Guglielmo fece qualche passo avanti, ritrovandosi ad un paio di spanne dal professore, e riportando provocatoriamente la canna verso la propria bocca; ma Alessandro gli afferrò il polso prima che potesse fare un altro tiro, e lo tenne saldamente:
“Non ti fa bene fare così. Non ti fa affatto bene. Ti manca qualcuno che abbia la fermezza di guidarti attraverso una fase burrascosa. E se non c'è nessuno che abbia il coraggio di dirtelo in faccia e di prendersi questa responsabilità, lo farò io. Non m'importa se hai poco meno della mia età, e ancor meno m'importa di tuo padre”.
Lo stava continuando a stringere per il polso. Lo stava toccando. Non l'aveva mai fatto; come educazione prescrive, d'altra parte. Ma gli era venuto d'istinto. E aveva fissato gli occhi in quelli di Guglielmo, due specchi di ghiaccio, come per superare quella gelida superficie e giungere a ciò che doveva attendere lì sotto. Qualcosa si infranse.
Il sangue gli salì alle guance e gli crollò in fondo allo stomaco; il respiro si fece corto e il cuore accelerò i battiti. In quel momento ebbe la precisa percezione dell'altro di fronte a lui; in quel momento sentì il desiderio di ridurre la distanza, di avvertire il suo calore, di chiudere gli occhi e lasciarsi avvolgere dal profumo della sua pelle e dal leggero sentore di fumo che lo circondava.
No. No. Era pazzo, completamente pazzo. Niente del genere doveva succedere, niente del genere poteva succedere. Lui era l'insegnate, lui la persona seria matura e responsabile. Era contro qualsiasi straccio di deontologia professionale, un insegnate e un allievo. Mai, mai. Non doveva indulgere a simili pensieri, per nessuna ragione. E poi, Guglielmo era un maschio.