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Autore: slytherin ele    13/11/2013    3 recensioni
Hernan è stato esiliato dal posto in cui viveva e si trova a lavorare in una compagnia di consegne.
La sua vita sembrerebbe più che normale, ma qualcosa non quadra: la sfortuna lo insegue ovunque e in ogni momento, non accetta le avances di un bel ragazzo, nonostante ne sia attratto e continua ad imprecare contro le divinità olimpiche. Perchè?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA:  Ho provato a scrivere qualcosa di comico, non sono sicura di esserci riuscita, ma va beh!
Un piccolo appunto alla storia. Il titolo ha due significati: il primo è lampante, leggendo la storia (si tratta di una sigla!), il secondo, un po’ meno, forse… In inglese, sia britannico che americano, il termine “odd” ha una marea di significati, tra cui c’è anche “strano”, ma non in senso cattivo, quello strano che ti lascia un stupito e senza parole, che molte volte ti fa ridere.

Buona lettura. ;)

 

Questa storia partecipa al contest, indetto da DeliriousRose, “A.D.A.- Associazione Divinità Anonime”.

 

 

O.D.D.

 

Uscì di casa trafelato, come suo solito, non dopo aver schiantato contro il muro l’ennesima sveglia e aver gridato un’espressione davvero poco gentile nei confronti di una qualsivoglia divinità dell’Olimpo greco.

Inforcò la moto, senza preoccuparsi di mettere il casco, e si diresse verso il suo luogo di lavoro. È inutile specificare che, nel momento esatto, in cui si ritrovò imbottigliato nel traffico, un fulmine squarciò il cielo e una cascata d’acqua lo colpì. Sbuffò, senza lamentarsi più di tanto, ormai abituato a quella che per lui era diventata la routine terrestre.

Giunse all’agenzia con quasi un’ora di ritardo, i vestiti completamenti bagnati e i capelli biondi appiccicati alla fronte. Cercò di fare il minor rumore possibile, entrando nell’ufficio “consegne” ma il suo tentativo fu reso vano dalla collega Mayra.

“Hernan! Sei arrivato finalmente! È da un’ora che ti aspetto per iniziare la consegna!” La ventitreenne rossa tinta si alzò per andargli in contro e aiutarlo a togliersi la giacca di pelle.

“Mio Dio!” esclamò esasperata, guardandolo. “Ma un ombrello non ce l’hai?! Oppure non guardi mai il cielo?! Era tutta una nuvola oggi!” disse scherzosa, dandogli un leggero scappellotto. “Vado a vedere se abbiano dei vestiti di ricamb-"

“Lascia stare! Non ne ho bisogno!” esclamò il biondo con fare frettoloso, guardandosi intorno, sospetto.

Mayra rise. “Tranquillo, Rafa è andato a fare delle consegne! Ci metterà ancora dieci minuti: hai tutto il tempo di cambiarti!” disse, svoltando l’angolo a destra.

“Dove devo consegnare oggi, May?” urlò Hern, sperando che lo sentisse.

La rossa tornò, lanciandogli addosso i vestiti. Per prenderli al volo, il ragazzo scivolò sul pavimento, cadendo sul sedere e gemendo dal dolore.

Mayra scoppiò a ridere. “Sei un danno, Hern!” disse, evitando di incrociare lo sguardo verde dell’altro, che sapeva la stessa fulminando con odio. Tossicchiò, cambiando discorso. “Oggi, lavori nella parte Ovest… quella ricca, se sorridi un po’ alle dolci vecchiette e alle ragazzine guadagnerai un sacco di mance!”

Il ragazzo annuì, sedendosi su una panca, mentre si allacciava i jeans strappati. Si sfilò la maglietta blu elettrico per mettersi quella bianco panna che gli aveva trovato la collega, poi prese la giacca della divisa da lavoro e se la infilò. Era verde con uno stemma giallo, che rappresentava delle ali e tre lettere, scritte in stampatello maiuscolo O.D.D.: Olympian Divine Delivery. Sbuffò, passandosi una mano fra i capelli; doveva essere uno scherzo del Fato o più probabile una decisione del Grande Capo, altrimenti conosciuto come Zeus o Giove.

Più ripensava a quel giorno, più si convinceva che qualcuno degli altri dei gli avesse giocato un tiro mancino. Non era mai stato il più attento o diligente fra le divinità olimpiche ma il suo lavoro lo sapeva fare.

Le parole del Padre degli Dei gli rimbombarono in testa, come se lo avesse avuto davanti. “Hermes, io ti condanno a vivere a contatto con la povera gente, sfruttata dai maligni ricchi senza poter far nulla per difenderli o per aiutarli!” Doveva ammettere che se non lo avesse fissato con uno sguardo che diceva “e chissenefrega”, se la sarebbe cavata con poco ma era stato più forte di lui. Non che non gli importasse degli umani ma era il Messaggero degli Dei mica Prometeo! Zeus sembrava non aver gradito la sua sfacciataggine e facendo tremare l’intero palazzo sull’Olimpo, aveva urlato: “Mi assicurerò che Fortuna non si degni neanche per sbaglio di darti un po’ di buona sorte, anzi ogni giorno nel mondo mortale, ogni più piccolo avvenimento ti sembrerà una catastrofe!” Poteva ancora vedersi davanti lo sguardo accigliato del padre e quello triste delle altre divinità, eccezion fatta per una. Efesto sembrava più che altro divertito dalla situazione e lo aveva raggiunto zoppicando per sussurrargli all’orecchio: “La prossima starai più attento, la tua sbadataggine poteva portare a un conflitto divino, lo sai? Non si mischiano i messaggi destinati a Poseidone con quelli del Re degli Inferi.” Lo aveva visto ghignare ma non aveva potuto rispondere nulla. Il suo istinto gli aveva suggerito di dargli una testata dritta dritta sul setto nasale. Si era trattenuto, avrebbe solo aumentato la sua condanna.

Così fu che fu scaraventato nel bel mezzo della periferia di New Mexico, non avrebbe saputo dire perché proprio l’America Centrale, forse per precauzione. Nessuno avrebbe creduto all’esistenza di un dio olimpico al di fuori della Grecia. Beh, in realtà, aveva dei dubbi sulla possibilità che lo riconoscessero persino ad Atene, si trovava pur sempre nel XXI secolo e i templi costruiti per le divinità erano più simboli e mete turistiche che luoghi di culto.

Si era dovuto trovare un lavoro e non volendo imparare un mestiere terrestre, si era fatto assumere da una compagnia di consegne. La O.D.D. era specializzata nella consegna di pacchetti omaggio e premio di altre agenzie o enti di tutti i tipi; era abbastanza richiesta ma per la fortuna di Hermes, c’erano dei periodi di stallo in cui il lavoro andava a rilento. Peccato, che fosse passato ormai un anno intero dal suo esilio forzato ed era cominciato il periodo delle “Mille e una consegna”, come lo aveva chiamato Mayra, ridendo.

Beata lei. Doveva solo prendere i vari incarichi dalle diverse associazioni. A recapitare i pacchi ci pensavano Hermes e Rafael, per fortuna del dio non sempre insieme, se no sarebbe morto.

Si guardò un’ultima volta allo specchio: aveva l’impressione di sembrare un cane bagnato; i suoi capelli non volevano prendere una forma decente. Sbuffò, esasperato.

“Io vado, Mayra. È già tutto sul furgone, giusto?”

“Sì, certo!” le rispose, mentre seduta su una sedia si gustava un cupa chups e leggeva una rivista di moda. “L’ha caricato Rafael prima di iniziare…” Puntò gli occhi scuri nei suoi. “Dovresti ringraziarlo, è sempre così gentile con te.” Hermes si bloccò sul posto, un brivido freddo gli passò per la schiena. Ecco! Quella stramaledetta sensazione di disagio stava tornando.

“May—“ provò a dire.

“May, un corno! Ora mi ascolti!” disse la ragazza, mettendosi in piedi e sbattendo una mano sul tavolo. “Quel povero ragazzo è cotto di te! Come fai a non capirlo?! E tu lo stai trattando come uno straccio! Almeno, dovresti essere sincero, se non t'interessa, se non sei… Beh…” Si fermò alla ricerca delle parola adatte. “Della sponda gaia… Dovresti dirglielo.”

Hermes sorrise.

Non capisci, May! Normalmente, beh diciamo durante le escursioni degli dei sulla Terra, mi ci sarei buttato a pesce su uno così! Ma, per colpa della punizione di Zeus, ogni volta che ci parlo, una sensazione orribile mi attanaglia il petto! Ti odio, padre, non hai idea di quanto! Disse tra sé e sé, diventando mano a mano sempre più depresso.

“Proverò a parlargli…” Fu la risposta che diede alla rossa, dirigendo verso la porta. Nel momento in cui, toccò la maniglia, l’uscio si aprì, andando a sbattergli dritto in faccia, facendolo cadere all’indietro.

Sentì Mayra emettere un urletto per poi scoppiar a ridere, mentre una mano s'infilò tra i suoi capelli, accarezzandoli piano.

Aprì gli occhi, trovandosi davanti un ragazzo dai capelli castani corti e gli occhi scuri, che lo guardava preoccupato.

“Rafael…” sussurrò, ancora intontito dalla botta.

“Mi dispiace tantissimo, Herni. Davvero.  Ti sei fatto molto male?” chiese, aiutandolo ad alzarsi. Suo malgrado, Hermes fu obbligato ad appoggiarsi a lui: vedeva doppio e la testa gli pulsava. Si sedette sulla panca di legno, vicino all’entrata, tastandosi la testa, come a voler essere sicuro di averla ancora tutta intera.

“Herni…” Disse Rafael, fissandolo dispiaciuto; mentre gli accarezzava il collo.

Hermes saltò come una molla.

“Il lavoro, sì… Sono già in ritardo!” Si precipitò fuori dall’ufficio, dirigendosi nel cortile. Adocchiò il furgone e ci salì, mettendosi al volante. Appoggiò la testa su di esso, ma pigiò il clacson che si mise a suonare.

“Ovviamente!” esclamò, tirandosi su e tappandosi le orecchie. Con il mal di testa che aveva, il suono sembrava essersi amplificato.

La portiera del conducente si aprì di botto, spaventandolo. “Dai, guido io, spostati…” disse il bruno. La sua espressione era sempre la stessa, sembrava mortificato.

“Non impor-" cominciò a dire Hermes ma una mano si poggiò sulla fronte, fermando le sue proteste.

“Sei gonfio.” disse il ragazzo. “Dovresti andare a casa, ti accompagno, se vuoi?” chiese titubante.

Hermes scosse la testa. “Devo pagare l’affitto.”

Rafael sorrise. “Ti posso dare i soldi della giornata.” Aprì le braccia con fare ovvio. Il biondo sembrò pensarci un attimo, poi la consapevolezza che accettare qualcosa da Rafael lo avrebbe legato a lui, lo dissuase dall’accogliere quella proposta.

“Non mi sembra il caso…” rispose acido; non gli piaceva comportarsi così, sapeva che non era colpa di quel ragazzo, così carino e dolce, ma la sua presenza lo infastidiva.

“Almeno, fatti aiutare…” lo pregò l’altro.

“Ok, faremo più in fretta!” acconsentì, esasperato, spostandosi dalla parte del passeggero. “Ma se mi tocchi, ti mordo… Lo giuro!” aggiunse minaccioso, mentre Rafael saliva sulla vettura.

“Tranquillo!” disse l’altro. “Ti ho sbattuto una porta in faccia, credo che basti! Non sono intenzionato a fare altri danni!” concluse con il suo solito sorriso in volto. Hermes lo fissò per un attimo, era solare e simpatico, oltre ad attrarlo davvero molto. Se solo non ci fosse stata quella stupida punizione…

Scosse la testa, velocemente, sperando che Zeus fosse impegnato in altre faccende e non lo stesse osservando dall’alto. Conosceva il padre e sapeva quanto potesse essere sadico con i castighi, se lo avesse sentito pensare una cosa del genere, sarebbe stata una vera catastrofe. Era certo che gli avrebbe fatto togliere la punizione precedente, compresa tutta la sfortuna che sembrava aver trovato in lui un nuovo preferito, e avrebbe lasciato che si affezionasse a quel mortale, forse fino a farlo innamorare e poi… Bam! Lo avrebbe richiamato sull’Olimpo, facendo credere a Rafael che fosse stato solo un gioco.

 

Grazie all’aiuto del bruno, le consegne furono più veloci. Nonostante i numerosi incidenti di percorso _ tra cui un vaso di terracotta cadutogli su un piede, un incontro ravvicinato con del cemento fresco e persino la caduta in un tombino (fortuna volle che i riflessi di Rafael fossero buoni e lo fosse riuscito ad afferrarlo per un braccio, prima che cadesse nelle fogne!)_ Hermes riuscì a tornare al suo appartamento sano salvo, anche se un po’ indolenzito e davvero triste.

Mangiò della carne in scatola con dell’insalata e poi si buttò sul letto, ancora vestito.

Nei suoi sogni lo raggiunse Zeus, con un ghigno poco convincente ma nulla di più. Sognò anche Rafael e il suo sorriso; si ripromise che, dopo essere stato riammesso sull’Olimpo e aver riguadagnato la fiducia di Giove, sarebbe tornato a New Mexico e si sarebbe divertito con quel mortale.

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