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Autore: vivix    13/11/2013    2 recensioni
Non avendo ancora deciso quale sarà il titolo della storia, per ora ho inserito quello del film a cui si ispira. Ci troviamo a Kingsbridge, dopo il primo attacco di William, Tom è morto, Jack è diventato un monaco ma Aliena ha ancora la sua fiornete attività e non si è sposata con Alfred. In questo contesto arriverà una forestiera che attirerà l'attenzione dei cittadini, in particolare di Richard...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prigioniera
L’avevano portata al castello di Shiring, l’avevano letteralmente buttata e rinchiusa in una camera. Ma Bea a stento se n’era resa conto. L’avevano lasciata lì per un tempo che non avrebbe saputo definire, finché era arrivata una figura della quale non si era curata di distinguere i connotati, a curarle le ferite che si era procurata durante lo scontro. Le aveva anche poggiato un piatto con rimasugli di cibo ma l’italiana non l’aveva degnato nemmeno d’uno sguardo. Il tempo veniva scandito dal sorgere del sole e dalle visite della figura, ma in realtà non aveva per lei alcun senso. Era caduta in una sorta di trans durante il quale pareva che nulla, del mondo di fuori, potesse toccarla. In effetti, quasi non si accorgeva di ciò che la circondava, tanto era straziante il dolore che sentiva nel petto.
Una mattina la solita figura entrò nella stanza che era diventata la sua prigione. Come al solito, le poggiò di fronte, un piatto con avanzi vari; si aspettava che poi passasse a curarle le ferite; invece, si sedette all’altro capo della camera. All’inizio Beatrice non se ne curò, ma sentiva lo sguardo della presenza su di sé, penetrante. Infastidita, le lanciò un’occhiata. Fu la prima volta che si rese conto di chi fosse: una ragazzina smilza, dalla pelle chiara e i capelli color dell’oro, sarebbe stata bella se sul viso non avesse avuto segni rossi e violacei. L’italiana tornò a fissarsi le ginocchia raccolte tra le sue braccia. Chiuse gli occhi, nel tentativo vano di lenire la sofferenza, ma l’antro oscuro ch’erano le sue palpebre si accesero di colori che andarono a formare figure: un corpo su una stradina, due macchie rosse sul petto. Affondò le unghie nelle cosce, come se quel gesto potesse evitarle di vedere il viso terreo e sporco di sangue del fratello. A salvarla da quello supplizio, per fortuna, intervenne una voce.
-Sono giorni che non tocchi cibo.- il richiamo dell’altra era sottile come sembrava esserlo la sua pelle –Dovresti mangiare.-
Scosse impercettibilmente la testa. Se solo pensava al cibo, sentiva la bile salirle alla bocca.
La ragazzina fece un piccolo respiro, volse lo sguardo all’alto soffitto e poggiò la testa bionda sulla parete. Dopo un po’ disse:-Non so cosa ti abbiano fatto per spingerti a questo, ma… anch’io ci ho pensato tante volte, e ci ho provato. Morire di fame non sembra una morte troppo brutta… sempre meglio che ficcarsi una spada nel petto, comunque. Ma non ci sono mai riuscita. Di vita ho solo questa e non posso sprecarla, magari un giorno cambierà qualcosa… o forse questa è solo una bugia e la verità è che non sono abbastanza coraggiosa.- sospirò di nuovo e chiuse gli occhi.
Bea si stupì di rendersi conto che aveva ascoltato l’intero monologo della ragazzina, non prestava così tanta attenzione, da giorni ormai. Sbatté le palpebre, cercando di decifrare i suoni. Morire di fame?Pensava che volesse suicidarsi?Nel momento in cui formulò quel pensiero, ci pensò davvero. Voleva abbandonarsi al buio?Ora come ora, sembrava una possibilità allettante: era impossibile che da morti si potesse provare il dolore che sentiva in quel momento.
La piccola donna riportò l’attenzione su di lei, con curiosità questa volta. –Ho sentito strane cose su di te. Perché ti comporti da uomo?-
Ci mise alcuni istanti per capire le parole dell’ospite –dopo tutto quel tempo rinchiusa in se stessa, faticava anche a fare cose naturali come tradurre i suoni in parole di senso compiuto- poi si strinse appena nelle spalle.
Senza farsi scoraggiare, la bionda continuò:-Ne dicono di tutti i colori, perfino che si tratti di una malattia. Io non ci credo, ma spera che William ti tema al più al lungo possibile.-
Aprì la bocca per parlare, ma ne uscì solo un suono indistinto. Riprovò. –William?- la sua voce era appena un sussurro.
-Il signore di Shiring.- abbassò gli occhi –Mio marito.- mormorò.
Per la prima volta dopo giorni, oltre al dolore sentì un’altra emozione scoppiarle in petto: la rabbia. Ricordava che era per colpa sua se erano stati attaccati. Dunque era nel suo castello, forse l’assassino di suo fratello dormiva a poche stanze da lei.
La ragazzina la distolse da un’idea che le si andava formando nella testa. –Cosa ti ha fatto per ridurti così?Hai molte ferite, ma non sei stata picchiata.-
Sentì l’irrefrenabile necessità di far sapere la sua tragedia a qualcuno, in un inconsapevole grido d’aiuto. Capovolse il piatto nel vassoio. C’era una strana crema densa con pezzi di carne. Li allontanò e stese la sbobba, poi scrisse “Fratello”  e fece scivolare il vassoio per terra, fino alla moglie del colpevole. Quella fissò le lettere e Bea lesse nel suo sguardo che capì. Dopo alcuni secondi si alzò e si diresse alla porta. Quando aveva già la mano sulla maniglia, disse:-Pensi che avrebbe voluto che tu morissi?-
Quando, il giorno dopo la bionda tornò, trovò il vassoio vuoto.
 
Beatrice aveva pensato molto alle parole della ragazzina e alla fine aveva deciso che aveva ragione: Lorenzo era stato colpito per permetterle di scappare, di vivere. Se si fosse lasciata morire, il suo sacrificio sarebbe stato vano. Da quel giorno, per quanto fosse difficile, per quanto l’idea di abbandonarsi al buio fosse allettante, tornò a prendere contatto con la realtà. Ogni dì era “sveglia” qualche minuto in più. Iniziò a pensare alla sua condizione: il conte la teneva chiusa lì, senza mai farla uscire. La situazione l’inquietava, si aspettava che qualcosa di brutto accadesse da un momento all’altro e ad avvalorare i sui timori, c’erano le storie che le raccontava Elizabeth. William non aveva timore e rispetto per niente e nessuno, nemmeno per Dio, si ubriacava, ordiva inganni, uccideva, stuprava donne. A volte, attraverso le pareti, udiva le loro urla, allora si rannicchiava in un angolo e si tappava le orecchie, cercando di non sentire. Spesso, le confessò la bionda, la picchiava. Aveva pensato di scappare ma, le aveva riferito, il castello era sorvegliato, la finestra si trovava troppo in alto e in più, le era stata tolta la spada.
-Perché mi tiene chiusa qui?- le domandò un giorno e l’altra si strinse nelle spalle.
-Forse ti vede come una sorta di trofeo.- rispose, ma nei suoi occhi, lesse qualcosa di più.
 
I suoi timori si realizzarono una notte. Era tardi e stava dormendo già da ore. Fu svegliata di soprassalto dalla porta che, spalancandosi, sbatteva contro la parete. Sulla soglia c’era William, illuminato appena dalle torce del corridoio: i capelli spettinati e la faccia rossa. Negli occhi uno sguardo sfrenato. In un attimo Bea si sentì sveglissima. S’alzò dal letto e la sua mente fu bombardata da una marea di pensieri, troppi, dopo giorni di stasi. Cosa vuole?... Scappare… L’assassino di Lorenzo… Via dalla porta… Ammazzarlo…
Prima che riuscisse a muovere un muscolo, l’altro l’agguantò.
-Sarò il primo a possedere la donna-uomo!- l’alito era impregnato d’alcool.
Le tremarono le gambe. Possedere. Era dunque, arrivata la sua ora.
La scagliò sul letto e in un attimo le fu sopra. Con una mano le stringeva fortissimo un braccio, con l’altra un seno. Un gemito di dolore le dischiuse le labbra, che furono prese d’assalto dall’uomo. Premeva la bocca contro la sua, sentiva la barba graffiarle la pelle; la lingua, prepotente, invaderle la cavità orale. La mano che le stringeva il braccio la lasciò, ma il sollievo fu breve perché si spostò alla camicia, strappandola in un sol colpo. Tentò di coprirsi, ma quello gliel’impedì. Si sentì punta da mille aghi mentre le studiava ogni centimetro di pelle e le salirono le lacrime agli occhi. Nessuno aveva mai avuto quel permesso. E ora quel mostro se lo stava prendendo con la forza. Perché non provava nemmeno a combatterlo?
Una mano scese sulla pancia piatta, s’infilò nei pantaloni.
Bea sentiva gocce salate rigarle le tempie. Non era giusto.
Lorenzo non avrebbe voluto tutto ciò. E nemmeno lei. Un urlo le squarciò la gola.
–NO!-
Colpì William in pieno viso, frenando la sua corsa per la sorpresa. Cercò d’approfittarne per sfuggirgli, ma proprio quando pensava di non essere più alla sua portata, la riagguantò da dietro. Inciampò, l’alzò di peso e la ributtò sul materasso. Le si avventò contro. Le immobilizzò le gambe con le proprie e le strinse i polsi con una mano. L’altra andò alle braghe e le strattonò. Bea continuava a dibattersi, adesso, come una furia, ma i pantaloni scendevano inesorabilmente. Quando ormai il peggio sembrava inevitabile, urlò l’ultima cosa che sperava lo potesse fermare.
-Se lo fai, ti ammalerai anche tu!-
L’uomo fermò il bacino.
-Che diavolo dici?- le gridò sul viso.
-La malattia mi fa comportare come un uomo, se lo fai, somiglierai a una donna.-
-Stai mentendo!- ringhiò, ma colse nello sguardo spietato l’incertezza.
Una fiamma di speranza si accese nel suo animo. –Provaci se non mi credi.-
-Pensi che non lo farò?Posso fare quello che voglio!- le urla del conte erano sempre più rabbiose.
-Provaci e te ne pentirai. E’ la malattia.-
Il signore lanciò un urlo bestiale e la colpì in viso.
-Te la farò pagare!- gridò fuori di sé dall’ira, poi, come una furia, uscì dalla stanza reggendosi le braghe con una mano.
 
Aveva sbarrato la porta dall’interno ponendovi avanti una grossa cassettiera e si era rannicchiata sotto le coperte ma non era riuscita a chiudere occhio nemmeno per un secondo. Osservò il sole sorgere e raggiungere l’apice, poi iniziare la sua parabola discendente, ripensando a ciò che era successo quella notte. Adesso trovava che l’iniziale arrendevolezza che aveva mostrato fosse imperdonabile, ma ne capiva il motivo: l’abbandono di Lorenzo aveva fatto si che nulla le importasse più e aveva sperato che William, dopo che si fosse preso ciò che voleva, l’avrebbe uccisa. Ma aveva ricordato le parole di Elizabeth, l’avevano riscossa da quel pericoloso torpore. Anche la frase che aveva urlato un attimo prima che il conte ottenesse ciò che bramava, gliel’aveva indirettamente suggerita lei.
Improvvisamente, fu scossa da qualcuno che bussava alla porta. Si sentì attanagliare dal terrore: per tutto il giorno non si era sentito alcun suono provenire dal corridoio. Fu tentata di nascondersi sotto le lenzuola, restando il più immobile possibile per non farsi notare. Fece un grosso respiro, per prendere coraggio, poi si accostò alla porta. Bussarono ancora e questa volta sentì una voce sottile.
-Aprimi, sono io, Elizabeth.-
Poteva fidarsi?
-Non ho molto tempo..-
Spinse con una spalla la cassettiera quel tanto che bastava per aprire uno spiraglio e far passare la ragazzina. Pareva più pallida del solito e sul viso aveva nuovi segni rossi.
-Che ti ha fatto?- chiese prima che potesse frenarsi.
L’altra si spostò una ciocca dal viso. –Lo hai fatto arrabbiare molto ieri, è venuto a sfogarsi.-
Le parve che un pugno le affondasse nello stomaco. –Mi dispiace.- sussurrò.
La bionda si strinse nelle spalle. –Era parecchio ubriaco, sono riuscita a scappare. Ho rubato questi dalla cucina.- le passò un piatto colmo di avanzi. –Ho dovuto farlo di nascosto perché ha ordinato che non ti venisse dato nulla; in verità, non dovrei nemmeno essere qui.-
-Grazie.- disse semplicemente.
-Ho portato anche questi, ma credo che ti andranno grandi.- poggiò un cumulo di panni sul letto.
-Grazie.- ripeté, era davvero stupita dalla premura che le stava dimostrando.
-Come hai fatto a fermarlo?-
Masticò un pezzo di pane. –Gli ho detto che sarebbe diventato una specie di femmina.-
Adesso i suoi occhi era colmi d’invidia. –Nessuna è mai riuscita a salvarsi prima di te.-
Scese un pesante silenzio, finché Elizabeth non lo ruppe:-L’hai fatto imbestialire, vuole fartela pagare.-
-Come?-
Scosse la testa. –Non lo so, ma non sarà nulla di buono.-
 
Il giorno seguente bussarono nuovamente alla porta. Bea pensava fosse di nuovo la ragazzina, ma si sbagliava. Era una donna, quasi anziana. –Il conte vuole vederti.-
Le tremarono i polsi. –Perché?-
Si strinse nelle spalle. –Ho solo il compito di accompagnarti. Muoviti.-
-E se non vengo?- perché andare tra le braccia del lupo?
-Verrà lui a prenderti. E non ha modi molto gentili.-
Strinse i pugni. Restando rinchiusa lì non aveva possibilità di scappare, doveva uscire e quella era l’occasione giusta. Seguì la guida per un dedalo di corridoi, finché non uscirono su un cortile spoglio e impolverato. William era al centro dello spiazzo e rideva di gusto con un uomo che Bea ricordò d’aver visto il giorno dell’attacco a Kingsbridge. Rasente al muro, c’erano Elizabeth e una donna dal viso deturpato, ma a quella distanza, non riuscì a capire da cosa.
-Ecco il nostro fenomeno da baraccone!- la salutò il conte. –Hai detto che sei un uomo, giusto?E allora ti comporterai come tale.-
Un inserviente le si avvicinò con una spada in mano. Quando la riconobbe come sua, l’afferrò all’istante. Guardò il signore, dall’altro lato del cotile. Cosa voleva fare?
William sguainò la propria lama e le corse incontro, costringendola ad una serie di parate.
Non poteva crederci. Voleva sul serio che combattesse?
-Se vinco,- le disse –ti uccido. Io posso ferirti, tu non puoi toccarmi. Queste sono le regole.- ringhiò.
-Sarò io ad ammazzarti!- urlò.
Il rosso le menò un fendente. Lo parò, ma la forza del colpo fu tale da farla indietreggiare. –Non ti conviene.- fece l’altro, senza scomporsi minimamente –Se osi toccarmi, quell’uomo laggiù- indicò col mento quello con cui stava ridendo prima -ti ucciderà.-
Fu come se non avesse mai parlato. Continuò ad attaccare, con tutta l’intenzione di ferirlo, di vedere sgorgare il sangue dal suo corpo, di vederlo agonizzare ai suoi piedi mentre le chiedeva pietà e lei, implacabile, ascoltava quei rantoli, già sapendo che non avrebbe esaudito le preghiere che le venivano rivolte. Il signore di Shiring era un illuso se pensava davvero che si sarebbe sottomessa a quel ricatto, che non avrebbe colto al volo l’occasione per vendicare Lorenzo. Duellarono a lungo. William era un ottimo avversario, era dotato di grande forza bruta e molto spesso barava, perciò doveva sempre stare all’erta contro pugnali che comparivano all’improvviso o polvere buttata negli occhi. Tuttavia, era anche molto sicuro di sé e questo lo portava a lasciare scoperte molte zone della sua difesa. Beatrice coglieva al volo quelle occasioni ma quello sciagurato riusciva sempre a rimanere illeso per un soffio. Lei; invece, era piena di piccole ferite: attaccava alla cieca, guidata solo dal desiderio di spegnere la vita del conte, perciò si curava ben poco di difendersi. Presto la fatica si fece sentire per entrambi e si ritrovarono sudati e col fiato corto. Ad un tratto, il rosso si portò il polso sinistro alla fronte, per asciugarsi le gocce che gli colavano dai capelli e lasciò una grossa falla nella sua difesa. All’istante, la ragazza ne approfittò ed assestò un potente fendente al fianco del signore. Sorpreso, quello si guardò la ferita che si colorava velocemente di rosso. Lo stesso fece Bea, ma aveva nello sguardo una gioia feroce. Ammirò quel fluido scuro per interminabili istanti, poi levò il braccio.
-Questo è per mio fratello.-
Calò la lama verso il collo dell’avversario. Pregustava già la sensazione della carne debole che si lacerava sotto il filo tagliente della spada sottile.
Ma l’acciaio non toccò mai la trachea dell’avversario.
Si sentì inspiegabilmente cadere a sinistra e in un istante si trovò la punta di una daga alla gola.
Il fidato tirapiedi di William si era accorto di ciò che era successo ed era corso in aiuto del suo conte. Mentre sentiva i passi del rosso che si avvicinavano, avvertì una fitta alla gamba sinistra. L’uomo l’aveva colpita, ecco perché si era accasciata.
Il signore le assestò un calcio al fianco e istintivamente si piegò in due dal dolore, così che la lama dell’altro le ferì la pelle sottile.
-Brutta stronza!- inveì il ragazzo. –Non hai sentito le regole?Tu non potevi toccarmi!- la colpì di nuovo –Hai decretato la tua fine!- sollevò la spada, pronto per il colpo di grazia.
Bea chiuse gli occhi. Non era riuscita nel suo intento, ma almeno adesso avrebbe rivisto Lorenzo.
Il colpo però non arrivò.
-Mio signore.- fece il servitore di William –Se l’ammazzate, non potrete più giocare con lei e il divertimento sarà durato poco.-
L’altro rifletté per alcuni secondi. –Hai ragione. Occupatene tu.-
-Elizabeth,- chiamò quello -riportatela dentro e fasciatele le ferite più gravi.-
 
 
Non poteva crederci.
William non l’aveva ammazzata.
Aveva pensato che quando sarebbe arrivato il suo momento, sarebbe stata quasi felice, in questo modo avrebbe potuto raggiungere Lorenzo, ovunque fosse in quel momento; invece, aveva avuto paura. Si vergognava per quello: voleva dare l’impressione di non temere nulla, ma la verità era che la spaventavano molte cose. E la morte era una di quelle.
Tuttavia, non riusciva a rallegrarsi. Se l’aveva risparmiata c’era un motivo: voleva continuare a tormentarla; cosa si sarebbe inventato adesso?
Alcuni giorni dopo, la ragazzina bionda bussò alla porta della sua cella. La fece entrare, ma l’altra sembrava preoccupata.
-Mio marito vuole vederti di nuovo nel cortile interno.- disse tutto d’un fiato. –Temo che voglia fartela pagare per aver osato ferirlo.-
 Scosse la testa mentre la seguiva nel corridoio. –E’ pazzo se vuole affrontarmi di nuovo. Non ha capito che non mi importa nulla delle sue regole?Proverò ad ucciderlo comunque.-
Elizabeth si girò di scatto e quasi le finì addosso. Nonostante fosse più bassa di lei, in quel momento le parve statuaria. –Invece dovrebbe importartene!Non ti risparmierà una seconda volta.-
-Lo so benissimo.-
L’altra la fissò per un istante. -Non dovresti sprecare il sacrificio di tuo fratello.-
-Io cerco di vendicarlo!- esclamò, ma una stretta le aveva imprigionato il cuore.
-Tu cerchi di morire. Ti sei arresa, non penso che lui avrebbe voluto questo.-
 
Erano di nuovo faccia a faccia. Lei e William.
Beatrice era distratta: avrebbe voluto affrontare l’uomo col furore della prima volta, ma le parole della bionda continuavano a rimbombarle in testa. Nel profondo, sapeva che aveva ragione.
Digrignò i denti e assestò contro l’avversario un fendente più forte degli altri. L’idea di dover rinunciare ad un’occasione del genere la faceva impazzire, ma non aveva scelta.
Serrò le labbra. Era in netto svantaggio.
Combatté per un tempo che le parve infinito: per la prima volta in vita sua, Beatrice desiderò la fine di un duello. Il fatto di doverlo affrontare senza poterlo ferire, era un bel problema: doveva sempre calibrare la potenza dei fendenti e nel caso in cui l’altro lasciasse liberi spazi nella sua difesa, deliberatamente o per distrazione, all’ultimo doveva deviare la spada per non ferirlo. La lama nella sua mano divenne un corpo estraneo e pesantissimo, tenerla alzata le richiedeva uno sforzo immane, il corpo era pieno di ferite.
Il conte, al contrario, era perfettamente illeso e appena affaticato.
Parò un colpo più forte degli altri e l’elsa volò via dalla mano sudata.
Adesso mi colpirà, pensò.
-William!- la donna col viso deturpato ai margini del cortile, stava venendo verso di loro. –Il vescovo Waleran è arrivato, sbrigati!-
Il rosso socchiuse gli occhi. –A quanto pare, te la sei scampata anche stavolta.- disse, prima di allontanarsi verso il castello.
Bea sentì le gambe cedere per la stanchezza e crollò a terra.
 

Pochi giorni dopo, la stessa vecchia della prima volta andò nella sua stanza e pronunciò quasi le stesse parole:- Il signore vuole vederti.-
Beatrice, a quell’infelice deja-vù, tremò. Non si era ancora ripresa, le ferite si erano cicatrizzate ma erano ben lontane dal guarire completamente.
–Ti aspetta nel cortile interno.- disse, poi se ne andò senza aspettare risposta.
Convinta di ciò che sarebbe accaduto, prese in considerazione l’idea di restare lì e barricarsi nella camera, ma alla fine seguì l’ordine: finché fosse stata sua prigioniera, nascondersi non sarebbe servito a nulla.
Il rosso era in mezzo al cortile, come le altre volte, ma in quel momento –notò subito- non aveva la spada in mano.
-Combatteremo a mani nude.- annunciò –Le regole sono le stesse.-
Quasi si sentì mancare. A stento si reggeva in piedi, ed il conte pretendeva che facesse a botte?
Senza rendersene conto, scosse lentamente la testa.
Gli occhi dell’altro si incendiarono. -Ti rifiuti?-
Serrò i pugni. Il tono che aveva usato, riaccese il suo orgoglio. –No.-
Quello sorrise feroce. –Bene. Iniziamo allora.-
 
Quando viveva ancora a Firenze, per giocare o a causa di qualche litigio, aveva partecipato a scazzottate con Lorenzo e alcuni suoi amici, ma non aveva mai fatto sul serio. Soltanto quella sera contro Alfred si era impegnata davvero, ma lui era ubriaco e sopraffarlo non era stato difficile.
William se la cavava ancor meglio che con la spada: i suoi pugni erano potenti e le facevano mancare il fiato. Si ritrovò ad arretrare contro il muro, troppo concentrata a difendersi per attaccare. Un cazzotto la colpì in pieno stomaco e si piegò in due dal dolore. Il viso a pochi centimetri da quello dell’avversario, colse lo sguardo sfrenato dell’altro. Prima che potesse reagire, un altro colpo le arrivò al viso, seguito da una scarica al torace. Si raggomitolò a terra, nel tentativo di sfuggire alla furia del signore, ma quello iniziò a riempirla di calci. Il dolore le fece perdere i sensi.
                                                                                        ***
 
Aveva portato Lorenzo a Kingsbridge.
Nonostante il ragazzo non si fosse mai recato in chiesa mentre era stato al villaggio, dopo un lungo colloquio con Philip aveva avuto il permesso di seppellirlo in terra consacrata. Alla funzione parteciparono parecchi individui, più di quanti potesse aspettarsi, ma nessuno si curò del fatto che mancava la persona più importante: Beatrice.
Si sentiva dilaniato dalla preoccupazione e dal senso di colpa. Era solo colpa sua se i due italiani avevano deciso di partire, per il modo assurdo in cui aveva urlato contro la ragazza.  Pure per questo non poteva abbandonarla. Doveva salvarla ad ogni costo. Anche per Lorenzo che ora non avrebbe più potuto proteggerla. Organizzò delle squadre di uomini per setacciare il territorio. Non parlò loro della straniera –altrimenti non avrebbero mai partecipato- fece leva, invece, sul loro odio per i predoni e gli uomini di William. Controllarono ogni angolo del bosco, arrivarono perfino a Shiring, ma Bea sembrava scomparsa nel nulla. Dopo giorni passati in quel modo, iniziava a perdere le speranze. Come avrebbe fatto a trovarla senza nemmeno un indizio?Forse si era sbagliato e chi l’aveva rapita, non era andato nella contea del suo nemico, oppure era solo di passaggio. In quel momento poteva essere ovunque, poteva addirittura aver lasciato l’Inghilterra.
Ogni sera era tormentato dagli incubi. Vedeva Beatrice bianca e fredda in una pozza di sangue o costretta ad ubbidire ad un orribile uomo. Una notte, si svegliò di soprassalto, sudato e ansimante. Piegò le ginocchia e si prese la testa tra le mani, nel tentativo di evitare che la stanza girasse come una trottola. Fece dei profondi respiri per calmare il battito del cuore, ma gli sembrava di essere ancora nel sogno. Sentiva addirittura i tonfi della testa dell’italiana che rotolava a terra e che l’avevano terrorizzato mentre dormiva. Dopo alcuni secondi però, si rese conto che i tonfi c’erano davvero e provenivano dal piano di sotto: qualcuno bussava alla porta. Scese le scale strusciando la spalla contro la parete, per evitare di cadere, e andò ad aprire. Sbatté gli occhi, sicuro di avere la vista appannata. -Philip?-
-Posso entrare?- la voce del monaco era stata appena un sussurro.
Si fece da parte per lasciargli spazio.
Il priore entrò a passo incerto. Sembrava molto preoccupato e aveva profonde occhiaie sul viso; a quanto pareva, anche lui aveva problemi col sonno.
-Perché siete qui?E’ successo qualcosa?- improvvisamente, si sentì sveglissimo.
L’uomo teneva gli occhi a terra e si tormentava le mani. –Sono qui per una confessione.-
Richard inarcò le sopracciglia. Diceva sul serio?  -Ascolti, lo so che è parecchio che non vengo in chiesa, ma questo non è proprio…-
Philip scosse la testa, interrompendolo. –Sono io che devo confessarmi.-
Il Guerriero era sempre più incredulo. –Non credo di essere la persona giusta..-
-Dannazione, ragazzo, taci!- il monaco non aveva urlato, eppure l’armigero si sentì pietrificato.
-E’ già abbastanza terribile senza che tu complichi la situazione.- continuò l’altro. Fece un profondo respiro. –Sono qui per spiegarti perché Beatrice ha deciso di partire, quel giorno.-
Sentì lo stomaco stretto in una morsa e quasi dalle labbra gli uscì un gemito di dolore. Lo conosceva benissimo il motivo, non c’era bisogno che glielo raccontasse il monaco.
Prima che potesse dire qualcosa, l’uomo iniziò:-Suppongo che tu sia venuto a sapere della zuffa tra Beatrice ed Alfred..?-
Annuì perché la voce gli mancava.
Il priore sospirò. –Ciò che probabilmente non sai è che per un periodo sono stato costretto ad allontanarla dal villaggio.-
Improvvisamente tornò presente a se stesso. -Cosa?Perchè?- non sapeva nulla di quella storia.
-La gente mormorava circa la sua natura, certi sostenevano che fosse una strega e i monaci erano irrequieti.- spiegò –Dopo qualche giorno le ho permesso di fare ritorno, ma ad una condizione.-
-Quale?-
Quello chiuse gli occhi, come se il ricordo gli provocasse dolore. –Entro un mese avrebbe dovuto trovare marito, oppure abbandonare per sempre Kingsbridge.-
Richard aprì la bocca, in una muta sorpresa, ma non riuscì a proferire alcun suono.
Philip continuò:-Credevo che tu e Beatrice vi amaste e che per questo non sarebbe stato difficile mantenere fede al patto, ma evidentemente mi sbagliavo e lei, piuttosto che sottostare alle mie regole, ha preferito partire.-
Il soldato indietreggiò e crollò su una sedia, non sapeva cosa dire. Passarono alcuni secondi durante i quali cercò di metabolizzare quelle informazioni. Alla fine domandò:-Come fate ad essere sicuro che è questa la ragione per cui ha agito in quel modo?-
-Perché il giorno in cui è partita, scadeva il termine ultimo del patto.-
Il fratello di Aliena si passò le mani tra i capelli e chiuse gli occhi. Credevo che tu e Beatrice vi amaste, ma evidentemente mi sbagliavo. Quelle parole lo devastavano. Anche lui ne era stato convinto, ma da quando era tornato dal fronte, l’italiana non aveva fatto altro che allontanarlo. Si era sbagliato?
Quella possibilità era troppo spaventosa per concepirla, così finse di credere alla versione del monaco. Convogliò tutte le sue contrastanti emozioni in un solo, devastante sentimento: la rabbia. Lasciò che l’invadesse. Come una colata di lava, scorreva  veloce e bruciava tutto ciò che incontrava.
-Non ci sono parole per scusarmi.- sentì dire all’uomo –E’ solo colpa mia se quel ragazzo è morto.-
Le mani iniziarono a tremargli impercettibilmente perciò le chiuse a pugno. Il respiro divenne affannoso. –Quel ragazzo ha un nome!E mi sta dicendo che Beatrice è stata rapita per un suo stupido ricatto?- ringhiò.
Il priore chinò il capo. –Sì. Mi dispiace.-
Fu troppo. Scatto in piedi, facendo capovolgere la sedia. –Come diavolo le è venuta in mente un’idea del genere?- urlò –Come ha potuto pensare che avrebbe accettato?!-
Il monaco fece un passo indietro, sorpreso. Poi si inginocchiò ai suoi piedi. –Il mio errore è stato imperdonabile. Mi rimetto al tuo giudizio.-
L’atteggiamento calmo dell’uomo lo fece infuriare ancor di più. Lo afferrò per la tunica e lo scagliò all’altro lato della stanza. –Vecchio idiota!- lo raggiunse e lo agguantò di nuovo. Caricò il pugno, pronto a colpire. Ma una mano delicata lo fermò.
-Richard!Che stai facendo?!-
-Lasciami, Aliena. Il priore ha appena confessato di essere la causa della morte di Lorenzo e della scomparsa di Bea.- ruggì, liberandosi dalla sua presa e preparandosi a colpirlo di nuovo.
-Cosa?Che significa?- la sorella lo acciuffò una seconda volta -Richard, torna in te!-
Il pugno colpì la parete, a un soffio dal viso di Philip. Lo lasciò andare e fece alcuni passi indietro. Si premette le nocche alle tempie. –Tu non capisci. E’ colpa sua, è colpa sua.- ripeté cercando di convincere anche se stesso.
-So che non potrò riportare qui i due ragazzi e che perdonarmi è arduo,- fece il monaco, boccheggiante contro la parete. –ma se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti, non esitare a chiederlo.-
A lungo stette immobile, gli occhi strizzati, cercando di mettere ordine in quella ridda di pensieri che era diventata la sua testa. Alla fine, disse:-Voglio dei monaci per le ricerche.-
 
La conversazione di quella notte, non fece altro che aumentare i suoi tormenti. Nel profondo sentiva ancora che il vero motivo della partenza per era stato la litigata, ma adesso che sapeva dell’accordo, non poteva fare a meno di domandarsi perché Beatrice non gliel’avesse mai detto, perché non gli aveva mai proposto di sposarsi. Non lo amava?Eppure l’aveva baciato… L’impossibilità di avere una risposta lo logorava. In più c’era la preoccupazione circa le sue condizioni: era sicuro che fosse stata rapita. Di solito, le ragazze scomparse erano costrette a diventare servitrici dei loro carcerieri e questo lo rendeva ancor più irrequieto: Beatrice era il tipo di ragazza che non si piegava, al massimo, poteva spezzarsi. Ed era proprio quest’ultima eventualità che lo terrorizzava.


Era preda di quei tormenti quando, un pomeriggio, una voce lo chiamò.
-Richard!-  Aliena sembrava molto agitata. Il richiamo era teso e, nel pronunciarlo,era stato attraversato da un leggero tremito.
Scese in fretta al piano di sotto e rimase pietrificato. Cosa diavolo ci faceva lì?
-Felice di rivederti.- gli disse con voce melliflua.
  
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