
All'improvviso tolse la mia mano dalla sua e per un attimo ebbi il momento in cui ti sembra che il mondo stia per crollarti addosso, credevo che le avesse dato fastidio. Invece, mi accarezzò la guancia con le dita. Mi guardava negli occhi, i suoi occhi marroni e mi sembrò che fossero i più belli che abbia mai visto.
Era vicina, sentivo il suo respiro sulla mia pelle. Allungai la mano fra i suoi capelli, che quel giorno erano sciolti e ricadevano in morbide onde lungo la sua schiena. 
Elisaveta chiuse gli occhi e la tentazione che provavo aumentava ogni secondo in più che restavo con lei.
Connettiti al cervello prima di fare qualcosa -diceva sempre Odyn ed io seguivo sempre il suo consiglio. Ma in quel momento desiderai spegnere quella stupida mente. E posai le mie labbra su quelle di Elisaveta.
Sapevo che aveva riaperto gli occhi sorpresa. Sapevo che non sapeva cosa fare. Sapevo che era indecisa se ricambiare il bacio o meno. Sapevo che li aveva chiusi di nuovo. E il risultato era il bacio che aspettavamo.

17 settembre 1868

Ormai erano mesi che io ed Elisaveta uscivamo di nascosto. I matrimoni, ormai, non erano più combinati, ma in qualche maniera Lisa mi fece capire che i suoi genitori si fidavano ben poco di me.
-Dicono che siete molto misterioso, che state poco nella società...e siete pure straniero...a loro sembrate...un ribelle, ecco...-aveva detto.
Ribelle? Io?! Ma davvero?

Era una giornata d'autunno. Le foglie secche cadevano per terra, sembrava che danzassero in aria. Gli alberi erano nudi, spogli. Il cielo era limpido, non c'era neanche una nuvoletta. 
Io ed Elisaveta stavamo facendo una passeggiata nel nostro bosco (era diventato il nostro anche se era suo, ma lei non l'aveva mai visitato perchè era troppo lontano da casa sua. Ero rimasto colpito da ciò perchè i nobili russi conoscevano solo i confini del proprio territorio immenso, ma non il territorio stesso ed in Inghilterra non era una cosa molto tollerante... *2).
A Lisa non piaceva quella stagione perchè le sembrava che tutto morisse, ma proprio quell'autunno era il più bello di tutti.
Trovammo una panchina di legno sotto un albero ed Elisaveta vi si sedette dicendo:
-Mi piace la primavera: tutto rinasce. Ogni pianta, ogni foglia su ogni albero, ogni fiore. E a voi?
-Avete ragione. -le risposi sorridendo.
-Adoro i fiori, vorrei fare giardinaggio perchè vorrei essere io a curare le mie piante, a farle crescere. Ma mia madre dice che è il compito dei nostri servi.
-Io ho il giardino tutto mio, penso che vi piacerà.
-Vorrei tanto vederlo.
Mi accomodai accanto a lei prendendo la sua mano e gliela baciai. Lei tremò, come al solito.
Ormai erano tanti mesi che ci conoscevamo, uscivamo di nascosto, parlavamo di tutto e di più. Era abituata a sentire le mie labbra sulle sue mani, ma ogni volta sentiva sensazioni nuove, come se fosse sempre per la prima volta.
La guardai negli occhi.
-I vostri occhi mi ricordano l'oceano. L'oceano di Elisaveta -le dissi.
-L'oceano? Ma i miei occhi sono marroni!
-Oh, Lisa, l'oceano non si misura in base al colore, ma in base alla profondità del cuore.

21 settembre 1868

Come avevo promesso ad Elisaveta, la invitai finalmente nel mio palazzo. Non era grande quanto il suo, ma non sembrava neanche la casetta di un contadino, ovviamente.
Subito mi chiese di mostrarle il mio giardino e non potevo dire di no a quegli occhi da cerbiatto.

Camminava di qua e di là osservando attentamente ogni cespuglio, ogni fiore, ogni albero. Ero fiero del mio giardino perchè ero stato io a curarlo con le mie mani, non grazie a quelle dei giardinieri.
Gli occhi di Lisa si fermarono ad un grande cespuglio di rose rosse; si voltò verso di me, sorridendo:
-Quelle rose che mi mandavate...le avete coltivato voi, vero?
Annuii soltanto.
-Le riconoscerei ovunque. Le tenevo nel vaso sulla mia scrivania fino all'ultimo. I camerieri mi chiedevano se fosse il caso di buttarle via, ma io rispondevo di no fino a quando non mi mandavate un mazzo nuovo.
-Vi piacciono così tanto? -le chiesi abbracciandola da dietro. Lisa mi accarezzò le braccia mentre la cullavo e poi rispose sussurrando:
-In realtà non mi ero accorta della loro bellezza finchè voi non me l'avete fatta notare. Ora so che ogni fiore è stupendo se viene cresciuto con amore.
-Ma voi restate comunque il fiore più bello -le dissi baciandole la testa.

6 ottobre 1868

Un leggero venticello le accarezzava il volto di ragazzina. I lunghi capelli castani si disperdevano nell'aria come le fiamme durante un incendio.
Seduta sull'altalena, l'unico rumore che c'era erano proprio la sua voce e le sue risate. Sorrideva chiundendo gli occhi per assaporare al meglio quel momento.
-Ho paura che tutto ciò finisca, prima o poi -disse Elisaveta improvvisamente con la voce ridotta ad un sussurro. Il sorriso svanì dalle sue labbra rosa che presero una linea dura. Un triste silenzio calò in quel momento.
-Perchè, Lisa? Perchè dovrebbe finire? -le chiesi spingendo l'altalena per dondolarla. 
-P-p-perchè...-balbettò lei diventando rossa. Si mise una mano su una delle guance e poi fece un gesto come per scacciare i pensieri dalla sua mente.
-Lisa...non mi mentire, vi prego...
-Non è nulla, non è nulla -mi zittì sorridendo. Ma io sapevo che quello era un sorriso falso: ormai sapevo distinguerli da quelli sinceri. -Oh, per favore, Samuel...-disse lei non appena vide l'espressione fredda sul mio viso.
-Lisa, lo sapete quant'è importante la fiducia per me. Perchè non volete dirmi nulla?
-Non ho nulla da dirvi, non vi nascondo assolutamente niente...
-E' una bugia, questa.
-Vi prego, non arrabbiatevi, non voglio litigare con voi!
Fermai l'altalena e abbassai il suo viso verso quello di Lisa che, imbarazzata, diventò ancor più rossa di prima. Tuttavia non distolse lo sguardo dai miei occhi.
-I miei genitori vogliono che sposi un altro uomo... -disse Elisaveta sospirando. Vedevo le sue lacrime salate che le bruciavano gli occhi, ma una severa educazione a cui era stata abituata sin da bambina le proibiva di piangere.
Rimasi in silenzio per qualche minuto, poi accarezzai i capelli di Lisa dicendole:
-Pensate che ciò possa davvero fermarmi?
Lisa abbassò lo sguardo sulla mia mano aperta.
-Scappiamo, Elisaveta, lontano lontano...nessuno ci troverà...tu non sarai più Elisaveta Bronskaja, io non sarò più Samuel Thunder...saremo solo Lisa e Sam, come abbiamo sempre voluto...
Mi sorrise e poi annuì. Le rubai un bacio e lei era d'accordo.

Vrykolakas, 27 ottobre 1868

Erano una ventina di giorni da quando Lisa fuggì da casa con me. Ci eravamo trasferiti definitivamente a Vrykolakas, poichè a casa mia in Russia, prima o poi, ci avrebbero trovati, invece qui gli umani non potevano raggiungerci.
Vrykolakas era stata fondata da mio padre un secolo prima e, all'inizio, era solo una specie di scuola per i vampiri purosangue. Io e mio padre abitavamo lì, ma poi lui decise di diventare eremita o qualcosa del genere e se ne andò chissà dove, ma la cosa non mi preoccupava perchè, per quanto fosse vergognoso ammetterlo, di mio padre non me importava più niente. Quando mia madre fu uccisa, lui non si preoccupò minimamente di me: all'epoca avevo solo sei anni e vedere la mia mamma morta per terra con gli occhi aperti non era la cosa più bella per un bambino. Mio padre, dopo la morte della mamma, si dedicò completamente alla piccola comunità che aveva creato riservata solo ai vampiri purosangue ed io, invece, dovetti costruire la mia vita da solo e quando mi chiedevano che lavoro facessero i miei genitori rispondevo ch'ero orfano perchè non volevo raccontare i miei problemi familiari.

Elisaveta non l'aveva presa molto male quando le raccontai che a Vrykolakas non c'era alcun essere umano, ma solo vampiri: mi aveva guardato sorpresa e poi svenne. Poteva andare peggio.
Comunque, aveva accettato la mia natura (anche se pensavo che in realtà lei non mi credeva), ma non mi aveva dato alcuna risposta quando le chiesi se voleva diventarlo anche lei.
Non poteva andare avanti in quel modo: io volevo sposarla, avere dei bambini, una famiglia insomma, la famiglia che non avevo mai avuto, ma restava il fatto che Lisa era un'umana ed io un vampiro, e non potevamo mescolare le nostre razze.
Aveva detto che ci avrebbe pensato ed io mi auguravo fosse davvero così.

Una sera eravamo abbracciati, stretti uno all'altro, nella mia stanza (dormivamo nelle camere diverse) e lei mi disse:
-Sam...ma voi, quindi, bevete sangue...? -sussurrò.
Non volevo risponderle perchè avevo paura che la cosa avrebbe potuto spaventarla. Io volevo che lei scegliesse di diventare un vampiro. Lo sapevo che la stavo quasi spingendo a farlo, ma era l'unico modo: io non potevo diventare un umano, quella era la sola unica via d'uscita ed era solo questione di tempo.
Ma io non volevo perder tempo. Ne avevo già perso abbastanza...
-Sì -risposi sincero- Ma non solo. I vampiri si nutrono anche del sangue, ma in gran parte di cibo umano.
Lisa mi guardò con gli occhi spaventati e solo in quel momento mi accorsi di quel che avevo detto:
-No no!! Non quello che avete pensato! Nel senso, mangiamo le stesse cose che mangiano gli umani! -lei sospirò- Ma, Lisa, cosa pensate di me? Mi avete preso per un cannibale?
-Perdonatemi, è che...questa cosa del sangue...
-Lo so che vi spaventa, ma non è così terribile...non finchè siete ancora un'umana...
-Per favore, Samuel, non farmi pressione.
-Scusate -la strinsi più forte baciando le sue guance, il suo naso, i suoi occhi ed infine le sue labbra.

Vrykolakas-Inghilterra, 13 gennaio 1869

Lisa non aveva ancora deciso e questa ansia mi stava distruggendo: avevamo persino litigato più volte e avevo scoperto un lato, così nervoso e capriccioso di lei, che mi faceva imbestialire ed uscire fuori dalla stanza sbattendo la porta. A calmarmi erano le mie sigarette, non di certo Elisaveta stessa.
Questo non significa che l'amavo di meno, anzì, i sentimenti che provavo verso di lei continuavano a crescere, ma avevo paura che quei litigi potessero causarci guai. E avevo ragione a preoccuparmi così tanto.

Quel 13 gennaio litigammo di nuovo: me ne andai dalla stanza (sbattendo, ovviamente, la porta perchè sapevo che a Lisa faceva impressione) a fumare nel giardino.
Litigare con Elisaveta, oltre a farmi incavolare, mi faceva soffrire molto, perchè avevo paura che quel piccolo ma grande legame che c'era tra di noi rischiasse di rompersi.
Era un pò da egoista abbandonarla lì, sola nella camera, ma era meglio se uscivo per qualche minuto per calmarmi. Sapevo che anche lei ci rimaneva male, ma, diavolo, perchè non voleva decidersi a diventare un vampiro?!
Non riuscivo a capirlo: certo, era un mondo totalmente nuovo per lei e le avevo dato tutto il tempo per abituarvici, ma quanto sarebbe andato avanti questo periodo?
Ripensai al suo sorriso e mi calmai: era veleno ed era antidoto.
Tornai nella stanza, ma Lisa non era lì. 
Andai nel salotto chiedendo ad un paio di vampiri se l'avessero vista, ma loro facevano solo il segno di no con la testa.
Il cuore cominciava a martellarmi: dov'era?
Guardai fuori dalla finestra: da lì si vedevano i Cancelli Oscuri. Già all'ora quelli servivano a spostarci da un mondo all'altro, ma sulla Terra erano molto nascosti e solo alcuni vampiri, maghi o licantropi sapevano della loro esistenza.
Elisaveta stava correndo verso di loro.
Mi affrettai per fermarla, correvo come impazzito non preoccupandomi neanche di Mr Areiv a cui avevo fatto cadere un piatto dalle mani, ma non ero riuscito a raggiungerla, se n'era già andata.
Quando decidi di usare i Cancelli non ti accorgi che passa molto tempo prima che tu arrivi a destinazione, il che significa che non sarei più riuscito a raggiungerla.
Se ne sarebbe andata, si sarebbe persa, non avrebbe trovato aiuto e cos'altro poteva accaderle in un paese sconosciuto?! I Cancelli del mondo umano si trovavano a Greenwich!

La distanza di tempo del trasferimento di Lisa e del mio era circa di due ore.
Quando arrivai a Greenwich sussultai per il freddo che c'era: nevicava, persino.
Cercai di usare i miei poteri mentali per trovare il percorso che aveva fatto Elisaveta, ma non ci riuscivo molto quando ero nervoso.
Quella donna mi aveva reso la vita impossibile, era la prima volta che non riuscivo a concentrarmi. Io che avevo sempre avuto il sangue freddo.
Comunque riuscivo a trovare mentalmente le sue impronte, in qualche maniera sarei riuscito a trovarla, ma quando? Lei aveva bisogno di me!

Arrivai in una piccola pianura che mi spaventava un pò: era coperta tutta di neve bianca come il latte, e solo un albero nudo e scuro rovinava il paesaggio.
E poi le urla.
E poi il sangue.
Il sangue rosso su quella neve bianca.
Ed era il sangue della mia Lisa.
Corsii da lei, era circondata da un gruppo di licantropi tra cui Kendel, il loro capo.
Non mi importava niente di loro, solo della mia Lisa.
Aveva la gola tagliata, si stava soffocando, le mancava l'aria. Mi chinai su di lei, non riuscivo a parlare. 
Avevo solo voluto che quello fosse un incubo, ma era la pura, crudele realtà.
-Elisaveta! -urlai il suo nome baciandole il volto, tentava di dire qualcosa, ma la fermai.
-Vi amo...S-s-s-amuel...vi amo...-diceva. Non riusciva più a respirare.
-Lisa...Lisa, no! Vi amo anch'io, sentite?!
-S-s-s-am...
-Amore mio...andrà tutto bene...-ma sapevamo entrambi che non sarebbe andato bene niente.
Sapevo che non sarei riuscito a salvarla, non c'era alcun modo. Ero disperato.
Questa disperazione si mescolava alla rabbia, al pensiero che non l'avrei rivista mai più, che non avrei più sentito la sua voce. Avevo voglia di morire, lì, con lei.
Un'antica leggenda diceva che, ritagliando il cuore di una persona che era morta, questa sarebbe potuta rinascere. Non si sa quando, non si sa dove. Ma una possibilità c'era.
In uno stato normale non avrei mai creduto ad una stupidaggine del genere, ma ero disperato e per un attimo quella mi sembrò la salvezza.
Presi la mia spada liberandola dalla custodia, posai la mano sul cuore di Lisa che batteva ancora...era ora di smetterla di farla soffrire.
-Non sono riuscito a prottegervi, Lisa, perdonatemi...-le dissi e affondai la spada nel suo petto. Le sue ultime parole furono: sono contenta di avervi conosciuto.

Kendel ed i suoi licantropi eran rimasti ad osservarmi: in una mano tenevo la mia spada sporca di sangue della mia Lisa, nell'altra il suo cuore.
Mi guardavano spaventati, come se fossi la cosa più terrificante che abbiano mai visto. Facevano bene ad avere paura. Ma avrei aspettato. La mancanza di Elisaveta si sarebbe fatta sentire al più presto e, di conseguenza, sarebbe cresciuta pura la mia rabbia e mi sarei, quindi, vendicato per bene.
-Perchè? -chiesi soltanto.
Kendel abbassò gli occhi, mentre gli altri licantropi fecero qualche passo indietro.
-Ho chiesto: perchè?! -urlai, stavvolta.
-Conosco suo padre, ha detto che era scappata con un ribelle inglese...ha detto di ucciderla in silenzio, senza che nessuno lo sappia...eravamo qui per puro caso, forse l'ha voluto il destino...
Ma io non ci credevo: il padre voleva morta la propria figlia? Perfino il mio non si sarebbe abbassato a questo livello.
-Me la pagherai, Kendel, stanne certo -dissi voltandomi verso il corpo di Lisa privo di vita.

Vrykolakas, 6 febbraio 1869

Lisa avrebbe compiuto i diciannove anni quel giorno.

Avevo sepolto il corpo di Elisaveta nel giardino di Vrykolakas, sotto un cespuglio di rose rosse. Qualcuno dei vampiri s'era lamentato dicendo che questo non era un cimitero, ma ci pensai già a come farli chiudere le bocche così che non riescono neppure a guardare nella mia direzione.

Dalla sua morte fino a qualche giorno fa non avevo mangiato niente. Potevo resistere senza cibo per molto tempo. Odyn aveva pensato che stavo cercando di suicidarmi lentamente ed in un modo molto doloroso, ma ero forte e avevo ancora una piccola speranza.
E se Lisa sarebbe rinnata?
Dovevo vivere, non avevo perso il senso della mia vita, come pensavo.
Avevo capito che il vero motivo della mia stupida inutile vita era l'amore che provavo per Lisa. Lei era morta, ma i sentimenti che nutrivo per lei erano ancora vivi ed eterni. Ecco perchè dovevo vivere.

In modo quasi automatico mi alzai dal letto: sapevo dove stavano per portarmi le mie gambe.
Lycanthrope.

Lycanthrope, 7 febbraio 1869

Era notte tra il sei e il sette.
Stavo camminando verso il castello di Kendel e sua moglie, Myriam. Ad ogni mio passo c'era una scossa nel terreno.
Non provavo più niente, né rabbia, né odio. Tutto succedeva in modo involontario: feci scoppiare gli incendii nei boschi di Lycanthrope, terremoti e tempeste. I fulmini colpivano le case, gli alberi che cadevano per terra distruggendo tutto quello che c'era sotto.
Ero come una macchina di distruzione: non volevo far male al popolo licantropo che non aveva alcuna colpa, ma, dall'altra parte, non avevo fatto niente per fermarmi.

-Kendel, è completamente solo! -sentii la voce femminile da un salotto del castello.
-Non è possibile che sia da solo! Controlla bene! -le rispose quel disgraziato.
-Tua moglie ha ragione, Kendel. Myriam è sempre stata una donna attenta -dissi entrando nella stanza.
Myriam si nascose dietro suo marito anche se, in fondo al cuore, sapevamo tutti e tre che Kendel era solo un codardo e se avesse avuto qualche possibilità di fugga se ne sarebbe andato a gambe levate senza preoccuparsi di sua povera moglie.
-Che c'è, Kendel, paura? -chiesi sussurrando.
Un gruppo di guardie era entrato puntando le armi verso di me:
-Andatevene e non vi farò niente -dissi e loro mi ascoltarono. Il loro capo era sconvolto dal fatto che le sue guardie se n'erano così, ma era perchè non sapeva che l'avevo quasi imposto nella loro mente.
-Allora, che la sfida abbia inizio? -chiesi.

Tenevo Kendel con la mano destra per il collo. 
Era molto più adulto di me. Aveva lunghi capelli neri e gli occhi gialli. Si era quasi trasformato, ma troppo tardi.
-Oh, stai soffocando? Proprio come la mia Lisa. -risi stringendo ancor più forte il collo. Il moro cercò di strappare la mia mano, ma ero troppo forte -Dimmi come ci si sente, bene? Stava bene la mia Lisa? Stava bene?! Perchè stai zitto? Ah, scusami, non puoi parlare, Perchè ti manca l'aria, perchè stai soffocando, perchè non riesci a dire nulla visto che non hai fiato. Così si sentiva Lisa, così. E' bello sapere che stai per morire? Dimmi, è bello? Rispondi! Hai riso tu, quando lei stava morendo, hai solo riso. 
-S-s-scusami... -riuscì a mormorare il capo dei licantropi.
-Scusami? -ripetei- No. Mai e poi mai. Lisa non tornerà, non tornerà grazie alle tue scuse. O sì? Tornerà? Tornerà? 
-L-l-lasciami...
-Ti supplico! -urlò la moglie di Kendel, seduta in un angolino, con le ginocchia al petto e le lacrime lungo le guance.
-Guarda come sta tua moglie. Lei sì che ora potrà capire come mi sentivo io. La mia Lisa...dov'è, ora, la mia Lisa?! -chiesi con un urlo soffocato e scareventai fortemente il corpo del moro contro il muro di pietra. E questo morì in un batter d'occhio.

-Spero che tu ti sia vendicato, ora. -disse la donna dai lunghi capelli biondi e mossi. Le lacrime le rigavano il viso, la voce sembrava un sussurro, ma carico di odio e di sofferenza. Le mani tremavano mentre teneva fra le braccia il corpo di suo marito.
-Oh, Myriam. La mia vendetta è solo cominciata -le risposi. Un sorriso apparve sul mio volto, ma non era un sorriso di gioia o di pace raggiunta, non era un sorriso di una persona che cercava vendetta. Era un sorriso spento e triste, pieno di dolore che non sarei riuscito mai e poi mai descrivere. 
-Sei terribile...guarda cosa hai fatto...hai ucciso Kendel e tante altre persone innocenti...sei un mostro... -continuò Myriam e le sembrò soffocare, così come morì prima suo marito.
-Mi parli tu dell'innocenza? Parli tu?! -urlai.
-Kendel ha fatto una cosa orrenda, è vero, non ha...non aveva scuse per questo. Ma cosa c'entrava il nostro popolo?
-Soffri, Myriam, soffri. E non ti credo. Non ti interessa nulla del popolo, questa sì che è una scusa. Non ci crederò mai a quello che dici. Soffri. Soffri come soffro io.
-Non te lo perdonerò mai. Mai!
-Sarò io che dovrò perdonare te e la tua stupida razza. Ma la guerra è appena cominciata, e fino alla fine dei miei giorni non ti darò pace.
-Cosa ci avrà trovato in te quella povera ragazza...
-Non potrai mai capire, tu. E non osare nominarla -sussurrai con la voce tremante.

Da quel momento fui chiamato l'Ultor*3 e cominciò la Prima Guerra tra tutte le razze. La morte di Lisa non era l'unica causa degli scontri che nacquero: era solo come la goccia che fece traboccare il vaso.

Russia, 19 luglio 2001

La mattina mi svegliavo con il ricordo di Lisa, e la sera andavo a dormire pensando a lei.

Ormai avevo perso ogni speranza, ma riuscivo a vivere comunque. Avevo un regno enorme da governare, i piccoli vampiri a cui davo lezioni e a cui potevo dare l'affetto di troppo che c'era in me: ne ero pieno, dovevo pur sfogarlo su qualcuno.
Ero il capo della razza più potente del mondo, tuttavia non ero felice.
Nessuna donna dopo Elisaveta era riuscita a conquistarmi, ma forse perchè non ero ancora pronto a farmi conquistare. Mi mancava ancora, avevo il peso continuo della sua anima sul mio cuore. Il suo, invece, di cuore, l'avevo nascosto nella scatola in cui, tempo fa, Lisa teneva i suoi gioielli e il pettine (su cui eran rimasti i suoi capelli...no no, ero diventato quasi pazzo, ma avevo conservato anche quelli). Quella scatola sarà per sempre al sicuro in una stanza chiusa a chiave, che ho solo io, sotto la Casa dei Vampiri.

In questi secoli erano successe molte cose, in breve posso dire che sono il migliore capo del mondo (e non sto scherzando) poichè il popolo di Vrykolakas è contento, ora che non ci sono più quelle sanguinose guerre (spero) che avevo, appunto, vinto tutte.

Odyn, il migliore amico, era morto durante una battaglia lasciando il regno alla sua piccola figlia Sylvia, ma questa era troppo giovane per salire al potere e suo padre biologico non se lo ricorda nemmeno: infatti, sua madre aveva sposato un imbecille che mi aveva dichiarato guerra e Sylvia lo riteneva (e lo ritiene ancora) suo vero papà. Per fortuna anche questo muorì e in qualche maniera spinsi Sylvia a prendere in mano il governo e fare la pace con i vampiri. E' uguale a suo padre: ha i capelli rossi e gli occhi verdi, è testarda come un mulo. Provo un sincero affetto verso di lei perchè mi ricorda Odyn che mi manca tantissimo.

Il 19 luglio ero in un gruppo di vampiri in Russia, quel paese mi riportava indietro con gli anni, ma stavo svolgendo una missione quindi non potevo abbandonarmi ai dolci ricordi della mia Lisa.
Eravamo vestiti come persone umane, felpe e jeans, nessuno avrebbe pensato che fossimo dei vampiri.
Mentre camminavamo vidi una casetta: sulla finestra tutta sporca, piena di ragnatele c'era un gatto nero che, quando mi guardò, miagolò e corse chissà dove. 
Poi ritornò e miagolò di nuovo, guardandomi. Si girò di nuovo nell'altra direzione e corse, così decisi di seguirlo (non che di solito seguissi i gatti, però questo aveva un comportamento particolarmente strano).
Il gatto si fermò davanti ad un piccolo orto e poi si avvicinò ad un pomodoro verde ch'era appena caduto. Una bambina di circa cinque-sei anni si abbassò verso la verdura, ma quando si voltò il mio cuore smise di battere.


Riconobbi la mia Lisa, che ora era nei panni di una piccola bambina. Mi avvicinai a lei e le allungai la mia mano, come avevo fatto con Elisaveta per chiederle un ballo, e le dissi:
-Vieni con me.
E lei, ovviamente, mi diede la sua manina e nei suoi occhi lessi la fiducia che cominciò a nutrire verso di me.

Il resto lo sai. Ecco perchè, per me, il tuo è il 
sangue di vetro*4: la tua vita è fragile, come il vetro. Ma questa volta riuscirò a prottegerti.
 
*1mademoiselle - In Russia, all'epoca, ogni persona appartenente al ceto sociale dei nobili, parlava perfettamente sin da bambino il russo, ovvio, l'inglese e il francese.

*2 La Russia era l'unico paese d'Europa che non aveva cambiato le sue tradizioni e gli usi: infatti, c'erano pochissime famiglie nobili che avevano territori giganti e tanta gente povera (tant'è vero che nel resto dell'Europa era già stata abolita la servitù della gleba, mentre in Russia era rimasta ancora). Questo mondo in cui il potere era nelle mani dei nobili, verrà spazzato via dalla Rivoluzione d'Ottobre.

*3Ultor -''vendicatore'', in latino.

*4 sangue di vetro - è un'espressione che si usava a Vrykolakas per definire una persona molto cara a cui ci si tiene molto. Il sangue, per i vampiri, è la vita. Quindi possiamo tradurre come ''la tua vita è molto importante per me''.
  
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