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Autore: andromedashepard    13/11/2013    5 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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“I had a dream the other night
 
About how we only get one life
 
Woke me up right after two
 
Stayed awake and stared at you
 
So I wouldn't lose my mind”

 (One Republic, "Something I Need")


[x]

 

 
Le stelle non avevano brillato sopra la Normandy, quella sera, eppure lei avrebbe giurato di averle viste danzare sulla sua pelle, come atomi silenziosi di una materia bellissima e sconosciuta, particelle che si rincorrono alla ricerca dell’infinito, insinuandosi in ogni minuscola frattura, permeandola di un incredibile senso di completezza e unione… qualcosa che, realizzò, trascendeva completamente da ogni concetto di reale, eppure ne era parte, trasformando una sinfonia all’apparenza stonata in qualcosa di assolutamente perfetto. Furono attimi, istanti, che lei non avrebbe saputo quantificare, momenti in cui ogni cosa intorno a sé era sparita, per fare spazio a qualcosa di indefinito eppure palpabile, come un velo sottile di pura gioia… e tutto questo l’aveva condiviso con lui, proprio come se fossero stati gli unici spettatori di un evento raro e incredibile.
Si era svegliata nel cuore della notte, inseguendo milioni di pensieri astratti, residui del sogno, e si era accorta di avere un pacifico sorriso dipinto sulle labbra. Notò divertita come lui si fosse involontariamente appropriato di tutte le lenzuola, ma non ebbe il coraggio di tirarle verso di sé, per timore di svegliarlo. Trattenne il respiro, sollevandosi delicatamente su un gomito, per cercare i contorni del suo volto nella penombra. Se una parte di sé avrebbe voluto riaddormentarsi, stretta contro la sua schiena, l’altra parte non aveva intenzione di rinunciare a un momento di solitudine, persa ad osservare così da vicino qualcosa che per troppo tempo aveva solo potuto desiderare.
Gli occhi si adattarono al buio, le orecchie iniziarono a distinguere con precisione ogni suono… il respiro calmo e regolare di lui, i battiti di quel cuore troppo diverso. E in quel silenzio piacevolmente disturbato, i suoi pensieri ovattati dal sonno diventarono in qualche modo assordanti. Ma nessuno di loro portava con sé le parole dolore, dubbio, paura. Ogni cosa che la sua mente le suggeriva, rapita dalla dolcissima visione di lui, era qualcosa che sapeva di speranza, desideri, bellezza.
Sollevò d’istinto una mano, realizzando che se l’avesse posata sul suo viso l’avrebbe inevitabilmente svegliato, ma prima che potesse frenarsi, le sue dita avevano già raggiunto quella pelle estranea, incapaci di resistere alla tentazione. Nello stesso istante in cui iniziò a percorrere con i polpastrelli i contorni del suo volto, lo vide sorridere e un altro sorriso si formò anche sulle sue labbra.
“Dormi”, sussurrò appena, sentendo la sua gola vibrare leggermente in risposta. Si distese nuovamente, facendo aderire il suo corpo a quello di lui, e continuò ad accarezzarlo finchè, cullata da un milione di bellissimi pensieri, non si addormentò di nuovo.
 
 
 
Quella mattina, il suono squillante e insistente della sveglia la fece trasalire, e lei si rese conto di aver dormito tanto profondamente da aver ignorato persino i suoi soliti ritmi. Di solito non dava mai il tempo a quel dannato aggeggio di perforarle i timpani, alzandosi sempre con largo anticipo, ma non quella mattina.
Si stiracchiò, allungando poi un braccio verso l’altra parte del letto: era vuota. Poi si mise a sedere, visibilmente delusa, e aprì finalmente gli occhi, trovandosi stavolta coperta dalle lenzuola, quelle stesse lenzuola che inconsciamente lui le aveva rubato nel sonno. Controllò il factotum con un solo occhio senza scorgere alcun messaggio, poi diede uno sguardo sommario alla stanza, alla ricerca di qualche indizio. I vestiti di Thane erano spariti, i suoi erano invece ripiegati con cura sulla scrivania. Poi qualcosa di strano, un movimento anomalo alla sua destra catturò la sua attenzione. Volse lo sguardo verso l’acquario e strinse le palpebre, cercando di comprendere cosa fossero quelle macchie arancioni che si agitavano in mezzo all’acqua… poi capì. Si trattava di due splendidi esemplari di carpe koi, le stesse che aveva visto nuotare in quello stagno su Telmum. Curvò le labbra in un sorriso, vedendole rincorrersi fra le alghe, al pensiero che lui si fosse svegliato in anticipo solo per farle un regalo come quello, forse insignificante per chiunque, ma non per lei. In quello stesso istante il portellone si spalancò con uno sbuffo e lei si sporse da un lato, sorridendo ancora prima di vederlo.
Thane la raggiunse velocemente, un contenitore di medie dimensioni in una mano e l’aria rilassata.
“Mmm… potrei abituarmici”, mugugnò lei, tirandosi le lenzuola fin sopra al mento, mentre gli faceva cenno di sedersi sul letto.
“A me, alla colazione a letto o alla presenza di forme di vita nell’acquario?”, rispose lui facendo un cenno verso i due piccoli pesci, prima di baciarla sulle labbra.
“Tutt’e tre?”, sorrise lei, sbirciando dentro al contenitore. Poi arrossì, più perché la sua mente iniziò a presentarle vari flashback della notte precedente, che per reale imbarazzo, e iniziò ad indagare sulla natura di quel contenitore.
“Non sapevo cosa preferissi, così ho preso tutto quello che c’era”, spiegò lui, aiutandola a scartare i vari cibi.
“Con tutta questa roba potremmo sfamarci un esercito”, esclamò lei divertita, ignara del fatto che di lì a pochi minuti avrebbe fatto sparire tutto. “Mmm… questo è uno dei miei preferiti. Perché non lo provi?”.
Lui rifiutò garbatamente, dicendole che aveva già mangiato, e a lei non restò che fare una smorfia di disappunto e tornare alle sue prelibatezze, chiedendosi nel frattempo che cosa mangiassero di solito i Drell a colazione.
“Lo sai, Thane”, gli disse poi, con le labbra ricoperte di zucchero a velo e la bocca piena, “temo per il futuro di quei pesci… tendo a dimenticare di nutrirli. Ecco perché dopo il primo tentativo avevo lasciato perdere”.
Lui sorrise, compiaciuto. “E’ per questo che ho persuaso la Chambers ad occuparsene, qualora tu fossi d’accordo”.
“Splendido! Dovresti illustrarmi tutte queste tue tecniche di convincimento uno di questi giorni”, rispose lei, in un tono che celava un certo sarcasmo.
“In effetti, pensavo di chiederti di accompagnarmi ai magazzini Zakera oggi. Un mio contatto qui sulla Cittadella mi ha segnalato delle nuove mod in fase di sperimentazione e sarei felice di testarle con te. Se non hai da fare, è chiaro…”
Addentando l’ultima ciambella, lei scosse il capo, stringendo gli occhi in un sorriso.
“Ti accompagno volentieri”, rispose poi in una nuvola di zucchero, dopo l’ultimo morso. “Grazie”, aggiunse, reclinando il capo sulla sua spalla.
Lui rise, guardandola con aria felice.
“Perché ridi?”
“Perché non c’è una parte del tuo viso che non sia ricoperta di zucchero”.
“Beh, invece di ridere potresti occupartene…”, lo provocò lei, e lui, in un secondo, fu subito sulle sue labbra, a catturare una dolcezza che non avrebbe mai dimenticato.
 
 
 
Dopo pranzo, consumato nella solitudine della sua cabina a revisionare rapporti, la tentazione di recarsi immediatamente in Batteria Primaria, o in Sala Macchine, o direttamente da Kasumi era stata davvero enorme, ma Shepard si era ripromessa di conservare la necessaria lavata di capo per dopo, concentrandosi invece su quell’uscita pomeridiana. Si sentì un’idiota mentre sorrideva di fronte al suo stesso riflesso proiettato sullo specchio, ma non riuscì a reprimere quell’improvvisa e  assolutamente scontata ondata di felicità che la travolse, mentre tentava di legare i suoi capelli in una coda di cavallo. C’era ancora una Galassia da salvare, là fuori, c’erano ancora criminali da togliere di mezzo, c’erano ancora coloni che continuavano a sparire lontano dagli occhi di tutti… ma in quel preciso istante lei realizzò che portarsi dietro una nube perenne di timori e preoccupazioni non avrebbe giovato a nessuno, né a lei, né al suo equipaggio, né tantomeno alla Galassia. Uscì dal bagno e infilò i jeans dentro un paio di anfibi, recuperando una borsa di pelle vecchia chissà quanto tempo dall’armadietto e un paio di occhiali da sole; poi, dando un’ultima occhiata alla quantità infinita di contenitori vuoti che giacevano ancora sul suo letto, sorrise e lasciò finalmente la sua cabina.
 
 
 
“Comandante, qualcosa di divertente in programma?”, la salutò Kelly, ancora intenta a lavorare al suo terminale sul ponte di comando.
Shepard si fermò di colpo, come se qualcuno l’avesse improvvisamente richiamata alla realtà.
“Sì, n-no, solo un giro per i magazzini”, rispose lei, colta di sorpresa.
“Lo sai, Shepard, se hai bisogno di qualcosa puoi sempre rivolgerti a me o agli addetti ai rifornimenti. Basta una lista e…”
Shepard sventolò una mano a mezz’aria, sorridendo leggermente. “Non preoccuparti Kelly… Onestamente, preferisco testare di persona quello che compro”.
“Come vuoi, Comandante”, sorrise la specialista, lasciandola finalmente libera di uscire.
“Ah… Shepard”, la richiamò subito dopo. “Credo che Thane ti stia aspettando al molo d’attracco”, nel darle quest’informazione, non si lasciò sfuggire un minuscolo sorriso malizioso.
“Grazie Kelly”, rispose lei, serrando le mascelle, pregando con tutta se stessa di non tradire alcuna emozione.
Si diresse a passo svelto verso il portellone e uscì dalla Normandy, prendendo finalmente una vera boccata d’aria, per quanto tutto sulla Cittadella fosse artificiale.
Thane la aspettava ritto in piedi di fronte alla ringhiera che si affacciava sulla zona esterna dello spazioporto, l’orizzonte costellato da una miriade di mezzi in arrivo che seguivano percorsi prestabiliti come piccole api operaie. Aveva l’aria spensierata, le mani dietro alla schiena e lo sguardo fiero, perso a rincorrere chissà quale ricordo. Avrebbe voluto corrergli incontro, ma ciò che le premeva maggiormente, al momento, era di non attirare sguardi curiosi. Non avrebbe voluto che qualche membro del suo equipaggio ficcasse il naso nei suoi affari personali, ma dato che questo non era riuscito ad evitarlo, perlomeno poteva provare a non fornire nuovi spunti. Era già tutto così strano di per sé, senza che qualcuno ricamasse storielle su quella strana relazione, ingigantendo dettagli come ogni buon pettegolezzo da tabloid comanda. Scacciò questi pensieri dalla mente e lo raggiunse con impazienza, fermandosi solo a qualche centimetro da lui.
“Qualcosa di bello?”, domandò, assumendo la sua stessa posizione, mentre proiettava lo sguardo di fronte a sé.
Thane la guardò perplesso. “Cosa?”
“Ricordavi qualcosa di bello?”, riformulò lei, appoggiando i gomiti sul davanzale.
Lui sorrise leggermente, distogliendo per un attimo lo sguardo, quasi fosse in imbarazzo. “Si”, rispose semplicemente.
“Non vuoi dirmelo, eh?”, scherzò lei.
Non avrebbe mai voluto invadere il suo spazio personale e sperò che lui non prendesse quella domanda come un tentativo di voler ad ogni costo condividere i suoi pensieri, piuttosto che un modo come un altro di fare conversazione.
“Non mi hai chiesto di condividerlo con te…”, rispose lui ragionevolmente, sorridendo.
“Vorresti?”, rilanciò lei, piegandosi di lato per poterlo fronteggiare.
Lui le si avvicinò con cautela, in modo che potesse parlarle più piano possibile.
La guardo, e c’è l’infinito nei suoi occhi lucidi, specchi verdi che mi sorridono. In quell’istante le sue labbra incontrano le mie, le sue mani graffiano la mia schiena, mi sussurra qualcosa, ma io non capisco... Sono totalmente perso in lei, ogni cosa svanisce davanti alla sua bellezza, le parole si confondono con i pensieri, i sussurri con i brividi che scuotono i nostri corpi".
Lei sgranò gli occhi, arrossendo vistosamente, e prima che potesse anche solo pensare di evitarlo, si trovò a rispondere ad un bacio totalmente inaspettato. Quasi nello stesso momento, una voce familiare la fece trasalire, facendola poi voltare con orrore.
"She... oh, merda".
"Vakarian", rispose lei, con un tono indefinibile, mentre tentava di darsi un contegno, allontanandosi bruscamente da Thane. Scambiò un breve sguardo con il Turian, l’essenza pura dell’imbarazzo, prima che lui tornasse a fissare il pavimento della stazione. "Volevi qualcosa?"
"No, no… stavo solo rientrando alla Normandy, e... Spiriti, oggi fa più caldo del solito, non trovate?", rispose lui, accarezzandosi le creste frontali. "Beh, sarà meglio che torni a lavoro... Buona giornata".
"Mi devi una cena, Vakarian", lo interruppe Thane con un sorriso sornione, prima che Garrus potesse girare i tacchi.
"Ah... ma si, certo. La prossima volta, eh? Offro io", ridacchiò il Turian, prima di svignarsela definitivamente sotto allo sguardo incredulo di Shepard e quello soddisfatto di Thane. Appena furono al riparo da occhi indiscreti, entrambi sospirarono in sincrono e iniziarono ad incamminarsi lentamente verso la banchina del trasporto rapido.
"Scusami", le disse lui, in un tono che le sembrò oltremodo mortificato.
"Per cosa?", domandò lei scioccamente, pur sapendo perfettamente a cosa si riferisse.
"Non avrei dovuto... è solo che…"
“Non scusarti", lo interruppe lei, "diamine, per ricordare ogni cosa alla perfezione, come se stessi rivivendola, hai un ottimo autocontrollo", ridacchiò, strappandogli un sorriso.
"Senti, a proposito di quel ricordo...”, aggiunse lui poco dopo.
“No, non chiedermelo”, si affrettò a rispondere lei, continuando a guardare il pavimento mentre camminavano fianco a fianco.
“Perché?”
“Perché forse c'è un motivo se è andata così...", rispose lei, perfettamente tranquilla e ancora sorridente.
"Siha...", lui si fermò, per poi pararsi di fronte a lei, cercando i suoi occhi. “Si tratta forse di qualcosa per cui provi rimorso?”
“No, assolutamente. Non c’è niente che non rifarei, davvero…”, rispose lei, tentando con tutte le sue forze di sostenere quello sguardo.
“E allora?”
“E allora…”, sospirò lei, tentando di minimizzare con un’espressione rilassata, “…niente. Non era importante. Sono sicura che voi Drell siete abituati a ignorare certi dettagli… non vi perderete mica in mille paranoie al primo dettaglio che vi sfugge?”, sorrise.
“No, certo, ma stavolta è diverso”.
Ripresero a camminare, cercando con lo sguardo la tabella degli orari.
“E in cosa sarebbe diverso?”
“Sei tu il mio ricordo. E questo lo rende importante”.
“Thane…”
Prima che lui potesse replicare in qualche modo, un’Asari tagliò loro la strada, costringendo Shepard ad indietreggiare con uno scatto per evitare di farsi travolgere malamente da una grossa valigia. Trattenne un’imprecazione e si voltò verso di lui con un’espressione spazientita. “Beh, fortuna che fosse un’Asari e non un Elcor”, disse con un’alzata di spalle.
“Sono sicuro che un Elcor avrebbe prestato più attenzione”, rispose lui sorridendo.
Lei annuì, aggrappandosi istintivamente al suo braccio mentre riprendevano la marcia. “Quei bestioni sono aggraziati… a modo loro, certo, ma vanno ammirati”.
“Sai… una volta ho dovuto eliminarne uno”.
Shepard spalancò gli occhi, incredula, quasi non si fosse mai resa conto fino a quel momento di quale fosse il suo passato.
“Scherzavo”, replicò Thane l’attimo dopo, avendo captato la sua inquietudine. “Chi vorrebbe un Elcor morto? Dopotutto, non mi risulta che abbiano mai dato fastidio a nessuno…”
Lei si rilassò, sorridendo leggermente. “Beh, succedono così tante cose che vanno al di fuori dalla mia comprensione in questa Galassia, che non mi meraviglierei più di nulla. Ma sono curiosa… quale sarebbe il tuo approccio nei confronti di un Elcor?”
“Avrei davvero delle alternative?”
“Bomba”, esclamarono poi in coro, scoppiando a ridere l’attimo dopo.
Scacciando via i momentanei sensi di colpa per aver anche solo pensato a fare del male ad uno di quei bestioni, si misero in fila per i biglietti digitali del trasporto rapido, davanti ad un’apposita IV.
“Agglomerato Zakera?”, domandò Shepard, voltandosi verso di lui. Thane annuì, dando nel frattempo un’occhiata sommaria al tabellone degli orari.
“Finisco io qui, aspettami lì davanti”, disse lei, facendogli un cenno verso la banchina. Thane obbedì e lei aspettò pazientemente che arrivasse il suo turno.
 
“E’ incredibile. Dall’ultima volta il prezzo del biglietto elettronico si è duplicato”, si lamentò Shepard, una volta che lo ebbe raggiunto.
“Beh, devono pur assicurarsi un introito per sostenere le nuove misure di sicurezza… che nonostante tutto, sono ancora insufficienti”, rispose Thane, porgendole il factotum così che potesse trasferire il suo biglietto.
“Se iniziassero col tassare tutte le fantomatiche ballerine Asari con un doppio lavoro, sarebbero già a metà dell’opera…”
“Potresti provare a chiedere al Consiglio, la prossima volta…”, rispose lui ironicamente, facendole sollevare un sopracciglio, scettica.
“E invece sai, forse in quel caso mi darebbero ascolto. L’importante è non parlare di Razziatori, per carità… quelli mai”.
“Non li biasimo. La Galassia non è pronta per una minaccia come quella”.
“Credi che non lo sappia? Il problema è che quando arriverà il momento, non sapranno dove mettere le mani…”, sbuffò lei, mentre la navetta arrivava, carica di passeggeri. “E’ il nostro”, aggiunse, avanzando verso la porta d’entrata. Una massa informe di alieni di tutte le specie si riversò all’esterno, tingendo l’aria di mille colori e odori, cosa che avrebbe traumatizzato qualunque Umano o alieno che si trovasse lì per la prima volta. Thane la prese per mano, evitando di perderla tra la folla, poi entrarono e presero posto in un minuscolo angolo fra un Turian e un paio di Asari. Thane si aggrappò a una delle cinghie sulla paratia superiore, lei semplicemente si appoggiò a lui, aspettando che il mezzo partisse.
Da tanto non le capitava di vivere una situazione si simile quotidianità, dove lei cessava di essere il Comandante Shepard per mescolarsi invece alla moltitudine di gente che nient’altro condivideva con lei, se non il semplice fatto di vivere nella stessa Galassia. Il pensiero la terrorizzava e la tranquillizzava al tempo stesso, ma, consapevole di non essere la sola a sentirsi così, si lasciò cullare dal momento e smise di farsi sopraffare dai pensieri nello stesso istante in cui lui fece scivolare il braccio libero intorno alla sua vita e la trasse a sé.
“Non vorrei vederti finire addosso ad uno di quegli spuntoni”, si giustificò lui, facendo un cenno verso i gomiti del Turian.
“Ah, si? Beh… gentile da parte tua”, rispose lei con un sorriso malizioso.
“Non si è mai troppo cauti con loro”.
“Attento, se ti sentisse Garrus avrebbe da ridire”, sbuffò lei.
“Sono convinto che se anche insultassi Palaven e tutti i suoi avi, al momento non troverebbe proprio nulla da ridire”.
“Ho paura che lo abbiamo traumatizzato”, ridacchiò Shepard, attutendo una brusca virata del mezzo con la salda presa sul braccio di lui.
“Beh, se non sbaglio era proprio questo ciò che voleva”.
“Non ne sarei così sicura”, rise lei. Poco ne sapeva rispetto al modo in cui i Turian interagissero fra loro, ma era certa di aver sentito da qualche parte che i “baci” erano decisamente poco contemplati nel raggio delle loro relazioni interpersonali.
Un’altra brusca virata e qualche chilometro dopo il mezzo finì la sua corsa, affiancando una delle banchine sopraelevate degli agglomerati. Aspettarono che il grosso della folla lasciasse l’abitacolo, prima di fare altrettanto. Thane si sfregò le mani fra di loro, per poi passarle con decisione sulla sua giacca mentre cercava con lo sguardo la prossima direzione da prendere.
“Paura dei germi?”, lo additò Shepard sorridendo in modo beffardo.
“Non puoi mai sapere chi ha appoggiato le mani prima di te su un mezzo pubblico…”
“Si vede che non hai mai dovuto affrontare un addestramento di tipo N7”.
“Se ti dicessi che ho affrontato di peggio? Ma certe abitudini sono dure a morire”.
“Di peggio, eh? Fammi un esempio”, lo provocò lei, iniziando a camminare verso i magazzini.
“Avevo otto anni quando mi hanno lasciato per la prima volta in mezzo al nulla più assoluto. Sì, era un ambiente controllato, ma cosa vuoi che ne sappia un bambino? Ho passato una settimana a cercare di cavarmela, a cercare semplicemente di sopravvivere contando solo su di me e sul mio intuito…”
“Una… settimana?”, Shepard sollevò le sopracciglia.
“Sei giorni e quattordici ore, per essere precisi”.
“E riesci a ricordare…”
“Si, ricordo tutto alla perfezione”.
“Scusami se te lo dico, ma diamine… non hai mai provato il desiderio di ribellarti? Eri solo un bambino… tutto ciò è abominevole”.
“Può non essere etico secondo la tua visione dei fatti, ma sono ciò che sono grazie agli anni di duro addestramento a cui mi hanno sottoposto”.
“Non provi rabbia, frustrazione?”, insistette lei, incredibilmente testarda nel non riuscire a capire ciò che per lui era spaventosamente chiaro.
“Provo orgoglio, provo gratitudine. I sacrifici che ho fatto mi hanno aiutato nel tempo, mi hanno salvato da situazioni da cui altrimenti non sarei uscito vivo”.
“Situazioni in cui però non ti saresti mai trovato se non avessi fatto il mestiere che hai fatto…”
“Questo non puoi saperlo. Kolyat stava per trovarsi esattamente in una di quelle situazioni, e lui non ha mai ricevuto la preparazione adatta. Pensi che saremmo riusciti a fermarlo, altrimenti?”
“Insomma, vuoi dirmi che non rimpiangi nulla del tuo passato… voglio dire, sei felice di aver completato il tuo addestramento, anche se ciò ti ha privato di un’infanzia normale?”.
“Molta gente, Siha, non ha il privilegio di un’infanzia normale e non per scelta propria. Ho affrontato situazioni difficili, senza dubbio, ma alla fine sono sempre stato ricompensato. Posso dire con assoluta convinzione che non mi è mancato nulla”.
“E l’affetto… che mi dici dell’affetto dei tuoi genitori?”
“Come siamo finiti qui da un discorso sui germi?”, domandò Thane dopo averla fissata per un paio di secondi.
Lei sollevò le spalle, sorridendo leggermente. “In fondo so così poco di te…”
Lui le si avvicinò, prendendole le mani. “Ti racconterò tutto ciò che vuoi sapere, ma prima vorrei evitare di ritardare all’appuntamento”.
“E va bene, fai strada”, rispose allora lei, accontentandosi per il momento di quella risposta.
 
 
 
Giunsero ad un vicolo cieco che non sembrava altro che un sudicio deposito di rottami. I portelloni del magazzino erano sigillati e un Krogan campeggiava davanti all’ingresso, evidentemente annoiato. Si ridestò immediatamente non appena vide quelle due figure, un’Umana e un Drell in abiti civili che sembravano trovarsi lì per puro errore.
“Non c’è niente che vi interessi qui, smammate”, berciò, con un vocione che voleva essere intimidatorio.
Thane non si scompose, avvicinandosi tranquillamente. “Ho un appuntamento col signor Varn”.
Il Krogan attivò il comunicatore e fece una mezza torsione del busto per dare loro le spalle e borbottare qualcosa nell’apparecchio.
“Tu puoi passare”, gesticolò poi, rivolgendosi a Thane con un’alzata del mento. “Lei resta qui”.
“E’ uno scherzo?”, s’indignò Shepard.
“Tranquilla, tesoro”, fece Thane, poggiandole una mano sull’avambraccio. “Risolveremo questa faccenda”.
Shepard per poco non si strozzò nel sentirsi affibbiare un nomignolo del genere, con un tono a dir poco accondiscendente.
Thane si avvicinò alla guardia e parlò a bassa voce. “Senta… mia moglie non è un tipo molto paziente. Sono sicuro che lei capisca che lasciare una donna ad annoiarsi per troppo tempo, la porterà inevitabilmente a riempirle la testa di chiacchiere. E sono anche sicuro che lei non venga pagato per questo”, tentò di spiegargli pacatamente.
“In tal caso vedrò di zittirla a modo mio, eh eh eh”, bofonchiò il Krogan.
Shepard fece per avvicinarsi, dimenticando per un istante di dover sostenere quella farsa. Se fosse dipeso da lei, quel bestione sarebbe stato già in un angolo a piangere lacrime amare. Thane la fermò con un gesto della mano, sorridendo placidamente. “Temo che il signore non abbia capito chi ha di fronte, cara”.
“Dica al suo capo che se mia moglie non può entrare, mi rivolgerò altrove”, aggiunse, usando stavolta un tono più deciso. Quello parlò di nuovo attraverso il comunicatore e poi fece cenno loro di entrare, mentre il portellone si apriva con uno sbuffo e lui sciorinava imprecazioni a caso.
 
 
 
“Signor Krios!”, fece un Volus al di là di una piccola scrivania. “Sono mortificato… css... Non mi era giunta voce che avesse una moglie. La prego di… css… accettare le mie scuse”.
Thane si avvicinò alla scrivania, volgendosi solo un istante per ammiccare a Shepard, la quale non sapeva se sentirsi più offesa per l’atteggiamento precedente del Krogan, o per stare facendo la figura della moglie ignara che segue i traffici loschi del marito.
“Oh, lei è incantevole, signora Krios, css. Mi dispiace di non avere nulla da offrire a una donna come lei, ma spero… css… spero che troverà gradevole la permanenza”, continuò il Volus, stretto nella sua tuta arancione. “Vi prego di seguirmi”, disse poi, compiendo un piccolo salto dallo sgabello sul quale era appollaiato.
Una serie di intricati corridoi e scalette dopo, un enorme portellone venne schiuso, e a seguire, una serie di luci illuminarono a giorno l’enorme hangar ricolmo di armi. Erano ordinate secondo tipologia e sotto ogni tipologia, secondo casa di fabbricazione. Il Volus prese ad allargare in aria le sue piccole braccia, beandosi nell’orgoglio di possedere un arsenale del genere. “Prego, prego… css… è tutto in vendita. Al prezzo migliore, chiaramente… css… e per la signora, ecco… vuole uno sgabello? Le porto uno sgabello”.
“Non si scomodi, signor Varn. Le armi affascinano mia moglie almeno quanto un paio di orecchini d’oro”, lo tranquillizzò Thane, attirandosi un’occhiata assassina da parte di Shepard. “Non è così, tesoro?”
Lei annuì controvoglia, attivando il factotum immediatamente dopo per comporre un messaggio.
 
“Ti ammazzo, giuro che prendo il primo lanciamissili disponibile e ti ammazzo.”
 
La risposta di Thane non si fece attendere, e lei a stento trattenne un sospiro di completa frustrazione.
 
“Tesoro, dubito che tu riesca a far funzionare un lanciamissili. Ti prometto che appena fuori di qui ti porto nella prima gioielleria disponibile”.
 
Shepard smise di chiedersi cos’aveva fatto di male per meritarsi tutto ciò e iniziò a dare un’occhiata in giro, dimenticando ben presto che ruolo avesse in quella faccenda, completamente rapita dalla quantità incredibile di armi nuovissime e tirate a lucido che facevano sfoggio di sé ad ogni angolo.
“Com’è riuscito a mettere insieme un simile arsenale?”, domandò al proprietario, mentre Thane, da lontano, le faceva cenno di non fare domande.
Varn si schiarì la voce almeno un paio di volte, prima che Thane giungesse in suo soccorso. “Cara, domandi mai al tuo gioielliere di fiducia dove si procura i gioielli che tanto ti piace sfoggiare? Sono segreti professionali…”
“Esatto, esatto… css…”, scandì il Volus, ridacchiando nervosamente.
Shepard scosse impercettibilmente il capo e riprese il suo giro, fermandosi ad osservare una vetrina incastonata al muro, quasi contenesse il più prezioso dei diamanti. In effetti, l’arma che troneggiava là dentro, era spaventosamente bella. Varn non si fece attendere, affiancandola immediatamente.
“La signora ha occhio… css… questo è un incredibile prototipo. Il signor Krios concorderà con me se dico che l’unica cosa migliore di una Carnifex, è l’evoluzione di una… css… Carnifex”.
“Di che si tratta?”, domandò Shepard, curiosa.
“L’hanno chiamata Paladin… css… è la versione potenziata della pistola sopracitata. Proiettili più piccoli, ma più potenti, css. Microclip da tre colpi ciascuna e ventuno caricatore, css. Moddabile, ovviamente. Ottima nelle medie e lunghe distanze”.
Anche Thane si avvicinò, notando come gli occhi di Shepard stessero brillando, nel tentativo di contenere tanto stupore. Sapeva che avrebbe dato qualunque cosa per provarla e lui non poteva non accontentarla, o almeno provarci.
“E’ possibile testarla, signor Varn?”
“Nooo, no, no, no. Sono spiacente, ma quest’arma non è un… css… giocattolino. Ci sono tante altre pistole che la signora… css… può provare. Questa ad esempio…”, disse, indicando una Shuriken.
Shepard per poco non gli rise in faccia, frenandosi a stento.
“E se volessi acquistarla, signor Varn?”, domandò gentilmente Thane.
“Nessun problema, è sua. Guardi… css… le regalerò anche…”
“No, intendevo la Paladin”.
“La Paladin?” Per poco al Volus non mancò il fiato nel pronunciare quella domanda.
“La Paladin, esattamente. Di che prezzo parliamo?”
“Ma signore… css… si tratta di un prototipo, è solo d’esposizione”.
“Non è quello che ha detto quando siamo entrati. Ha sottolineato, al contrario, come fosse tutto in vendita”.
“Oh, sono certo che non vorrà spendere… css… una montagna di crediti per un’arma ancora da testare sul campo”.
“Mi sta dicendo che non è sicura?”
“No, certo che no… ha superato tutti i test, è…”
“E allora non vedo quale sia il problema. Mi faccia un prezzo”.
Il Volus sbuffò spazientito e si grattò il capo con una delle sue ridicole manine, prima di mostrare a Thane la cifra direttamente dal suo factotum, quasi avesse paura a pronunciarla a voce alta. Shepard si sporse per sbirciare, ma riuscì a intravedere solo qualche zero, prima che Varn si allontanasse bruscamente. Poi lui e Thane iniziarono a camminare con fare sospetto, scambiandosi parole a bassa voce. Qualunque cosa stessero tramando, a Shepard non piacque neanche un po’, se non altro perché lei non era riuscita ad avere nessun ruolo attivo in quella faccenda.
“Tesoro, un attimo di pazienza e sono subito da te”, disse Thane, poco prima d’infilarsi in uno stanzino nascosto insieme al Volus.
Shepard evitò direttamente di rispondergli, scuotendo le spalle, ricolma di disappunto.
 
Qualche minuto dopo, Thane e il signor Varn tornarono da lei. Il Volus sembrava elettrizzato, Thane aveva un pacifico sorriso dipinto sulle labbra, che diventò ancora più ampio quando Varn prese a togliere i sigilli dalla vetrina per estrarre la Paladin. La maneggiò con cura ed estrema lentezza, prima di riporla in una valigia argentata di medie dimensioni, insieme a tutte le cose utili per la pulizia e la manutenzione. Shepard osservò il tutto senza riuscire ad aprire bocca… l’unica cosa che le riuscì di fare, fu di comunicare a Thane solo con il labiale quanto lui si trovasse attualmente nei guai; cosa alla quale lui rispose con un’innocente alzata di spalle.
 
 
 
Una volta fuori dal magazzino, lontano dalle occhiate sospette del Krogan, Shepard poté finalmente smetterla di fingere e iniziare con le ovvie domande.
“Quanto è illegale la cosa che abbiamo appena fatto, Krios?”, iniziò.
“Direi molto poco. Tecnicamente, quel magazzino rifornisce squadre speciali che agiscono sotto copertura, ma che in qualche modo hanno il benestare dei Governi. E Cerberus in questo non fa differenza”.
“Cerberus, certo. Ma non te l’ho sentito nominare…”
“Io e il signor Varn ci conosciamo da quando lavoravo per la Primazia, non avevo bisogno di un tramite”.
Shepard sospirò, passandosi una mano sul viso. “Non mi piace, Thane… tralasciando il fatto che tu mi abbia trattato al pari di un’idiota…”
“Hai detto che sai poco del mio passato, ma sai bene cosa facevo. Secondo te, in che modo riuscivo a procurarmi le migliori armi in circolazione?”
Shepard si rese conto di non aver mai riflettuto su quest’aspetto. Si rese conto di come il grigio a volte apparisse più bianco, altre volte fosse così spaventosamente simile al nero… ma era il grigio che aveva scelto lei, accettandone tutte le sfumature.
“Senti, se è davvero un grosso problema per te…”, tentò di dire lui.
“No, no… è solo che non ci sono abituata, ecco tutto. Non è il mio usuale modus operandi”.
Poi ripensò a quella mattina, a come avesse realizzato che nel giro di una notte molte cose erano cambiate. Dalle più piccole, come due stupidi pesci in un acquario, alle più grandi.
Tempo fa, lui aveva avuto difficoltà ad accettare il cambiamento, adesso toccava a lei averci a che fare, scontrandosi col semplice fatto che far entrare una persona nella propria vita, inevitabilmente la sconvolge, su molti aspetti.
“Non sarebbe stato più semplice far parlare me? Sono stata uno Spettro, lavoro per Cerberus…”
“Un ex Spettro che si rifornisce per vie alternative in compagnia di un assassino? Meglio di no”.
“E va bene”, si arrese lei, concedendogli un piccolo sorriso. “Ma che mi dici delle tue mod? Non eravamo lì per quelle?”
“Diciamo pure che non erano così interessanti come pensavo…”
“Diciamo pure che sapevi perfettamente cos’avremmo trovato”, gli fece eco Shepard.
“Questo non lo ammetterò mai”, ribatté lui, sfacciato.
“Va bene, farò finta di crederti”, sospirò lei, ”adesso però andiamo a provarla”, aggiunse poi, senza riuscire a reprimere un fremito di gioia al solo pensiero di avere un’arma come quella fra le mani.
Thane sorrise e le consegnò la valigetta. “E’ tua”.
 

“And I had the week that came from hell
And yes I know that you can tell
But you're like the net under the ledge
But I go flying off the edge
You go flying off as well”

 

Il CIC era praticamente deserto, quella sera, salvo per un paio di specialisti intenti ad occuparsi degli ultimi controlli. Shepard sovrastava l’ampia mappa galattica, l’ologramma sul quale si giocava il destino di milioni esseri viventi, in attesa di decidere quale sarebbe stata la prossima mossa. EDI l’aveva informata che mancavano le ultime verifiche prima di poter considerare l’IFF pienamente operativo, e ciò significava che lei avrebbe avuto ampio spazio di manovra per qualche giorno ancora. Proseguire con la licenza avrebbe soltanto peggiorato le cose, lo sapeva bene. A lei serviva una squadra in forma, allenata, non una dozzina di rottami reduci da ubriacature e serate moleste… e a giudicare da come Zaeed era rientrato la notte scorsa, capì che trattenersi sulla Cittadella sarebbe stato un errore.
Scandagliò la mappa con lo sguardo, annotando mentalmente tutti i tragitti già percorsi e quelli ancora da percorrere, poi la voce di Kelly la ridestò.
“Comandante, mi dispiace disturbarti a quest’ora, ma c’è l’Ammiraglio Hackett in chiamata, dice che è urgente”, disse la ragazza, con evidente preoccupazione.
“Hackett?”.
Tutto si sarebbe aspettato, tranne che una chiamata dall’Ammiraglio in persona. All’assenso della specialista, lei si catapultò in ascensore, dirigendosi verso il proprio alloggio, poi si fece trasferire la chiamata al suo terminale.
Erano passati due anni, eppure il volto dell’Ammiraglio le sembrò identico.
“Shepard”.
“Signore, la sua chiamata mi giunge inaspettata”.
“Posso immaginarlo, ma non si preoccupi, sarò breve”.
“A sua disposizione, signore”.
“Si tratta di una faccenda personale ed estremamente riservata”.
Shepard annuì lievemente col capo, percependo una crescente tensione in ogni muscolo.
“Abbiamo un’agente sotto copertura nello spazio Batarian, la dottoressa Amanda Kenson. Come può immaginare, la questione è delicata. La Kenson sostiene di avere la prova di un attacco imminente da parte dei Razziatori…”
Lei avrebbe voluto urlare un “finalmente”, ma si limitò a dargli le spalle per un momento nel tentativo di ritrovare la calma.
“Signore, perché rivolgersi proprio a me? Adesso?”, sbottò, incrociando le braccia.
“Stamane ho saputo che i Batarian l’hanno arrestata con l’accusa di terrorismo. Ora… sono sicuro che non farà fatica a immaginare le dinamiche di una prigione segreta Batarian”, continuò, “e io ho bisogno che lei si infiltri nella loro base per portarla in salvo. E come favore personale, ho bisogno che lei si rechi lì da sola”.
“Perché io? Perché io e non una squadra dell’Alleanza?”
“La presenza ufficiale dell’Alleanza in quella zona solverebbe un polverone che nessuno di noi vorrebbe scatenare. Sappiamo quanto siano delicati i rapporti fra Umani e Batarian. E lei è perfettamente a conoscenza che una fregata dell’Alleanza verrebbe abbattuta seduta stante in quel territorio. Conosco anche i suoi trascorsi con questa specie, ma so di potermi fidare di lei”.
“Ho una squadra incredibile con me, potrebbero essermi d’aiuto, non capisco il perché di una missione in solitaria”.
“No, Comandante. La questione è troppo delicata. Ho bisogno di un lavoro pulito, silenzioso, e so che solo lei può farcela. In più, non conosco i suoi collaboratori”.
Shepard avrebbe voluto mandarlo al diavolo, e l’avrebbe fatto davvero se in gioco non ci fosse stato molto più che il futuro di una celebre scienziata. Se in quel luogo avesse potuto trovare davvero le prove di un’imminente invasione, prove da presentare al Consiglio, ciò l’avrebbe ampiamente ricompensata. Si decise ad accettare, passando la restante parte della serata a visionare i rapporti che l’Ammiraglio le aveva inviato, nel tentativo di elaborare una strategia, almeno finchè la voce di EDI non le comunicò che Thane si trovava fuori dalla sua cabina.
Mise da parte i vari files e andò ad aprire, improvvisamente sollevata dalla sua presenza.
“Non hai cenato stasera”, osservò subito lui.
“Ho avuto un imprevisto”, sorrise lei, facendo strada verso il divanetto.
“Di che natura?”
“Non posso parlartene”.
Thane si sedette di fianco a lei, chiedendosi se si trattasse di qualcosa di personale, oppure di una faccenda strettamente professionale, ma lei non gli diede il tempo di farle domande.
“Ho ricevuto una chiamata dall’Alleanza. Domani stesso raggiungeremo la nebulosa Viper”.
“Spazio Batarian?”
“Esattamente. Sono stata incaricata di svolgere una missione in solitaria. Niente di troppo complicato, conto di fare presto… così potremo concentrare finalmente le nostre forze sulla missione finale”.
Lui non riuscì a non farsi sopraffare da una certa preoccupazione, al pensiero che di li a poco lei si sarebbe trovata da sola ad affrontare una minaccia di cui lui non era neppure a conoscenza.
“Com’è andato il secondo incontro con tuo figlio?”, domandò allora lei, impaziente di cambiare discorso.
“Meglio del primo, senza dubbio. Stavolta ha acconsentito a mostrarmi uno dei suoi lavori…”
“Ah, si? E’ bravo?”
“Ha talento… ma gli manca la tecnica. Solo non vuole convincersi a frequentare un corso, non vuole accettare aiuti economici da me”.
“Magari per il momento è un bene, imparerà a cavarsela da solo… e col tempo imparerà anche a mettere da parte l’orgoglio”.
“Se non sapessi di averne così poco di tempo, forse non sarei così impaziente”.
Dopo quella frase, inevitabilmente calò il silenzio, e a Shepard sembrò di aver compreso all’improvviso tutto, anche ciò su cui non si era mai interrogata. Le piccole cose che lui aveva fatto per lei sino a quel momento, quell’arma che aveva deciso di regalarle senz’apparente motivo… ogni cosa, ogni gesto, erano stati semplicemente il suo modo personale di ovviare all’unico regalo che non avrebbe mai potuto farle: il suo tempo. Piccoli tasselli che lui sperava un giorno fossero rimasti con lei, ad alimentare una spirale di ricordi grande abbastanza da evitare che lei potesse dimenticarlo per sempre. Se da un lato, razionalmente, riusciva a leggere in ciò un certo egoismo, dall’altro non poteva fare a meno che provare un enorme smarrimento di fronte a ciò che lui doveva star passando. La possibilità di svanire da un momento all’altro, la consapevolezza di lasciare degli affetti senza poter fare la differenza nelle loro vite… molte volte si era lasciata sopraffare da un sentimento simile, ma non ne aveva mai avuto la certezza, era rimasta una paura sbiadita, da cancellare facilmente con un colpo di spugna. Una cosa che, invece, nella vita di lui aveva la stessa intensità di un’incisione profonda nella carne, qualcosa che adesso sanguinava, ma che presto lo avrebbe dissanguato.
“Tutto bene?”
La domanda di lui la distolse da quei pensieri così angosciosi, facendole curvare le labbra in un debole sorriso, mentre una mano raggiungeva la sua.
“Sono solo stanca, e non riuscirò a dormire finchè non avrò esaminato ognuno di quei rapporti…”, rispose, reclinando il capo sullo schienale del divano.
“Ti lascio riposare allora…” Thane fece per alzarsi, ma lei d’istinto lo trattenne.
“Mi dispiace”, disse, guardandolo con occhi tristi ”avrei voluto passare la serata con te”.
“Non preoccuparti, abbiamo tempo”, disse lui, chinandosi per posarle un bacio sulla fronte.
E con quella terribile bugia, si diedero la buonanotte.





 

Dire che sono terribilmente insicura di questo capitolo è un eufemismo. Mi trovo sempre in difficoltà quando esco dalla "Normandy" e cerco di descrivere attimi di vita comune, perchè per quanto possa provarci, ho sempre paura di andare OOC. Quindi vi prego di farmi notare tutte le cose che non quadrano, sarebbe davvero utile.
Ci ho messo un mese, e la cosa bella è che solo negli ultimi due giorni sono riuscita a scrivere... spero di non aver fatto quindi una marea di errori. Probabilmente avrei dovuto ritagliarmi ancora più tempo per rileggere e sistemare, ma basta... questo capitolo me lo porto dietro da troppo tempo.
Approfitto di questa nota per ringraziare tutti coloro che seguono questa storia e che mi dedicano del tempo, specialmente le persone che ho avuto la fortuna di incontrare a Lucca quest'anno. Sono davvero felice di aver condiviso con voi quest'esperienza, e spero di rifarla in futuro.
A presto.
   
 
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