CAPITOLO
6: VIAGGIO MORTALE
A Jace non era
piaciuto ciò che era appena accaduto nella torre di Divinazione, e la
professoressa Cooman, quando si era “risvegliata” da quell’anomalo stato di
trance, non ricordava nulla di quello che aveva detto solo pochi istanti prima,
come se non fosse stata lei a pronunciare quelle parole.
Non appena Jace aveva
provato a chiederle spiegazioni, si era subito alterata negando tutto e lo
aveva sbattuto fuori.
Avrebbe dovuto
parlarne con Alec, Isabelle e Clary e subito.
Trovò i primi due a
discutere mentre attraversavano la Sala d’Ingresso e, insieme, andarono a
cercare Clary.
«Jace, si può sapere
cosa succede? Hai proprio una brutta faccia», fece Isabelle.
Lui la fulminò con
un’occhiataccia, ma non rispose.
«Dove diavolo si è
cacciata quella ragazza?».
Isabelle ed Alec,
alle sue spalle, si scambiarono uno sguardo di traverso, come se il fratello
fosse improvvisamente impazzito.
«Eccola lì», disse
Izzy ad un tratto, indicando un punto sopra di loro.
«Clary!», chiamò
subito Jace cominciando a correre nella sua direzione.
La ragazza ebbe un
sussulto e si voltò, vedendo arrivare i tre di gran carriera.
«Che succede?»,
chiese notando le loro espressioni.
«Non lo sappiamo,
Jace fa il misterioso, ma è ora di avviarsi verso l’aula di rune, altrimenti
arriveremo in ritardo e non è il caso, a meno che voi due non vogliate farvi un
fama come “gli Shadowhunters che bidonano le lezioni”», rispose Isabelle
rimirando con attenzione le unghie perfette della sua mano sinistra.
Jace emise una sorta
di ringhio dal fondo della gola, guadagnandosi una strana occhiata da Clary.
«Allora ne parleremo
dopo pranzo, ma la cosa non può aspettare oltre».
Gli altri tre
annuirono, poi si avviarono tutti insieme verso l’aula di rune.
Quella lezione, a
Jace parve infinita; continuava a muoversi nervosamente sulla sedia, disegnando
con precisione ed estrema facilità tutte le rune che il professore spiegava.
Non gli andava
proprio di stare lì a perdere tempo per imparare qualcosa che già sapeva
benissimo fare da solo, ma non poteva semplicemente alzarsi, rapire Clary, Alec
ed Isabelle dalla classe e portarseli via sotto braccio come se fossero dei
pacchi postali.
Si accorse con
sorpresa di stare stringendo lo stilo così forte da fargli sbiancare le nocche
e rendere ancor più lucide le sue sottili cicatrici di Shadowhunter.
Mollò un po’ la presa
sullo strumento e si rilassò contro lo schienale della sedia.
Clary, dietro di lui,
diede un colpetto di tosse, che lo fece voltare.
«Vuoi piantarla di
muoverti come se fossi in preda alle convulsioni? Che cavolo ti succede? Stai
facendo venire il nervoso anche a me!».
Lui le rivolse un
mezzo sorriso sarcastico.
«E da quando ti
preoccupi per me?».
«Non mi preoccupo per
te, mi preoccupo per… ».
«Sì?».
«La mia lucidità
mentale. Sta’ fermo, altrimenti sì, che ti disegno addosso una bella runa di
immobilizzazione».
Jace scosse la testa,
voltandosi e rivolgendo nuovamente l’attenzione al foglio che gli stava
davanti.
[…]
Per tutta la lezione
di rune, Clary non fece altro che fissare la schiena e le spalle larghe di
Jace, che continuava a muoversi come se fosse appena stato punto da un insetto
particolarmente velenoso, cosa che, per altro, non era decisamente da lui, che di
solito manteneva il controllo in ogni situazione.
Quando l’ora
trascorse, lo vide saettare in piedi ad una tale velocità che quasi non se ne
accorse. Un attimo prima era seduto davanti a lei ed il momento dopo in piedi
al suo fianco.
«Andiamo», disse
solo.
Lo seguì senza fare
domande, sapeva che sarebbe stato inutile e così fecero anche Izzy e Alec.
«Oggi non pranzeremo,
vero?» gli chiese ad un tratto Isabelle, spazientita dall’atteggiamento
scostante di suo fratello.
«No. Il pranzo è il
momento più adatto per parlarne; non c’è gente in giro che si mette ad
origliare».
Clary sospirò, con lo
stomaco che brontolava e gli rimase dietro, seguendolo lungo svariate rampe di
scale.
Non sapeva dove Jace
li stesse conducendo, ma, ad un certo punto, arrivarono in una stanza grande e
circolare, sporca per terra e quando guardò in alto ne capì il motivo:
centinaia di gufi se ne stavano appollaiati sulle travi del soffitto, senza
fare troppo caso ai nuovi venuti.
«Jace, dove diavolo
mi hai portata?!», chiese Isabelle, piuttosto inorridita da quel luogo.
«Siamo sulla torre
ovest, nella Guferia. Difficile che qualcuno venga a cercarci qui a quest’ora».
«Beh, almeno adesso
parla, è tutta la mattina che sei strano».
E così, il ragazzo
raccontò cos’era accaduto con la professoressa Cooman solo poche ore prima.
«E tu ci credi?»,
chiese Isabelle inarcando elegantemente un sopracciglio.
Inutile, per quanto
Clary si fosse sforzata, non avrebbe mai potuto farlo bene come Izzy.
«Vorrei ignorarla, tu
mi conosci e sai che in genere non mi faccio impressionare troppo da queste
cose, ma sento che c’è qualcosa di sbagliato, che non torna», disse il ragazzo,
a braccia incrociate, le anche poggiate contro il muro e il torace leggermente
piegato in avanti.
Alec sospirò
pesantemente.
«Non ha accennato a
quale possa essere questo fantomatico pericolo?».
«Niente di niente,
non una parola».
«Pensi che Valentine
e Sebastian potrebbero… sì, insomma… essere qui vicino?», prese parola Clary.
«Loro qui? No, lo escludo. Ma non riesco
nemmeno ad immaginare cosa potrebbe essere, a questo punto».
Clary riusciva a
vedere la tensione in ogni singolo particolare del corpo di Jace, anche se il
suo atteggiamento era calmo.
I pugni stretti, i
muscoli che guizzavano a scatti sotto la pelle pallida del ragazzo e la
mascella serrata.
«Quindi cosa pensi di
fare?».
«Non lo so, Izzy.
Quello che so è che noi non staremo separati stanotte».
«Non si può fare,
Jace, e tu lo sai. Io sono in Serpeverde; la mia sala comune è in tutt’altro
posto rispetto alla vostra».
«Clary… non mi
interessa». Scandì bene le parole, come se avesse a che fare con una bambina
piccola.
«Allora illuminami:
qual è il tuo grande piano?».
«Nessun grande piano,
se non il solito: tenerci vivi come abbiamo sempre fatto e tu ne hai avuto un
assaggio mesi fa. Clary, ti sei allenata con Luke, è vero e ora sei qui e sei
brava, molto meglio di quanto mi aspettassi dato che fino a sei mesi fa vivevi
insieme ai mondani pensando di essere una di loro e ignorando completamente la
realtà delle cose. Ora però la conosci questa realtà e sei una Shadowhunter, ma
a differenza di te, noi abbiamo vissuto con questa consapevolezza per tutta la
vita e ci siamo allenati, conosciamo i demoni e i nostri nemici. Tu sei più…
vulnerabile».
Clary lo guardò a
bocca aperta; sembrava davvero preoccupato.
«Questo non cambia il
fatto che non posso sgattaiolare nella vostra sala comune, ormai dopo
l’incidente con Malfoy, tutta la scuola mi conosce».
Jace sbuffò, in un
misto tra lo spazientito e l’irritato.
«Le rune devono pur
servire a qualcosa, usa quella dell’invisibilità e vieni davanti al ritratto
della signora grassa a mezzanotte. Io mi farò trovare fuori».
Aveva parlato con
tono deciso. Un tono che non ammetteva repliche.
«Come vuoi», si
arrese infine.
«Bene. E Clary… se
mancherai, per me vorrà dire che ti è successo qualcosa e verrò a cercarti.
Ovunque tu sia».
La ragazza lo guardò
con occhi sgranati.
Da quando Jace
Wayland o Lightwood o Herondale, parlava in un modo del genere?
«Ok», disse più
perché il suo discorso l’aveva lasciata senza parole che per altro.
A quel punto, i
quattro ragazzi si avviarono nuovamente verso la Sala Grande.
Magari il pranzo non
era ancora finito…
[…]
Harry si guardò
intorno. Ormai tutti erano a pranzo, compresi gli Shadowhunters, eppure Jace,
Alec ed Isabelle mancavano.
Lanciò un’occhiata
alle sue spalle, constatando che anche Clary era assente.
Chissà cosa stavano
combinando quei quattro; era ormai da un paio di giorni che i Cacciatori si
comportavano in modo strano.
I suoi pensieri
furono interrotti da una dolorosa gomitata di Ron.
«Ehi! Ma che ti
prende?».
«Tu lo hai sentito?».
Il suo amico aveva
una faccia piuttosto stranita, così come anche Hermione.
«Sentito cosa?», fece
il moro.
«Quel rumore!».
«No, Ron, non ho sentito
nessun rumore».
Ma non finì nemmeno
la frase che si irrigidì.
Ora aveva sentito
qualcosa.
Una specie di rumore
basso e sinistro.
«Adesso l’hai
sentito!», esclamò Ron.
«Che accidenti è
stato?».
Hermione si sporse
dietro le spalle di Ron per guardarlo e disse: «Venite, c’è una cosa che devo
dirvi».
[…]
Clary e gli altri
stavano scendendo le scale che portavano dal terzo al secondo piano quando
udirono due voci familiari: erano di nuovo Magnus e Silente; Jace li aveva già
trovati a parlare una volta mentre non c’erano studenti in giro per i corridoi.
I quattro si
appiattirono lungo un muro, ma le voci si avvicinavano, così, Alec aprì la
porta più vicina e li fece entrare tutti.
Purtroppo, la stanza
in realtà si rivelò essere uno sgabuzzino e loro dovettero stiparsi dentro.
Jace ed Isabelle
dovettero piegarsi notevolmente per starci data la loro statura, mentre Clary
si limitò a chinarsi leggermente in avanti.
Ad un tratto, sentì
due mani affusolate stringersi attorno ai suoi fianchi e subito si irrigidì.
Jace, alle sue
spalle, la stava trascinando contro il suo corpo per toglierla dallo spiraglio
di luce che tagliava il pavimento proprio nel punto in cui lei si trovava fino
ad un attimo prima.
Le voci del preside e
dello Stregone si fecero più vicine, ma stranamente, Clary riusciva a sentire
solo il suo corpo aderire perfettamente a quello di Jace.
Poi però, la sua
attenzione fu catturata da uno stralcio di conversazione.
«Non sarà così
semplice risvegliare Jocelyn Fairchild, professor Silente. Vede… la pozione è
complicata. Fattibile, ma complicata. Mi ci vorrà tempo per trovare tutto
l’occorrente e con la minaccia imminente che adesso incombe sulla scuola, non
so se posso rischiare di distrarmi anche con la situazione di Jocelyn, per
quanto questo mi dispiaccia».
Clary in quel momento
sentì come se il terreno si stesse aprendo sotto i suoi piedi e, se non fosse
stato per le braccia salde di Jace che la stringevano, forse sarebbe finita sul
pavimento.
Gli occhi le si riempirono
di lacrime e tremò leggermente nell’abbraccio di lui, che rafforzò la presa.
«A tal proposito,
signor Bane… si hanno novità?».
«Nessuna. La scatola
non è stata ancora reperita; non si può localizzare con un semplice incantesimo».
Dal loro nascondiglio,
i quattro ragazzi udirono il preside sospirare.
«Mi tenga informato».
«Certamente».
Detto questo, i due si allontanarono.
Isabelle si sporse
oltre la porta per controllare se si vedessero ancora, ma disse: «Via libera»;
così gli altri tre poterono uscire, senza più doversi piegare in quel
ripostiglio.
«Clary?».
La ragazza sentì come
un’eco la voce di Jace che la chiamava e si girò lentamente, con gli occhi
inondati di lacrime che non aveva nessuna intenzione di versare.
«Non riavrò mai più mia
madre», sussurrò in tono appena percettibile.
Jace l’abbracciò,
percorrendo con le dita la linea della sua colonna vertebrale e lei si
abbandonò contro il suo corpo caldo e rassicurante.
«Magnus ha detto che
un modo c’è. Magari ci vorrà del tempo, ma vedrai, lo farà».
La ragazza si staccò
da Jace perché, con sua grande sorpresa, quelle parole erano provenute da Alec.
Annuì appena,
accennando ad un sorriso.
«Su, ora andiamo».
[…]
«E non sai a cosa
potrebbe essere dovuto?».
Harry e Ron guardavano
stupiti Hermione, che aveva appena raccontato loro che, ormai da qualche
giorno, sentiva degli strani rumori, come di tamburi, specialmente la notte.
«Hermione, perché non
ce ne hai parlato prima?», chiese Ron.
«Io… io non lo so»,
confessò lei.
«Scopriremo di cosa
si tratta, vedrai. Ora lo abbiamo sentito anche noi».
Il tono di Harry era
rassicurante, la sua amica era palesemente spaventata.
Lei gli rivolse un
sorriso grato e poi, uscirono dalla biblioteca nella quale si erano rintanati.
Harry aveva cercato
di tranquillizzare la ragazza, ma la realtà era che non aveva la minima idea di
cosa potesse trattarsi.
Non aveva mai sentito
parlare di una cosa del genere ed ora che anche lui aveva sentito quel rumore, la
cosa non prometteva nulla di buono.
Non sapeva che
pensare, come neanche Ron e Hermione.
Sospirò. Sapendo già
che si stava preparando ad un periodo molto lungo e problematico.
[…]
Tum tum tum tum tum.
Era come se fosse un
macabro battito cardiaco.
Erano le undici
passate quando Clary si tirò su dal letto spazientita.
Sentiva i tamburi
sempre più spesso e la stavano mandando fuori di testa.
Possibile che quei
sotterranei fossero tanto inquietanti? Stare sotto terra non le era mai piaciuto,
ed essere smistata nella Casa di Serpeverde, la cui sala comune si trovava
proprio nei sotterranei, per lei non era stata esattamente una gran cosa.
E quando poi era quasi riuscita ad abituarsi, erano iniziati
quei rumori.
Clary sgusciò fuori
dal letto e indossò la divisa da battaglia. Non sapeva perché, ma in qualche
modo era rassicurante. Mancava ancora un po’ all’appuntamento con Jace davanti
al ritratto della Signora Grassa, quindi decise di provare a seguire quel
rumore.
Come al solito,
pareva provenire dall’alto, quindi lasciò i dormitori e la sala comune,
cominciando a salire lungo la rampa di scale.
Ad un tratto, sentì
una voce sprezzante dietro di sé, che la fece voltare di scatto.
«Vai da qualche
parte, Morgenstern?».
«Malfoy?! Che diavolo
ci fai qui?».
«E tu?».
Clary lo guardò
diffidente.
«Senti quei rumori,
vero?», le chiese ad un tratto Malfoy, pallido come un lenzuolo.
«Li senti anche tu?».
Lui annuì.
«Io lo sto seguendo;
se tu vuoi venire vieni, altrimenti lasciami in pace e torna a letto», disse
Clary in tono duro.
«Bene. Andiamo allora».
I due ragazzi
camminarono lentamente e facendo attenzione.
Non era di certo
Malfoy che Clary si aspettava di avere al suo fianco.
La ragazza stringeva
lo stilo di sua madre nella mano sinistra e teneva un pugnale infilato nello
stivale.
Il rumore, come s’immaginava,
li portò nel bagno delle ragazze al secondo piano.
Questa volta però,
Clary s’irrigidì non appena varcata la soglia.
Il suono esplose come
una bomba e, sia lei che Malfoy, si portarono le mani alle orecchie.
Poi, qualcosa sul
pavimento di nuovo allagato, vicino al lavandino, attirò la sua attenzione.
Qualcosa di ben
diverso da ciò che si sarebbe immaginata. Davanti a sé non aveva tamburi, ma
una scatola. Una strana scatola con su scritto: “Your Mortal Journey”.
Il tuo viaggio
mortale.
“Ma dove sono
finita?!”.
NOTE:
Ed eccoci qui con il
sesto capitolo! Spero che sia venuto in modo decente, io non ne sono molto
convinta; voi che dite?
Comunque, finalmente
abbiamo scoperto cosa fossero quei famosi tamburi e, dal prossimo capitolo…
comincia la partita!
A presto!