This
Is A
Rebel Love Song
-2.Lost It All-
Camminavano da mezz’ora
più o meno.
Andy sentiva il vento gelido che gli
remava contro, ma
non se ne curava più di tanto.
La prospettiva di morire assiderato, dopo quello che era
successo, lo
lasciava del tutto indifferente.
Non aveva aperto bocca,
si limitava a seguire le indicazioni che la ragazza che
era con lui gli
forniva poco prima che svoltasse o cambiasse strada.
Ashley camminava al suo fianco,
guardando verso il basso, a
passo svelto, tant’è che un paio di volte si era
fermata per aspettarlo,
alzando lo sguardo verso di lui, che
aveva risposto con un’alzata di spalle e un “devo
smettere di fumare” che aveva
provocato una risata alla ragazza.
-Sai, mi ricordi i miei compagni di
scuola qualche anno fa- attaccò
la mora, cercando di smettere di ridere.
-Perché scusa?- disse lui,
senza capire se era un fatto
positivo o negativo.
-Quando uscivamo di scuola caso vuole
che i fumatori in
questione fossero bellamente tranquilli a camminare e cominciassero a
correre
per non perdere l’autobus e se ne uscivano con
“devo smettere di fumare” detta
col fiatone- concluse, sorridendo.
-Questo mi fa dedurre che invece tu
non fumassi, all’epoca-
-No, lo facevo, meno di loro
certo…solo che diciamo, non
mettevo i manifesti- gli fece un occhiolino di risposta.
Per un momento Andy si chiese quante
cose avesse da
raccontare quella ragazza bassina e incredibilmente strana.
Lo stava portando ai suoi ricordi, di
quando andava a scuola,
di quando suonare era un hobby e non un lavoro, di quando si chiedeva
se un
giorno sarebbe diventato qualcuno.
-Andy?-
La ragazza si era fermata ed era
davanti ad un palazzo, probabilmente
scuro, nonostante la notte ne alterasse i colori.
Dalla faccia che aveva si poteva
dedurre che non fosse la
prima volta che lo chiamava.
-Bè, siamo arrivati- fece
un cenno lei, piegando la testa di
lato una volta capito di aver attenuto la sua attenzione.
Detto questo frugò nella
borsa e prese un enorme mazzo di
chiavi, per poi inserire una di queste nella toppa e far scattare la
serratura.
L’ingresso era illuminato a
giorno, alla sua sinistra una
rampa di scale proseguiva per 3 o 4 piani mentre alla sua destra
c’era un
ascensore dello stesso colore dei corrimani delle scale, nero opaco.
L’intero edificio era
segnato dal contrasto di questi due
colori, che facevano percepire che non fosse propriamente nuovo anche
se lo
sembrava.
-Ho pietà di te- disse
ridendo Ashley, per poi incamminarsi
verso l’ascensore e premere il tasto di chiamata.
Non passò molto che
l’ascensore emise un segnale sonoro per
indicare che era arrivato al piano terra.
Ashley si appresto ad entrare,
appoggiandosi allo specchio
sul fondo e aspettando che il suo ospite ci salisse, dopo di
ché premette il
tasto del secondo piano.
L’ascensore
cominciò a salire e mentre la ragazza fissava la
punta delle sue converse, Andy guardò il suo riflesso nello
specchio.
Ringraziò una qualsiasi
divinità esistente per non essersi
truccato, anche se l’effetto non era tanto da meno.
Gli occhi erano spenti, persi di
qualsiasi luce. Il volto
stanco, come se non dormisse da giorni, anche se quella mattina stessa
aveva
dormito fino a tardi.
Un leggero sobbalzo indicò
loro che avevano raggiunto il
piano desiderato e lo distrasse dei suoi pensieri, nel medesimo momento
in cui
Ashley si spostò da dove si era appoggiata
e si portò davanti alla porta aperta
Svoltò
a sinistra e
aprì la porta di casa.
Quello che Andy era convinto fosse un
mazzo di chiavi
gigante in realtà non era poi così grande: grande
era il peluche attaccato ad esso,
un pipistrello rosso, rovinato dal tempo probabilmente.
La casa era tremendamente calda, in
confronto al gelido
vento notturno, il che lo rassicurò di quel poco per
convincersi che accettare
di passare la notte a casa di una sconosciuta non era stata proprio una
pessima
idea.
L’ingresso era ampio e sul
fondo c’era la cucina, separata
dall’ingresso da un
muretto basso color
marmo a cui era accostato un divano di pelle rossa a due posti e dalla
parte
opposta ve ne era
uno da tre.
Alla sua destra c’era un
corridoio che portava a una rampa
di scale.
-E questo è il famoso
divano-letto- disse con enfasi
teatrale alludendo a ciò che gli aveva detto al bar,
cominciando ad aprire il
divano, che in meno di 5
minuti fu
pronto.
-Bè, io sto al piano di
sopra…se ti serve qualcosa… il bagno
è la prima porta a sinistra-disse indicando il corridoio
Fece per andarsene, ma Andy la
chiamò.
-Ashley- disse, ma si corresse subito
una volta ricordatosi
che la ragazza gli aveva chiesto di usare il suo sopranome -Ashy,
grazie….-
-Non c’è di che-
sorrise la mora di rimando, incamminandosi
verso il piano superiore.
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Tre e venticinque del mattino.
Erano tre ore che fissava quel
dannato soffitto, quando
senti qualcosa di peloso sfiorargli il braccio.
Normalmente non sarebbe saltato via,
sapendo che poteva
tranquillamente essere uno dei suoi gatti.
Ma il punto sostanziale era
che non era a casa sua e quindi non poteva essere uno dei
suoi gatti.
Saltò via, per lo stupore
più che per lo spavento, poi
abbassò lo sguardo e vide una palla di pelo nera con gli
occhi azzurri, che
spiccavano nel buio della notte.
-E tu..?-
Di risposta
il gatto gli si sdraio vicino, incurante di averlo fatto saltare via in
quel modo,
come se stesse rivendicando il suo posto.
Continuava
a sentirsi stanco, ma era altrettanto stanco di stare li fermo a
fissare il
soffitto.
Si alzò e si
frugò nelle tasche, sperando di trovare ancora qualche
sigaretta in quel dannato pacchetto.
Mentre le cercava trovò
anche il suo cellulare.
Lo guardò con un certo
timore quando si accorse che aveva un
messaggio e si
chiese se non potesse
fingere di averlo perso.
Era combattuto, non sapeva se
leggerlo o meno.
Ma alla fine la parte più
infantile di lui cedette e si
avviò con l’unica sigaretta rimasta e il cellulare
verso il balcone, da cui si
accedeva dalla cucina che aveva visto appena entrato in quella casa.
La notte era stellata, il cielo
tremendamente limpido.
Odiosamente limpido.
Non doveva essere così.
Parte del suo mondo
era appena crollato, si aspettava
come minino una tempesta o un tornado.
Invece tutto il resto del pianeta
continuava la sua
esistenza come se fosse niente.
Si avvicinò al parapetto e
si accese la sigaretta, aspirando
profondamente per cercare di farsi coraggio.
Sblocco lo schermo, leggendo il nome
del mittente
Juliet.
Un tonfo al cuore.
Sollievo.
Paura.
Gioa.
Dolore.
Il messaggio era di due ore prima.
“Se
mi avessi lasciato
spiegare.
Che poi non
dovrei
spiegarti niente, te ne sarai accorto anche tu no?
Ormai le
cose stavano
andando a scatafascio…..Ormai era come se non stessimo
nemmeno più assieme, eravamo
diventati come fratello e sorella….
Ogni volta
che cercavo
di parlartene tu cambiavi discorso, quasi come se non ti accorgessi di
niente….
Io non so
che
fare….Non ti amo più ed è meglio per
entrambi se la chiudiamo qui.
Non
vediamoci più. È
la cosa migliore per entrambi.
Domani
parto. Vieniti
a prendere le tue cose.
Scusami per
non averti
obbligato a ascoltarmi prima.”
Si girò e
scivolò sul parapetto, cercando di non cadere a
peso morto.
Era finita. Finita.
Gli vennero alla mente tutti i
ricordi: la prima volta che
si erano incontrati, i baci, la prima volta che erano stati insieme.
Il declino. Si sentì
mancare il respiro.
La sigaretta bruciò fino a
scottargli le dita, ma non ci
fece caso.
Rimase così fino al
mattino, appoggiato al muro, in
un angolo del balcone, con il cellulare tra
le mani.
Il gatto che dopo un po’
gli si era avvicinato, come se
avesse sentito il suo disagio, gli si era acciambellato sulle gambe e
lui lo
accarezzava di tanto in tanto, cercando di confortare se stesso
più che
l’animale.
Aveva perso parte delle sue certezze
e delle sue sicurezze, ma
si sentiva come se avesse perso tutto.
“Cuz I lost it
all
Dead
and broken
My
back's against the wall
Cut
me open
I'm
just trying to breathe
Just
trying to figure it out
Because
I built this monster
Watching
crumbling down
I
said
Then
I lost it all “
[Lost It All-Black Veil Brides]