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Autore: Koa__    15/11/2013    1 recensioni
Sono passati tre anni dal finto suicidio di Sherlock e da che Gregory Lestrade è stato portato a Pendleton House ed ha scoperto la verità. Tre anni durante i quali ha deciso d'allontanarsi da Londra e da John Watson. Appena fa ritorno della capitale inglese, però, Greg riceve una chiamata dal dottore, proprio prima che lui e Mycroft partano per la luna di miele. A Parigi, mentre sono immersi nell'idillio dell'amore, fanno un incontro che sarà sorprendente.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Mystrade, d'amore e d'altre sciocchezze...'
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Quinta parte
 

 
Se due persone si amano, ma capiscono che non possono stare insieme,
quand’è che arrivano al punto di dire basta?
Mai.
(The Mexican)

 
 

Inaspettatamente, e con un tempismo da fare invidia, Mycroft Holmes era rientrato quel venerdì sera ed era rimasto a dir poco sorpreso nel trovare suo fratello ed il dottore, abbracciati sulla soglia dell’appartamento. Greg lo aveva intravisto mentre si guardava attorno con fare vagamente spaesato, anche se non l’avrebbe mai ammesso, e dalla cucina gli aveva fatto cenno di raggiungerlo. A segno da parte dello yarder di fare silenzio per non disturbarli, l’altro aveva risposto con uno sbuffo stizzito mentre posava l’ombrello nell’apposito vano accanto alla porta.

«Stanno così da quasi un quarto d’ora» aveva spiegato Lestrade poco dopo, ripiegando lo strofinaccio prima d’appoggiarlo allo schienale della sedia.
«Hai dato da bere al dottore il mio Dong Bai? [1] domandò. Lestrade sorrise, delle volte Mycroft pareva un cane da tartufo! Di sicuro non era umano… Quell’olfatto era incredibilmente sensibile e ora ne aveva l’ennesima conferma. Aveva già lavato le tazze e gettato i filtri, addirittura aveva pulito e riposto la teiera. Eppure aveva intercettato ugualmente l’aroma particolare di quel suo tè verde.
«Era necessario che si rilassasse» spiegò, giustificandosi. Sapeva che non si sarebbe mai arrabbiato, Mycroft era semplicemente geloso di tutte quelle che erano le sue cose. Una caratteristica di famiglia, a quanto aveva capito conoscendo meglio suo cognato Sherlock. Ovviamente tra quelle che considerava come “le sue cose” c’era anche Lestrade, la sua possessività pareva velata ed appena accennata, ma esisteva ed era anche piuttosto profonda. Anche se quello non era il momento più adatto per pensarci, si ritrovò a sorridere.
«Potevi ottenere lo stesso effetto con una birra; perché dargli il più raro e pregiato tè cinese che esista al mondo?»
«Andiamo, My, smettila di questionare per delle sciocchezze.»
«Non definirei il mio Dong Bai, una sciocchezza» lo rimproverò Holmes.
«Vuoi davvero metterti a litigare per un mucchietto di foglie secche, quando di là ci sono tuo fratello e il suo dottore avvinghiati?»
«Mh» mormorò lui, sfilandosi la giacca e gettandola sul tavolo in malo modo. Lestrade lo guardò, quel suo gesto lo aveva sorpreso non poco. Da che vivevano insieme non era mai stato tanto disordinato, la sola idea che l’ombrello non si trovasse al suo posto e che impermeabile e giacca non fossero perfettamente ripiegati, così come tutti i suoi abiti, lo faceva innervosire. Anche in questo era tremendamente inglese, il che era ridicolo perché spesso Lestrade si sentiva come se provenisse da un altro pianeta. In che Inghilterra era cresciuto Greg? Forse non la stessa di suo marito.
«Che hai?» chiese quindi, preoccupato.
«Sono stanco; ti confesso che avrei desiderato trascorrere la serata in intimità con te, ma dato l’imprevisto temo che non potremo mettere in atto il piano che avevo ideato. A meno che tu non ti decida a buttarli fuori, ma so che sei curioso di sapere cosa si diranno una volta che la smetteranno di palpeggiarsi a vicenda.»
«Sì, è vero! Sono curioso…» ammise «sempre che non restino lì per tutta la sera. In quel caso sarei il primo a prenderli a calci. Dai, vieni andiamo di là, così ti rilassi.»

Sul divano si sedettero l’uno a fianco dell’altro, con le mani unite e le dita intrecciate. Il capo di Greg rivolto all’indietro, appoggiato ai cuscini morbidi, e gli occhi chiusi a bearsi della presenza reciproca senza nemmeno guardarsi in faccia: non era necessario vedersi, a loro bastava il sentirsi. Lestrade sussultò impercettibilmente dopo che il naso di Mycroft aveva preso ad accarezzargli il collo, annusandone l’odore, inalandone i profumi speziati. Si guardarono per qualche istante, prima di baciarsi. Un tocco leggero e fugace, un bacio dolce e delicato, come se fosse lo sfociare di un bisogno fisico, ormai diventato impellente e che la distanza di quei giorni non aveva fatto altro che accentuare. Poi però, delle voci provenienti dall’atrio li interruppero. Si allontanarono, acutizzando l’udito e prendendo a spiare.

Già perché per un momento si erano scordati che nell’altra stanza, Sherlock e John stavano decidendo delle rispettive vite.


 
oOo



«Sai che questo abbraccio non cambia niente, vero Sherlock?» Era stata la voce di Watson a rompere il silenzio di quell’atrio che, seppur spazioso, era pur sempre l’uscio di un appartamento. Ma ad entrambi parve non importare di dove si trovassero, probabilmente avrebbero avuto la medesima conversazione anche in strada, senza tralasciare nulla, abbracci ed eventuali baci compresi.
«Lo so» rispose la voce di un mesto Sherlock Holmes. Di certo era strano sentirlo così, ma la rabbia e delusione di John dovevano averlo scosso più di quanto fosse mai accaduto in passato.
«E allora saprai anche che non smetterò mai di amar…»
«Aspetta» lo interruppe il consulente investigativo. «Prima che tu mi dica qualunque cosa, devi sapere che ho pensato a lungo a te in questi tre anni. So che potrei cercare di rabbonirti e dirti che ho sofferto la solitudine, che mi sei mancato e che ho vissuto in luoghi angusti, ma non lo farò. Ti dico solo che ho riflettuto a lungo. Se c’è una cosa che non mi è mancata è stato proprio il tempo; ho pensato tanto a me e a te, insieme. Non facevo che rimuginarci; mi rintanavo nel mio palazzo mentale e rivivevo i singoli momenti passati insieme, come in un film. Di tanto in tanto mi domandavo perché stessi facendo tutto quello, io volevo solo tornare a casa, da te. Ma era soltanto per un attimo, poi riprendevo il controllo perché sapevo d’avere un motivo più che valido per agire così. Sai, il mio raziocinio ha vacillato più di una volta in questi tre anni, anche se mi vergogno ad ammetterlo. Lo so che sei pieno di domande e che sei arrabbiato con me. Sono ben conscio del fatto che il tuo perdono non è scontato come speravo, ma prima che tu mi dica tutto, voglio che tu lo sappia.»

«Sapere, cosa?» domandò Watson.

«Che sei la sola persona per la quale io abbia mai provato qualcosa, degli altri me ne sono sempre fregato, ma tu... Io non so quale accezione vorrai dare al sentimento che ci lega, che parola utilizzerai e se vorrai definirmi come un amico o, beh, lo sai. E forse dovrei dirti  mi andrà bene qualunque decisione prenderai e che, se anche sposerai quella Mary, per me non cambierà nulla. Dovrei dirtelo, ma la realtà è che ti voglio con me. Sono egoista e possessivo. Solo quando sono stato lontano, ho capito che sono sempre stato geloso di te. E adesso insultami e dimmi che sono un bambino viziato e capriccioso, di’ ciò che ti pare: hai ragione. Ma ti voglio al mio fianco d’ora in avanti perché si tratta di noi due contro il resto del mondo. Questo è ciò che voglio, John.» [2]

«Come hai fatto ad imbrogliarmi?» domandò il dottore immediatamente, quasi senza dargli il tempo di finire di parlare. Come se quella domanda gli fosse rimasta sulla punta della lingua a lungo e solo in quel momento trovava la possibilità d’uscir fuori.
«Il cadavere che hai trovato a terra non era il mio, ovviamente.»
«Certo che eri tu, Sherlock.»
«No, non lo ero. Conosco i tuoi difetti, John: tu guardi, ma non osservi.»
«Già, ma tu ti sei buttato, Sherlock: io ti ho visto» precisò John.
«Era un trucco ed era tutto organizzato, Mycroft mi ha aiutato a farlo. Prima di andare su quel tetto sono andato da lui e gli ho rivelato il mio piano; sapevo che avrei dovuto farlo. Il pullman ha fatto da paravento, infatti il tutto è accaduto in pochi istanti. Dopo hanno sistemato il cadavere e tu hai creduto fossi io. Una volta via da Londra sono andato da mia madre e poi a Malta dove ho vissuto.»
«Perché, perché hai voluto inscenare tutto questo?»
«Per te» rispose Sherlock di getto «sempre e solo per te. Perché anche se Moriarty era morto, la sua organizzazione era tutt’altro che distrutta. E un suo uomo aveva il fucile puntato su di te, quel giorno, ed era pronto a fare fuoco, so che l’avrebbe fatto. Tu saresti morto e sarebbe stata solo colpa mia. Sebastian Moran era il suo nome, un ex colonnello dell’esercito, un tiratore scelto, un killer. Se io non mi fossi gettato, lui ti avrebbe ucciso. Ho vagliato tutte le ipotesi e, credimi, non c’era altra soluzione. Ero addirittura stato accusato d’essere un impostore, non ne sarei uscito pulito e tu saresti stato coinvolto nello scandalo del detective che uccide le sue vittime e poi indaga, incolpando poveri disgraziati innocenti. Così facendo, tu eri in salvo e pulito. Mycroft ha fatto in modo che la stampa non ti stesse addosso e Lestrade che la polizia non indagasse su di te. Ne eri fuori.»
«Già, capisco perché tu abbia finto la tua morte in quel momento, ma dopo perché non me l’hai detto dopo? Io sono stato al tuo funerale, ho pianto sulla tua tomba e ti ho seppellito. Sono stato dallo psicologo per superare la tua morte, ho preso un cane, ho una fidanzata…»
«Lo so, John. Mi dispiace che tu abbia sofferto tanto, ma non avevo altra scelta.»
«No, tu hai deciso per me ed è questo che non accetto!» gridò John. «Non riesco a perdonarti perché mi hai lasciato, brutto stronzo egoista che non sei altro. Eravamo compagni e i compagni si aiutano a vicenda, non voglio la tua protezione voglio il tuo rispetto. Voglio starti accanto sempre e comunque.»
«Quindi è questa la tua decisione?» chiese Sherlock. «Starmi accanto?»
«Sì, voglio dire no! Insomma, non lo so. Sono incazzato da morire in questo momento.»
«Questo l’ho capito.»
«Dovrai essere paziente, non potrai pretendere che io torni da te a un tuo schiocco di dita, non puoi pensare che ti segua come facevo una volta o che torni subito a Baker Street. Il perdono richiede tempo, così come il ricostruire un rapporto.»
«Lascerai tua fidanzata?»

Per lunghi minuti, Greg non aveva udito altre parole. La domanda di Sherlock era riecheggiata nell’atrio; Greg aveva sentito John camminare ed il suo bastone picchiettare ripetutamente a terra, probabilmente per il nervosismo.

«Io ti odio.» Così il dottore aveva rotto il silenzio, Lestrade non poteva averlo visto, ma Sherlock era sussultato dopo esser stato pervaso da un tremito leggero. «Ti odio talmente profondamente, che non ho dubbi sul fatto che il tutto nasca dall’amore che nutro per te. Lo so, non ha alcun senso, ma da qualche parte ho letto che si odia veramente solo chi si è amati in maniera totale, e Dio solo sa quanto questo sia vero. E io ti ho amato, Sherlock, non sai nemmeno quanto. Quando andammo a Baskerville stavo per dirtelo, ma poi litigammo e mi sentii poco meno che un tuo amico; non avrei potuto sperare in qualcosa di più. Perché tu eri tu, non potevo cambiarti e una parte di me non lo voleva nemmeno. Poco prima che scoppiasse il casino con Moriarty mi ero quasi convinto a dirtelo, poi però… Non hai nemmeno idea di quanto abbia sofferto, almeno fino a che non ho incontrato Mary. Lei è stata davvero importante e la amo, qualsiasi cosa potrà mai capitarmi in futuro, questo non potrò mai cambiarlo.»

«Capisco.»

«No, non è vero che capisci» disse, serio. «Sherlock, la vita con te è sempre stata impossibile, quel giorno in cui ci incontrammo tu mi dicesti che l’abitare sotto il tuo stesso tetto non sarebbe stato semplice, ma non credevo che potessi raggiungere certi livelli di follia. Sei insopportabile e questa tua dannata sociopatia che ti spinge a manipolare il prossimo sempre e comunque, è la cosa che detesto di più del tuo modo di fare. Alle volte mi dicevo che non avevo idea di come io facessi a sopportarti! C’erano giorni in cui ti detestavo talmente, che ti avrei strangolato con le mie stesse mani. Tuttavia, Sherlock, io non mi sono mai sentito tanto felice in vita mia. La vita con te è quanto di più bello mi sia capitato da che sono nato. [3] Pertanto se mi chiedi se ho intenzione di lasciare Mary, la mia risposta è sì. E se mi domandi se voglio stare con te, la risposta è sì. Ti odio, Sherlock, mi hai ferito e fatto del male… Ma proprio perché ho sofferto così intensamente, adesso che ti ho qui, vivo davanti a me non posso rinunciare ad averti indietro. Voglio però una cosa, anzi, penso di poterla pretendere. Chiarezza. Se è solo la mia amicizia ciò che vuoi, dillo immediatamente e da me avrai soltanto questo.»

Inaspettatamente a quanto Greg avesse pensato, la risposta di suo cognato non si fece attendere. Se pensava a quanto ne avevano parlato, per quanto tempo avevano discusso riguardo Sherlock Holmes e la sua capacità di amare, ora non poteva credere che erano giunti al capolinea. Diede una rapida occhiata a Mycroft, lui se ne stava ancora avvinghiato al suo braccio, con il viso affossato nel suo collo. Respirava lentamente e di tanto in tanto gli regalava qualche bacio, ma sapeva che quel che stava facendo realmente era ascoltare.

«Amicizia, amore… Mycroft tempo fa mi disse che avrei dovuto iniziare a pensare in questi termini, anche se ritengo assurdo il dover dare una definizione ad un sentimento. Non sai quanto mi scoccia ammetterlo, ma ritengo avesse ragione. Trovo che sia la cosa più assurda e idiota di questo mondo, però non mi resta che sottostarvi perché mi rendo conto che è necessario. Se amore significa che tornerai a vivere con me, che mi sopporterai, che ti lascerai abbracciare o fare tutte quelle altre cose che sembrano essere necessarie in una coppia, allora sì, John, è questo che voglio. Se per te amore significa che non c’è altra persona con cui io vorrei stare, allora sì.»

«Questo vuol dire che mi ami?»
«Non fare domande ovvie, John, ti prego.»
«Sì o no?» ribadì Watson, deciso a non desistere.
«Sì.»



 
oOo


 
Ciò che successe dopo, per il detective Lestrade, non fu poi tanto arduo da capire. Nonostante avesse voglia di guardare, attraverso la porta spalancata, tutto ciò che fece fu voltarsi verso Mycroft.
«Mio fratello dice cose illogiche, non poteva dirgli subito che lo amava? E ora si devono pure baciare in casa mia!» borbottò.
«E allora?» domandò Greg, senza capire.
«Si stanno baciando» ripeté.
«Non lo so, My, tutti gli Holmes che ho baciato fino ad ora sembrano esserci piuttosto portati. Lascia che anche il dottore se ne renda conto… Di contro c’è che, se Sherlock ti somiglia anche in questo, allora temo ci vorrà ben altro per staccarlo da John.»
«Hanno un casa, che tra l’altro io ho pagato per anni. Potrebbero andarci e lasciarci finalmente soli.»
«Disse l’uomo che fa seguire i suoi parenti da quelli dell’MI5.»
«Non mi diventare sarcastico, Gregory, non ti si addice.»

Fu lo squillo del cellulare di Lestrade ad interrompere quella surreale situazione. Greg si lasciò andare sul divano, scuotendo il capo. Sullo schermo del telefono campeggiava un solo messaggio, da parte dell’agente Donovan che recava un indirizzo e una scritta: omicidio.

«Mi dispiace» mormorò, baciandolo velocemente sulle labbra. «Domani sei a casa?»
«Starò al Diogene’s club tutto il giorno, gradirei che per pranzo tu mi raggiungessi. Per passare un po’ di tempo insieme» precisò infine.
«Farò il possibile!»

Quando Lestrade oltrepassò la porta che dava sull’atrio, John e Sherlock erano ancora avvinghiati l’uno all’altro. Quasi gli dispiaceva interromperli, ma come si era alzato dal divano un’idea, anche se non molto felice, gli era balenata in mente.

«Ho un omicidio» aveva detto ad alta voce, richiamando in quel modo l’attenzione del consulente investigativo. Sherlock si scostò immediatamente, portando lo sguardo su di lui.
«Come? Dove?»
«Ne so quanto te, ma ci sto andando proprio ora. Nel cuore della City, allora: ti va di scoprirlo?»

Non furono necessarie risposte, Sherlock corse fuori dall’appartamento non prima d’aver preso la mano di John ed esserselo trascinato dietro con tanto di bastone al seguito. Greg sorrise quando udì la sua voce gridare, dalle scale: «muoviti, Lestrade.»
 
Di sicuro quei due avevano ancora molta strada da fare, ma si poteva affermare con assoluta certezza che le cose si stavano aggiustando per il meglio. Forse ci sarebbe voluto del tempo, e niente sarebbe stato più come prima. Perché nessuno di loro era rimasto uguale a sé stesso in quegli ultimi anni; Greg era cambiato, Mycroft era cambiato e lo erano anche John e Sherlock. No, le cose non sarebbero state mai più come prima, ma non era da ritenersi necessariamente un male. Perché, probabilmente, sarebbero state migliori.



Fine

 

[1] Dong Yang Dong Bai: è un tè verde cinese particolarmente prezioso per il suo aroma. Non è facile trovarlo sul mercato europeo e viene prodotto esclusivamente sulle montagne dello Zhejiang (Cina). I sottili aghi di questo tè donano un infuso asciutto e memorabile dalle sfumature leggermente speziate. Viene considerata una rarità dagli intenditori.
[2] “Just the two of us against the rest of the world”: potevo non metterla? Naaah! 
[3] Questo concetto è ispirato alla puntata 5x04 di Dottor House. Dove Wilson (che ha allontanato House) gli dice che decide di rivolerlo nella sua vita perché il viaggio che hanno fatto in auto per andare al funerale del padre di House, è stata la cosa più bella che gli sia capitata da dopo la morte di Amber (la fidanzata di Wilson morta qualche episodio prima). Ovviamente significa che, anche se non lo sopporta, anche se lo ha allontanato perché è impossibile starci vicino, alla fine torna ad essere suo amico perché con lui è felice. 
   
 
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