Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: holls    12/11/2013    8 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
15. Paranoia
 
           
16 gennaio 2005.
Si rigirò tra le mani la lettera arrivata tre giorni prima.
L’intestazione riportava la scritta “Decreto di citazione”: era un invito a presentarsi in polizia, quel giorno, per essere sottoposto a un interrogatorio riguardo la morte di Victor Sánchez.
Quando gli era arrivata la lettera e l’aveva aperta, aveva capito subito tutta l’agitazione di Alan di tre giorni prima e perché gli avesse fatto fare quella sorta di giuramento. Dell’omicidio, comunque, non sapeva nulla, se non che Sánchez era morto e lui sarebbe stato interrogato, anche solo come possibile testimone, sull’omicidio.
 
Benché fosse solo un interrogatorio relativo a un indagine preliminare, si sentiva teso.
La sua scarsa conoscenza in fatto di materie legali gli impediva, poi, di capire se lo stessero accusando di qualcosa o se era solo una misura preventiva. In ogni caso, sarebbe dovuto essere lì tra un’ora, e se la stava letteralmente facendo sotto. Aveva pure pensato di non presentarsi, per un momento: ma la lettera diceva chiaramente che, in quel caso, si sarebbe proceduto a un prelievo coatto, e non gli sembrava il caso.
Ogni minuto gli sembrava un secolo. Si era ripromesso di uscire presto per non arrivare in ritardo, ma ogni volta che stava per aprire la porta trovava una scusa per rimanere in casa. Era già andato al bagno tre volte e aveva perso il conto dei tentativi per provare a domare un ciuffo ribelle.
Poi, alla fine, prese coraggio. Si infilò in tasca lo stretto indispensabile e uscì.
 
Era davvero tanto tempo che non metteva più piede lì dentro. Era tutto più o meno come ricordava, tranne la macchinetta del caffè che sembrava rinnovata. Per il resto, c’era il solito squillare continuo del telefono, che fossero chiamate o comunicazioni di servizio; si sentiva chiaramente lo sbatacchiare delle lettere sulla tastiera del computer, così come l’erogare ininterrotto dei distributori. Come si faceva un passo, poi, c’era il rischio di incappare in colleghi indaffarati nel portare fascicoli sulle scrivanie di superiori.
Guardò nervosamente l’ora: mancavano ancora quindici minuti prima dell’ora fissata. Avrebbe potuto farsi un giro là dentro, ma lo stomaco ingarbugliato glielo impedì severamente. Così si sedette su alcune poltroncine adiacenti alla macchinetta, e attese.
In tutto quel via vai di persone, non si accorse che qualcuno si era fermato lì davanti a lui.
« Nathan? »
Dal tono di voce capì subito chi era.
« Ehi, Ash. »
L’uomo prese posto accanto a lui. Si sentiva un po’ teso ripensando a quanto era accaduto qualche sera prima, consapevole del fatto che anche Ashton era a conoscenza della sua doppia vita. Ma l’altro sembrò non farci caso più di tanto.
« Allora, come va? Ti fa ancora male la testa? »
Nathan si portò una mano sulla benda, come se l’avesse dimenticata e la stesse toccando per accertarsi che fosse vera.
« Va un po’ meglio, anche se in questo momento non è la testa, la mia priorità. »
Ashton annuì arricciando le labbra.
« Sì, capisco. Comunque, mi sono informato sulla vicenda, ti faranno solo qualche domanda e ti lasceranno andare a casa. Non hai nulla da temere. »
« Meno male, mi ero già agitato. »
Ashton sorrise divertito.
« Ti va se facciamo un giro, prima dell’interrogatorio? »
Nathan annuì, e seguì Ashton. Si guardava continuamente intorno, era più forte di lui: non sapeva bene come avrebbe reagito se si fosse trovato Alan di fronte. In più, l’ora dell’incontro si stava avvicinando, e cominciava a sentire lo stimolo di andare in bagno.
« Senti Ash… Ma mica mi faranno cose strane, vero? »
« Cose… Ma che stai dicendo? »
« Be’, sai, nei film a volte usano metodi, come dire, poco ortodossi. »
Ashton scoppiò a ridere.
« Appunto, nei film. Tranquillo, non ti accadrà niente. Per non dire che certe cose che fanno vedere nei film sono altamente illegali. Andrà tutto bene, non preoccuparti. »
« Bene, mi sento più tranquillo. »
Per la verità, Nathan era terribilmente nervoso. Il cuore gli batteva frenetico, sentiva le mani piuttosto fredde e sospettava che qualcuno si stesse divertendo ad annodare il suo stomaco. Doveva anche andare in bagno, ma sapeva che non avrebbe aiutato la situazione.
« Dai, Nathan, rilassati. Basta che tu dica la verità. »
« In realtà non ho quasi niente da dire. Non sapevo neppure che fosse morto, non ho guardato molti telegiornali in questi giorni. »
« Lo dirai a chi di competenza, appena arriva…. Eccolo. »
Per un momento si aspettò di trovarsi davanti Alan, ma per fortuna il fato fu dalla sua parte. Non aveva mai visto quell’uomo, e non aveva la minima idea di chi fosse.
Ashton lo invitò a entrare nella sala per essere interrogato. Come sentì la porta chiudersi dietro di sé,  il fiato gli mancò per un secondo. Si voltò per vedere se qualcuno fosse entrato con lui, e si sentì sgomento nell’accorgersi che Ashton non c’era.
E se l’avessero torturato?
L’investigatore, un tale Hamilton, lo fece accomodare con un sorriso.
Una volta seduto, Hamilton gli disse la celebre frase, che ‘ogni dichiarazione potrà essere usata contro di te’, scatenandogli un brivido lungo tutta la schiena; gli comunicò che la falsa testimonianza era un reato punibile con la reclusione, e lo avvertì che, nel caso avesse coinvolto terzi, ne avrebbe risposto in prima persona in qualità di testimone.
Nathan non fece altro che annuire con un cenno piccolo ma secco, mentre il petto gli si gonfiava e sgonfiava.
Dopo aver chiesto le sue generalità, Hamilton cominciò.
« Come avrà avuto modo di leggere nel decreto di citazione, la vittima è un certo Victor Sánchez. Ci risulta che lei lo avesse denunciato il giorno sette gennaio, alle ore 03:30. » Nathan fece un segno di assenso. « Può raccontarci il suo rapporto con la vittima? »
Nathan fece un respiro profondo.
« Per la verità, non conoscevo nemmeno il nome di Sánchez, fino a poco tempo fa. Lui… »
Si bloccò. Per un momento pensò di dire la verità. Che si era finto un cliente per adescarlo e che aveva abusato di lui. Ma il registratore posto lì sulla scrivania gli fece cambiare idea: sarebbe stato messo a verbale, e la cosa lo disturbava. Continuò.
« Lui mi aveva messo gli occhi addosso, non ne conosco il motivo. La mattina del sette gennaio ha tentato di aggredirmi, probabilmente perché… perché mi voleva. »
« Lo voleva in senso sessuale? Voleva avere un rapporto con lei? » Nathan annuì. « Cosa le fa pensare che Sánchez le avesse messo gli occhi addosso? »
Si accorse di aver commesso il primo errore. Teoricamente, lui e il maniaco si erano visti solo quella volta, e il dire che ‘gli aveva messo gli occhi addosso’ era forse stato un po’ azzardato. Cercò di correggere il tiro.
« Non so, in genere uno sconosciuto non vuole avere rapporti col primo che passa. Per questo ho pensato che fosse in qualche modo interessato a me. »
« Perché pensa che Sánchez volesse un rapporto con lei? »
« Me lo ha detto lui. Ha detto che voleva portarmi a letto. »
Hamilton fece scorrere l’unghia del pollice su quella dell’indice: stava pensando.
« Vi siete incontrati solo in quella occasione? »
Nathan respirò. Era tentato dal dire una bugia di fronte alla legge; non voleva che il suo vero lavoro saltasse fuori. Sapeva che era piuttosto rischioso, in quanto Alan, ormai, era  a conoscenza di tutto. Rifletté ancora. Non era necessario dire con chiarezza in quale modo il maniaco lo aveva adocchiato: poteva anche solo dire che lo aveva aspettato sotto casa e trascinato poi nel suo appartamento.
« No. Era già successo un’altra volta. A fine ottobre. Lui ha… ha abusato di me. »
« Quindi non era uno sconosciuto. »
Si meravigliò del fatto che Hamilton fosse completamente passato sopra alla storia della violenza.
« Di certo non lo conoscevo in senso stretto. Non sapevo neanche il suo nome. Ci siamo incontrati solo in queste due… occasioni, se così vogliamo chiamarle. »
Si rese conto che la tensione gli stava giocando brutti scherzi. Si era già incartato due volte, e stava rischiando di rendersi poco credibile.
« Come è avvenuto il primo incontro? »
Nathan si grattò la fronte.
« Be’, ecco, Sánchez mi stava aspettando sotto casa. Mi ha immobilizzato e bloccato, poi mi ha costretto a entrare nel mio appartamento e… e il resto l’ho già detto. »
« Perché, secondo lei, qualcuno dovrebbe appostarsi sotto casa di un’altra persona per abusarne? »
« Gliel’ho già detto, non lo so per quale motivo fosse interessato a me. Credo che pedinasse me e Alan continuamente, me lo disse quel pomeriggio. »
« Alan? Chi sarebbe? »
Si sentì arrossire.
« È il mio ex fidanzato. »
« Può indicarmi le sue generalità? »
Si sentiva in imbarazzo. Si domandò poi quante persone conoscessero le inclinazioni di Alan; l’avrebbe forse messo nei pasticci?
Fornì comunque le informazioni su di lui. Hamilton rimase sorpreso quando si accorse che Alan era proprio quell’Alan.
« Voi due eravate fidanzati, dunque? »  Annuì. « Perché vi siete lasciati? »
« È successo quel pomeriggio. Alan è rientrato e mi ha visto con… con Sánchez. Ha creduto che lo avessi tradito e mi ha lasciato. Ho provato a spiegarmi, ma mi ha creduto solo ora. »
« Quindi anche Alan, in qualche modo, conosceva Sánchez. »
« Se così si può dire. »
Hamilton emise un mugolo pensieroso.
« ‘Solo ora’? Vuol dire che prima non aveva capito quello che Sánchez le aveva fatto? »
« Proprio così. È solo in questi giorni che si è deciso ad aprire gli occhi. »
Hamilton pensò ancora. Nonostante fosse pensieroso, il sorriso sul suo volto era piuttosto soddisfatto.
« Sánchez rappresentava un pericolo per lei, non è vero? »
« Be’, ovviamente. »
Stava quasi per dire ‘Però sono innocente!’, quando gli tornò in mente una frase che gli aveva insegnato il suo professore di Diritto, alla scuola superiore: excusatio non petita, accusatio manifesta. Che, in buona sostanza, significa che chi cerca di discolparsi senza che gli sia richiesto, sta in realtà ammettendo la sua colpa. 
Scusa non richiesta, accusa manifesta.
Tacque.
 
Hamilton pensò di nuovo.
« Dove si trovava la notte tra l’undici e il dodici gennaio, tra le una e le due? »
« Ho raggiunto un amico e sono rimasto con lui fino alle una e mezza. Poi sono tornato a casa. »
« Questo amico può confermare il suo alibi? »
Pensò a Hank, e al terzo punto che Hamilton gli aveva comunicato prima di cominciare. Se avesse tirato in ballo Hank, se ne assumeva piena responsabilità.
« Sì, certo. Siamo stati sempre insieme. Eravamo in giro per la Hunts Point Avenue. »
Hamilton alzò lo sguardo verso di lui, come se quel nome gli dicesse diverse cose.
« Che cosa ci faceva lì? »
« Eravamo in giro per locali, a divertirci un po’. Niente di che, una normale serata tra amici. »
« Può dirmi le generalità del suo amico? »
Nathan obbedì, fornendo le informazioni necessarie su Hank. Sorrise pensando a come avrebbe reagito, se gli fosse arrivata la lettera.
« La ringrazio. Quindi, per una mezz’ora, non c’è nessuno che può confermare il suo alibi. »
Stai calmo, Nathan, stai calmo…
« Già. »
« Ho capito. Può andare. »
Rimase stupito.
« Posso andare? Di già? »
« Certamente. Era solo un interrogatorio. »
Si sentì sollevato.
« Capisco. In tal caso, arrivederci. »
« Arrivederci. »
Nathan uscì dalla stanza. La sua bocca era più secca di un deserto su cui non pioveva da secoli, e si avventò su un distributore per comprare una bottiglietta d’acqua. La aprì e cominciò a bere, risucchiando tutta l’aria all’interno. Si accorse che Ashton era rimasto lì fuori ad aspettarlo. O forse era solo un caso che si trovasse lì.
« È andato tutto bene, mi sembra. »
Nathan fu costretto a smettere di bere: la bottiglietta si stava accartocciando tutta. Riprese fiato e rispose.
« Sì, direi di sì. »
« Nel caso ci fossero problemi, puoi rivolgerti a me. E se ci fossero novità sulle indagini, ti informerò. »
« Ti ringrazio. Ah, una domanda. Di cosa è morto Sánchez? Sul documento non c’era scritto. »
« Dobbiamo ancora aspettare risultati più approfonditi dell’autopsia. Per il momento, sappiamo solo che è stato ritrovato nei pressi di McGuire Fields, un posto piuttosto isolato. Anche se, dalle prime indiscrezioni, sembrerebbe che sia stato portato lì dopo essere stato ucciso. Pare che ci siano colpi di arma da fuoco sul suo corpo. »
Nathan chiuse la bottiglietta, ormai dissetato.
« Quindi è stato ucciso altrove, giusto? »
« Esattamente. Sembrerebbe che qualcuno gli abbia prima sparato, e poi lo abbia trascinato tra i campi. »
Ashton lo osservò un po’.
« Il tuo amico ha una bella stazza, giusto? »
Nathan fu disorientato da quella domanda. Ci mise un po’ a capire che stava parlando di Hank.
« Sì, Hank è un po’ più grosso di me, ma non che ci voglia molto. Perché questa domanda? »
« Meno male. Nathan, la polizia non può escludere niente, quindi continuerà a indagare sulla tua pista, anche se inutilmente. Tu sei troppo mingherlino per poter trascinare un corpo come quello di Sánchez da solo, quindi, se seguiranno la tua pista – e lo faranno, anche solo per scrupolo - , cercheranno un possibile complice che possa averti aiutato. Ma se mi dici che Hank non è tanto grosso, e se davvero eri ad Hunts Point… »
« Certo che ero là! Io sono innocente, cavolo!  È vero, ho un buon movente, ma non c’entro niente! »
« Ehi, calmati, non ti stavo accusando. Cercavo solo di darti un quadro generale. Se tu dici di essere innocente, io ti credo. »
Nathan fece un sospiro profondo.
« Voglio andare a casa. »
Ashton alzò le mani, in segno di resa.
« Non posso impedirtelo. Ci teniamo aggiornati allora. Se hai qualche problema, chiamami pure. Ciao. »
Scocciato, lo salutò. Voleva uscire al più presto da quel posto.
Camminò a passo svelto verso l’uscita, ripensando all’interrogatorio e alle mille volte che si era quasi contraddetto. Sperò solo di non aver combinato un casino. Pensò anche che aveva bisogno di telefonare a Hank, per impedirgli che raccontasse la verità sulla loro professione. Ritenne meglio andare a trovarlo di persona, però: il pensiero di essere intercettato cominciava a prendere corpo.
All’improvviso, qualcuno gli venne addosso, e lo fece talmente forte da farlo indietreggiare un po’ e imprecare.
« Ehi, stai più attento a dove cammini! »
Nathan si portò una mano sulla spalla dolorante, e alzò gli occhi.
« Alan! »
« Tutto bene? Ti ho fatto male? »
« Sto benissimo, grazie. »
Fece per superarlo, ma Alan lo afferrò per un braccio.
« Com’è andato l’interrogatorio? »
« È andato bene, come doveva andare? Io sono innocente. »
« Me lo giuri? Davvero non c’entri niente? »
Nathan rimase a bocca aperta.
« Accidenti, quanta fiducia! Ma mi credi davvero capace di una cosa simile? Ma come puoi anche solo lontanamente pensare che io c’entri qualcosa? »
« Nathan, calmati, non volevo. Solo che… ammetterai che la domanda è lecita. »
« No, non lo è per niente! »
Tentò nuovamente di andarsene, ma Alan lo fermò di nuovo.
« Sono preoccupato! Hai un buon alibi, vero? Nathan, se hai bisogno… »
« Se ho bisogno di cosa? Preferisco essere scoperto per mezz’ora piuttosto che dire che ero con te. E poi, ho già detto la verità al poliziotto. »
Per la terza volta provò ad andarsene, e per la terza volta fu fermato.
« Ma cosa vuoi da me? Hai ancora bisogno di informazioni per le tue indagini? »
« Nathan, hai frainteso tutto, davvero. »
« Non mi interessa ascoltarti! »
« Dammi cinque minuti. »
« Non voglio sentire altro da te! Voglio solo andare a casa. »
Si liberò dalla presa di Alan, che non oppose alcuna resistenza, e fece per allontanarsi.
« … Almeno quell’uomo non ti farà più del male. »
Era appena un bisbiglio, ma riuscì a sentirlo. Fece finta di non averlo udito, non voleva trattenersi oltre con lui.
Aprì la porta della centrale e, come la brezza accarezzò il suo viso, si sentì subito meglio.
 
Improvvisamente si ricordò dell’affare Brucknam. E si ricordò anche che, purtroppo, doveva ancora pagare la rata universitaria. Nathan cominciò a rimuginare. Non aveva intenzione di vendere ancora il suo corpo, con tutto il dolore che quel putiferio gli aveva inferto. E, inoltre, aveva detto ad Alan che non l’avrebbe più fatto. Ma la rata andava pagata, così come l’affitto, e sapeva che non ce l’avrebbe fatta con un lavoro normale, nemmeno se avesse cominciato quel pomeriggio. D’altronde, però, come si sarebbe giustificato se qualcuno l’avesse scoperto? Non poteva permettersi di rischiare, e non ne aveva neanche voglia.
Così prese una decisione: avrebbe rotto l’accordo, in barba ai soldi. In qualche modo li avrebbe trovati.
 
 ***
 
Una volta arrivato davanti all’aula di Statistica, si divertì a sbirciare al suo interno tramite il piccolo vetro sulla porta. Brucknam stava proiettando delle slide che a Nathan parvero noiose e intricate: sul lucido compariva un grafico con una strana forma a campana. Diede una sbirciata alle facce degli studenti, e le trovò piuttosto sconvolte.
Sbuffò.
Gironzolò ancora per l’atrio antistante l’aula, guardando gli altri studenti passare o osservando ragazze che facevano le fotocopie. Si maledì per non essersi portato niente dietro, nemmeno un buon libro da leggere. Sperò solo che la lezione finisse nei tempi stabiliti.
Per sua fortuna, il suo desiderio si avverò.  Il professore aspettò che tutti gli studenti fossero usciti, prima di andarsene, e fu chiaramente sorpreso di vedere Nathan lì. Gli si avvicinò e gli bisbigliò qualcosa: probabilmente aveva paura di essere sentito da quei pochi studenti che erano rimasti lì vicino a chiacchierare.
« Nathan, ti cercavo. »
« Davvero? »
« Sì, vorrei discutere con te del nostro accordo. Sei libero adesso? »
« Non ho impegni. E anche io vorrei parlarle di questo. »
Brucknam si guardò intorno.
« Bene. Andiamo al posto dell’altra volta? »
Nathan annuì e si diressero verso la solita caffetteria.
 
Ordinarono entrambi un caffè macchiato. Brucknam continuava a guardarsi intorno con circospezione, cosa che cominciava a dare sui nervi a Nathan: si sentiva un criminale.
Non voleva rimandare oltre l’annuncio delle sue intenzioni, così prese subito la parola.
« Senta, c’è una cosa che vorrei dirle. »
Brucknam alzò lo sguardo, curioso e incerto allo stesso tempo. Nathan continuò.
« Ho deciso di rompere l’accordo. Non posso soddisfare la sua richiesta. Si tratta di vicende personali, ma non ho più intenzione di esaudire desideri di questo tipo. »
Il professore rimase stupito. Dopo qualche attimo di incertezza, però, sorrise.
« Capisco, capisco. Un’improvvisa redenzione, sembrerebbe. Hai trovato un nuovo lavoro? »
Nathan scosse il capo.
« Non ancora. »
Il professore si stupì ancora, ma Nathan ebbe l’impressione che quella smorfia sul suo viso fosse terribilmente falsa.
« Quindi per qualche tempo dovrai campare di rendita, suppongo. Certo, ci sono tante spese. Hai già pagato la retta universitaria? »
Nathan sospirò.
« Non è una questione di soldi. »
Brucknam sorrise malizioso.
« Non l’hai ancora pagata. E poi ci sarà l’affitto, altre spese… Potresti rimanere a secco. »
« Non è certo con trecento dollari che risolverò i miei problemi, se proprio vuole metterla su questo piano. »
Il professore avvicinò il suo volto a quello di Nathan, che lo scrutava torvo.
« Mille dollari potrebbero andar meglio? »
Nathan rimase a bocca aperta. Il professore avrebbe davvero sganciato mille dollari solo per godere della sua compagnia per una notte intera? C’era qualcosa, però, che lo inquietava. Qualcosa che gli ricordava il maniaco e che volle sbrogliare subito.
« Perché ci tiene così tanto? »
Brucknam si allontanò da lui, ridacchiando.
« La prima volta che ci siamo incontrati, credo proprio di averti pagato 30 dollari. Cinque in più perché sono un idiota. O sbaglio? Ti trovo molto attraente. E mi piace il modo in cui mi respingi. »
Fu in qualche modo sollevato nel constatare che le motivazioni erano piuttosto banali e che il professore non avesse intenzioni sinistre nei suoi confronti. Brucknam continuò.
« Ti prego, Nathan. Solo per una volta. Non te lo chiederò più, davvero. Considerala una sorta di uscita in grande stile e ben pagata. Ti prego. »
Nathan si mordicchiò il labbro, nervoso. Era andato lì con la ferma intenzione di rompere l’accordo, e invece, in quel momento, stava esitando. Certo, mille dollari non era noccioline e, nel periodo in cui sarebbe rimasto senza lavoro, gli avrebbero certamente fatto comodo. Ma come avrebbe fatto a guardare ancora Alan negli occhi? E se avesse scoperto che aveva accettato un altro lavoro di quel tipo, benché fosse l’ultimo?
Certo, pensò, Alan in quel momento aveva un altro. Non era detto che si sarebbero rivisti in una veste più profonda della semplice conoscenza o amicizia, quindi, probabilmente, non aveva motivo di farsi tutti quegli scrupoli. E poi, si sarebbe trattato di una sola notte, dopodiché avrebbe chiuso per sempre con quella vita. Non avrebbe più ceduto per denaro, se lo ripromise.
Vide il professore razzolare nella sua ventiquattrore, per poi tirare fuori un assegno. Lo compilò e lo appoggiò sul tavolo, rivolto verso Nathan. Cinquecento dollari, riportava la cifra.
« Questo sarebbe un piccolo anticipo. Decidi tu se accettarlo o meno, ma ricordati che è un impegno vincolante. Avrai il resto dopo aver concluso la faccenda. Allora? Accetti? »
Lo sguardo di Nathan era incollato su quell’assegno. Migliaia di pensieri si rincorrevano nella sua testa, mentre il diavoletto e l’angelo immaginari battibeccavano a suon di insulti. Irritato, scacciò via mentalmente tutti quegli intrusi nei suoi pensieri, e si decise.
Allungò una mano verso il tavolo e prese l’assegno.
Brucknam sorrise soddisfatto.
« Bene. Sono felice che tu abbia fatto questa scelta, Nathan. Ti farò sapere quando sarò libero. Ora ti saluto, però. Devo correggere alcuni compiti. A presto. »
« Arrivederci. »
Lo vide rivestirsi e sparire dietro la porta della caffetteria.
Guardò l’assegno da cinquecento dollari. Il doppio di quella cifra solo per passare una notte con Brucknam a soddisfare i suoi desideri. Si ripromise, ancora una volta, che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe svenduto il suo corpo. Un’uscita in grande stile e ben pagata, come aveva detto Brucknam.
Finì il suo caffè, e fece mente locale. Per quella giornata era rimasta solo una cosa da fare: incontrare Hank.
 
***
 
Sera, bilocale al 313
 
Adesso che il maniaco non c’era più, si sentiva effettivamente più sicuro. Aveva ricontrollato la porta una sola volta, e aveva quasi smesso di guardarsi indietro per ogni rumore che sentiva. Aveva pure evitato di controllare se nella sua macchina ci fosse qualche malintenzionato che lo aspettava per un agguato. Si sentiva tornato normale. Più o meno.
Guidò fino a casa di Hank, poco distante.
Parcheggiò, dopodiché suonò il campanello.
Hank gli aprì, completamente spettinato e con lo spazzolino in bocca.
« Dio, Nathan, potevi almeno telefonarmi. Sembro un barbone del cazzo. »
Questo fu quello che gli disse Hank accogliendolo, o almeno così gli parse. La bocca di Hank era piena di dentifricio, e le parole riusciva solo a biascicarle.
« Hank, è una cosa importante. Il maniaco è morto e oggi la polizia mi ha interrogato. Ho fatto il tuo nome, ma solo per confermare il mio alibi. »
Lo spazzolino cadde dalla bocca di Hank, finendo a terra.
« Cazzo, Nathan! Ora sarà pieno di schifezze! Fanculo. »
Hank raccolse lo spazzolino e Nathan lo seguì verso il bagno.
« Hai sentito quello che ti ho detto? Vuol dire che interrogheranno anche te, o almeno è molto probabile. »
« Perché diavolo mi hai messo in mezzo? »
« È troppo lungo da spiegare, ma devi solo confermare quello che ho detto. Ovvero che ci trovavamo ad Hunts Point per una normale serata tra amici, in giro per i locali e cose di questo tipo. Ti prego, non dire nulla sul nostro… lavoro. »
Dopo aver sciacquato lo spazzolino, Hank finì di lavarsi i denti. Si asciugò poi la bocca, appallottolando l’asciugamano sul supporto.
« Va bene, come vuoi. Ci sono altre cose che devo sapere? »
Nathan si grattò la testa.
« Ah, sì! Tu il maniaco non lo conosci, okay? Non ho detto come è riuscito a trovarmi, ma solo che mi ha teso un agguato mentre tornavo a casa. »
Hank scoppiò a ridere.
« Ma quante cazzate hai detto? »
« Non ho detto cazzate, ho solo omesso qualche dettaglio. Ho detto la verità. »
« Va bene, va bene. »
Nathan si mise a braccia conserte, come in attesa di qualcosa.
« Non mi chiedi anche tu se sono stato io? »
Hank fece spallucce.
« E chi se ne frega? Non mi interessa. Finché non mi fai a fettine, ovvio. »
Nathan provò a tirargli un calcio affettuoso, ma lo mancò.
« Vabbè, ero passato solo per dirti questo. Tra un paio di giorni potresti ricevere la lettera, o forse ti chiameranno, non saprei. Ti ricordi tutto quello che ti ho detto? Vuoi che te lo ripeta? »
« Dio, Nate, stai calmo. Mi ricordo tutto, non agitarti. »
« Okay. Allora vado. Ciao! »
Hank lo salutò a sua volta e si avviò verso la macchina.
Come uscì in strada, gli si cucì addosso quella strana sensazione di essere osservato e pedinato. Si guardò intorno, ma non vide nessuno. Nessuna ombra sospetta, nessuna macchina accesa.
Niente di niente.
Era solo paranoia.

 

Salve a tutti! Avete visto? È tornato Hank! XD Con la sua inconfondibile finezza... 
E insomma, Nathan è stato interrogato e per mezz'ora è scoperto. Sarà stato lui a uccidere Sánchez? Lo scoprirete nei prossimi capitoli ;)
Bene, vi saluto e vi do appuntamento a martedì prossimo, con "Scosse di terremoto".
Ne approfitto anche per farvi conoscere la nuova storia che ho scritto: si chiama Façade, è una storia di amicizia tra due ragazze totalmente opposte e che non si sopportano, ma che finiscono insieme per una ricerca di scienze; è una storia breve e, soprattutto, completa, pubblicherò i capitoli via via. Potete trovarla qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2270665. Spero possa piacervi ^^
A martedì prossimo, un grazie a tutti quelli che mi seguono e alla mia beta Silvia per il supporto giuridico!
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: holls