Come
sempre, tutto il mio affetto e il mio ringraziamento a 3ragon che ha caritatevolmente
acconsentito a farmi da Beta.
I’m
not a Murderer
04
Non ne
aveva alcuna intenzione – però poi l’ha
fatto lo stesso…
«Max?» Lionel era rimasto a bocca aperta di
fronte all’amico.
«What?»
ribatté questi, guardandosi intorno infastidito.
«Max!»
«Cosa?»
«Maximillian?»
«Che cazzo hai da urlare, si può
sapere?» alzò la
voce irritato, guardandolo dritto negli occhi.
«No, niente. Volevo essere sicuro si trattasse di
te» affermò soddisfatto, tornando a sedersi sul
divanetto e scolandosi il resto
della birra «sai, non potevo essere sicuro al cento per cento
da sotto quel
cappello».
Max
arrossì e si affrettò a sedersi a propria
volta, cercando di ignorare alcuni sguardi troppo lascivi per i suoi
gusti e
puntati in alcuni punti… come quella tizia che fissava
assatanata il suo
fondoschiena. Rabbrividì nello scorgerla leccarsi le labbra.
Ma
chi glielo aveva fatto fare?
Si
mosse a disagio sul divanetto dove si era
scaraventato non appena era riuscito a districarsi dalla folla danzante
e
appiccicosa che era stato costretto ad affrontare per trovare gli amici.
Ma
non avrebbero potuto aspettarlo fuori, come al
solito?
Se
non altro gli avrebbero risparmiato palpatine
affatto ben accette durante il percorso.
E
adesso quello.
Domande imbarazzanti e occhiate indagatorie
persino da parte dei suoi amici!
«Ciao»
Rischiando un infarto, per aver sentito un
sussurro tanto vicino e non aver notato l’avvicinarsi di
nessuno, Max si voltò
per vedere chi fosse la persona che aveva battuto una mano sul suo
braccio.
La
ragazza era mora, con i tacchi alti e
stranamente familiare.
«Ci siamo incontrati l’altra sera» gli
fece presente
lei «mi hai detto che ti vesti come un barbone».
In
un attimo collegò il suo volto a quello della
tizia che aveva dato origine a tutta quella assurda serata, e non
riuscì a dire
niente.
Quando era rientrato a casa, quella mattina,
reggendosi sulle gambe solo grazie all’aiuto congiunto di
Brook e Bach, aveva
gettato a terra la felpa e cantato a squarciagola le ultime strofe di
una
canzonaccia di strada – eredità del suo paese
d’origine – era scoppiato in un
riso irrefrenabile.
Si
era a mala pena accorto delle occhiate
preoccupare degli amici, nascoste alla sua vista dal velo di lacrime
che
avevano iniziato a scendere subito dopo.
Ricordava vagamente quanto fosse successo poi –
c’era una macchia sospetta sulla moquette
dell’ingresso – ma era certo di aver
pensato che una scena del genere non sarebbe mai accaduta. Che mai
più una
ragazza lo avrebbe messo nella posizione di sentirsi a disagio o fuori
luogo.
Che
avrebbe rificcato in gola a tutte le
signorinelle che contavano il loro
fottuto senso estetico.
Poi
c’era stata la chiamata di Lionel –
all’alba
delle tre del pomeriggio, quando era riuscito a raggiungere il telefono
con un
mal di testa lancinante – che lo informava che quella sera si
sarebbero trovati
al Boulaire.
Al
momento di prepararsi lo sguardo era corso
alla borsa firmata O’Connell e agli abiti ancora con i
cartellini attaccati.
Alla
fine, indugiando fino all’ultimo e
ricordandosi dell’imbarazzo della sera prima, aveva smesso di
tenere in mano
quei vestiti e li aveva indossati.
Quelli che Castor aveva scelto per lui.
Accidenti, era sempre colpa sua!
«Cos’è? Il gatto ti ha mangiato la
lingua?»
soffiò lei, avvicinandosi ancora, sussurrandogli
direttamente nell’orecchio
«Vuol dire che stasera non potrò
usufruirne?»
Max
arrossì come un’aragosta. Le orecchie
avrebbero cominciato a fumare – o almeno così
riteneva – se una seconda voce
non si fosse intromessa.
«Tu non la userai di certo. Né avrai occasione di
vederla, non so se mi spiego».
Accanto al divanetto dove Max era seduto e dove
la mora lo aveva placcato, avvolgendogli le braccia attorno al collo,
si era
improvvisamente materializzato un uomo sottile dai folti capelli rossi,
che gli
cadevano in ciocche disordinate attorno al viso.
Max
lo riconobbe, rischiando di strozzarsi nel
pronunciare il suo nome.
«Cosa vuoi?» fece lei, la voce dolce usata fino a
poco prima nascosta da un tono ben seccato.
«Che giri al largo Candy, lui è
proprietà
privata» sillabò lui cordiale, solo un pizzico di
fastidio – ben celato –
dietro le iridi azzurre.
«Non scassare Castor, l’ho visto prima
io» sibilò
lei in risposta, rafforzando la presa su Max e facendo scorrere il
proprio
petto sul suo «sei tu quello che deve andare a prendere aria
altrove».
«Su questo avrei qualcosa da ridire» Bach
–
stramaledetto lui, era rimasto lì accanto per tutto il tempo
e non aveva fatto
niente – distolse lo sguardo dal cocktail che stava
centellinando per puntare i
suoi occhi in quelli socchiusi di Castor «se non sbaglio sei
stato tu a
vestirlo»
«Proprio così» il rosso fece un cenno di
assenso
con il capo, prima di tornare a Candy «quindi ora te lo
chiedo per l’ultima
volta: togligli le mani di dosso».
«Come sarebbe a dire?» fece lei sorpresa,
guardando Max «È stato Castor a scegliere questi
vestiti per te?»
«Beh, ecco…» esitò lui, colto
impreparato.
Diamine, già ci stava capendo ben poco, se poi lo tiravano
in mezzo a
conversazione iniziata…
«Risposta esatta dolcezza» assentì
Castor
deliziato «non hai notato il gusto perfetto degli
abbinamenti?»
«Potevi dirlo prima» borbottò lei
contrariata,
alzandosi dal divanetto – rilasciando la morsa su Max
– allontanandosi
ancheggiando, lanciando un’ultima occhiata obliqua a Castor e
mischiandosi alla
folla - probabilmente alla ricerca di qualcun altro da irretire.
Max
non era sicuro su cosa dire – aprì e chiuse
la bocca un paio di volte – ma ogni sua protesta, domanda o
affermazione venne
bloccata sul nascere da una mano prepotente (indovinate appartenente
chi?) che
gli afferrò il gomito costringendolo ad alzarsi e guidandolo
lontano dai
divanetti e dagli amici. Sebbene l’unico amico
ancora inchiodato in quell’angolo fosse Bach, che non fece il
minimo cenno in
segno di protesta per il suo rapimento.
Ancora stupito dall’apparizione e improvvisamente
consapevole del fatto che una certa mano gli stava stringendo
fermamente il
braccio, si lasciò trascinare nella folla, fino alla pista
da ballo.
«Ehi!» si riscosse finalmente, quando un altro
ragazzo lo urtò nel movimento «Cosa pensi di
fare?»
«Farti ballare» fu la risposta chiara che
ricevette – all’orecchio, per sovrastare la
baraonda della musica.
«E chi ti dice che io ne abbia voglia?»
ribatté
polemico, nel guardare scettico le coppiette avvinghiate tutto intorno
a lui.
«E cosa ti fa credere che questo mi interessi?»
chiese retorico Castor, sorridendo appena, seducente.
Max
arrossì. Forse poteva sbagliarsi, ma sembrava
quasi che fosse appena stato trascinato dentro
all’affascinante e pericoloso
gioco della seduzione. Una partita in cui partiva svantaggiato. Era
stato a
fare tappezzeria per troppo tempo.
Cosa
diavolo si aspettava avrebbe dovuto fare?
«Cosa voleva dire…» il ragazzo fece una
pausa
imbarazzata, mentre il rosso lo tirava maggiormente a sé per
evitare che
entrasse in contatto con altri ballerini «che significa il
fatto che hai scelto
questi vestiti?»
Facendolo ruotare sulla pista, Castor lisciò
delle pieghe invisibili sugli abiti di Max.
Passò leggero sul maglioncino nero attillato,
indugiando sulle cuciture ai fianchi e sulla fantasia metallica su una
spalla,
per poi continuare altrettanto delicato sulle braccia, toccandolo solo
con la
punta delle dita - impercettibile come un soffio di vento e bruciante
con un
ferro arroventato.
Max
fece fatica a trattenere un gemito, ma
strinse i denti e non si lasciò sfuggire neanche un ansito.
Non
sapeva come fosse possibile – per la miseria,
a lui non erano mai piaciuti gli uomini! – ma un solo tocco,
anche casuale - e
quelli non lo erano di certo -, di Castor e si sentiva sciogliere. Una
carezza
e le gambe iniziavano a tremare. Un’occhiata e il suo stomaco
si trovava a fare
un salto carpiato nella trachea.
Il
rosso sorrise compiaciuto dal rossore che
colorava le guance del ragazzo e bloccò il suo movimento su
di lui solo quando
infilò due dita in uno dei passanti dei jeans e
posò il palmo sullo spicchio di
pelle scoperta della schiena.
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei
vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole
toglierglieli personalmente?»
mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max
deglutì, improvvisamente accaldato per via
del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato
il fatto che si
trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente
spalmato su
di lui.
Molto felicemente, in effetti.
Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza»
cercò di
erigere una – blanda – difesa verso quello che
sembrava qualcosa di
inevitabile.
«Questo
è vero» gli sussurrò in risposta,
sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei
una donna».
Dal
modo in cui Max sentì cedere le proprie gambe, forse non era
del tutto certo.
Non fosse stato per il braccio che Castor gli teneva attorno alla vita,
probabilmente sarebbe finito a terra.
Si
sentiva ubriaco.
«Ma sei comunque mio» soffiò sulla sua
pelle,
lasciando che la mano scivolasse dalla curva della schiena fin dentro i
jeans,
sfiorando il solco tra le natiche.
Un
mugolio e il respiro iniziò a farsi più
pesante.
«Cosa mi stai facendo?» gli chiese ebbro come non
si era mai sentito. Non come se avesse bevuto, si accorse
improvvisamente
debole, mentre sentiva le braccia diventare pesanti ed essere
accompagnate –
sempre da quelle mani –
attorno al suo collo.
Inconsciamente – o forse
troppo consciamente – Max si strinse a lui, sfregando la
guancia contro la
pelle scoperta del collo del rosso.
Castor gli passò la mano libera sulla linea curva
della nuca. Non ci aveva mai provato con un ragazzo più alto
di lui, rifletté
concentrato sul contatto dei loro corpi.
Con
un pressione maggiore lo costrinse a
raddrizzarsi e gli fece scivolare le braccia attorno alla propria vita,
mentre
lui allacciava le proprie al collo del nuotatore, intrecciando
maliziosamente
le dita tra i capelli corti della nuca.
Aveva sempre pensato che i ragazzi alti fossero
goffi e tutt’altro che attraenti.
Studiando le orecchie arrossate, le guancie
lucide e gli occhi sgranati di Max, tuttavia, non poté che
essere più felice di
essersi sbagliato.
Quel
ragazzo gli stava chiaramente dicendo di
saltargli addosso.
Max
assecondò il cambiamento di posizione con un
brivido di aspettativa. Maledizione, e dire che si era ripromesso di
detestarlo
per tutta la vita.
Si
sentiva la gola secca e la lingua incollata al
palato: quei movimenti lenti lo stavano facendo impazzire.
«Posso offrirti da bere?» chiese l’altro
lentamente, non incontrando altro se non uno sguardo opaco e un vago
assenso.
Ghignando soddisfatto, Castor tornò a passargli
le braccia attorno alla vita e se lo tirò addosso, petto
contro petto, mentre
faceva un cenno al barman.
«Due Mojito» fece segno, prima alzarsi sulle
punte e baciare quelle labbra, come avrebbe voluto fare dal giorno
prima,
quando lo aveva visto muoversi impacciato nella felpa sportiva tra i
corpi
tirati a lucido dell’Hellsing.
…
Okay, lo
ammetto,
non l'ho fatto particolarmente lungo… ma è stata
una scelta ben ponderata! Il
prossimo capitolo… no, non faccio spoiler! Insomma, capirete
perché questo è
corto XD
Baci (non
come quelli di Castor, mi dispiace)
NLH