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Autore: Marra Superwholocked    14/11/2013    2 recensioni
Il Dottore non dimenticherà mai Anna.. Una compagna di viaggio totalmente fuori dagli schemi, così simile a lui.
"Si mise più comodo, accavallò una gamba per creare un supporto su cui scrivere e cominciò descrivendo la tempesta di quella notte."
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Doctor - 11, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Corri, Dottore


Quella notte faceva freddo e lui, addosso, non aveva che il suo solito giaccone lungo. La pioggia cadeva senza sosta e filtrava attraverso il tessuto rosso fuoco delle sue scarpe che facevano uno strano rumore a contatto con la sabbia.
Il signor Mare era molto arrabbiato, poiché una delle sue Figlie aveva rifiutato la sua natura.
Il Dottore camminava lentamente, con gli occhi ridotti a piccole fessure e i capelli che non avevano voglia di contrastare il volere del vento. Pensava a Rose: quella maledetta spiaggia gli ricordava la baia di Bad Wolf.
A venti metri da lui, un fagotto ricoperto da alghe e sabbia giaceva inerte, ma lui non se ne accorse subito.
Si avvicinò sempre di più pensando sempre a quell'universo parallelo; qualcosa si mosse ed emise un gemito. Il Dottore le stava passando proprio accanto quando una mano gli afferrò la caviglia; lui si fermò di scatto, interrompendo i suoi pensieri, e si guardò il piede: era buio ma poté immediatamente notare che quella non era certo una mano come tutti la immaginano. Non era sicuro delle sue supposizioni, ma il suo istinto gli disse che doveva aiutare quella creatura e che, chiunque fosse stata, gli avrebbe regalato un'esperienza unica.
Si chinò facendo in modo che il suo amato cappotto non venisse a contatto con la sabbia bagnata; toccò la mano gelida e marmorea di quella creatura: al tatto era porosa come la roccia, perlacea e ricca di escrescenze.
Il mare sembrò calmarsi; le onde, ora, si infrangevano più silenziose sul molo, a poca distanza dal Dottore e da quella creatura simile e, allo stesso tempo, diversa dagli umani.
Cercò di rincuorarla, accarezzandole la mano che, pian piano, allentava la presa. Si sentì un altro gemito e la creatura cercò di alzare la testa, ma era troppo affaticata e ricadde nuovamente nel groviglio di alghe.
Nel cielo si aprì uno squarcio da cui penetrò la luce della luna e, grazie ad essa, il Dottore poté scorgere quelle che a lui sembrarono essere le sembianze...di una sirena. Ora capiva perché era così debole: doveva riportarla al più presto in mare.
Con la stretta attorno la caviglia che si attenuava sempre di più, riuscì ad allontanare la mano della sirena e a spostarsi a lato della medesima: in questo modo, era più semplice togliere le alghe. Una volta liberata da quell'intrico verdognolo e appiccicoso, poté alzarla da terra mettendole un braccio dietro il collo e uno sotto le ginocchia esili ed ossute.
La testa di li lei ciondolava ad ogni passo del Dottore, diretto verso il mare; erano sempre più vicini...
Lei, che aveva scelto di avvicinarsi ai suoi fratelli umani anziché continuare ad essere una leggenda creduta ormai solo dai bambini, sentì l'odore familiare dell'acqua marina: spalancò gli occhi e si dimenò con tutta la forza che aveva in corpo.
Il Dottore barcollò, preso alla sprovvista, e arrestò il passo con il suo solito sguardo a forma di punto interrogativo. “No, no, no!” continuava a ripetere, terrorizzata, la sirena. “Non un'altra volta, ti prego!” concluse, poi, avvinghiandosi a lui come un koala su una pianta di eucalipto.
Lui, certamente, si sentì a disagio: se ne stava solo, su una spiaggia del tutto vuota, con la Creatura del mare più bella a cui Dio abbia mai pensato.. E per di più, era nuda.
Lei nascose il viso nel giaccone del Dottore che, lentamente, rimettendola a terra e assicuratosi che potesse stare in equilibrio da sola, se lo tolse di dosso. Moriva di freddo, aveva i brividi, ma non gli importava: probabilmente, i suoi simili l'avevano esiliata e lui sapeva come ci si potesse sentire. La coprì con un gesto paterno e, nell'attimo in cui lei alzò lo sguardo da terra per sorridergli, il Dottore fece caso alla sua testa – sembrava essere interamente ricoperta da coralli e conchiglie, più o meno sporgenti, mentre su entrambi i lati del collo si aprivano tre tagli che non smettevano di muoversi – per poi portarla all'interno del Tardis, parcheggiato a pochi metri da loro.
“Grazie” disse l'oramai ex sirena, con i tagli delle branchie ben chiusi ma ancora visibili, come cicatrici: segni evidenti di un passato che non si può cancellare. “Ma chi sei?”.
Il Dottore non si stancava mai di sentirsi ripetere quella domanda: lo esaltava vedere la confusione negli occhi dei suoi interlocutori.


“Già! Chi sei esattamente?” lo interruppe Esme, guardandolo di traverso.
Man mano che scriveva, il Dottore raccontava per filo e per segno tutta la storia ed Esme pendeva dalle sue labbra. Ma quando aveva riportato la domanda della sirena, Esme si ricordò di quello che le aveva confidato la sua amica Jenna proprio qualche settimana prima...
Ti prego Esme, non dirlo a nessuno.. Credo che mia nonna non sia impazzita come tutti dicono. È troppo convinta di quel che dice e dipinge. Mi racconta ogni sera un dettaglio in più e, mentre dimentica sempre quand'è il suo compleanno, ricorda tutti i viaggi che ha fatto!” le aveva detto Jenna.
Allora perché non andiamo a cercare quell'uomo?”
E come facciamo? Andiamo in giro per tutta Londra in cerca di un uomo col cappotto che si fa chiamare Dottore?”
Esme lo guardò fisso fisso negli occhi: sembrava non sbattere nemmeno le palpebre da quanto era concentrata. “Jenna mi ha parlato..” cominciò a dire, ma lui, sfortunatamente, la interruppe.
“La proprietaria di questa..bellissima..penna?” le chiese guardando il gattino.
In quel preciso istante, una donna sull'ottantina con i capelli di un rosso fuoco sbiadito dal tempo e tenuti legati in una rigida coda di cavallo, sfrecciò davanti a loro senza far caso al Tardis.
Esme la notò e, senza dire una parola, si alzò dalla panchina dirigendosi verso la nonna di Jenna.
Il Dottore squadrò bene quella signora: i suoi capelli avevano un colore che gli era familiare. Ma qualcosa di più importante richiamò la sua attenzione: la carta psichica.. L'aprì e quella fece apparire un'unica parola:

 

R U N


Non molto per far sì che potesse comprendere appieno il tipo di pericolo a cui si stava esponendo, ma comunque sufficiente da convincerlo a darle retta.
Senza farsi notare né da Esme né dalla donna, chiuse il diario con all'interno la penna e si diresse verso il Tardis; aprì, sempre prestando attenzione a non far alcun rumore, le sue porte e ci si infilò dentro. In un millesimo di secondo era a capo della consolle, impegnato a maneggiare leve e pulsanti, per poi sparire nel nulla.
La donna chiese ad Esme conferma per il suo invito a cena con lei e la nipote Jenna; la bambina si girò verso la panchina ormai vuota e si morse la lingua per il suo senso di colpa: avrebbe dovuto chiamare subito la sua amica, come lei le aveva raccomandato..
“Allora, Esme? La tua mamma ha detto che puoi?” le chiese la donna.
Esme fece cenno di sì, distrattamente, mentre continuava a fissare la panchina. Richiamarono all'unisono la piccola Jenna, che saltò velocemente giù dall'altalena.
“Ciao, Jenna!” la salutò sua nonna.
“Ciao, nonna. Ciao, Esmy” rispose una bambina di nove anni con lunghi boccoli rosso fuoco.
Chiunque avesse visto insieme Jenna, la madre e la nonna, avrebbe riconosciuto senza alcuna difficoltà le tre generazioni: Jenna aveva preso lo stesso colore della nonna e i suoi capelli avevano un'aria ancor più ribelle grazie alle molle prese dalla madre.
“Andiamo?” la donna richiamò l'attenzione delle due bambine, che si erano messe a spettegolare sulle ultime novità di gossip.
Tutte e tre si incamminarono verso l'uscita del parco del lago: Jenna ed Esme davanti con la nonna che le seguiva a pochi passi di distanza.
“Esmy, la mia penna?” chiese sottovoce Jenna all'amica.
“Ehm, la tua penna?”. Esme guardò altrove cercando una scusa, ma non le riusciva di mentirle: “L'uomo con la cabina..” cominciò a spiegarsi.
“Che?!”. Jenna strabuzzò gli occhi.
Esme era preoccupata; non riusciva a leggerle il volto: aveva una strana espressione, un misto tra paura e gioia con un pizzico d'invidia. “L'uomo con la cabina era al parco.. Gli ho prestato la tua penna e poi..è semplicemente sparito! Però non aveva nessun cappotto lungo né cravatta, ma un bel farfallino e le bretelle.”
“Bretelle? Farfallino?”. Jenna continuava a camminare guardando per terra, senza capire; la nonna che la seguiva con lo sguardo per aria, verso l'universo: l'ultimo posto in cui era stata col Dottore.


Le porte del Tardis si aprirono in un tranquillo vigneto toscano circondato da brillanti campi di girasoli.
Tutt'intorno a lui regnava il silenzio, interrotto solamente da qualche ronzio e cicaleccio.
Gli si appollaiò sulla spalla sinistra uno scricciolo: lo guardò con la coda dell'occhio e quello, subito dopo, gli punzecchiò il lobo dell'orecchio.
Il Dottore fece qualche passo sul terriccio umido, col diario e la penna in mano, dirigendosi verso un albero con foglie a lamina palmata poco distante.
Prese lo scricciolo, lo mise su un ramoscello poco sopra la sua testa e si sedette ai piedi dell'albero, che aveva un'ombra tanto imponente da poter coprire due auto parcheggiate l'una accanto all'altra.
Si mise comodo e continuò a scrivere, mentre una parte del suo cervello continuava a pensare all'avvertimento ricevuto dalla carta psichica.

   
 
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