NdA: Ho
provato a scrivere qualcosa di comico, non sono sicura di esserci
riuscita, ma va beh!
Un piccolo appunto alla storia. Il titolo ha due significati: il primo
è lampante, leggendo la storia (si tratta di una sigla!), il
secondo, un po’ meno, forse… In inglese, sia
britannico che americano, il termine “odd” ha una
marea di significati, tra cui c’è anche
“strano”, ma non in senso cattivo, quello strano
che ti lascia un stupito e senza parole, che molte volte ti fa ridere.
Buona lettura. ;)
Questa storia
partecipa al contest, indetto da DeliriousRose, “A.D.A.-
Associazione Divinità Anonime”.
O.D.D.
Uscì
di casa trafelato, come suo solito, non dopo aver schiantato contro il
muro l’ennesima sveglia e aver gridato
un’espressione davvero poco gentile nei confronti di una
qualsivoglia divinità dell’Olimpo greco.
Inforcò
la moto, senza preoccuparsi di mettere il casco, e si diresse verso il
suo luogo di lavoro. È inutile specificare che, nel momento
esatto, in cui si ritrovò imbottigliato nel traffico, un
fulmine squarciò il cielo e una cascata d’acqua lo
colpì. Sbuffò, senza lamentarsi più di
tanto, ormai abituato a quella che per lui era diventata la routine
terrestre.
Giunse
all’agenzia con quasi un’ora di ritardo, i vestiti
completamenti bagnati e i capelli biondi appiccicati alla fronte.
Cercò di fare il minor rumore possibile, entrando
nell’ufficio “consegne” ma il suo
tentativo fu reso vano dalla collega Mayra.
“Hernan!
Sei arrivato finalmente! È da un’ora che ti
aspetto per iniziare la consegna!” La ventitreenne rossa
tinta si alzò per andargli in contro e aiutarlo a togliersi
la giacca di pelle.
“Mio
Dio!” esclamò esasperata, guardandolo.
“Ma un ombrello non ce l’hai?! Oppure non guardi
mai il cielo?! Era tutta una nuvola oggi!” disse scherzosa,
dandogli un leggero scappellotto. “Vado a vedere se abbiano
dei vestiti di ricamb-"
“Lascia
stare! Non ne ho bisogno!” esclamò il biondo con
fare frettoloso, guardandosi intorno, sospetto.
Mayra
rise. “Tranquillo, Rafa è andato a fare delle
consegne! Ci metterà ancora dieci minuti: hai tutto il tempo
di cambiarti!” disse, svoltando l’angolo a destra.
“Dove
devo consegnare oggi, May?” urlò Hern, sperando
che lo sentisse.
La
rossa tornò, lanciandogli addosso i vestiti. Per prenderli
al volo, il ragazzo scivolò sul pavimento, cadendo sul
sedere e gemendo dal dolore.
Mayra
scoppiò a ridere. “Sei un danno, Hern!”
disse, evitando di incrociare lo sguardo verde dell’altro,
che sapeva la stessa fulminando con odio. Tossicchiò,
cambiando discorso. “Oggi, lavori nella parte
Ovest… quella ricca, se sorridi un po’ alle dolci
vecchiette e alle ragazzine guadagnerai un sacco di mance!”
Il
ragazzo annuì, sedendosi su una panca, mentre si allacciava
i jeans strappati. Si sfilò la maglietta blu elettrico per
mettersi quella bianco panna che gli aveva trovato la collega, poi
prese la giacca della divisa da lavoro e se la infilò. Era
verde con uno stemma giallo, che rappresentava delle ali e tre lettere,
scritte in stampatello maiuscolo O.D.D.: Olympian Divine Delivery.
Sbuffò, passandosi una mano fra i capelli; doveva essere uno
scherzo del Fato o più probabile una decisione del Grande
Capo, altrimenti conosciuto come Zeus o Giove.
Più
ripensava a quel giorno, più si convinceva che qualcuno
degli altri dei gli avesse giocato un tiro mancino. Non era mai stato
il più attento o diligente fra le divinità
olimpiche ma il suo lavoro lo sapeva fare.
Le
parole del Padre degli Dei gli rimbombarono in testa, come se lo avesse
avuto davanti. “Hermes, io ti condanno a vivere a contatto
con la povera gente, sfruttata dai maligni ricchi senza poter far nulla
per difenderli o per aiutarli!” Doveva ammettere che se non
lo avesse fissato con uno sguardo che diceva “e
chissenefrega”, se la sarebbe cavata con poco ma era stato
più forte di lui. Non che non gli importasse degli umani ma
era il Messaggero degli Dei mica Prometeo! Zeus sembrava non aver
gradito la sua sfacciataggine e facendo tremare l’intero
palazzo sull’Olimpo, aveva urlato: “Mi
assicurerò che Fortuna non si degni neanche per sbaglio di
darti un po’ di buona sorte, anzi ogni giorno nel mondo
mortale, ogni più piccolo avvenimento ti sembrerà
una catastrofe!” Poteva ancora vedersi davanti lo sguardo
accigliato del padre e quello triste delle altre divinità,
eccezion fatta per una. Efesto sembrava più che altro
divertito dalla situazione e lo aveva raggiunto zoppicando per
sussurrargli allorecchio: “La prossima starai
più attento, la tua sbadataggine poteva portare a un
conflitto divino, lo sai? Non si mischiano i messaggi destinati a
Poseidone con quelli del Re degli Inferi.” Lo aveva visto
ghignare ma non aveva potuto rispondere nulla. Il suo istinto gli aveva
suggerito di dargli una testata dritta dritta sul setto nasale. Si era
trattenuto, avrebbe solo aumentato la sua condanna.
Così
fu che fu scaraventato nel bel mezzo della periferia di New Mexico, non
avrebbe saputo dire perché proprio l’America
Centrale, forse per precauzione. Nessuno avrebbe creduto
all’esistenza di un dio olimpico al di fuori della Grecia.
Beh, in realtà, aveva dei dubbi sulla possibilità
che lo riconoscessero persino ad Atene, si trovava pur sempre nel XXI
secolo e i templi costruiti per le divinità erano
più simboli e mete turistiche che luoghi di culto.
Si
era dovuto trovare un lavoro e non volendo imparare un mestiere
terrestre, si era fatto assumere da una compagnia di consegne. La
O.D.D. era specializzata nella consegna di pacchetti omaggio e premio
di altre agenzie o enti di tutti i tipi; era abbastanza richiesta ma
per la fortuna di Hermes, c’erano dei periodi di stallo in
cui il lavoro andava a rilento. Peccato, che fosse passato ormai un
anno intero dal suo esilio forzato ed era cominciato il periodo delle
“Mille e una consegna”, come lo aveva chiamato
Mayra, ridendo.
Beata
lei. Doveva solo prendere i vari incarichi dalle diverse associazioni.
A recapitare i pacchi ci pensavano Hermes e Rafael, per fortuna del dio
non sempre insieme, se no sarebbe morto.
Si
guardò un’ultima volta allo specchio: aveva
l’impressione di sembrare un cane bagnato; i suoi capelli non
volevano prendere una forma decente. Sbuffò, esasperato.
“Io
vado, Mayra. È già tutto sul furgone,
giusto?”
“Sì,
certo!” le rispose, mentre seduta su una sedia si gustava un
cupa chups e leggeva una rivista di moda. “L’ha
caricato Rafael prima di iniziare…”
Puntò gli occhi scuri nei suoi. “Dovresti
ringraziarlo, è sempre così gentile con
te.” Hermes si bloccò sul posto, un brivido freddo
gli passò per la schiena. Ecco! Quella stramaledetta
sensazione di disagio stava tornando.
“May—“
provò a dire.
“May,
un corno! Ora mi ascolti!” disse la ragazza, mettendosi in
piedi e sbattendo una mano sul tavolo. “Quel povero ragazzo
è cotto di te! Come fai a non capirlo?! E tu lo stai
trattando come uno straccio! Almeno, dovresti essere sincero, se non
t'interessa, se non sei… Beh…” Si
fermò alla ricerca delle parola adatte. “Della
sponda gaia… Dovresti
dirglielo.”
Hermes
sorrise.
Non
capisci, May! Normalmente, beh diciamo durante le escursioni degli dei
sulla Terra, mi ci sarei buttato a pesce su uno così! Ma,
per colpa della punizione di Zeus, ogni volta che ci parlo, una
sensazione orribile mi attanaglia il petto! Ti odio, padre, non hai
idea di quanto! Disse
tra sé e sé, diventando mano a mano sempre
più depresso.
“Proverò
a parlargli…” Fu la risposta che diede alla rossa,
dirigendo verso la porta. Nel momento in cui, toccò la
maniglia, l’uscio si aprì, andando a sbattergli
dritto in faccia, facendolo cadere all’indietro.
Sentì
Mayra emettere un urletto per poi scoppiar a ridere, mentre una mano
s'infilò tra i suoi capelli, accarezzandoli piano.
Aprì
gli occhi, trovandosi davanti un ragazzo dai capelli castani corti e
gli occhi scuri, che lo guardava preoccupato.
“Rafael…”
sussurrò, ancora intontito dalla botta.
“Mi
dispiace tantissimo, Herni. Davvero. Ti
sei fatto molto male?” chiese, aiutandolo ad alzarsi. Suo
malgrado, Hermes fu obbligato ad appoggiarsi a lui: vedeva doppio e la
testa gli pulsava. Si sedette sulla panca di legno, vicino
all’entrata, tastandosi la testa, come a voler essere sicuro
di averla ancora tutta intera.
“Herni…”
Disse Rafael, fissandolo dispiaciuto; mentre gli accarezzava il collo.
Hermes
saltò come una molla.
“Il
lavoro, sì… Sono già in
ritardo!” Si precipitò fuori
dall’ufficio, dirigendosi nel cortile. Adocchiò il
furgone e ci salì, mettendosi al volante.
Appoggiò la testa su di esso, ma pigiò il clacson
che si mise a suonare.
“Ovviamente!”
esclamò, tirandosi su e tappandosi le orecchie. Con il mal
di testa che aveva, il suono sembrava essersi amplificato.
La
portiera del conducente si aprì di botto, spaventandolo.
“Dai, guido io, spostati…” disse il
bruno. La sua espressione era sempre la stessa, sembrava mortificato.
“Non
impor-" cominciò a dire Hermes ma una mano si
poggiò sulla fronte, fermando le sue proteste.
“Sei
gonfio.” disse il ragazzo. “Dovresti andare a casa,
ti accompagno, se vuoi?” chiese titubante.
Hermes
scosse la testa. “Devo pagare l’affitto.”
Rafael
sorrise. “Ti posso dare i soldi della giornata.”
Aprì le braccia con fare ovvio. Il biondo sembrò
pensarci un attimo, poi la consapevolezza che accettare qualcosa da
Rafael lo avrebbe legato a lui, lo dissuase dall’accogliere
quella proposta.
“Non
mi sembra il caso…” rispose acido; non gli piaceva
comportarsi così, sapeva che non era colpa di quel ragazzo,
così carino e dolce, ma la sua presenza lo infastidiva.
“Almeno,
fatti aiutare…” lo pregò
l’altro.
“Ok,
faremo più in fretta!” acconsentì,
esasperato, spostandosi dalla parte del passeggero. “Ma se mi
tocchi, ti mordo… Lo giuro!” aggiunse minaccioso,
mentre Rafael saliva sulla vettura.
“Tranquillo!”
disse l’altro. “Ti ho sbattuto una porta in faccia,
credo che basti! Non sono intenzionato a fare altri danni!”
concluse con il suo solito sorriso in volto. Hermes lo fissò
per un attimo, era solare e simpatico, oltre ad attrarlo davvero molto.
Se solo non ci fosse stata quella stupida punizione…
Scosse
la testa, velocemente, sperando che Zeus fosse impegnato in altre
faccende e non lo stesse osservando dall’alto. Conosceva il
padre e sapeva quanto potesse essere sadico con i castighi, se lo
avesse sentito pensare una cosa del genere, sarebbe stata una vera
catastrofe. Era certo che gli avrebbe fatto togliere la punizione
precedente, compresa tutta la sfortuna che sembrava aver trovato in lui
un nuovo preferito, e avrebbe lasciato che si affezionasse a quel
mortale, forse fino a farlo innamorare e poi… Bam! Lo
avrebbe richiamato sull’Olimpo, facendo credere a Rafael che
fosse stato solo un gioco.
Grazie
all’aiuto del bruno, le consegne furono più
veloci. Nonostante i numerosi incidenti di percorso _ tra cui un vaso
di terracotta cadutogli su un piede, un incontro ravvicinato con del
cemento fresco e persino la caduta in un tombino (fortuna volle che i
riflessi di Rafael fossero buoni e lo fosse riuscito ad afferrarlo per
un braccio, prima che cadesse nelle fogne!)_ Hermes riuscì a
tornare al suo appartamento sano salvo, anche se un po’
indolenzito e davvero triste.
Mangiò
della carne in scatola con dell’insalata e poi si
buttò sul letto, ancora vestito.
Nei suoi sogni lo raggiunse Zeus, con un ghigno poco convincente ma nulla di più. Sognò anche Rafael e il suo sorriso; si ripromise che, dopo essere stato riammesso sull’Olimpo e aver riguadagnato la fiducia di Giove, sarebbe tornato a New Mexico e si sarebbe divertito con quel mortale.