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Autore: ChiiCat92    14/11/2013    6 recensioni
"- Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono sommessamente, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -" dal cap. 1
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è la prima FF che scrivo su KH, volevo un po' sperimentare!
mi sono chiesta cosa succederebbe se i personaggi di KH fossero studenti di un istituto prestigioso...e questo è il risultato!
Il raiting in alcuni capitoli oscilla verso l'arancione con sfumature di rosso, cercherò di avvertire prima nel qual caso dovesse succedere.
probabilmente la pubblicazione sarà settimanale, il giovedì :3
leggete e, se vi va, lasciatemi un commento!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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24

L'uomo non riesce a risolvere nessun problema. Nel migliore dei casi,

inaspettatamente si trova davanti problemi risolti

 

Ventus sentì gli occhi giallo limone di Vanitas addosso, ardenti come tizzoni, intensi come un'accusa.

Ecco qui, mi ha scoperto, ha capito tutto.” la porta del bagno si chiuse dietro le sue spalle.

Gli venne un brivido quando vide se stesso, con atteggiamento rilassato, percorrere i pochi passi che lo dividevano da Riku e Vanitas e andarsi a gettare sul pavimento accanto al moro, come fosse la cosa più normale del mondo, come se l'avesse fatto dieci, cento, mille volte.

Ma quegli occhi, quegli occhi gialli da gatto, da predatore, da assassino, continuavano a fissarlo.

Benché fossero appannati dai fumi dello spinello (perché era chiaro persino a Ventus che non ne aveva mai tenuto uno in mano che quello che Vanitas teneva tra le dita era proprio uno spinello) gli occhi del moro sembravano più consapevoli che mai.

Tutta un'altra storia per Riku che, accasciato sulla mensola della finestra, ridacchiava convulsamente per qualcosa che conosceva solo lui. Forse un pensiero strafatto che gli aveva attraversato il cervello.

- Ma che cazzo di roba è questa? Dove l'hai presa, Van? -

Chiese l'albino, ignorando del tutto la presenza di Ventus. Si poteva dare quasi per scontato che capisse appena dove si trovasse.

- Un amico, mi aveva detto che era buona. -

Rispose Vanitas, scollando per un attimo quello sguardo fulminante dal biondo. Fece un tiro profondo, trattenne il fiato per un attimo e poi lo rilasciò sotto forma di piccoli anelli fumosi, tutti rotondi, tutti perfetti. Con un sorriso soddisfatto, passò lo spinello a Riku, che si affrettò a dare una bella aspirata, quasi temesse che il compagno lo potesse finire al giro successivo.

Quando lo finì, soffiando il fumo dal naso, lo passò a Ventus.

Il biondo sgranò gli occhi così tanto che chiunque, fatto o no, avrebbe capito chi era veramente: non era proprio espressione da Roxas, quella.

- Rikkiun, che fai? Vuoi drogare il bambino? -

Vanitas sembrò estremamente divertito mentre strappava la canna dalle mani di Riku, che non la prese molto bene.

Il moro se la infilò tra le labbra, facendola dondolare da un lato all'altro, mentre continuava a bruciare.

Il fumo che riempiva il bagno rendeva l'aria irrespirabile.

Ventus, che aveva avvertito subito il cambiamento venendo da fuori, era passato dalla modalità “respirazione involontaria” a “apnea forzata”.

La nube di fumo che andava allargandosi nel bagno emanava un tanfo insopportabile che bruciava fortemente gli occhi e il naso del biondo.

Quell'odore così forte, piccante e difficile da definire si infilava dappertutto: tra i capelli, nella stoffa dei vestiti, nel naso e giù nei polmoni.

Ventus desiderò poter tossire e aprire la finestra, ma non poteva fare nessuna delle due cose visto che: 1, Roxas di certo sopportava il fumo della canna (ammesso e non concesso che non partecipasse anche lui); 2, Riku era stravaccato proprio davanti all'unica finestra del bagno, e doveva come minimo spingerlo via di peso.

Vanitas rilassò le spalle mentre aspirava un'altra boccata di fumo.

- Che ci fai qui, biondo? Ti avevamo lasciato in classe. -

- Mi annoiavo. -

Fu la pronta risposta di Ventus, un po' troppo pronta, un po' troppo preconfezionata.

Vanitas socchiuse gli occhi a fessura ma non disse niente, non subito almeno.

Ventus inghiottì a vuoto, cercando di dissimulare con la saliva secca che aveva in bocca il bruciore della gola.

Aveva necessità di tossire, mentre gli occhi blu gli si riempivano di lacrimoni.

- Wow, hai battuto il tuo record, un'ora di lezione e già ti annoi. -

Gongolò Riku. Non si capiva bene se ci era o ci faceva. Probabilmente entrambe, in quel momento.

Non sembrava neanche interessato alla discussione, rispondeva perché una parte inconscia del cervello registrava la conversazione e riusciva a convertire i pochi pensieri sensati sopravvissuti in parole.

Tant'è che Vanitas non gli diede peso e si limitò ad alzare un sopracciglio.

- Per te niente più spinello. Da quando stai con tavola-da-surf-Kairi ti sei rammollito e non lo reggi più. -

Riku mugugnò qualcosa di incomprensibile. Forse avrebbe voluto aggredire Vanitas verbalmente per quell'insulto pronunciato con nonchalance.

- Dammi quel coso, fammi fare un altro tiro. -

Scandì invece l'albino, andando contro quello che aveva appena detto Vanitas.

Il moro giocò a tenergli lontana la canna per un paio di secondi, visto che Riku era così scoordinato che non riuscì neanche a far finta di prenderla, poi glielo porse, giusto per accontentarlo.

- Sfogarti con l'erba non ti farà prendere la verginità di Kairi. -

- Non credo neanche che sia più vergine. -

Sussurrò l'albino, soffiando una boccata di fumo.

- Ah no? E chi se l'è fatta? -

- Cazzo ne so. - Riku gli porse nuovamente lo spinello, con fare infastidito. Tutta l'erba di quel mondo non poteva nascondere la sua espressione indispettita. - Mi sono rotto la minchia di starle dietro senza avere nessuna spiegazione. -

- Sarà lesbica? -

Lo scappellotto che Riku riservò a Vanitas avrebbe potuto staccargli la testa se fosse stato meno sballato e più consapevole di quello che stava facendo.

- Smettila. Di. Parlare. Così. Della. Mia. Ragazza. Non. Te. Lo. Dico. Più. -

- La vacca come sei suscettibile. -

Sbottò Vanitas, reggendosi la testa.

Ventus si torse le mani, stordito dal troppo fumo e dai loro comportamenti.

Era sempre così che andava tra loro tre? Vanitas e Riku che discutevano tra loro e Roxas che se ne stava in un angolo ad assistere?

Gli occhi gialli del moro, storditi dal fumo e dalla botta che avevano appena ricevuto, tornarono su Ventus di colpo.

- E tu? Non abbiamo più parlato del tuo ragazzo. -

Il biondo sentì una morsa stringergli lo stomaco con tanta forza che quasi se lo sentì strappare via. Il ghigno di Vanitas gli disse che era proprio così che si aspettava che Roxas avrebbe reagito.

- Io...non... -

- Eddai, dicci qualcosa di più su di lui. -

Lo pungolò ancora il moro. Per Ventus fu come se gli avesse spento una sigaretta direttamente sul cuore.

- Non mi va. -

Concluse con un filo di voce, anche se il tono voleva essere risoluto.

- Prima o poi te lo tirerà fuori. - mormorò Riku, strascicando le parole. Poi cominciò a ridere delle sue stesse parole. - Il nome intendo, non altro! -

- Magari tiro fuori il tuo “altro”, che dici? -

Insinuò Vanitas con voce divertita.

Riku non smise di ridere, mentre un brivido scuoteva Ventus da capo a piedi.

Il biondo ebbe l'impressione di non avere via d'uscita. Quella sensazione che gli prendeva il petto non era solo colpa del fumo pesante che riempiva il bagno.

Ho preso un granchio, per una volta Vanitas non ha fatto niente.” si disse, per consolarsi, per convincersi, per trovare la forza di alzarsi e uscire fuori dal bagno.

Tutto pur di andarsene di lì.

Si sarebbe portato addosso per tutto il giorno il puzzo mefitico dello spinello, ma almeno sarebbe stato lontano da loro.

Fece per alzarsi, ma Vanitas lo inchiodò al suo posto con un'occhiata.

- Come va l'occhio? -

Ventus si tirò indietro per nascondersi. I capelli gli coprivano buona parte del volto, ma chiunque l'avesse osservato avrebbe capito che non era chi diceva (o voleva) fingere di essere.

- Meglio. -

Disse solo, e nascose lo sguardo lontano, abbassando il viso e voltandosi altrove.

- Che schivo che sei oggi. - brontolò Vanitas. Ventus la prese come una prova di colpevolezza. Il moro diede l'ultima tirata allo spinello e lo spense schiacciandone la punta sul pavimento. - Rikkiun, sei troppo fatto per tornare in classe? -

- No, sto apposto. -

Ma dalla sua faccia non si sarebbe detto.

- Bene. -

Il moro si alzò. Gettò le braccia in alto, stiracchiandosi tutto. Non sembrava per niente soffrire l'erba, non tanto almeno per compromettere le sue capacità psicofisiche, cosa che invece stava succedendo a Riku, che si tirò in piedi malamente, quasi cadendo dalla mensola della finestra.

Ventus ingoiò un conato di vomito, venuto su forse per la troppa ansia, o per il troppo fumo.

Prese il coraggio a due mani mentre si alzava anche lui, affiancando i due ragazzi.

- Che...che facciamo oggi con la matricola? -

- Col piccoletto bruno? - chiese di rimando Vanitas. Nei suoi occhi passò una scintilla di malizia e desiderio, velocemente nascosta da un'ondata di consapevolezza. - Se si presenta a scuola, ci inventeremo qualcosa. -

- Se si... -

Vanitas non gli permise di formulare la frase. Gli affondò una mano tra i capelli e glieli scompigliò con un po' troppo affetto. Un affetto forzato, meccanico.

- Ci vediamo dopo, biondo. -

E dicendo così uscì dal bagno, seguito a ruota da Riku che sembrava il suo allegro cagnolino (allegro perché non la smetteva più ridere).

Ventus rimase in piedi sulla soglia.

Con l'aria nuova che entrava da fuori i pensieri sembravano tornare un po' più chiari, mentre il batticuore scemava, insieme con il rumore dei passi di Vanitas e Riku che si allontanavano.

Si poggiò contro la parete, respirando a fondo l'aria buona. I suoi vestiti puzzavano già di fumo.

S'incamminò a ritroso verso l'infermeria, dimenticandosi del motivo per cui aveva fatto tutta quella strada in più.

La voglia incalzante di assicurarsi che Sora stesse bene gli torceva stomaco e budella.

Si tenne la pancia mentre camminava, temendo di vomitare da un momento all'altro.

La testa gli girava e benché il cuore avesse smesso di pulsargli furiosamente in petto si sentiva stanco e affannato come se avesse appena finito di correre la maratona.

Dovette fermarsi a metà del corridoio per fermare il mondo che non voleva saperne tornare fermo.

Non ho concluso niente.” si disse con rammarico e rabbia “Sei entrato lì, e non hai concluso niente.” si forse forte le labbra per impedirsi di urlare.

Si costrinse a continuare a camminare, tenendosi la pancia come se da un momento all'altro si aspettasse di ritrovarsi lo stomaco tra le mani.

E tu? Non abbiamo più parlato del tuo ragazzo.”

La voce gongolante di Vanitas gli riempì le orecchie all'improvviso.

Loro sapevano di Axel, ed io no.” si disse mentre camminava, uggiolando come un animale ferito “Mio fratello ha detto a Vanitas di Axel e a me no.” svoltò l'angolo, con le lacrime di dolore che gli riempivano già gli occhi “Perché loro lo sapevano e io no?”

Il rancore e l'odio cieco che provava verso suo fratello quasi gli occludevano la gola.

Perché io no!”

 

*

 

Sora dondolò i piedi nel vuoto. Giocò con i pollici, facendoli ruotare. Picchiettò i palmi delle mani a ritmo di chissà quale canzoncina. Piegò la testa da un lato e dall'altro. Fece schioccare le labbra producendo un fastidiosissimo suono.

- Insomma la vuoi finire?! - il ragazzino saltò in aria e quasi cadde dalla sedia per lo spavento - Sei rumoroso e fastidioso, sto lavorando per Dio! - Vexen lo additò come fosse il peggiore degli insetti e Sora si fece piccolo piccolo sulla sedia - Perché non te ne vai in classe? Ti ho dato il permesso, puoi andare! -

Il bruno gettò in fuori il labbro inferiore esibendosi in un'espressione così strappalacrime che anche il cuore di Vexen si sarebbe potuto sciogliere, se solo il ghiaccio che lo avvolgeva non fosse stato troppo spesso.

- Mi scusi...aspetto il mio amico e me ne vado, giuro. -

Borbottò il ragazzino, con gli occhi già lucidi.

Il medico alzò lo sguardo al cielo, per poi tornare a concentrarsi sulle sue carte.

Sora cercò di imporre al suo corpo di non muoversi, e di non esprimersi con rumori fastidiosi, ma fu più forte di lui, e ben presto ricominciò a far schioccare le labbra e battere i palmi delle mani.

Vexen si schiaffò una mano in faccia.

Se non fosse stato obbligato da ciò che gli aveva detto il Superiore avrebbe cacciato a calci nel sedere quel ragazzino rompiscatole.

Non voleva neanche lasciarlo da solo nell'altra stanza: benché fosse sopportabile a malapena preferiva averlo davanti agli occhi finché poteva.

Ma averlo nel suo studio metteva a dura prova la sua pazienza.

Stava quasi per apostrofarlo, con poca delicatezza, quando una testa bionda spuntò sulla soglia dell'ufficio.

- Buongiorno...di nuovo. -

Si presentò il ragazzino.

Sora saltò in piedi, scattando come una molla.

Tutto contento andò verso Ventus, con l'intenzione di abbracciarlo. Però qualcosa lo bloccò prima di riuscire ad aprire le braccia per compiere l'atto.

Confuso e spaventato dalla reazione fredda dal suo corpo, lasciò ricadere le braccia lungo il corpo.

Ventus non si era accorto di niente.

- Possiamo andare? -

- Lui poteva andare venti minuti fa, ma non l'ha fatto perché ti aspettava. Quindi adesso che sei arrivato, sì, potete andare. -

Commentò Vexen, sterile come un flacone di disinfettante appena aperto.

Ventus ignorò del tutto il suo modo freddo di esprimersi, e si volse verso Sora.

Il bruno capì per istinto che c'era qualcosa che lo turbava nel profondo, ma qualunque cosa fosse lui non riuscì a interpretarla.

- Ce ne andiamo? -

Chiese il bruno, con sorriso.

- Certo. -

Salutarono Vexen nel modo più educato che conoscevano e uscirono dall'infermeria.

Sora sperò vivamente di non metterci più piede.

 

Ventus lo scortò fino a che non fu davanti alla porta della sua classe, neanche fosse la sua guardia del corpo.

Benché avessero parlato del più e del meno, Sora aveva sentito chiaramente qualcosa di pesante occludere la gola di Ventus, qualcosa che gli impediva di dire quello che pensava veramente.

Il bruno esitò davanti alla porta della classe. Spostò il peso del corpo da un piede all'altro, mangiucchiandosi al contempo l'interno della guancia.

- Bhè? Non entri? -

Lo spronò Ventus con un sorriso posticcio che tutto era tranne che un sorriso.

- Non ne ho tanta voglia...non possiamo andarcene in giro per il resto della giornata? - lo guardo minaccioso e blu del biondo gli disse che non c'era nulla da mettere in discussione. Quindi decise di giocarsi la sua ultima carta. - Non mi sento ancora bene. -

Ventus non gliene fece una colpa, d'altronde la sua memoria fallata gli impediva di ricollegare quelle cinque parole a qualcosa di doloroso. Ma per lui fu come una coltellata dritta in mezzo al petto. Quasi si piegò in due per il dolore.

Con gli occhi cerulei di Sora piantati addosso e quelle cinque parole che ancora aleggiavano tutto intorno, Ventus si sentì il più verme tra i vermi.

La librata in testa arrivò a Sora in maniera inaspettata, proveniente dalle sue spalle.

Ventus non ebbe neanche il tempo di avvertirlo: tanto era stato veloce!

- “Il dolore è la strada ineludibile che bisogna percorrere per giungere alla conoscenza.” sai chi ha detto queste parole? -

Sora si resse la testa con entrambe le mani, mentre lacrimucce di dolore cominciavano a formarglisi agli angoli degli occhi.

- No signore, non lo so. -

Rispose.

Il Vicepreside si impettì, come fosse un oltraggio non saperlo.

- Eschilo. E adesso in classe. -

Con un movimento fluido Saïx aprì la porta della classe, e fece cenno a Sora con il libro che teneva nell'altro mano di entrare.

Il bruno fece una faccia infelice, tra le più infelici.

Salutò Ventus con un'occhiata triste e s'infilò in classe.

Saïx rimase qualche istante ancora sulla soglia, sondandolo da capo a piedi con lo sguardo giallo miele.

- Perché sei ancora lì? -

Lo riprese.

Il biondo scattò sull'attenti.

Non gli rivolse una sola parola mentre gli voltava le spalle e correva verso la sua classe.

Saïx lo osservò sparire dietro l'angolo, con una punta di compiacimento nel cuore.

 

*

 

Il suono della campanella che segnava la fine delle lezioni non era mai sembrato a Sora così delizioso: neanche fosse un'arpa suonata da un angelo del Paradiso.

Dopo essersi sorbito due lunghissime ore di storia con Saïx (visto che non bastava fare filosofia con lui, era anche giusto che fosse il loro insegnante di storia), aveva dovuto sopportare due ore di inglese, che erano state anche più dolorose di quelle di Saïx.

Non credeva che un vecchio barbuto avesse mai potuto essere così crudele...e solo perché aveva scambiato la parola “beach” con “bicht”! Che cerimonioso.

L'inglese rimaneva una lingua stupida: non era certo colpa sua se era facilmente fraintendibile.

Sora infilò a forza le sue cose nello zaino, ancora ingombro dei libri del giorno prima.

Per fortuna Vexen era stato così accorto da farglielo trovare in infermeria, evitandogli di dover salire fino in palestra.

Odiò con tutto se stesso l'astuccio che non voleva saperne di infilarsi al suo posto, e odiò anche il leggero ma pulsante mal di testa che stava cominciando a rmartellargli il cervello.

Che fossero i postumi della botta che aveva preso durante la partita?

Già, la partita.

Guardò tutto intorno i compagni che stavano mosciamente preparandosi per andare, e si chiese se qualcuno di loro avrebbe potuto raccontargli che cosa gli era successo, visto che non ricordava assolutamente nulla.

Si avvicinò a Kairi (anche se il buon senso gli disse di non farlo. Il buon senso aveva preso le fattezze di Riku...strano?), tutta intenta a dettare degli appunti a Yuffie che stava meticolosamente scrivendo su di un quadernino strappato.

- Ehi Kairi. - esordì, con poca eleganza. Yuffie gli rivolse un'occhiata fulminante mentre la rossa smetteva di leggere e spostava gli occhi su di lui. Per un attimo Sora si sentì invadere da una calda sensazione di piacere. Scosse la testa e lasciò perdere, prima di rischiare di farsi colare la bava dalla bocca e rimanere a fissarla come un ebete. - Ieri...ieri che è successo a ginnastica? -

La ragazza aggrottò le sopracciglia in un'espressione interrogativa.

- Che è successo a ginnastica? -

Ripeté, come se si aspettasse che fosse lui a dirglielo.

Sora umettò le labbra, piegando di lato la testa come un cane che non ha ben capito l'ordine del padrone.

- Sì...insomma...quando sono caduto...battuto la testa...l'incidente? -

Kairi aggrottò ancora di più le sopracciglia e si rivolse a Yuffie cercando chissà cosa nel suo sguardo.

- Che hai battuto la testa è certo, altrimenti non si spiegherebbe perché sei così strano, ma non è successo a ginnastica ieri. -

Contestò Yuffie, con una punta di divertimento nella voce.

Sora si grattò la guancia, distrattamente.

- Ah, no? -

- No. -

Risposero in coro le due ragazze, confondendogli maggiormente le idee.

- Ahm...ok...allora...vabbè, grazie lo stesso. -

Sora si ritirò. Se fosse stato un cane avrebbe tenuto la coda tra le gambe.

Tornò al banco, chiuse rapidamente la zip dello zaino e, dopo esserselo caricato in spalla, uscì dall'aula.

Ventus lo stava aspettando proprio fuori dalla porta.

Non appena lo vide tirò un sospiro di sollievo. Il bruno non ricambiò il suo saluto entusiasta, e subito se ne chiese il motivo.

- Brutta giornata? -

Sora scosse la testa e prese a camminare in silenzio.

Ventus si allarmò, e subito il cuore partì in quarta nel petto, battendo tanto forte da annullare i rumori del mondo intorno a lui per un lungo attimo.

Il bruno camminò inseguendo i suoi pensieri per un po', strascicando i piedi e lasciando che fosse il suo istinto a muoverlo.

Senza accorgersene si diresse alla stazione.

L'ultimo treno per Traverse Town era in partenza. Il successivo sarebbe stato nel pomeriggio.

Per qualche ragione Sora non aveva nessuna voglia di rimanere a scuola un attimo di più.

Ebbe l'impressione di esserci stato anche troppo negli ultimi due giorni.

Voleva rivedere sua madre, voleva arrabbiarsi con suo padre: perché diavolo aveva scelto di accettare quel lavoro così lontano da casa costringendolo ad andare in quella scuola orribile?

- Sora? Che è successo? -

La voce di Ventus, così preoccupata e piccola da stringere il cuore, costrinsero Sora fermarsi un attimo, l'attimo necessario perché il biondo si accorgesse che aveva negli occhi solo confusione, e una punta di disperazione.

- Vexen dice che ho battuto la testa durante l'ora di ginnastica. - e si toccò la testa per accertarsi che fosse ancora lì - E che è per questo che non mi ricordo niente. - lasciò ricadere la mano - Ma io non ho dolore. - non lì almeno - E Kairi e Yuffie mi hanno detto che non è successo niente a ginnastica. - alzò lo sguardo su Ventus che si sentì attraversare da una scossa elettrica - Che cosa mi è successo veramente? -

Ventus provò a mentire, o meglio, la sua mente provò a mentire. Il suo cervello vagliò attentamente tutte le informazioni che poteva o non poteva dare per cercare di metter su una storia che fosse quanto meno verosimile.

Però la sua lingua si rifiutò di collaborare, così finì col rimanere con la bocca semiaperta e lo sguardo perso nel vuoto.

- Ven... - lo chiamò Sora - ...c'è qualcosa che mi nascondi? -

- No. - stavolta la risposta arrivò prontamente, tanto che anche il biondo se ne stupì - Se Vexen ti ha detto così, vuol dire che è così. Magari le tue compagne non erano presenti in quel momento, ci hai pensato? -

Era stato così facile mentirgli adesso, così naturale che un sorriso gli nacque spontaneo sulle labbra.

Sora sembrò tranquillizzarsi. Tirò un sospiro di sollievo, rilassò le spalle.

- Sì, hai ragione...non ci avevo pensato! - riacquistò anche lui il sorriso, unendo il suo sincero a quello falso di Ventus. Lanciò uno sguardo al treno in partenza. - Che dici se torniamo a casa? Ho voglia di dormire nel mio letto. -

Ventus annuì, sempre con quel sorriso appiccicaticcio sul volto.

I due corsero verso il treno e ci saltarono sopra giusto un attimo prima che partisse.

 

Quando il treno si fermò in stazione, Sora sentì l'aria di casa riempirgli i polmoni. Quella sensazione familiare e confortante lo resero più tranquillo.

Sapere che la scuola, e chi la frequentava, erano ormai lontani lo faceva sentire decisamente meglio.

Con passo saltellante si diresse verso casa, seguito a ruota da Ventus.

Il biondo non riuscì a non sentirsi in colpa, neanche per un attimo.

Odiò se stesso per aver dovuto mentire all'amico, e odiò anche la situazione che gli imponeva il silenzio.

Non credeva più che l'ignoranza avrebbe reso Sora più felice.

Certo, forse avrebbe sofferto scoprendo la verità, ma ben presto sarebbe successo e allora non avrebbe perdonato nessuno per avergliela tenuta nascosta. A partire da Ventus.

Però adesso era così allegro, così tranquillo che al biondo non passava neanche per l'anticamera del cervello di dirgli la verità: avrebbe rotto quella magica bolla di felicità che lo avvolgeva, ed era ancora troppo presto.

Si chiese se sarebbe mai arrivato a vederlo pronto per accettare quello che era successo, ma il pensiero fu così fugace che se ne dimenticò poco dopo.

Sora corse verso la porta di casa e si attaccò al campanello urlando “Mamma! Papà!” a tutto spiano e a tutta voce.

Dopo il cinquantesimo tentativo, fu chiaro persino a Ventus che i suoi genitori non dovevano essere a casa.

Delusissimo, Sora recuperò le chiavi dal fondo del suo zaino e aprì la porta.

La casa era orribilmente buia.

Il bruno sentì montare le lacrime mentre la sua parte infantile faceva capolino.

Ieri non sono tornato a casa e adesso non si fanno neanche trovare?” pensò, già pronto a lagnarsi come un bambino.

Constatando che non c'era nemmeno un bigliettino in tutta casa (e Sora si accertò personalmente del fatto) il bruno arrivò alla conclusione che ai suoi genitori non importava molto se fosse vivo o morto, o se tornasse o meno a casa dopo scuola.

Imbronciandosi si lasciò cadere sul divano. Tirò su col naso per trattenere le lacrime mentre accendeva la tv.

Ventus si andò a sedere subito accanto a lui.

Gli poggiò una mano sulla spalla, cercando di confortarlo.

- Dai, magari stanno per arrivare. Non sono neanche le due! Dovranno pur tornare per pranzare, no? -

- No. - tirò un'altra volta su col naso - Pranzano sempre a lavoro, torneranno stasera di certo. -

- Uhm... - Ventus allontanò lo sguardo da quello pieno di lacrime di Sora - ...che dici se...prepariamo qualcosa per mangiare noi? In fondo non possiamo digiunare, no? -

- Ti piacciono le omelette? -

- Certo. -

Un debole sorriso si aprì sulle labbra rosse di Sora che, senza dire una parola, si alzò e quasi scappò in cucina.

Nel giro di un istante riempirono tutta la casa con il profumo dell'olio fritto e delle omelette che cucinavano.

Ne prepararono un bel po', al formaggio e al prosciutto, e poi andarono a mangiarle nel salotto, seduti ai piedi dei divano.

Finirono col guardare delle demenziali puntate di “Adventure Time” su Boing, ridendo come degli scemi con la bocca ancora piena.

Soddisfatto del pasto, Sora allontanò i piatti sporchi e si accasciò contro la spalla di Ventus, trovando che fosse comoda e accogliente.

Per un attimo desiderò che l'abbracciasse, poi si sentì fuori luogo e si ritirò di scatto, sussurrando un “scusa” con voce flebile.

Ventus arrossì appena sul collo.

- No, puoi. -

Gli disse goffamente.

Sora gongolò felice e tornò a poggiarsi sulla spalla di Ventus.

Per un po' rimasero così, il biondo che fingeva di sentirsi a suo agio mentre il cuore gli mandava dolorosi battiti contro il petto e Sora che cominciava ad assopirsi lentamente.

Il calore ritrovato della sua casa, l'affetto che vedeva spirare da Ventus come una leggera brezza mattutina, lo stomaco pieno e la sensazione che niente, niente al mondo avrebbe mai potuto nuocergli in quel momento, in quel luogo assopiva dolcemente i suoi sensi, andando a sgretolare la muraglia difensiva che aveva con fatica tenuto in piedi per tutto il giorno. A chi l'avesse guardato adesso, sarebbe apparso per quello che era, senza filtri e senza censure.

Ventus andò lentamente ad avvolgere la mano nella sua.

Sora si irrigidì per un attimo, e il biondo pensò di aver esagerato. Ma quando lui tornò a rilassarsi, aumentò la presa, quasi per accertarsi di essere sicuro di che lui fosse lì davvero e che non fosse frutto della sua immaginazione.

Sora si accoccolò di più contro la sua spalla, e ben presto Ventus si ritrovò ad avvolgerlo in un abbraccio che voleva essere confortante.

C'era nel bruno la sensazione incalzante di stare facendo qualcosa di male, di stare per scatenare un dolore senza nome che l'avrebbe lasciato boccheggiante e inerme.

Ma c'era anche la sensazione opposta, ossia quella che non ci fosse niente di più giusto in quel momento a parte il tocco caldo e gentile di Ventus, che lentamente gli sfiorava il viso, solleticandoglielo.

Sora alzò lo sguardo e si ritrovò a specchiarsi negli occhi blu di Ventus.

Si dissero qualcosa con quello sguardo, forse si scambiarono un tacito accordo: la promessa che nessuno di loro mai avrebbe parlato di quello che stava per succedere.

Il bruno strizzò gli occhi, tremando appena. Campanelli d'allarme suonarono nella sua mente mentre le labbra di Ventus sfioravano le sue.

Il contatto lo ustionò come un ferro ardente.

Piacere e dolore si sovrapposero d'un tratto, appannandogli i pensieri.

Vanitas.” pensò, prima che il suo cervello si spegnesse e l'istinto gli facesse spingere via con forza Ventus.

Urla, urla di disperazione scaturirono dalle sue labbra.
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The Corner

Ben trovati!
Purtroppo gli impegni universitari mi impediranno di continuare a pubblicare stabilmente,
non posso garantire un capitolo a settimana, ma ci metterò tutto il mio impegno!
a voi non resta che dare un'occhiata ogni tanto...
Spero di poter continuare a scrivere!
Chii

   
 
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