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Autore: Laylath    14/11/2013    2 recensioni
Una raccolta di ventuno voci, una per ogni lettera dell'alfabeto, relative al mondo militare di Amestris.
Grazie all'aiuto del nostro team preferito, e al "Manuale del perfetto soldato" faremo un percorso alla scoperta dell'esercito.
Le scene sono di diverso genere: drammatico, comico, serio etc etc.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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C come “Contegno” 

 
Per riguardo nei confronti della divisa che indossa, un soldato deve mantenere un adeguato contegno in qualsiasi occasione, sia ufficiale che non.
Ogni soldato è rappresentante delle forze armate agli occhi della popolazione e, come tale, deve dimostrarsi degno della fiducia, rispetto e ammirazione da parte dei civili.


 
 
L’avevano detto che gliel’avrebbero fatta pagare, era solo questione di tempo.
Per questo non era rimasto troppo sorpreso quando quella mattina, mentre si dirigeva a lavoro, delle mani l’avevano afferrato da dietro e l’avevano trascinato in un’area del Quartier Generale che gli era pressoché sconosciuta.
Quando finalmente avevano mollato la presa, gettandolo a terra, aveva potuto vedere di chi si trattava e il suo cuore aveva smesso di battere per qualche tremendo secondo. Erano i suoi peggiori tormentatori sin dai tempi dell’Accademia e dalle loro facce capiva che questa volta sarebbe stata peggiore di tutte le altre.
“Ti avevamo avvisato di stare al tuo posto, ragazzino.” fu quella l’unica frase che disse il capo dei tre, prima che il suo castigo per essere arrivato in alto iniziasse.
Ma, in fondo, l’aveva quasi messo in conto ed era arrivato ad accettarlo.
Mentre un calcio allo stomaco lo faceva piegare in due dal dolore, mozzandogli il fiato, una piccola parte di lui si impose di non gridare o lamentarsi troppo: le dimostrazioni di angoscia fomentano ancora di più le belve.
Sperava solo che finisse presto.
 
Arrivò in ufficio con una decina di minuti di ritardo: in realtà i suoi aguzzini l’avevano lasciato andare in tempo per farlo arrivare in orario. Ma era così pesto e dolorante che la sua andatura era stata obbligatoriamente rallentata. Un lavoro professionale, non c’era che dire: mani e viso, le parti visibili dalla divisa, erano state risparmiate in modo che non ci fossero prove di quel pestaggio.
Sopportare in silenzio, anche questo era parte del gioco di tormenti di cui lui era la vittima.
Perché se saltava fuori la cosa la punizione poteva essere anche peggiore.
Ma soprattutto era lui stesso che non voleva cedere alle lacrime: aveva una perversa forma di contegno nel trattenere tutto dentro.
“Soldato, sei in ritardo. – disse il tenente Hawkeye, mentre lui prendeva posto nella sua scrivania con mosse esageratamente lente. Respirare faceva male: forse aveva qualche costola danneggiata – E’ successo qualcosa?”
“No, signora – mormorò Fury con voce flebile ma controllata – Mi scusi per il ritardo: non si ripeterà più.”
No, Kain Fury avrebbe tenuto l’adeguato contegno in quell’ufficio: non sarebbe apparso come un ragazzino debole e piagnucolante. Qualche mese prima l’Alchimista di Fuoco l’aveva voluto nella sua squadra e lui ne era profondamente felice ed orgoglioso. Anche se aveva solo diciotto anni doveva dimostrare di avere la giusta dignità e contegno: niente lamenti e lacrime davanti ai suoi colleghi.
Si buttò a capofitto nel riparare la radio, cercando di muoversi nella maniera più sciolta possibile, nonostante tutto il suo corpo si lamentasse per il dolore ed i lividi. Faceva malissimo trattenere quelle lacrime, quel fiato, ma non doveva cedere.
Non davanti a loro.
“Fury, vieni qui.” lo chiamò all’improvviso la sua voce.
E ne ebbe profondamente paura, perché lui non l’avrebbe chiamato mai senza un motivo.
Ignorando le proteste delle gambe si alzò in piedi e si portò davanti alla scrivania del colonnello. Stava dritto, sull’attenti com’era giusto che fosse, ma non poteva fare a meno di tenere lo sguardo basso: non voleva che leggesse nei suoi occhi quanto era successo.
“Signore?” mormorò.
“Va tutto bene?” la voce aveva un tono più gentile del solito e questo rendeva tutto più difficile.
L’ha capito… ovvio che non gli sarebbe sfuggito. Trattieni queste dannate lacrime, Kain. Sei un soldato, mantieni il contegno almeno davanti a lui.
“Certo, signore.” si costrinse a dire.
Ci fu un interminabile silenzio e Fury si accorse che anche l’attenzione di Havoc, Breda, Falman e del tenente era puntata su di lui: ma chi voleva ingannare? Probabilmente avevano capito tutto da quando era entrato.
“In genere quando lavori alla radio ti levi la giacca della divisa; – proseguì la voce del colonnello – perché oggi non l’hai fatto?”
“Oggi… oggi ho un po’ freddo, signore.”
… e devo nascondere i lividi sulle braccia… con la camicia a maniche corte si vedono.
“Fury…” Mustang si era alzato dalla scrivania e si era portato davanti a lui.
“Si?” fu costretto ad alzare lo sguardo sull’alchimista, non ne poteva fare a meno. Una lacrima iniziò a solleticargli l’occhio destro, ma lui la ricacciò indietro per mantenere il contegno che…
“… ti levi la giacca, per favore?”
Gli occhi scuri dietro le lenti si sgranarono e per qualche terribile secondo fu tentato di scappare via da quell’ufficio. Ma mentre restava paralizzato per la sorpresa, le mani del colonnello iniziarono a sbottonare la parte superiore della sua giacca… furono dieci, interminabili, orribili secondi. Perché Mustang gli levò l’indumento con lentezza e delicatezza, per evitare di provocare ulteriore dolore.
E che cosa gli restava da fare se non stare in piedi davanti al suo superiore, con le braccia piene di lividi, il viso pallido ed il respiro rotto da singhiozzi che stavano per uscire prepotentemente fuori?
“Cazzo, tappo, chi è stato a farti questo?” la voce di Havoc spezzò il ronzio che gli disturbava l’udito. Sentì le mani del sottotenente che gli serravano le braccia, cariche d’ira e fomento.
Perché quel ragazzo grande e grosso, all’apparenza così minaccioso, per quanto a volte lo trattasse con irruenza, non l’aveva mai picchiato.
“S… sottotenente, - mormorò con tutta la forza di volontà che gli restava - … per… per favore, signore, mi sta facendo male.”
“Smettila di stringergli le braccia in quel modo, scemo. – sbottò Breda, scostando l’amico – Ehi, ragazzino, da bravo, guardami… hai il fiato corto, fammi sentire. – e la mano incredibilmente gentile del rosso gli tastò il torace – Tu hai qualche costola incrinata… e chissà che altro.”
Mantieni… questo… maledetto… contegno!
“Vieni, soldatino, - la voce del tenente, una mano delicata che si posava sulle sue spalle – siediti e stai tranquillo… Falman, lo prendi un bicchiere d’acqua?”
“Certo, signora.”
Una prima lacrima rotolò sulla sua guancia…
In mezzo a tutto quello che successe dopo, mentre la sua squadra si prodigava attorno a lui, ricordò solo la voce di Havoc.
“Appena scopro chi sono gliela faccio pagare cara! Non oseranno mai più toccarlo.”
 
E davvero nessuno osò più toccarlo.
  
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