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Autore: Francine    15/11/2013    1 recensioni
Frammenti di vita quotidiana, sparsi nello spazio e nel tempo, all'ombra del Grande Tempio di Athena.
(Personaggi serie classica e Lost Canvas)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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#8 - Chi di spada ferisce
 
 
Prompt: Dolci
Titolo: Chi di spada ferisce
Autore: Francine
Fandom: Saint Seiya – Serie Classica
Personaggi: Capricorn Shura
Genere: Commedia
Rating: Verde
Avvertimenti:  AU. Perché nella testa di Kurumada le cose sono andate diversamente, ahinoi.
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine) 1753/3
Eventuali note dell’autore (o alla fine se contengono spoiler):  Ci sono dei riferimenti a Scripta Manent, ma non è necessaria la lettura di quella storia per la comprensione di questo racconto.
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La regola è: marmellata domani e marmellata ieri, ma mai marmellata oggi.
Lewis Carrol
 

BURRO, uova, zucchero, lievito, farina.
E una decina di vasetti di marmellata sul primo ripiano della credenza, allineati come tanti soldatini coraggiosi. Lupe sta facendo un dolce. Lupe sta facendo la sua crostata, quella che le invidiano tutte le altre massaie del paese. E Ruy, che è entrato dalla porta sul retro, quella della cucina, si avvicina alla spianatoia infarinata con un misto di gola e curiosità a solleticargli il palato.

Il burro è freddo, segno che Lupe deve essersi allontanata da poco, e che tornerà a breve. Altrimenti l’avrebbe rimesso in frigorifero, pensa Ruy, memore delle spiegazioni della donna su come si faccia la pastafrolla. Non c’è un libro di cucina da cui prendere spunto, perché Lupe è figlia di altri tempi, quando si custodivano con religiosa gelosia le proprie, di ricette – tramandate di madre in figlia per generazioni; e non rivelerebbe i propri segreti alle altre compaesane  neppure se minacciassero di tagliarle la lingua con delle cesoie arroventate. Nahia ha provato in mille maniere a farsi dare la ricetta delle sue patate arrosto, anche offrendosi di aiutarla a prepararle, ma Lupe è sempre stata irremovibile. E non è per fare un piacere a Nahia – «Su, ti prego, a te lo dirà cosa ci mette in quelle dannate patate!» - che Ruy è andato a trovare la perpetua di don Julio?
 
Perpetua che si sarà allontanata per andare a ritirare i panni stesi in terrazzo. Cinque minuti fa ha tuonato, un rombo che avrà fatto tremare i vetri delle finestre e costretto Lupe ad arrampicarsi per gli scalini di pietra fino all’ultimo piano per salvare dall’acquazzone in arrivo le lenzuola stese e quasi asciutte.
 
Sarà bene che mi sbrighi anche io, pensa Ruy leggendo la grafia incerta di Lupe sulle etichette dei vasetti. Rincasare con la pioggia non è piacevole, specie se e quando non si ha un ombrello e si vive a mezza dozzina di chilometri fuori dal paese, abbarbicati su un picco roccioso che anche le capre, i camosci e gli stambecchi evitano con cura, per non rompersi gli zoccoli e le corna.
E Javier potrebbe innervosirsi se si beccasse un raffreddore per aver indugiato troppo in paese. Perché lui non avrebbe dovuto avvicinarsi, al paese. Avrebbe dovuto starsene appeso su una roccia sopra un baratro dalle pareti scoscese e fare i suoi piegamenti mattutini – cinquecento – per irrobustire le gambe e la schiena. Ma Javier non c’è. Javier è dovuto andare a Barcellona per motivi che non si è degnato di discutere con lui, e gli ha lasciato i suoi esercizi da fare.
 
«Rientrerò nel dopopranzo.» Non c’è stato bisogno di aggiungere: «Vedi di non fare scherzi», perché quella frase è baluginata negli occhi del madrileno regalandogli un brivido lungo la schiena. Perché Javier non è uno di quei maestri che borbotta, borbotta, ma non agisce. Javier agisce. E basta. E la sua schiena ne sa qualcosa.
Solo che la libertà dai propri doveri ha un profumo irresistibile, e dopo duecentoquarantatré piegamenti sulle gambe, appeso a testa all’ingiù con il vento caldo di fine Maggio che gli asciugava il sudore, Ruy s’è scocciato. E ha deciso di andare a farsi un giro ad Orreaga.
Non è andato bighellonando per i prati, baloccandosi con i denti di leone o le farfalle, nossignore. È sceso in paese ed è entrato dritto dritto all’Emporio di Nahia. Per vedere se fossero arrivate le sigarette e le provviste che aveva richiesto Javier, non per mangiare una mela candita – e del cedro, tre caramelle all’anice, un lecca-lecca coloratissimo, quattro boeri e una stecca di liquirizia. «Ché è digestiva», gli ha detto dona Ana regalandogliela assieme ad un buffetto sulla guancia.
Ed è stato allora che Nahia è entrata sulla fascia, a gamba tesa, da dietro. Un intervento da espulsione immediata, e senza nemmeno passare per il via.

«Ruy… non è che chiederesti a Lupe che diamine ci mette in quelle sue patate al forno?»
 
Ora, Ruy lo sa qual è l’ingrediente segreto di Lupe. Lo sa perché una volta l’ha aiutata a pelare le patate e l’ha vista mettere qualcosa nella teglia, oltre all’aglio, al sale grosso, al rametto di rosmarino, alle bacche di ginepro e all’alloro. Il cerfoglio. E un pizzico di anice stellato.
«Ma che resti un segreto tra di noi, intesi?», gli ha detto la donna, sapendo che il ragazzino, che un giorno diventerà il Capricorno, avrebbe tenuto l’acqua in bocca. E così Ruy ha fatto. Solo che, uscendo dall’Emporio, si è diretto lo stesso da Lupe, pur sapendo che non le avrebbe chiesto la lista degli ingredienti della sua ricetta. Perché a Ruy non piace dire le bugie. Preferisce le mezze verità, adesso che è ancora un ragazzino di sette anni tutto pelle e ossa con le ginocchia sbucciate e i gomiti pieni di graffi; avrà tempo per meditare sul reale peso della verità quando sarà più grande e si farà chiamare Shura, e una bugia gli avvelenerà la vita.

Ma adesso Ruy non medita su queste faccende da grandi. Perché anche se è quasi capace di spaccare gli atomi e le rocce in due con un colpo di taglio della mano destra, è pur sempre un ragazzino di sette anni. Un ragazzino goloso. E i dolci di Lupe sono qualcosa che vincerebbe le riserve di sant’Antonio che digiuna nel deserto.
Lupe non c’è. Ma non tarderà a tornare. O avrebbe rimesso il burro in frigo, ché per fare una pastafrolla come Dio comanda il burro deve essere il più freddo possibile.
Quindi potrebbe anche andarsene e dire a Nahia che no, non ha trovato Lupe in casa e festa finita. Ma Ruy si guarda intorno nella cucina che odora di vaniglia. Si sta così bene, lì. Il cielo si sta annuvolando pericolosamente. La pioggia lo coglierebbe strada facendo. Tanto vale restare finché non spioverà e poi correre a casa, si dice aprendo la dispensa. Anche Javier tornerà più tardi, con la pioggia la corriera ci mette più tempo ad arrivare da Iruña.

Ruy ha fame. Mezzogiorno si avvicina pericolosamente, ma Ruy non vuole qualcosa di salato, nossignore. Vuole assaggiare una delle marmellate di Lupe. Così. Solo una cucchiaiata. Poi livellerà la confettura nel vasetto e non se ne accorgerà nessuno. In queste cose è bravo. Non rammenta quante ossa ci siano nel corpo umano – duecentosei –, il numero delle Costellazioni – ottantotto – e quali siano le Triplicità – Cardinale, Fisso e Mutevole –, ma a fregare la marmellata non lo batte nessuno.
Javier ancora se la ricorda la delusione nell’aver aperto quel barattolo di crema alle nocciole e averlo trovato vuoto. Eppure a vederlo da fuori sembrava intonso, ancora chiuso e sigillato. E invece qualcuno, qualcuno alto un metro e cinquantacinque, occhi grandi e secco come un chiodo, l’aveva aperto di notte e ne aveva prelevato una cucchiaiata alla volta stando ben attento a ricompattare il livello e a non intaccare lo strato adiacente al barattolo di vetro.
 
Vediamo un po’, si dice, mentre legge le etichette con l’acquolina in bocca. Pesche, mele cotogne, susine, pere… tamarindo. Quasi non ci crede. Nella dispensa, dietro a tutti gli altri vasetti, ce ne sono tre di marmellata al tamarindo. Tre. Allarga gli occhi dallo stupore. Ruy adora il tamarindo. D’estate ne berrebbe a litri di quello sciroppo per alleviare la sete, e non solo. La tentazione è troppo forte. Solo una cucchiaiata. Solo una, pensa armandosi di cucchiaino e aprendo il vasetto.
 
Il CLACK del coperchio esplode nel silenzio della cucina, fulminandolo sul posto. Ruy si gira, convinto di trovare Lupe, o peggio ancora don Julio, alle sue spalle. E invece non c’è nessuno. Il suo cervellino non processa quest’informazione come strana, bizzarra, curiosa. La vede come un segnale di via libera, e allora alza il cucchiaino, sfiora la superficie della marmellata, ne raccoglie un po’ – poco poco poco – e se lo porta alle labbra.
 
Deliziosa.
 
La marmellata rotola sulla lingua, si spalma sul palato e scivola in gola. Lupe ha superato se stessa, stavolta. E sarebbe un peccato non fare onore alla sua cucina non prendendone un’altra cucchiaiata. Per far restare quel sapore in memoria, certo. E per capire se gli piaccia oppure no quel retrogusto acidulo che sente. Cos’è che ci ha messo dentro? Scorza di limone, oppure il solo infuso? Un’altra cucchiaiata che male fa? Una sola, e poi ricompatterà il composto e chiuderà il barattolo. Non se ne accorgerà nessuno, pensa affondando il cucchiaino ancora una volta, ed ignorando che la grafia sull’etichetta non è quella di Lupe, e nemmeno quella di sua sorella Noelia, l’unica a darle del filo da torcere in fatto di cucina, ma è quella del farmacista.
Questo è il paradiso, pensa affondando il cucchiaino ancora una, due, tre, troppe volte, fino a spazzolarsi tutta la marmellata.
 
 
Un barattolo dopo, Ruy è all’inferno.
La sua pancia sta ospitando la corsa dei tori di San Firmìn e nessuno s’è preso la briga di avvisarlo della cosa. Lupe lo ha trovato sul pavimento della cucina piegato su se stesso dai crampi, il barattolo della marmellata pulito e brillante al suo fianco. Come nuovo.
Metterlo a letto e dargli una borsa dell’acqua calda è stata una cosa sola, anche se Ruy vorrebbe poter piantare una tenda in bagno. Gli dispiace essere entrato di soppiatto ed aver spazzolato tutta la marmellata, ma non è riuscito a fermarsi. Cucchiaiata dopo cucchiaiata ha vuotato per intero il vasetto, infilandoci le dita quando il cucchiaino non è stato più adeguato al lavoro di pulizia. Ed è mentre Ruy si trova a letto a contorcersi dai crampi e a pensare che no, non lo farà mai più, campasse cent’anni ancora, che Lupe chiama Javier.
«Dov’è quel disgraziato?», chiede il madrileno. Ha capito che deve essere successo qualcosa, visto che è rincasato da quasi un’ora e del suo allievo nessuna traccia.
«L’ho messo a letto. Poverino…», e Lupe gli racconta, costernata e contrita, di come Ruy abbia ripulito un intero vasetto di marmellata al tamarindo. Marmellata lassativa, preparata da don Antoni, che Lupe non riesce a capire come sia finita nella sua dispensa. «Tre vasetti, poi, non uno. Tre. Oh, Javier, sono così dispiaciuta…»
Io no, pensa Javier. Perché quei vasetti li ha richiesti lui al farmacista. E sono state le sue mani a metterli nella dispensa di Lupe, questa stessa mattina, mentre don Julio diceva messa e la sua perpetua stendeva i panni in terrazzo.
Javier prende una sedia e ascolta il racconto della donna e le sue scuse. Accarezzando un vasetto di crema alle nocciole, intonso. Tutto per lui. Chi di spada ferisce, di spada perisce.
   
 
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