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Autore: Kiki87    15/11/2013    4 recensioni
Ognuna di loro era una principessa e sapeva che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza grande da considerarsi una di loro. Ma un giorno, le ripeteva la stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e, finalmente, avrebbe compreso tutto.
Da sempre amante delle favole, Brittany deve affrontare una nuova realtà ben diversa da quella conosciuta e rassicurante. Con le presenze rassicuranti della madre e di Lord Tubbington, incontrerà nuove persone e inizierà una nuova vita. Sarà duro il cammino per sentirsi come le sue principesse preferite? Troverà, infine, quel principe di cui sognava da bambina?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Hunter Clarington, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 5
"Che bellissima fioritura abbiamo quest'anno. Ma guarda: quello è in ritardo.
Scommetto che quando sboccerà, diventerà il fiore più bello di tutti".
[Dialogo tra Fa Zhou e Mulan, dal cartone di Walt Disney, “Mulan”]


Capitolo 5.


La settimana non era cominciata nel migliore dei modi: se già normalmente Kitty era severa e particolarmente dura nei suoi confronti, il ballo non le aveva giovato l'umore e tanto meno aveva migliorato il loro già teso rapporto. Al contrario, avrebbe potuto giurare che il suo odio avesse raggiunto un livello del tutto nuovo. Poco contava che avesse ormai acquisito abbastanza dimestichezza dal riuscire a compiere un percorso senza particolari intoppi e che stesse anche imparando ad eludere la sua paura del vuoto; Kitty si ingegnava sempre nel trovare nuovi stratagemmi con i quali metterla in difficoltà o assegnarle giri di campo supplementari, persino quando riusciva a scampare una punizione (anche il non finire il rancio era divenuto “una mancanza di rispetto per la divisa”). Se la vita in Accademia comportava un regime impegnativo, le angherie di Kitty non facevano che rendere tutto persino più gravoso, ma cercava di trarne ulteriore stimolo per migliorarsi, temprare il corpo e la mente e non ascoltare il suggerimento di Lauren circa la possibilità di “infilarle la testa nel tritarifiuti”, oppure “investirla con un carro armato una dozzina di volte ed assicurarsi sia morta”. Un altro motivo d’intensa frustrazione era il non essere ancora riuscita a varcare la soglia dell'aula di danza. E non soltanto perché non aveva ancora ben compreso dove fosse collocata (quei corridoi erano davvero troppo uguali gli uni agli altri, peggio del labirinto in cui si era imbattuta la sventurata Alice); ma spesso e volentieri, stringendo Lord Tubbington sotto le coperte, immaginava il momento in cui avrebbe potuto, finalmente, inserire una sua playlist nello stereo e poter ideare una nuova coreografia.

Aveva perso la nozione del tempo, Brittany, ma una fitta pioggerellina le faceva compagnia. Sentiva in lontananza la voce di Kitty, mentre si rivolgeva al suo plotone, intervallato ogni tanto da un fischio acuto. Di tanto in tanto, aveva lasciato vagare lo sguardo sulle compagne che si stavano cimentando in nuovo percorso. Aveva completato i suoi giri di campo, le mani sui fianchi e le guance arrossate, i ciuffi scompigliati che le sfuggivano dal berretto, mentre cercava di riprendere fiato. Si lasciò letteralmente cadere sulla distesa d'erba, gli occhi chiusi e respirò a pieni polmoni, cercando di ignorare l'indolenzimento delle gambe, la fitta acuta all'altezza della milza e persino il dolore lombare.
Sospirò e sorrise appena: sapeva che Kitty non le avrebbe fatte rientrare fino al suono della tromba e sperò che avvenisse il più tardi possibile. Persino le gocce d'acqua che le sfioravano il viso sembravano essere rigeneranti. Si lasciò sfuggire uno sbadiglio: la notte precedente aveva dovuto soccorrere Lord Tubbington che aveva cercato di uscire dalla camerata ed era apparso visibilmente agitato di fronte a quei vasti corridoi. Aveva scoperto che l'Accademia di notte era persino più inquietante, come il castello della Bestia, quando l'incantesimo ancora non era stato spezzato; aveva avuto persino lo stesso puerile timore di qualcuno che la scrutasse nel buio con la stessa rabbia.
Si scostò i capelli dal viso ed emise un vago mugugno.
“So che le camerate non sono esattamente delle suite d'albergo a cinque stelle, ma almeno non perdono acqua dal soffitto”, il tono era interdetto, ma sembrava esserci il sorriso nella voce, quasi stesse trovando quel suo gesto vagamente divertente.
Aveva schiuso gli occhi automaticamente, un lieve sobbalzo e un verso di sorpresa: in piedi, le braccia incrociate al petto, e perfettamente a suo agio sotto la pioggia, Hunter Clarington la stava fissando. Aveva il viso inclinato di un lato, l'angolo delle labbra sollevato verso l'alto e il sopracciglio inarcato: probabilmente aveva l'impressione che la ragazza avrebbe ardito ad una curiosa giustificazione che sembrava impaziente di ascoltare.
Malgrado la pioggia e l'essere ormai fradicia, aveva sentito un'ondata di calore attraversarle il corpo: aveva sgranato gli occhi, le labbra schiuse e aveva drizzato bruscamente la schiena. Il berretto le cadde dal capo e i capelli scivolarono in una cascata scarmigliata lungo la schiena. Non diede adito a volersi sollevare, ma inclinò il viso di un lato, le braccia a puntellarsi sull'erba. Si era morsicata il labbro in un'espressione di infantile preoccupazione. “Non dirlo a Kitty, ti prego”, pigolò.
Cercò goffamente di legare nuovamente i capelli: per qualche motivo, soprattutto alla luce del congedo della notte del ballo, si sentiva particolarmente a disagio a lasciarsi scorgere in quelle vesti così poco aggraziate. Non aveva detto lui stesso che avrebbe preferito non vederla conciata a quella maniera? Si sorprese, un vago rossore sulle guance, a riflettere su quel dettaglio, quando evidentemente la curiosità del ragazzo era indirizzata a ben altro.
Scosse appena il capo, Hunter, che gettò un'occhiata al campo in lontananza da cui le sagome delle compagne somigliavano a tante matite colorate di quell'unico e monotono colore. Tornò ad osservarla, l'espressione vagamente incuriosita. “E' per questo che sei qui? Un'altra punizione?”, le chiese soltanto.
Annuì, Brittany, e si alzò, cercò di indossare il berretto per poi inserirvi i ciuffi che sfuggivano dalla crocchia. “Stai punendo anche tu Fin- qualcuno?”, non avrebbe voluto nuovamente indispettirlo o offenderlo ma si era guardata curiosamente attorno, quasi aspettandosi di vedere il suo amico fare la sua comparsa, impegnato lui stesso in qualche esercizio di riscaldamento.
Schioccò la lingua contro il palato, Hunter, scuotendo il capo. “La tua fiducia nei miei confronti è davvero commovente”, aveva commentato soltanto. “Puoi aspettare nel bungalow il suono della tromba”, aveva indicato il caseificio con un cenno del mento. “Sto andando a controllare che il tuo amico abbia lucidato tutto come gli ho ordinato”. Le fece cenno di seguirlo e la ragazza obbedì, controllando ancora una volta che Kitty non stesse guardando in loro direzione: a volte aveva l'impressione che avesse una sorta di magico radar con cui individuava chiunque stesse per fare qualcosa che le fosse poco gradito. O forse lo aveva per scorgere Hunter. O magari per entrambe le cose, ragione che rendeva quell'improvvisata decisione persino più rischiosa.
Ne osservò le scapole e le rapide falcate e lo seguì: sarebbe rimasta all'asciutto fino allo squillo di tromba e poi si sarebbe nuovamente unita alle altre.
Continuava ad osservare la schiena del ragazzo: dopo quella sera del ballo, aveva avuto l'impressione di aver cominciato finalmente a conoscerlo meglio. Che magari da quel momento lui stesso sarebbe apparso diverso: non il Capitano severo ma il ragazzo che le aveva augurato la buonanotte e le aveva fatto quel complimento, quello che sembrava averla capita e che non l'avrebbe più giudicata soltanto una bambina. Non aveva ancora del tutto appianato la sua teoria circa il modo in cui le divise toglievano l'allegria e la spensieratezza ma rimuginò ancora qualche istante.
“Continui a sorridere poco”, aveva commentato a voce alta, quella che era sembrata la conclusione di un ragionamento più approfondito. Vi era una traccia di delusione e di preoccupazione nella sua voce.
Fu forse ciò a rendere la reazione del ragazzo così sorpresa. Si fermò bruscamente e Brittany, non essendosene accorta, cozzò contro la sua schiena. Gemette goffamente nel portarsi la mano sul naso e strofinarlo, le guance appena rosate perché, malgrado la pioggia, aveva nuovamente sentito il suo profumo (lo stesso che aveva inspirato durante il loro ballo e che aveva sentito persino nella sua camera, sotto il calore delle lenzuola).
Hunter si volse in sua direzione: la stava scrutando con la fronte leggermente contrattata, gli occhi sgranati e le labbra schiuse. Le serrò e scosse appena il capo. “Io sorrido”, aveva ribattuto come se fosse stata una cosa ovvia.
Aveva scosso il capo anche Brittany che stava anche dondolando le braccia quasi a dare risalto alle sue parole. “Non parlo del sorriso che fai per prendere in giro Finn, ma di un vero sorriso”, lo sottolineò con voce limpida, scrutandolo con il viso inclinato di un lato e lo sguardo azzurro acceso d’attenzione.
“Un vero sorriso”, ripeté Hunter, il tono pregno di quello che sembrava sconcerto, perplessità ma persino una punta di divertimento, a giudicare da come piegava il capo, quasi ad ascoltarla meglio.
Anche Brittany si fece pensierosa, le mani puntellate sui fianchi e le sopracciglia corrugate mentre cercava di formulare un ulteriore suggerimento, per poi illuminarsi con un sorriso giocoso. “Il modo in cui sorridi a Kitty, ad esempio”.
In realtà, alla menzione della ragazza, Hunter parve persino più spiazzato: sbatté le palpebre. “Perché Kitty?”, le chiese sconcertato.
La ragazza lo guardò ancora più incerta a quella domanda che sembrava di ovvia risposta, ma si strinse nelle spalle. “Lei sorride sempre, quando ci sei tu”, spiegò con la medesima semplicità.
“Senti, senti”, aveva incrociato nuovamente le braccia, Hunter, che sembrava totalmente dimentico dell'obiettivo per cui doveva condurla nel casolare. Abbastanza intrigato almeno dal restare entrambi sotto la pioggia. “Un vero sorriso, a tuo parere?”, le aveva chiesto.
Brittany sbatté le palpebre, una vaga smorfia. “In realtà sbatte un po' troppo gli occhi: forse dovrebbe stare attenta ai moscerini, se deve sempre fare così”, ne aveva imitato il gesto, chiudendo e riaprendo gli occhi rapidamente.
Sentì un lieve verso gutturale da parte dell'altro e, l'attimo dopo, il viso di Hunter sembrò letteralmente illuminarsi, malgrado la pioggia che ne stava bagnando il volto. Brittany stessa sembrò non sentire più i brividi di freddo o il bisogno di stringersi le braccia al corpo e mettersi al riparo. Era come se tutto attorno a lei fosse sbiadito a parte il volto del ragazzo. I suoi occhi verdi sembravano baluginare ed era come se nuovamente scorgesse un riflesso del suo vero carattere, dietro quell'apparenza composta e rigida.
Rimase quasi senza fiato, Brittany, che, dopo quel primo istante di contemplazione, sorrise a sua volta, dondolandosi con il busto con aria soddisfatta. “Sì, un sorriso come questo”, aveva specificato e si era sorpresa per come la voce le era sgorgata in un sussurro più flebile. Si schiarì la gola, guardandosi attorno. “Hai visto Kitty?”.
Hunter, il sorriso ancora sulle labbra nell'osservarla, aveva scosso lentamente il capo. “No”, fu la pacata risposta e se non lo avesse visto muovere le labbra, Brittany avrebbe potuto pensare che quella semplice parola fosse stata trasportata dal vento.
“Stai pensando a lei, allora”, per qualche motivo non le era riuscito sostenere nuovamente lo sguardo, seppur la risposta le sembrasse palese. Seppure, per qualche motivo, nuovamente, il suo stomaco sembrò contrarsi dolorosamente. “Va bene comunque e-”, poteva dirgli che aveva un bellissimo sorriso?
“No”, aveva risposto nuovamente Hunter che non aveva mai distolto lo sguardo dal suo volto e Brittany nuovamente si ritrovò senza fiato. Era come se quella replica concisa racchiudesse un significato ben più ampio e ben più importante. Non avrebbe, tuttavia, saputo dire cosa e neppure perché non riuscisse a trovare qualcosa da dirgli. Continuava ad osservarne il volto ed era un conforto che Hunter stesso non sembrasse avere fretta: era come studiarsi da capo e con la sensazione che qualcosa fosse sospeso tra loro.
Il fischio acuto squarciò il silenzio con inaudita violenza e Brittany gemette. Kitty stava camminando rapidamente in loro direzione mentre Tina stava conducendo le sue compagne dentro l'edificio.
“Ciao Hunter”, si rivolse al ragazzo senza sbattimenti di palpebre, un vago sorriso ma che sembrava nascondere un risentimento ancora non del tutto chiarito. Sorriso che, tuttavia, si congelò nello scrutare la ragazza che sembrò fulminare con lo sguardo.
Brittany si morsicò il labbro, ma rimase in attesa della strigliata che sarebbe giunta inevitabilmente.
“Hai finito i tuoi giri di campo?”, le abbaiò contro, il Capitano, con tono inflessibile.
Annuì ma sentiva ancora lo sguardo di Hunter su di sé.
“Non ti ho sentita!”, le aveva urlato contro Kitty, facendola sussultare.
Arrossì all'idea che il ragazzo stesse assistendo alla scena, ma si affrettò ad assumere la giusta postura. “Signorsì, Signora!”.
Kitty parve persino più risentita dalla risposta, a giudicare da come la fissò torva. “Allora perché non sei tornata al campo d'addestramento subito?”. In realtà, dal modo in cui faceva saettare lo sguardo da lei al ragazzo, sembrava volerle chiedere altro. Non sarebbe stato molto educato farle presente, davanti a Hunter stesso, che non stava cercando di rubarle il fidanzato. Arrossì per aver formulato quel pensiero, ma cercò di concentrarsi sullo sguardo della ragazza e deglutì a fatica: non era affatto abile a mentire e non aveva minimamente avuto tempo di pensare ad una giustificazione plausibile.
“Temo sia stata colpa mia, Capitano Wilde: l'ho trattenuta troppo a lungo”, aveva risposto prontamente Hunter e Kitty lo osservò con un vago cenno d'assenso, non prima di aver nuovamente fulminato la sua sottoposta con lo sguardo.
“Pausa finita, andiamo”.
Si affrettò a seguirla, Brittany, ma non poté fare a meno di voltarsi in direzione del ragazzo per mimargli un “grazie!”. Neppure si rese conto che Kitty la stava letteralmente strattonando in avanti: Hunter le aveva rivolto un vago cenno di risposta.
Neppure il mal di stomaco sembrava avere importanza, almeno fino a quando, rimaste sole, Kitty non le assestò una spinta che la fece cadere in una pozzanghera. Trasalì per la sorpresa e gemette quando Kitty la tirò per i capelli.
“E' l'ultima volta che ti avverto: smettila di fargli gli occhi dolci: credi di convincermi con la tua faccina da Barbie svampita?”. Si era messa in ginocchio di fronte a lei e la scrutava con sguardo glaciale. “Sai quanto tempo mi è occorso per farmi prendere sul serio e dimostrare di non essere una donnicciola? Non distruggerai tutto e non ti prenderai quello che è mio, sono stata chiara?”.
“M-Ma io non ho fatto niente”, gemette la ragazza, atterrita.
“E' tutto quello che sai dire!”, le inveì contro Kitty, dopo averla schiaffeggiata. “Non illuderti, Hunter e Neal hanno soltanto pena di te: quando capiranno come sei davvero, nessuno di loro ti degnerà più di considerazione”.
Aveva sentito il cuore in gola e gli occhi lucidi ma Kitty le aveva sorriso maligna, evidentemente soddisfatta di averle cancellato la serenità. Si rimise in piedi e la scrutò dall'alto al basso. “Sei proprio una bambina”, sembrava sprezzante. “E ora alzati!”.
Senza pronunciare motto, la guancia pulsante, si era rimessa in piedi e seguì Kitty verso l'edificio, timorosa che, in assenza di altri testimoni, potesse nuovamente infierire su di lei. Il cuore bloccato in gola e brividi freddi lungo la spina dorsale. Quando, rientrate dalla porta dello spogliatoio, scorsero Tina, Brittany rilasciò il respiro. Stava camminando in loro direzione e fu, infatti, a Kitty che si rivolse.
“Signora, chiedo permesso di riferire un messaggio”.
“Accordato”, concesse Kitty, con aria annoiata, senza neppure guardarla.
“Il Preside Johnson vuole vederla”.
“Digli che andrò da lui-”.
“Non lei, Signora. La recluta Pierce”. Specificò Tina.
“Digli che andrà da lui quando io lo deciderò”.
“Devo incontrarlo subito: ho ricevuto l'ordine di accompagnarla io stessa”.
“Benissimo”, Kitty era parsa più inviperita che mai ma continuava a sorridere minacciosamente. “Portagli i miei saluti, Barbie”, le sibilò all'orecchio e Brittany ricordò con orrore le parole che le aveva rivolto con riferimento esplicito ad Hunter e al suo patrigno. “E se gli dici qualcosa”, continuò in un sussurro persino più flebile. “sai già che te la farò pagare”.
Aveva annuito, le lacrime sull'orlo delle palpebre, ma aveva rilasciato il respiro e si era affrettata a seguire Tina che, dopo che ebbero messo una certa distanza dal Capitano, aveva assunto un'espressione meno formale. La stava scrutando attentamente. “Stai bene?”.
“Sì, grazie”, cercò di sorriderle, Brittany, mentre saliva con lei le scale. Sembrava passata un'eternità da quel dialogo con Hunter ma era consapevole che non potevano che essere pochi istanti ma che sembravano far parte di una realtà diversa. Che probabilmente non le sarebbe più stata concessa, non fino a quando Kitty non lo avesse voluto almeno.

~

Non era mai entrata nell'ufficio di Neal così, dopo aver congedato e ringraziato Tina, aveva provato a scorgerne l'interno attraverso la fessura della porta lasciata semiaperta. Neal era di fronte alla finestra, le dava le spalle, le mani strette dietro la schiena e sembrava contemplare il paesaggio di cui doveva godere da quell'altezza. Non aveva la benché minima idea del motivo per cui l'aveva convocata, ma doveva essere qualcosa di davvero urgente, se non poteva attendere che si riunissero tutti per la cena. Ipotesi spaventose che coinvolgevano la madre, cominciarono a ronzarle in mente e fu quindi lesta a bussare alla porta.
Evidentemente completamente estraniato nei suoi pensieri, Neal non l'aveva sentita ma, dopo un attimo di esitazione, Brittany varcò comunque la soglia della stanza. Lasciò vagare lo sguardo sulla stanza: l'arredamento era molto sobrio e rimandava alla rusticità degli interni che giù conosceva. Notò l'ampia scrivania sulla quale erano disposti, con metodico ordine, carta da lettera, fascicoli rilegati, una busta chiusa e una penna stilografica abbandonata su un'agenda con gli occhiali da lettura del suo patrigno.
Vi erano anche delle cornici appese sulla parete dietro la scrivania e tra fotografie di plotoni – immaginava ce ne fosse una anche dei tempi di Neal all'accademia, a giudicare dalla targhetta che ne riportava la data – ne spiccava una di sua madre che sembrava straordinariamente fuori posto, sia per il sorriso impresso nell'istantanea sia per i colori vivaci.
Si riscosse, le mani strette in grembo. “Ciao Neal”, lo salutò, scrutandone ancora le scapole.
Le parve che fosse persino trasalito, malgrado avesse parlato in un sussurro appena percepibile. Si era voltato e, dopo un solo istante in cui ne aveva scrutato la divisa fradicia e sporca, le rivolse quel suo sorriso spensierato che ne faceva scintillare lo sguardo e lampeggiare il candore dei denti. Aveva dei fogli tra le mani e una biro sull'orecchio che Brittany osservò curiosamente, ma Neal si affrettò a riporli sulla scrivania. “Stavo provando ad abbozzare le promesse di matrimonio: so che c'è ancora molto tempo, ma sono un disastro nei discorsi: era Jonathan quello intellettuale tra noi”, spiegò in tono complice prima di riporre i fogli dentro il cassetto della scrivania.
Il matrimonio. Il pensiero le procurò un contorcimento all'altezza dello stomaco: per quanto la data si stesse inevitabilmente avvicinando, e Brittany in cuor suo sapesse che Neal era l'uomo perfetto per la madre; la sola menzione era ancora capace di procurarle quella strana sensazione di disagio. Aveva il timore inespresso che una parte di sé non sarebbe mai riuscita a concepire l'idea che la sua vita sarebbe cambiata in modo così radicale. Sembrava esser accaduto tutto con una rapidità da farla sentire incapace di adeguarsi. E sapeva altrettanto intensamente che non avrebbe mai potuto incolpare Neal di ciò ma che era un problema che doveva risolvere. E da sola. Il tutto era estremamente confuso ma non mancava un cocente senso di colpa, soprattutto nello scorgere l'evidente emozione che era balenata sul viso dell'uomo.
“Volevi vedermi?”.
Neal sembrò tornare in sé ed annuì, indicandole la poltrona. “Siediti: non abbiamo ancora fatto una chiacchierata, da quando sei arrivata qui”.
Brittany si morsicò il labbro, osservando la sedia foderata di fronte alla scrivania e la propria tenuta tutt'altro che linda e si diede della sciocca per non aver minimamente pensato al rendersi presentabile prima di palesarsi. L'uomo sembrò intuire il suo pensiero perché si grattò la nuca prima di prendere il giornale appostato ad un angolo della scrivania e toglierne dei fogli che adagiò sul sedile. “Signorina”, le spostò la sedia, imitando il vezzo di un cameriere e Brittany sorrise nell'accomodarsi. Un'altra caratteristica che le rendeva impossibile provare rancore nei confronti di Neal: era probabilmente l'unica persona al mondo, esclusa la madre, a non farla mai sentire goffa ma cercando sempre di compensare le sue risposte dirette, ridendo come se si fossero trattate di argute e graffianti battute o, come in quel caso, era sempre più che spontaneo nel metterla a suo agio. Il suo sguardo bonario, tuttavia, indugiò sul suo volto.
“Ti sei fatta male?”, le chiese e Brittany si toccò istintivamente la guancia che Kitty aveva schiaffeggiato ma, con un gesto delicato, Neal le scostò qualche ciuffo dalla fronte. “E' un graffio: ti fa male? Dovrei avere del disinfettante da qualche parte”, e già stava circumnavigando la scrivania per cercare tra i cassetti, ma Bittany scosse il caso.
“Non preoccuparti: Mrs Rose mi disinfetta sempre, quando vado da lei”. C'era stata così tanta dolcezza nella voce dell'uomo e tanto calore nel suo sguardo che Brittany aveva sentito quella fitta all'altezza del petto persino acuirsi. Cercò di controllare la commozione, quel calore che era innescato dalla consapevolezza che qualcuno potesse prendersi così a cuore della sua salute e senza che neppure lei si fosse realmente sforzata di conquistarsi il suo affetto. Era tutto spontaneo e naturale per Neal e ciò rendeva le sue remore persino più colpevoli.
Una volta tranquillizzato, Neal si sedette sulla poltrona, le braccia protese in avanti e le mani congiunte: una posa da Preside, in fin dei conti. “Come ti trovi qui all'Accademia?”.
Brittany deglutì: sapeva che quella domanda sarebbe giunta, ma non era mai stata particolarmente abile nell'improvvisare un discorso, tanto meno a mentire. Cercò di scacciare dalla mente le immagini e i ricordi sgradevoli e concentrarsi sulle cose positive: il sorriso e l'amicizia di Marley, le pietanze squisite che Mrs Marley le elargiva lontano dall'occhio di Kitty, o il sorriso di Hunter. Sentì un nuovo calore affiorarle al volto ma si affrettò a sorridergli.
“Mi sto abituando: sta diventando più facile alzarsi quando fa buio o fare la corsa prima di colazione o scendere da un'altura”, spiegò e il sorriso dell'uomo si estese ulteriormente.
Un nuovo guizzo gli sfiorò lo sguardo e si sporse verso di lei, quasi ansiosamente. “Non ho dimenticato che ti piace ballare: in realtà sto pensando ad un progetto ma, per il momento, è top secret. Prima dovrò parlarne in consiglio e con i Capitani”.
Brittany cercò di non pensare al ragazzo in questione, ma assunse un'espressione di reale curiosità, tuttavia Neal sembrava aver acquisito abbastanza sicurezza per intavolare la vera conversazione. “Ma c'è un'altra cosa di cui vorrei parlarti”, annunciò, infatti, e Brittany si mise più composta.
Neal sembrò impiegare qualche istante per trovare le parole: lo sguardo saettò curiosamente alla busta appoggiata sul ripiano, prima di incontrare nuovamente lo sguardo della ragazza. “Sai che amo tua madre più di me stesso”, esordì e la voce, dal timbro naturalmente giocoso e vibrante, sembrò più flebile, accorata. Quasi una carezza immateriale.
Annuì, Brittany, senza la benché minima esitazione e Neal ne trasse vantaggio per sporgersi ulteriormente in sua direzione. “Vorrei che noi tre diventassimo una famiglia a tutti gli effetti”, disse con intensità.
Lasciò che quelle parole facessero breccia nella mente della ragazza, continuando ad osservarla attentamente.
Brittany lo aveva guardato confusamente e Neal, dopo quel breve silenzio carico di tensione, si mise in piedi, prese la busta e si appoggiò alla scrivania. Le sorrise, il viso inclinato di un lato e lo sguardo baluginante di reale affetto. “Vorrei adottarti, Brittany e, soprattutto, vorrei considerarmi tuo padre a tutti gli effetti”.
Occorsero diversi istanti perché Brittany si riprendesse: aveva sgranato gli occhi e sembrò mancarle il respiro. Il suo cuore non aveva smesso di scalpitare furiosamente e una sensazione di calore e, al contempo, di gelo le scivolò lungo la spina dorsale. La sua mente era un dedalo indistinto di pensieri, d’immagini, di ricordi passati e frammentati, confusi e sfocati che si infrangevano sullo sfondo di quelli recenti che vedevano Neal accanto alla madre e quella vita preannunciata che era più vicina che mai alla sua concretizzazione.
Sembrava più che mai teso, Neal, ma le sorrise e si limitò a porgerle la busta che Brittany prese quasi per riflesso. “Non voglio che tu ti senta assolutamente sotto pressione: si tratta di una formalità, a dire il vero, perché comunque io vorrei davvero considerarti mia figlia e-”, sembrò attendere che la ragazza dicesse qualcosa. Nuovamente scosse il capo ma continuò a sorriderle. “Pensaci, per favore, attenderò tutto il tempo necessario naturalmente”.
Aveva annuito, inebetita, ma non riusciva più a guardarlo senza che a quel volto, dapprima così rassicurante e così piacevole, se ne sovrapponesse un altro: una voce e un abbraccio che le era mancato ogni giorno, da dieci anni. Quasi una parte di sé le fosse stata sottratta e senza che potesse fare nulla per reagire.
Avrebbe voluto poter dire qualcosa a Neal: ringraziarlo per essere un uomo così incredibilmente dolce, per essersi innamorato di sua madre ed essere disposto ad amarla: non soltanto come un bonus del suo legame con Shirley. Avrebbe voluto mostrarsi mortificata alla sola idea che il proprio silenzio potesse ferirlo, per quanto fosse certa non glielo avrebbe mai fatto pesare.
Continuò ad osservarlo, ma le sue labbra non emisero suono e fu con un gran peso nel cuore che uscì dalla camera, gli occhi lucidi e il cuore serrato in una morsa.

~

“Credevo che Neal ti piacesse”, non vi era accusa nel timbro della voce ma un reale tentativo di comprenderne lo stato d'animo.
Lei e Marley erano sedute sul suo letto: accarezzava Lord Tubbington, Brittany, con movimenti automatici ma lo sguardo ancora perso nel vuoto e quella sensazione di costrizione all'altezza del petto.

Papà?”, la voce era spaventata e rauca, le guance rosate erano bagnate dalle lacrime mentre entrava nella cucina di cui aveva intravisto il fascio di luce dalle scale del piano superiore.
William sembrava esser trasalito, aveva depositato il bicchiere, gli occhiali sul naso e aveva deposto la penna per poi scostarsi dal tavolo e alzarsi.
Brittany”, l'aveva chiamata in tono evidentemente sorpreso. “Cosa succede?”.
La bambina non aveva articolato suono: si era affrettata a coprire le distanze per cingerne la gamba, in attesa che l'uomo la sollevasse tra le braccia. Affondò il viso contro la sua spalla e strizzò le palpebre, il corpicino esile che tremava per i singhiozzi.
L'uomo le aveva carezzato la schiena con dolcezza, si era seduto di fronte al camino e l'aveva cullata, fino a quando non si era calmata.
Si era sfregata gli occhi, infine, Brittany e si era morsa il labbro: “Ho sognato che mi ero persa nel bosco, come Biancaneve, e c'erano... c'erano tanti occhi a guardarmi e-”, non aveva finito la frase, di nuovo sopraffatta dalle lacrime, ma il padre le aveva asciugato il volto e ne aveva baciato la fronte.
Ma tu non ti perderai come Biancaneve e, se anche dovesse accadere, non devi avere paura”.
No?”. Sembrava disperare di potervi credere.
No, perché sai cosa hai tu e che la povera Biancaneve non aveva quando si è persa?”.
I capelli biondi?”. Chiese istintivamente.
Aveva riso suo padre ma aveva scosso il capo. “Un papà che sarebbe venuto a salvarla”, e la strinse con maggiore intensità e Brittany si accoccolò con un sorriso contro il suo petto, inspirandone il profumo e stringendosi alla camicia.
Le sfuggì un lieve sbadiglio. “E verrai sempre a salvarmi?”. Sembrava una domanda di fondamentale importanza e la risposta persino vitale. L'attese con il cuore trepidante, il respiro trattenuto.
Sempre, sempre: non ti sentirai mai persa finché sarò con te”.
E' una promessa”.
Parola di re, principessa”.

Si era riscossa, Brittany, e aveva osservato l'amica, morsicandosi il labbro. Parve persino più mortificata all'idea che la propria reazione potesse innescare un simile e lecito dubbio.
“Lui mi piace molto e-”.
“Sta arrivando Kitty!”, era stata Lauren a parlare e l'intera camerata fu attraversata da un'ondata di panico primo che ognuna corresse alla propria postazione per controllare che tutto fosse in perfetto ordine per l'ispezione a sorpresa. Brittany e Marley si scambiarono uno sguardo di puro terrore: non c'era tempo per portare Lord Tubbington dalla Signore Rose o farlo uscire di soppiatto.
“Lord Tubbington”, Brittany gli parlò in tono ansioso, mettendosi in ginocchio sul pavimento per poi sistemarlo sotto il suo letto. “Devi stare zitto, mi raccomando”, cercò di istruirlo, ma il felino non sembrava particolarmente entusiasta di quella collocazione temporanea. Cercò di drizzarsi ma la padrona gli sfiorò il capo in una carezza. “Soltanto due minuti, Tubby, fallo per me”.
Si mise in riga, accanto a Marley, e Kitty e Tina entrarono nella stanza: lo sguardo severo del Capitano saettò tutto attorno. Non sembrava particolarmente compiaciuta: evidentemente aveva sperato di coglierle di sorpresa ma, senza dire una parola, cominciò la sua accurata rassegna. Rapide occhiate ai loro lati con qualche ammonimento sul letto non ben ripiegato o un capo d'abbigliamento lasciato maldestramente a terra. Talvolta apriva qualche armadio a casaccio, rovistando tra i capi personali delle reclute o, in alcuni casi, persino perlustrando tra i cassetti come a cercare qualcosa di losco.
Brittany trattenne il respiro, quando Kitty si fermò di fronte a lei: aveva il sospetto che, come un segugio, riuscisse a fiutare la sua paura o sentisse il suo cuore che stava scalpitando furiosamente. Un angolo delle labbra del Capitano si arricciò verso l'alto e si volse ad osservarla con quell'espressione compiaciuta. “Sei nervosa, Barbie?”.
“N-No”.
Sbuffò, Kitty, gli occhi levati al cielo prima di urtarla sull'incavo posteriore del ginocchio, facendola cadere sul pavimento. “Non ti ho sentita”, precisò in tono annoiato.
“No, Signora!”, ripeté Brittany a voce più alta. Era riuscita, con rapido riflesso, a sostenersi con le braccia al pavimento.
Tutto parve fermarsi: Brittany sentì un impercettibile miagolio alle sue spalle e pregò che Lord Tubbington non cercasse di avvicinarsi a lei in quel momento. Sentì brividi freddi scivolarle lungo la spina dorsale. Cercò di mascherare il suono con un colpo di tosse artefatto, ma Kitty ebbe un lampo di vittoria nello sguardo. La guardò dall'alto al basso.
“Sono di buon umore, Pierce, se mi dirai cosa nascondi, punirò solo te e non l'intera camerata”.
Un lieve brusio di risposta le fece comprendere che tutti erano in attesa della sua prossima mossa: riusciva quasi a percepire l'intensità di molti sguardi addosso e la consapevolezza di essere in trappola, le paralizzò il respiro.
“Allora?”, la incalzò Kitty dopo un interminabile istante di gelido silenzio.
Un altro miagolio, di confusione e di richiamo, ben più udibile del precedente e Kitty occhieggiò verso il letto: il sorriso sul suo volto parve persino illuminarle gli occhi gelidi. Si rivolse a Tina e, con un gesto imperioso del braccio, le fece cenno di avvicinarsi al letto. Da parte sua, rimase nella sua posizione, contemplando le espressioni sul volto della sua recluta.
“No, ti prego!”, supplicò Brittany, cogliendo il movimento di Tina che si fermò. “Punisci me e lascia stare le altre”.
Una risata sprezzante quella di Kitty. “Adesso ti senti un'eroina?”, la schernì, chinandosi in sua direzione. “E' troppo tardi”. Un altro cenno imperioso e Tina sollevò il copriletto, rivelando il felino che aveva emesso un altro stridulo miagolio. Si appoggiò al pavimento e allungò il braccio, la moretta: con non pochi tentativi cercò di prenderlo, malgrado Lord Tubbington avesse drizzato il pelo e soffiasse in sua direzione, le pupille che scintillavano nella penombra.
“Avanti, Aviaria1 Chang, non ho tutto il giorno!”. Le sbraitò contro Kitty.
“Mi ha graffiata!”, gemette la ragazza, le mani sul volto.
Kitty la scansò malamente e, con un rapido movimento, sollevò il gatto per la collottola, trattenendolo con facilità non poco sorprendente per la sua mole. Lord Tubbington mosse le zampe irrequieto prima di puntare lo sguardo sulla padrona: si era rimessa in piedi, Brittany, e si era sporta istintivamente per prenderlo tra le braccia ma Kitty protese il braccio a mo' di intimidazione.
Si rivolse all'intera camerata. “Domani inizierete la corsa alle 4.00 in punto: doppia durata, doppio percorso. Colazione alle 6.00 e allenamento al campo fino a mezzogiorno. Luciderete le divise di tutta la divisione maschile, pulirete tutte le camerate e le docce”.
Un attimo d’intenso silenzio nel quale tutte le ragazze assunsero sguardi increduli e sgomenti, se alcune erano impallidite come Marley e osservavano la scena con terrore e dispiacere; altre, come Lauren, avevano l'aria di ribollire di puro e semplice astio. Se fosse più rivolto al Capitano o a Brittany sarebbe stato impossibile da dire.
“La nostra Barbie”, l'aveva indicata con la mano libera. “che ha introdotto questo esperimento di Chernobyl mal riuscito, perché si crede al di sopra delle regole, sarà la prima ad alzarsi e l'ultima ad andare a riposare. E voi che l'avete protetta con il vostro silenzio, sconterete la detenzione con lei. Riguardo a questo”, lesse il nome sul collarino con una risata sprezzante. “lui sarà un magnifico tappetino per la mia doccia”.
Esalò senza fiato Brittany: se gli ultimi istanti era stata pietrificata dal terrore e annientata dai sensi di colpa per aver coinvolto persone innocenti nel suo guaio; in quel momento sembrò tornare in sé e si sporse nuovamente verso la ragazza. “No, ti prego!”.
“Sta zitta”, la rimproverò bruscamente. “E ringrazia che non ti butti fuori con lui”.
“Fuori dove?!”.
“Non preoccuparti”, le sorrise velenosamente. “Non è più un tuo problema”. Aveva fatto un brusco cenno a Tina, le aveva assestato il felino tra le braccia e si era incamminata verso l'uscita con lo stesso incedere fluido e sicuro di sé.
“Aviaria, gettalo fuori dall'edificio: se dovessi rivederlo, appenderò i tuoi orribili capelli come bandiera”.
Tina, pur impallidita, gettò uno sguardo di pure scuse in direzione di Brittany che Marley stava cercando di trattenere per il braccio. Il viso scintillava di lacrime, le labbra schiuse, quasi non riuscisse neppure a respirare, mentre Lord Tubbington continuava a scrutarla ed emetteva altri miagolii di impazienza.
“TI PREGO!”, gemette ancora Brittany, cercando di scostarsi da Marley.
Si fermò sulla soglia dell'uscio, Kitty: indugiò per un istante ad osservarne l'espressione sofferente prima di scuotere il capo, schioccando la lingua sul palato. “E' ora di crescere, Barbie. Non rivedrai più il tuo gatto, non in questa vita almeno”. Scoccò nuovamente lo sguardo all'intera camerata. “Cena tra un'ora e siate puntuali: laverete i piatti di tutto il refettorio: non che per qualcuno sia una novità dopotutto”, volse uno sguardo maligno in direzione di Brittany e di Marley ed uscì.
Il micio miagolò disperato e Brittany cercò di rincorrerle ma fu Lauren, stavolta, a bloccarle il passaggio e sbattere l'uscio.
“Lasciami andare”, cercò di eluderla con movimenti simili a quelli di un giocatore di football che cerchi di smarcarsi.
Lauren parve in procinto di schiaffeggiarla: le mani sui fianchi e una smorfia di puro odio sul volto. “Non credi di aver fatto abbastanza casini per oggi?”. A giudicare dalle espressioni delle altre ragazze, ad eccezione di Marley, sembrava essere opinione comune.
“Parlerò con Neal, vi farò togliere la punizione ma adesso lasciami-”.
“Ancora non l'hai capito: più cerchi di attaccarti ai pantaloni del tuo paparino e più Kitty si infuria e più Kitty si infuria e più noi ne paghiamo le conseguenze”.
Le tremarono le labbra, ma scosse il capo e serrò i pugni. “Tu non capisci, io-”.
“Non mi importa un accidenti del tuo gatto, di te o della tua famiglia ma se verrò punita un'altra volta per colpa tua”, aveva mosso il pugno con fare così furioso che Brittany era indietreggiata d'istinto. “ti giuro che sarò io stessa ad offrirmi come aiutante a Psycho Kitty per renderti la vita un inferno”.
Cenni d'assenso, parole di approvazione e, lentamente, l'intera camerata ad eccezione di Marley le si era rivoltata contro. Brittany indietreggiò, il cuore in gola e lo sguardo smarrito, si lasciò cadere sul proprio letto, le mani raccolte al viso e la consapevolezza di essere sola. Come non mai.

~

Non aveva molto appetito: sentiva la nausea stringerle lo stomaco. Quando tutta la camerata si era disposta per andare in refettorio, si era allontanata dal gruppo ed era uscita nei campi a cercare il gatto, chiamandolo con voce disperata ma resistendo anche al freddo, sfregandosi le braccia al corpo. Soltanto quando Marley era venuta a cercarla, aveva fatto rientro: aveva dovuto cedere alla realizzazione che Lord Tubbington era ormai perduto e che se Kitty si fosse accorta della sua assenza, avrebbe soltanto peggiorato le cose. E ciò significava, da quel momento, anche correre rischi all'interno della sua stessa camerata. Aveva sentito sguardi di puro odio scorrere contro di sé quando lei e Marley avevano fatto il loro ingresso nella sala mensa, ma si erano disposte in un tavolo isolato. Non sollevò mai lo sguardo dal proprio piatto: nella mente tutti i ricordi del suo amato gattino e degli anni trascorsi insieme.
Era stata tutta colpa sua: se non fosse mai arrivata in quella città, in quell'Accademia, Lord Tubbington non sarebbe stato abbandonato in un luogo sconosciuto ed incapace di badare a se stesso. E non aveva soltanto agito in modo egoistico ma persino creato problemi alle altre ragazze, a Marley che continuava a sorriderle e che, senza dire parola, le stringeva tuttora la mano in segno di conforto.
Farò mai qualcosa di giusto? Si era chiesta sconsolata.

Erano rimaste solo lei, Marley e la Signora Rose. Una volta che Kitty aveva abbandonato la stanza per ritirarsi, Lauren e le altre si erano sfilate guanti e grembiuli che avevano gettato ai piedi di Brittany. “Ci devi un favore”, era stata la sferzante dichiarazione della ragazza a cui Brittany non aveva reagito se non un vago cenno di assenso. Sarebbe stato sicuramente preferibile restare sola a quel punto, piuttosto che sentire i loro sguardi o bisbigli ostili. In quel momento avrebbe voluto persino sottrarsi all'amica e a sua madre che, coi loro sorrisi e sguardi colmi di dolcezza e di tenerezza, le facevano solo venire ulteriormente voglia di piangere. Non che questo risolvesse le cose: sentiva ancora la gola arida e la pelle ruvida del viso, gli occhi gonfi e il cuore serrato in una morsa.
Stava cercando di scrostare il fondo di una pentola, il sudore freddo che le scivolava lungo le tempie e il bruciore delle pupille quando sentì qualcuno pronunciare il suo cognome. Si volse lentamente, scostando una ciocca di capelli dal volto, una vistosa scia di detersivo per piatti a colarle dalla guancia e sul grembiule che Mrs Rose le aveva prestato.
Non riuscì a non sentire quella stretta all'altezza dello stomaco, come ogni volta che quello sguardo verde indugiasse sul suo volto. Ma era una visione dolce quanto dolorosa quella del Capitano Clarington in quel momento. Aveva perso il conto del numero delle volte in cui l'avesse scorta in estrema difficoltà e quel giorno era sembrato infinitamente lungo e agognava soltanto il momento in cui si sarebbe messa a letto e, per qualche ora, tutti si sarebbero dimenticati di odiarla.
Lo sguardo verde indugiò sul suo volto: aveva le sopracciglia corrugate ed aveva la sensazione che stesse sondando il suo stato d'animo, ragione per cui distolse il proprio, morsicandosi il labbro e desiderando soltanto che se ne andasse e non dovesse scorgerla in quello stato. Timorosa che persino lui le rivolgesse un aspro rimprovero per la sua condotta. O si sentisse preso in giro da quell'infrazione del regolamento.
Si rivolse a Mrs Rose, tuttavia. “Le dispiace se gliela rubo per una mezz'ora?”, le chiese.
Lo sguardo confuso della signora corse dall'uno all'altro, ma il volto bonario scintillò del suo sorriso più dolce ed annuì. “Certo che no”, rivolse uno sguardo di incoraggiamento a Brittany che, tuttavia, impallidì.
“Ma Kitty-”.
“E' un ordine, Pierce”, sembrava tornato ai suoi modi più decisi ed autoritari, Hunter. Si volse nuovamente alla donna, ma stavolta lo sguardo saettò anche verso Marley. “Se il Capitano Wilde venisse a cercarla, ditele che è con me”.
Ancora inebetita, al cenno di Hunter che si era scansato di lato per farla passare per prima, Brittany si era tolta il grembiule e si era affrettata ad uscire. Soltanto quando lasciarono il refettorio, sfilò il berretto e lasciò che i capelli le cadessero scompostamente sulle spalle, cercò di ravviarli con una mano, constatando che avrebbe dovuto farsi una lunga doccia e lo shampoo prima di andare a letto. E avrebbe dovuto essere rapida per riuscire a dormire qualche ora, prima del risveglio.
Camminarono in silenzio: ebbe la sensazione che Hunter stesse aspettando di trovarsi in una zona più tranquilla e che la stesse guidando precisamente verso una meta prefissata, lasciandole soltanto adito a seguirlo. Sentiva il suo sguardo addosso e non poteva che sentire alimentare in sé la sua curiosità e il timore che si celasse un motivo tutt'altro che piacevole: sentiva che, per quel giorno, aveva raggiunto la soglia massima di sopportazione. Ci vollero diversi istanti perché Brittany realizzasse che si trovavano nella zona dei dormitori ma non svoltarono nella direzione della sua camerata (l'idea che Lauren o Kitty in persona la scorgessero era tutt'altro che rassicurante), ma all'ala opposta. Inarcò le sopracciglia con fare interrogativo ma non parlò, si fermò quando Hunter fece lo stesso, di fronte ad una porta.
Soltanto allora il ragazzo, la mano sulla maniglia, si volse ad osservarla con particolare attenzione e Brittany avrebbe voluto essere abbastanza abile da celare il suo reale stato d'animo. Si morsicò il labbro ma distolse lo sguardo, stringendosi le mani in grembo.
“Hai pianto”, non era una domanda ma la ragazza trasalì ed arrossì.
Scosse il capo, tuttavia, memore che Hunter fosse l'ultima persona che sarebbe stato saggio coinvolgere. “Sto bene”, cercò di rassicurarlo, scostandosi i capelli scarmigliati dal volto e cercando di assumere un'espressione più tranquilla.
“No, affatto”, fu l'asciutta replica di Hunter ma, con un gesto semplice, schiuse l'uscio, un angolo delle labbra sollevato. “Vediamo se ho qualcosa che ti farà stare meglio”. Le fece cenno di entrare e Brittany, l'espressione confusa ma incoraggiata dal suo sorriso, varcò la soglia della camera che contemplò con tanto d'occhi quando comprese che si doveva trattare della sua.
L'ambiente era rustico come quello delle altre camere da letto, ma era più piccola e, infatti, vi era soltanto un letto, un armadio, un libreria colma di libri, uno scrittoio e un divanetto. Adagiato pigramente sul letto, un gatto siamese dal pelo lungo e bianco che sembrava morbido almeno quanto una nuvola, dai limpidi occhi verdi. Si era sollevato alla vista di Hunter, un placido miagolio, ma scrutò curiosamente la nuova arrivata: il musetto reclinato prima di scendere agilmente dal letto. Si strusciò brevemente alle caviglie del padrone per poi avvicinarsi a lei, annusandola con aria guardinga.
Si chiuse la porta alle spalle, Hunter, che scrutò dall'uno all'altra. “Ti presento Clarence”, le aveva detto e Brittany aveva sorriso nel mettersi a coccoloni per allungare la mano: il micio l'aveva scrutata quasi a voler stabilire un contatto di sguardi e poterne sondare il grado di affidabilità. Evidentemente convinto, si era lasciato accarezzare, inclinando presto il musetto perché le dita della giovane gli sfiorassero il mento. “Mr Pussy per gli amici2”, aggiunse vagamente divertito dal modo in cui la giovane avesse rapidamente sciolto il ghiaccio.
“Ciao Mr Pussy”, lo salutò, Brittany, deliziata dalla morbidezza del pelo che sembrava davvero vaporoso come una nuvola, nonché dalla vibrazione prodotta dalle fusa, indice di reale apprezzamento. Aveva socchiuso gli occhi, Mr Pussy, che sembrava tutt'altro che annoiato ma ben disposto a lasciarsi ulteriormente vezzeggiare.
Hunter li scrutava con le sopracciglia inarcate, le braccia incrociate al petto e l'espressione pensierosa. “E' un gran ruffiano e tu lo stai decisamente viziando”, osservò in tono leggero.
“Scusa”, aveva commentato la ragazza, quasi timorosa nello scostare la mano. Gesto che non fu gradito dal felino che schiuse gli occhi e le si avvicinò ulteriormente, sfregandosi contro il suo ginocchio ed emettendo un miagolio.
“Non devi scusarti”, si affrettò a dire, Hunter, l'espressione sorpresa. “Non ti stavo sgridando”.
Arrossì, Brittany, ma sorrise nuovamente. “E' davvero bellissimo”, aveva sussurrato e Hunter si era chinato a prenderlo tra le braccia.
“Mr Pussy è molto lusingato”, lo aveva risposto sul letto. “Ma non è per questo che ti ho portata qui”, le aveva indicato una portafinestra che doveva condurre alla terrazza. Da quel poco che aveva compreso della sua vita in Accademia, immaginava avesse l'abitudine prendere una boccata d'aria prima di andare a dormire o di primo buon mattino. Abbassò la maniglia e nuovamente la lasciò passare per prima: Brittany l'aveva valicata domandandosi se volesse offrirle un'altra panoramica del paesaggio, ma sgranò gli occhi e il suo cuore parve fermarsi per un lungo istante.
Sul pavimento era stata adagiata una cesta di vimini e, raggomitolato su se stesso, sopra una coperta, Lord Tubbington stava dormendo.
“Lord Tubbington”, sussurrò, Brittany, senza fiato. Si avvicinò alla cesta, l'aria incredula, ma si chinò fino a sfiorarne il morbido pelo, carezzandone lentamente le orecchie e il dorso, sentendo una nuova euforia sgorgarle dalle labbra in una risata liberatoria. Scostò le lacrime dal viso, volgendosi ad osservare il ragazzo che, appoggiato alla balaustra, stava rimirando la scena, un vago sorriso sulle labbra.
“Come facevi a saperlo? Dove l'hai trovato?”, gli chiese incredula.
Mr Pussy, d'altro canto, rimasto solo nella camera, aveva rizzato il pelo e la zampina premeva contro il vetro della portafinestra: un'occhiata di puro biasimo nei confronti del padrone. “Ho visto Cohen Chang cercare di portarlo fuori: devo ammettere che i suoi tentativi di difesa sono stati lodevoli”, sembrava divertito. “Mi ha raccontato tutto”, aggiunse in tono più sussurrato. “Le ho detto che me ne sarei occupato personalmente”.
Brittany si era rimessa in piedi, continuava ad osservarlo con occhi sgranati, apparentemente incapace di proferire parola. Restò semplicemente ad ascoltarne le parole e cercò di realizzare il significato di tutto quello che era accaduto.
“So che non vuoi separartene”, era stata la semplice dichiarazione del ragazzo che si era stretto nelle spalle. “posso tenerlo qua, almeno fino a quando Mr Pussy non lo accetterà nel suo territorio”, aveva alluso al gatto che stava scrutandoli con espressione risentita, strappando a Brittany un verso di divertimento. “Mi sembra che si sia ambientato bene”, continuò Hunter, la stessa voce rassicurante. “Naturalmente puoi venire a trovarlo quando vuoi o quando non sarai in punizione almeno”.
Si sentiva nuovamente vicina alle lacrime, Brittany, ma per la prima volta, in quella lunga giornata, era un motivo di reale gioia e di commozione. “Hai... hai fatto tutto questo per me”, la sua voce tradiva la sorpresa, la letizia e, al contempo, la gratitudine. Non si era mai sentita sufficientemente capace di esprimersi a parole ma avrebbe voluto trovarne per spiegargli tutto. L'emozione del rivedere il suo gatto e sapere che non lo avrebbe più abbandonato, la gioia all'idea che lui avesse avuto una simile e dolce iniziativa, senza pretendere nulla in cambio. E persino quella costrizione all'altezza dello stomaco e il modo in cui le fosse impossibile distogliere lo sguardo da quello verde.
Aveva continuato a scrutarla, Hunter, probabilmente realizzando lui stesso l'entità del suo gesto. Si strinse nelle spalle, tuttavia, a sminuire il tutto. “Non è stato nulla di che, davvero: non avrei voluto tu soffrissi per-”.
Non poté terminare la frase, Hunter: era stato un movimento fluido e naturale quello con cui Brittany gli aveva stretto le braccia al collo, intriso di quello che sembrava un reale bisogno di compiere un gesto spontaneo ed istintivo. Probabilmente non ci sarebbero state parole per fargli comprendere il calore che sentiva in corpo, in quel momento. Poteva soltanto sperare di condividerlo, riducendo le distanze e infrangendo un'altra barriera protesa tra loro.
“Grazie... grazie di cuore”, pigolò, la voce soffocata contro il tessuto della divisa del ragazzo. Scoprì di avere nuovamente gli occhi umidi e gli spasmi leggeri ne facevano tremare le spalle e serrò le palpebre spasmodicamente, abbandonandosi semplicemente a quell'istante.
Sembrava rigido il giovane, ma non riusciva a pensare che il proprio fosse stato un movimento inappropriato, non quando si sentì abbandonare completamente a lui, quasi ne dipendesse il suo stesso benessere o quel desiderio di prolungare quella sensazione di familiarità. Di casa.
Trattenne il fiato quando, lentamente, percepì il coinvolgimento del ragazzo stesso, evidentemente intaccato da quella stessa sensazione. Le sue braccia, lentamente, la serrarono contro di lui: riuscì a percepire i suoi battiti ben scanditi, regolari, rassicuranti. Chiuse maggiormente gli occhi e sorrise, Brittany, sospirando e rilassandosi ulteriormente. Il suo profumo sembrava la perfetta cornice di quel momento e non aveva altra pretesa se non di viverlo con tutta se stessa. Almeno un istante. A dispetto dell'Accademia e dei suoi rigidi formalismi, regole ferree ed orari inflessibili. Persino cozzando contro le maniere sempre pacate del giovane, quel velo di riservatezza e di compostezza che ne caratterizzava ogni interazione.
“Stai bene?”, la sua voce era parsa un sussurro delicato e lontano, quasi avesse il timore di disturbarla e Brittany si costrinse a scostarsi per osservarlo.
Annuì, si scostò le lacrime dal viso e rise. “Sono felice: per la prima volta da oggi”, ammise con voce più contrita. “... da quando sono arrivata qua, a dire la verità”. Era stato spontaneo e naturale dirlo ma soltanto allora si rese conto di quanto fosse reale e quanto, soprattutto, dipendesse dalla presenza stessa del giovane.
Si era accigliato, tuttavia, il giovane e aveva sospirato. “Odi così tanto questo posto?”, la sua voce era più bassa del suo naturale timbro. Non sembrava offeso, soltanto preoccupato.
Brittany arrossì ma scosse il capo. “Non lo odio”, aveva inclinato il viso di un lato, mantenendo il contatto con il suo sguardo. “Non adesso”, gli aveva rivolto un altro sorriso, ma il ragazzo continuava ad osservarla con quegli intensi occhi verdi che sembravano scavarle a fondo.
“Concediti altro tempo: tutto ciò che stai passando, ti fortificherà”. Sembrava crederlo realmente.
Aveva annuito, Brittany, ma non aveva potuto fare a meno di chiedersi se, in quel suggerimento, si celasse una sua verità nascosta, soprattutto alla luce di quanto Neal le aveva raccontato durante il ballo.
Tempo, aveva bisogno di tempo. E avrebbe avuto accanto Lord Tubbington, Marley e probabilmente persino il ragazzo che le stava di fronte.
“Hunter”, con quali parole avrebbe potuto chiedergli qualcosa di simile? E sarebbe stato giusto farlo? In fondo era stato già fin troppo disponibile, senza neppure pretendere nulla in cambio.
La stava nuovamente scrutando il giovane, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni in una posa più naturale e pigra, ma il sorriso sulle labbra, in attesa che parlasse nuovamente.
Si riscossero entrambi all'ennesimo tentativo di Mr Pussy di attirare l'attenzione, con una zampata più forte contro la portafinestra.
“Clarence”, lo ammonì con tono di rimprovero e il gatto indietreggiò, mentre il padrone schiudeva la portafinestra. Si volse nuovamente alla ragazza, l'aria interrogativa. “Cosa volevi dirmi?”.
Scosse impercettibilmente il capo, Brittany. “Dovrei andare, mi stanno aspettando”.
Hunter si limitò ad annuire e la lasciò passare, dopo che ebbe nuovamente carezzato Lord Tubbington ed attraversarono la sua camera da letto.
“Ancora grazie”, eppure non sembrava ancora abbastanza, anche se lui l'aveva rassicurata al riguardo. Era uscita dalla camera ma il ragazzo indugiò, la mano appoggiata alla maniglia, la sagoma a coprire la soglia dell'uscio.
“Buonanotte e cerca... cerca di resistere, mh?”, era stato un gesto improvviso, dopo un momento di stasi, quello in cui le aveva appoggiato la mano sui capelli, scarmigliandoli appena in un vezzo che doveva essere complice ma che la fece rabbrividire.
“Ce la metterò tutta”, sussurrò in risposta. “Buonanotte”. Si era incamminata ma non aveva sentito la porta richiudersi e si era nuovamente girata in sua direzione. “Tu ci riesci?”, gli aveva chiesto improvvisamente e in modo diretto. “A resistere?”.
Era certa che non avrebbe risposto, o che l'avrebbe guardata interdetto e spiazzato da una simile domanda potenzialmente intrusiva. Ma la sorprese ancora una volta. Un sorriso ne increspò le labbra, la scrutò con il viso inclinato di un lato. Lo sguardo sembrò scintillare. “In una serata come questa?”, le chiese quasi a mo' di conferma. “Decisamente sì”.
Aveva annuito, Brittany, per qualche motivo sentendosi nuovamente rassicurata: quasi una parte di sé fosse consapevole che quella semplice risposta, ancora una volta, celasse qualcosa di ben più intenso. Che probabilmente avrebbe compreso concedendosi tempo, come le aveva suggerito, e magari persino conoscendolo meglio. Sollevò la mano in un cenno di saluto, un ultimo sorriso, e si volse nuovamente, sperando di non perdersi lungo il tragitto.
Era cerca che la porta di Hunter era rimasta aperta, fino a quando non aveva girato l'angolo.
Riprese il suo lavoro in cucina, andò a letto molto tardi, dopo una lunga doccia risanatrice, e con la prospettiva di una lunga giornata davanti. Ma il punto è che, da quella visita, non smise di sorridere.

To be continued...


1 Riferimento assai discutibile e poco lusinghiero all'influenza che ha avuto uno dei principali focolai soprattutto nel Sud Est asiatico.
2 Il nome originale (fonte Murphy stesso su twitter) è Mr Puss, ma credo che aggiungere la “y” gli dia un tocco un po' più dolce ;) Inoltre mi è sempre capitato di leggerlo così nella traduzione. E' stato Nolan stesso, (sempre su twitter), a dichiarare che fosse Clarence il nome del micio, ragion per cui, per essere il più meticolosa possibile, ho inserito entrambi :)

Spero mi abbiate perdonato i momenti meno lieti di questo capitolo, ma dopotutto c'è stato anche qualche motivo per sorridere. Se Brittany si sta abituando a questa nuova vita, subentreranno altre situazioni da vivere e si approfondiranno i rapporti con le altre figure principali :)
Uno scorcio al prossimo capitolo:

Brittany, rilassati”. “Sì, scusa”. “Non devi scusarti”. “Scusa, cioè niente. Mi hai chiamata per nome”. “Se preferisci ti chiami Pierce-”. “No, mi piace sentirtelo dire”.
Ora mi racconterai la parte mancante da 'non lo sopporto, non voglio parlarne' a 'spero che mia madre non si accorga che mi brillano gli occhi pensando a lui'”.
Spero ti sia reso conto, Hunter, che sono mosse da svenevole cheerleader e neppure molto aggraziate” “Dissento ma procediamo alla votazione”.


Un abbraccione forte a tutte le mie unicorn girls: mandatemi qualche vibrazione positiva in forma di unicorno, in attesa della mail con il responso dell'esame di ieri :D
Buon weekend a tutti,
Kiki87






   
 
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