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Autore: Harmony394    16/11/2013    7 recensioni
C’era una cosa che non aveva mai sopportato degli asgardiani: il fatto che fossero sempre maledettamente invadenti. Non aveva detto una sola parola da quando aveva rimesso piede su Asgard, eppure sembrava che tutti stessero cercando di tirargliene fuori quante più possibili solo guardandolo negli occhi. Il loro era uno sguardo avido, curioso e quasi famelico, ma nonostante la mordacchia gli stesse lacerando la lingua, scavando a fondo senza alcuna pietà, Loki non poté fare a meno di sorridere sardonico, divertito dalla situazione.
Era tornato, alla fine. Ma non da vincitore, né da perdente. Semplicemente, era ancora lì.
(...)
«Adesso, qui dinanzi a tutti loro, io ti chiedo: cosa hai da dire in tua discolpa?».
Sembrò che tutta Asgard pendesse dalle sue labbra: la plebe venuta ad assistere al suo ritorno ammutolì di colpo, le guardie rafforzarono la presa sulle loro lance e Sif e i Tre Guerrieri, come se fossero stati sincronizzati, strinsero più forte i pugni e digrignarono i denti, curiosi di sapere cosa avrebbe risposto.
Loki ghignò. «Vi sono mancato?».

[SEQUEL DI: LA VOLPE E IL LUPO] [LokixNuovopg] [Accenni al film THOR:TheDarkWorld]
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Volpe e il Lupo.'
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~Dangerous discoveries

Who do you think you are?
runnin’ ’round leaving scars
collecting a jar of hearts
tearing love apart
you’re gonna catch a cold
from the ice inside your soul
don’t come back for me
who do you think you are?

 
 
Una volta entrato nella Sala del Trono, Malekith si inchinò dinanzi a Thanos: dopo la fuga da Asgard, il Titano era diventato più rude e irascibile del solito, e questo non significava nulla di buono.

Dinanzi a lui, stravaccato sullo scranno rivestito d’acciaio e di ferro, stava proprio Thanos: i suoi occhi brillavano di un bagliore sinistro, pericoloso, e le sue ruvide labbra erano dischiuse in un ringhio. Al suo fianco, in un fruscio di seta e di oro, sedeva Eris: le sue lunghe gambe erano accavallate sopra il bracciolo del trono e un sorriso mellifluo le incurvava le labbra. Lo guardava con sufficienza e a Malekith tornò in mente la prima volta in cui l’aveva vista a Svartálfaheimr, elegante e sinuosa come una pantera, mentre gli proponeva il patto per cui tutto era iniziato.

Aveva ancora impresse nella mente le parole che gli erano state rivolte da Eris, gelide e taglienti come la lama di una spada: Una sola mossa falsa, Elfo, e la tua testa verrà servita per cena ai Chitauri.

«Mio Signore, sono al vostro comando...» Mormorò Malekith, portando una mano al petto. Non sapeva perché Thanos lo avesse convocato, in fondo erano giorni che lo ignorava, eppure sentiva qualcosa dentro di sé, come un campanello d’allarme. Lo sguardo furente del Titano lo trapassava da parte a parte e Malekith iniziò a sudare freddo.

Con eleganza, Eris scostò i lunghi capelli corvini dalla sua spalla e si avvicinò a Thanos, senza distogliere lo sguardo da Malekith.

 «Mio signore, permettete che sia io a riferirgli la ragione per cui lo avete convocato...» Le sue dite scorrevano lente sulla pelle ruvida del Titano, delicate e morbide come velluto, ma Thanos le cacciò via con un ringhio spazientito e rivolse un’occhiataccia alla Signora del Caos.

«Taci, donna», la sua voce era dura e sprezzante, molto più di un semplice ammonimento. «Riguardo a te, Elfo: il tuo piano è fallito, siamo di nuovo al punto di partenza. Tutto ciò che ho guadagnato è stato il sangue di un infante. Mi avevi promesso il Tesseract, eppure non ho nient’altro che un pugno di mosche», disse, con terribile tranquillità. Dopo qualche istante, Thanos rivolse un cenno del capo all’Altro che ghignò e, in un turbinio di movimenti, Malekith si ritrovò a terra con un pugnale puntato alle spalle.

«M-Mio signore…» La presa sui suoi capelli si fece più intensa e la lama più vicina alla schiena. «Vi supplico…».
«Supplica gli dèi, Elfo. Forse ti procureranno un posto nell’Hel, se sono magnanimi».

Ad un tratto, Malekith vide tutto rosso e non riuscì a distinguere i suoni che gli ronzavano intorno come insetti fastidiosi. Poi il dolore esplose nella sua testa senza preavviso e tutto iniziò a vorticare sempre più velocemente. Solo quando qualcosa di denso e umido cominciò a scorrergli giù per la schiena, capì che l’Altro lo aveva pugnalato. La ferita non era profonda, lo sentiva, eppure bruciava terribilmente e Malekith non seppe spiegarsi il perché.

«La lama di Tyrfing è una delle più potenti dell’Universo, nevvero? Un solo graffio potrebbe uccidere un uomo adulto in pochi minuti. È divertente il fatto che sia stato proprio tu, Malekith, a donarla al mio signore, con la promessa di gloria e vendetta, quando poi l’unica cosa che ci hai dato sono state illusioni e vane parole. Credevo che la lezione sul non dire le bugie ti fosse bastata, quella volta. A quanto pare, mi sbagliavo…».

La testa sembrava scoppiargli e Malekith udì le parole di Eris come un’eco lontanissima, irraggiungibile. Credette di stare per morire, di non poter più respirare. Le gambe gli si intorpidirono e presero a tremare convulsamente. Era come se una frusta incandescente gli avesse colpito il volto e la schiena.  Macchie del colore del fuoco gli esplosero davanti agli occhi.

No, no… non posso morire. Non adesso, non senza di lei. No, no, no!

Poi, così come era arrivato, il dolore sparì. E Malekith aprì gli occhi.

Confuso e dolorante, si alzò a sedere, le testa sembrava scoppiargli. Thanos ed Eris lo osservavano con aria beffarda da sopra la loro postazione. Non riuscì a capire. Sarebbe dovuto morire, perché riusciva ancora a respirare?

«Patetico», soffiò Thanatos, canzonatorio. Eris ridacchiò.
«Quella che ti ha colpito, Malekith, non era Tyrfing; bensì una copia dalla lama cosparsa di distillato corrosivo, nulla di mortale. Ciò che hai provato quest’oggi, però, è niente in confronto a ciò che proverai se fallirai ancora. Il mio signore è stato clemente, Malekith. Non farlo pentire…» La voce di Eris era intrisa di derisione. Sembrava stesse giocando, tanto era tranquilla. Di riflesso, Malekith pensò a un ragno che aveva catturato un insetto.

«Io… io…» Le parole vennero meno e Malekith si vergognò come un ladro. Proprio lui, il Sovrano di Svartálfaheimr, umiliato da una donna. Che mortificazione. Sospirò e tentò comunque di darsi un contegno, nonostante stesse tremando di rabbia. «Io giuro che sistemerò tutto, mio signore. Non vi farò pentire della vostra scelta. Al contrario: ho già un piano ben preciso, sono certo che funzioner–».

«No» Disse Thanos, gelido. «Ho già il mio piano, e tu lo eseguirai senza esitazione, Elfo».

Malekith chinò il capo. «Sono ai vostri ordini, sire».

Il sorriso di Thanos si allargò. Nel suo sguardo, Malekith rivide lo stesso furore della prima volta in cui gli aveva parlato.

«Allora raduna gli eserciti, governa le navi e prepara le armi. È giunto il momento di fare una visitina a Jane Foster».

 

 
«In guardia!».

Parata, fendente, schivata.

«Attenta a te, piuttosto!».

Fandral sorrise beffardo. Sif digrignò i denti. Di nuovo, le loro lame s’incrociarono. Dall’alto della sua postazione, Thor pensò che Sif era migliorata molto nel combattimento corpo a corpo.

Fandral parò nuovamente l’affondo della compagna. Sif urlò per la frustrazione, diede una ginocchiata alle parti basse di Fandral e cavò* la sua spada, facendola cadere a terra con un tonfo. Fandral provò a riprenderla ma Sif lo precedette e, mentre lui era a terra, lo spinse giù con un calcio e gli puntò la spada sotto il mento.

«Ti ho battuto», il sorrisetto beffardo di Sif fece sorridere Thor di compiacimento.

Il sorriso di Fandral, invece, sparì del tutto. Al suo posto, comparve una smorfia piena disappunto e dolore; le sue mani erano premute contro l’inguine.

«Mi hai dato una ginocchiata! Non è leale, questo!», berciò, continuando a contorcersi per il dolore. Sif fece spallucce.
«Quante storie. E saremmo noi donne il sesso debole? Tale spettacolo mi fa sorgere dei dubbi».

Attorno a lei, tutti i guerrieri giunti ad assistere allo scontro risero di gusto. Anche Thor rise. Per quanto maschiaccio potesse essere, Sif rimaneva comunque una delle donne più affascinanti e caparbie che avesse mai conosciuto.

«Ti diverti, figlio?».

Thor si voltò. Suo padre era accanto a lui, lo sguardo fiero e austero che lo aveva sempre intimorito da ragazzo. Nei suoi occhi, scorse una venatura malinconica e stanca ma non ne fu sorpreso.

«Cerco solo di distrarmi dai cattivi pensieri, padre» Rispose.

Gli tornò alla mente il viso striato dalle lacrime e dalla paura di Vàlì, mentre Thanos gli stringeva il collo; lo sguardo di dolore e sgomento, quando gli era stato strappato via il cuore con una violenza spietata, vendicativa; i suoi occhi che si rivoltavano mentre cadeva a terra, esamine, in una pozza di sangue. Con i ricordi, tornò anche il dolore e Thor serrò i pugni, conficcando le unghie nella carne del palmo e stringendo senza pietà. Il dolore fisico era tanto, insopportabile, ma alleviava di poco quello al cuore e tanto gli bastava.

Se solo fossi stato più svelto, se solo lo avessi protetto…

La mano callosa e ruvida di suo padre si poggiò sulla sua spalla, pesante. Osservandolo, Thor rivide lo stesso sguardo che gli riservava ogni volta che, da ragazzi, Loki veniva bersagliato da alcuni ragazzi e lui non faceva in tempo a difenderlo. Non era mai riuscito a decifrare quello sguardo, da giovane. Ma adesso che la storia si ripeteva, con Vàlì come vittima, Thor non aveva più dubbi riguardo al suo significato.

«Sai bene che ciò che è accaduto non è stato colpa tua» Dichiarò Odino, pacato. Thor distolse lo sguardo, colpevole, e si liberò dalla sua stretta. Sapeva che suo padre stava solo cercando di farlo sentire meglio, eppure alle sue orecchie quelle parole rimbombarono come le peggiori delle accuse.

«Non mi importa di chi è la colpa. Quei mostri pagheranno per ciò che hanno fatto» La sua voce era fredda e aspra, colma di rabbia. Nonostante fosse passato un mese da quel giorno, Thor non riusciva ancora a dimenticare. Erano così vivide, così maledettamente terribili, così… reali. Se chiudeva gli occhi, l’urlo disperato di Vàlì mentre invocava aiuto riecheggiava ancora nella sua testa, terribile come il peggiore degli incubi.

«Non sei tu che dovrai vendicare il giovane Vàlì, Thor. Non è a te che spetta tale compito».

Thor impiegò alcuni minuti per recepire appieno il significato di quelle parole, ma quando lo comprese si voltò, gli occhi ridotti a due fessure azzurre e lo sgomento impresso sul volto ruvido. Guardò Odino come se lo vedesse per la prima volta.

«E a chi toccherebbe, allora?» Chiese, senza riuscire a nascondere il nervosismo che gli faceva prudere le mani.

La risposta non tardò ad arrivare. «Loki», disse suo padre, solenne. Nel sentir nominare quel nome, Thor strinse i pugni con veemenza.  

Loki…

In seguito al funerale di Vàlì, tenutosi tre giorni dopo la sua morte, al palazzo non si era parlato altro che di lui. Dicevano che era Loki l’artefice della morte di Vàlì, che le parole di Thanos, pronunciate poco prima che suo padre lo obbligasse a scappare, ne erano la conferma e che la presunta “promessa” non era altro che un accordo suggellato da entrambi. Quando Thor era venuto a conoscenza di quegli assurdi pettegolezzi, la sua rabbia era stata tale da trasformare il nome di Loki Laufeyson in un tabù: nessuno osava più nominarlo in sua presenza.

Nonostante ciò, non c’era giorno in cui Thor non pensasse a lui. Si ripeteva che era impossibile che avesse fatto una cosa simile, che si fosse spinto a tanto solamente per un capriccio infantile. A lungo andare, però, non poté fare a meno di chiedersi se non stesse solo mentendo a se stesso per paura di una verità troppo amara da digerire.

Quando Padre aveva deciso che Loki doveva restare in vita, rinchiuso nelle segrete in attesa di chiarimenti riguardo ciò che era accaduto quel giorno, Thor aveva pensato che forse la cosa migliore da fare era ucciderlo una volta per tutte. Subito, però, un profondo senso di disgusto lo aveva avvolto come una coperta, facendolo vergognare come un ladro.

I primi tempi aveva provato a scendere nelle segrete, a parlargli, ma l’unica cosa che aveva ottenuto erano stati  il silenzio assoluto e delle occhiate così penetranti da trafiggerlo ogni volta. Così, col passare dei giorni, Thor non era più andato a fargli visita e aveva preferito chiudere gli occhi, provando vergogna ogni volta che incrociava lo sguardo di Emily.

Nel ricordarla, Thor fece scorrere la mano lungo i tratti del suo viso, come se così facendo tutte le preoccupazioni potessero sparire. Da giovani loro due e Loki avevano passato molto tempo insieme; Emily aveva sempre preferito giocare con Loki, piuttosto che con lui, provocandogli spesso irritazione; dopo la dipartita di Loki, Emily aveva trascorso ogni giorno in compagnia di qualcuno per timore di restare di nuovo da sola; Thor aveva visto la sua pancia crescere sempre di più e persino lui, che i bambini non li aveva mai sopportati, aveva cominciato a porsi domande sul colore degli occhi di Vàlì, sul suo carattere, sulla sua voce.  

Quando poi Vàlì era nato, Thor aveva visto la gioia riaffiorare sul viso dell’amica. Tutto sembrava essere tornato come prima. Poi però aveva fatto ritorno. E con lui anche l’oscurità che si era lasciato dietro.

«Loki non può fare niente. È stato rinchiuso a vita nelle segrete. Il massimo che potrebbe fare è evitare di impazzire del tutto» Parlò a un tratto, grave. Nonostante ciò, Odino non demorse.  

«Le catene non possono lenire la rabbia di un padre. Solo fomentarla».

«Dunque intendi dire che Loki è innocente?» Berciò Thor, alzando il tono della voce. «Sappiamo bene entrambi ciò che è accaduto quel giorno e ne sono certo, Loki c’entra qualcosa», continuò, respirando profondamente nel tentativo di calmarsi. Dentro di sé sembrava imperversare una battaglia fra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, ma Thor non sapeva quale strada intraprendere per mettersi in salvo. Il vento lo spingeva, con violenza crescente, spingendolo sul ciglio del baratro e schiacciandolo con il peso dei suoi stessi pensieri. «Non possiamo sistemare ciò che è già stato rotto, Padre. Ci ho già provato una volta ed ho fallito miseramente. Credimi, so di cosa parlo», concluse, sospirando.

«L'unico vero fallimento sta, in realtà, nel permettere alla sconfitta di avere la meglio su di noi, Thor. Loki non c’entra in questa storia, o perlomeno non nel modo in cui credi tu. Il fatto che abbia ceduto alle lusinghe dell’Oscurità  che dietro quella foschia imperscrutabile non si nasconda una luce. Forse dovresti semplicemente guardare oltre ciò che vedi».

«E tu?», domandò allora Thor, d’istinto. «Tu l’hai fatto? Hai guardato oltre?».

Odino ricambiò il suo sguardo. Il suo unico occhio, azzurro come i cieli più limpidi di Asgard, era colmo di tragicità.

«Sì» Rispose, sospirando. 

«E cosa hai visto?» Chiese allora Thor, sinceramente interessato.

«Padre degli dèi, Heimdall ha qualcosa di urgente da dirvi! Richiede la vostra presenza e quella del principe Thor immediatamente!».

Un ragazzo sulla trentina d’anni, uno di quelli che avevano lottato contro Thanos, si inserì nella conversazione. Aveva il fiatone, gli occhi sgranati e del sudore gli imperlava la fronte. Thor scambiò un’occhiata con suo padre, lui assentì col capo e si diressero da Heimdall. Nel tragitto, Thor non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe risposto suo padre se non fossero stati interrotti.

Quando arrivarono, Heimdall non disse molto; solo poche parole di cui Thor non capì il significato. Ma quando vide l’espressione che si era delineata sul volto di suo Padre, comprese che non doveva trattarsi di nulla di buono.

«Il Velo è stato distrutto».
 

«Jane, andiamo. Sono già tre ore che siamo chiusi qui dentro. Fra poco inizierà Once Upon a Time ed io devo sapere se Belle e Tremotino si metteranno insieme! Eddai, forza andiamo! Torneremo domani!!».

Devo cercare di capire il significato di queste rune. Non deve essere poi tanto difficile. Sono riuscita a tradurre un papiro scritto in egiziano arcaico, deve essere più o meno la stessa cosa…

«Jane, senti: so che tutto questo può avere un senso per te, ma per me non lo ha affatto. Tutta questa gente mi mette ansia e questa biblioteca puzza di muffa, non troverai nulla qui dentro!».

Aaaah! Cosa diavolo significano queste rune?! Aspetta un attimo: cosa sono ‘sti cosi? Non sembrano umani. Più che altro sembrano… alieni.

«Ohmmioddio, Jade ha appena pubblicato il quinto capitolo delle sua fanfiction su Bruce Banner e la sua self Insertion! Cazzo, cazzo, cazzo, Jane, muoviti, devo andare subito a casa! Ho una vita da vivere!».

Un momento, il dottor. Banner aveva detto che questa è una lingua sconosciuta, per cui non sarebbe strano se fosse sul serio un linguaggio alieno. Forse se guardo meglio le figure riesco a capirci qualcosa…

«Jane, giuro che questo dannato masso te lo do in testa se non usciamo subito di qui!».

E se questo ciondolo… oddio, ho capito cosa devo fare!

«Jane, sbrighiamoci!!».

«SILENZIO!» Non si era nemmeno accorta di aver urlato. Quando però udì un coro di SSSSSH!! riecheggiare nella sala, Jane ricordò di essere ancora dentro una biblioteca e che urlare non era considerato proprio “educato”, in quel contesto. Subito arrossì fino alla punta dei capelli e nascose il viso dietro un libro che aveva poggiato sulla scrivania.

«Visto che hai combinato? Ci hai fatto fare una figuraccia!», sussurrò Darcy pianissimo, ma non abbastanza da non udirla. Erik si accorò al rimprovero e le lanciò un’occhiataccia.

«È colpa vostra!», disse Jane, sempre a bassa voce. «Se non mi aveste tormentata con la vostra inutile premura a quest’ora noi–».
«Oh, piantala! Possiamo andare adesso? Sono stufa di stare qui» Darcy mise il broncio e sbuffò irritata. Le sue dita non la smettevano di tamburellare sul tavolo.

Jane le scoccò un’occhiataccia. «Sei la mia assistente, Darcy. Ti pago per stare qui!», disse. Darcy roteò gli occhi. «E tu, Erik: devi smetterla di comportarti da idiota. Stai diventando insopportabile!».

Erik fece per ribattere ma Jane lo precedette. «E adesso state zitti. Se ciò che penso è vero, allora ci troviamo davanti a una delle maggiori scoperte archeologiche e scientifiche della storia!».

«Addirittura!» Rise Darcy. Anche Erik rise, ma tentò di non darlo a vedere.

«Adesso basta. Anzi, venite qui e ascoltatemi!» Erik e Darcy fecero come era stato loro impartito e Jane prese il ciondolo intriso dall’energia del Tesseract e lo sventolò davanti a loro.

«Ebbene?» Domandò Erik, scettico. «È ancora quel dannato ciondolo. Liberatene e non pensarci più, porta solo guai».

«No, Erik!  Disse Jane, seria. «Ma non capisci? C’è un motivo se ho trovato questo ciondolo! E c’è un motivo se è successo proprio quando la luce rossa del rilevatore ha ripreso a lampeggiare! È tutto collegato!».

Darcy aggrottò la fronte. «Jane, per me stai esagerando. Sono solo delle coincidenze…».

«Lo credo anch’io, Jane. Ti stai stressando un po’ troppo, ultimamente» Si accorò Erik.

Non le credevano. Pensavano che fosse pazza. Da quanto tempo non le capitava una cosa simile? Dalle superiori, forse. Jane ricordava ancora con spietata nitidezza gli sguardi beffardi dei suoi ex compagni di scuola mentre la chiamavano pazza e la gettavano nei cassonetti dell’immondizia o la chiudevano in bagno – per scherzo! Dicevano loro. Erano dei ricordi che credeva di aver rimosso, eppure erano ancora lì, sospesi sulle parole di Erik e Darcy. Ed erano terribili.

«No!», disse Jane, furiosa. Non voleva più rivivere le esperienze passate. Era cambiata, adesso. Ed era più forte. Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno. «C’è un motivo se è accaduto tutto ciò. E ve lo dimostrerò!».

Agì d’istinto, senza sapere esattamente cosa fare: prese il ciondolo e lo infilò nella fessura collocata al centro della pietra, aspettandosi di vedere chissà cosa, la conferma che aveva ragione, che non era pazza. Subito, le crepe della pietra si illuminarono di azzurro e diedero vita a un disegno che Jane non era riuscita a notare prima: sembrava un architrave, un grosso, gigantesco architrave, cosparso di ghirigori vichinghi e di rune. Attese per qualche minuto, il cuore che le batteva a mille per l’eccitazione, finché ad un tratto la luce azzurrina si spense e tutto tornò alla normalità. Confusa, Jane aggrottò la fronte e aspettò che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa.  Ma a dispetto delle sue aspettative, non accadde nulla. E Jane capì di essersi sbagliata.

Darcy inarcò un sopracciglio. «Tutto qui?».

CRAAASSSSSH!!

Una delle vetrate della biblioteca finì in frantumi e lo stesso accade a tutte le altre. Attorno a loro regnava il caos, una cacofonia di urla e schiamazzi, e Jane fece appena in tempo a sentire Darcy urlare MA CHE DIAVOLO HAI FATTO?! che un ragazzo coprì la sua voce.

«Ehi, guardate! Un tizio col martello le sta suonando a un Teletubbies!».

Jane impiegò un po’ a comprendere il significato di quelle parole. Quando infine realizzò, il cuore le salì in gola e le sue gambe si mossero da sole, sfrecciando verso una delle finestre. Quando lo vide, dimenticò improvvisamente come si faceva a respirare.

Thor…

Era proprio come lo ricordava: alto, bellissimo e… e… Lui. I suoi capelli erano più lunghi, la sua armatura diversa, ma i suoi occhi – quei dannatissimi occhi – erano ancora come sette anni fa. Non erano cambiati nemmeno di una virgola.

Solo in un secondo momento si accorse che Thor stava davvero lottando con qualcuno. D’istinto, Jane pensò ai Chitauri. Eppure quell’essere era differente, più alto, più… familiare. Lo aveva già visto da qualche parte, ma al momento la sua mente era così annebbiata da non farle ricordare nemmeno il suo nome.

Thor e l’Alieno lottarono per un tempo che le parve infinto. Di tanto in tanto, entrambi scomparivano nel nulla per poi ricomparire il secondo dopo, sempre continuando a combattere. Jane vide Thor finire scagliato su un tetto, spiaccicare la testa dell’Alieno contro una vetrata, perdere il Mjolnir e recuperarlo un attimo prima dell’impatto a terra, cadere a terra mezzo morto a causa di un pugno da parte del Tizio in Nero e fracassare una macchina come se fosse una cosa di tutti i giorni. Lo rivide di nuovo a terra, poi in piedi, poi di nuovo a terra: pugno, sinistro, Mjolnir che cercava di spaccare la testa al Tizio-in-Nero, Tizio-in-Nero in questione che urlava di rabbia e dava un calcio alle parti basse di Thor, poi di nuovo un pugno da parte del Tizio-in-Nero e infine una navicella spaziale di dimensioni epocali che si abbatteva su Londra. Così, giusto perché ciò che stava accadendo non era ancora abbastanza assurdo.

Jane uscì dalla biblioteca di corsa e Darcy ed Erik le furono subito accanto.

«Certo che l’hai fatta proprio grossa stavolta, eh».
«Sta zitta, Darcy».

Mentre Thor e il Tizio-in-Nero continuavano a lottare, Jane decise che era il momento di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Soprattutto perché Thor era evidentemente in svantaggio numerico rispetto alla miriade di Tizi-In-Nero che erano improvvisamente comparsi dal nulla. Pensò bene di prendere un masso e tirarlo in testa a uno di loro, che cadde a terra come una pera cotta. Erik e Darcy la osservarono sconvolti.

«Che c’è? Dovevo pur fare qualcosa, no?!».

Darcy ed Erik non ebbero il tempo di rispondere perché altri Tizi-in-Nero, appurato che Jane aveva appena ammazzato uno dei loro, si voltarono verso di loro. E non sembravano avere proprio l’aria amichevole.

Darcy sospirò. «Bella mossa, tigre».

I Tizi-in­-Nero grugnirono di rabbia e uno di loro urlò qualcosa nella loro direzione. Jane capì che era arrivato il momento di darsela a gambe. 

«VIA!!».

Si separarono in tre direzioni diverse, e solo dopo una corsa estenuante Jane riuscì a seminarli. Arrivata in un luogo desolato, dove l’unica anima viva sembrava essere lei, capì che forse non si sarebbe dovuta trovare lì. Fece per tornare indietro ma qualcuno la afferrò per un braccio e, voltandosi, riuscì a intravedere solo due profonde iridi nere come l’ossidiana e un sorriso sghembo simile a un ghigno. Poi il dolore avvolse il suo braccio e Jane chiuse gli occhi d’istinto, divincolandosi dalla presa di quella cosa e portandosi il braccio al petto. Qualcosa di strano salì su per la sua schiena e dei forti brividi la scossero. Immagini confuse annebbiavano la sua mente: Jane rivide quegli occhi neri come il buio e udì una risata sguaiata, inumana, che assomigliava a quella del suo sogno.

Quando riaprì gli occhi, non c’era più nessuno. La testa le girava e le veniva da vomitare. Si appoggiò a una lastra lì accanto e si passò una mano sul volto, sconvolta. Poi, così come era arrivato, il dolore cessò e Jane cominciò a mettere a fuoco il paesaggio. Ciò che vide, però, la lasciò senza fiato.
Thor era lì. Pochi metri più avanti. E le sorrideva.

Jane si avvicinò a lui senza neanche respirare, temendo che un qualsiasi rumore, suono o chissà cos’altro potesse farlo scomparire. Poi, quando fu abbastanza vicina e sicura che non si trattasse di un’illusione, lo schiaffeggiò.

«Dove diavolo eri finito?!».

 

 
«Mia signora, la prego, esca da questa stanza. Sono giorni che non mangia, che non parla. Tutte noi siamo preoccupate per la sua salute» La voce di Hlìn arrivò alle sue orecchie fastidiosa come il ronzio di un insetto. Emily le lanciò un’occhiataccia. Non voleva uscire dalla sua stanza. Non voleva spalancare le tende, far entrare la luce. Voleva solo rimanere lì, nel suo letto, a giacere sotto le coperte. A pensare.

 A volte, quando dormiva, Emily sognava suo figlio, lo rivedeva mentre gli baciava le guance, tirava con l’arco, gli accarezzava i capelli, e al risveglio si sentiva più stremata di prima. Il funerale era ancora vivido nella sua mente: non aveva pianto, quel giorno. Il dolore era stato tale da non riuscire neppure a muoversi. Era rimasta in silenzio mentre Vàlì veniva seppellito in quella nave di pietre e ricoperto di doni e di offerte. Molti dei partecipanti avevano donato a Vàlì dei bellissimi fiori, altri dell’oro e altri ancora delle pietre preziose. Lei, invece, aveva posto sulla tomba un arco, quello con i draghi che gli era sempre piaciuto tanto, poi lo aveva baciato sulla fronte per l’ultima volta. Da allora non aveva più detto una sola parola e tutt’ora continuava a mantenere il silenzio.

Nel portarle i pasti e aiutarla a lavarsi, le ancelle avevano cercato di consolarla. Emily apprezzava la loro premura, ma sarebbe stata loro ancor più grata se l’avessero lasciata in pace. Anche Frigga veniva a farle visita ogni giorno e durante quelle visite parlava, parlava e parlava ancora. Era il suo modo per calmare il dolore, aveva fatto così anche quando Loki era caduto dal Bifröst, eppure Emily non riusciva proprio a sopportarla. Non voleva condividere il suo dolore con nessuno, nemmeno con la Regina. Voleva restare sola. Non voleva vedere nessuno.

Hlìn scoccò un’occhiataccia alle compagne e quelle subito uscirono dalla sala. Rimaste sole, Hlìn le si avvicinò cautamente e le sistemò delicatamente una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio.

«Mia signora, dovreste davvero uscire di qua. La solitudine non fa che aumentare la vostra angoscia, e quelle di tutti i vostri cari. Quest’oggi a coorte è giunta una ragazza da Midgard, dicono sia l’amante del principe Thor. Avreste dovuto vedere la faccia di lady Sif quando l’ha vista, era verde di gelosia!», ridacchiò. Emily la trovò molto sciocca, ma apprezzò il suo tentativo di tirarle su il morale e abbozzò un sorriso tirato. «Visto?», esclamò Hlìn, guardandola con dolcezza. «Avete sorriso! Oh, mia signora, siete così bella quando lo fate! Perché non vi fate un bel bagno caldo e uscite fuori da questa stanza? Vi attendono tutti: il principe Thor, la Regina, il Padre degli dèi e…».

Emily avrebbe voluto dirle che non gliene importava niente della Regina e dell’amante di Thor. Che il solo pensiero di uscire fuori dalle sue stanze le faceva contorcere la viscere, figurarsi quello di incontrare della gente. Prima che potesse opporsi, però, Hlìn la portò nel bagno e la svestì con velocità, per poi gettarla nella vasca. Emily si sentiva una bambola senza possibilità di scelta, che doveva sottostare ai capricci di una bambina. Cercò di protestare ma Hlìn le gettò addosso un secchio d’acqua proprio nell’istante in cui aveva aperto la bocca, facendole inghiottire un bel po’ di acqua. Alla fine, troppo esausta persino per ribellarsi, Emily si lasciò andare alle cure della sua serva. Quando ebbe finito di sistemarla e acconciarla come una bambola, Hlìn squittì di compiacimento e le accarezzò il braccio con felicità.

«Siete bellissima, mia signora!» Disse. Emily si guardò allo specchio, che le rimandò il riflesso di una giovane donna, pallida, magra più del dovuto, dal viso scavato e gli occhi stanchi, vuoti, che avevano perso ogni luce. Se quello era il concetto di bellezza di Hlìn, non osava immaginare quale fosse quello di bruttezza. Subito distolse lo sguardo.

Riservò un’occhiata di cortesia ad Hlìn e si diresse verso il proprio letto. Subito, l’ancella le fu accanto ed Emily cominciò a sentirsi infastidita. Strinse le labbra.

«Ma no, ma no!», cantilenò la serva. «Basta rimanere chiuse qui dentro! Bisogna uscire, respirare aria pulita!» Emily non rispose e sul volto di Hlìn si delineò una ruga di malinconia. «Il passato deve essere dimenticato, mia signora. Non serve a niente rievocarlo. Io lo so bene, anch’io ho perso tante persone care a causa della guerra», disse, con la partecipazione di chi condivideva un dolore.

Non serve a niente rievocarlo.

«Coraggio», la spronò Hlìn, prendendola sotto braccio. Emily provò a fare resistenza ma, come nella sala da bagno, non aveva abbastanza forza e si lasciò trascinare. «Usciamo fuori. Mia madre era solita dirmi che nulla dà più benefici dell’aria di Asgard!».

Senza nemmeno rendersene conto, Emily era fuori dalla sua stanza, diretta al balcone principale, quello che dava sulla parte est della città. Subito Asgard le si parò davanti, mozzandole il respiro.

Asgard…

Quei colori, quei paesaggi… le ricordavano tante di quelle cose! Poteva sentire il sole che le baciava i capelli mentre, da bambina, si sdraiava sul prato; l’erba che le solleticava la pianta dei piedi, lo scrosciare del fiume e l’odore del pane. Il cielo era di un caldo color arancio e la brezza era fresca e profumava di fiori. Da lassù, Emily poteva sentire le voci della gente. Per un istante, dimenticò tutto: Loki, Vàlì, il funerale, se stessa...
Quando fu sazia di quella visione, Emily voltò il capo verso Hlìn, che la osservava di sottecchi qualche metro più in là. Le sorrise e fu certa che avesse capito cosa stava pensando.

Grazie.



 

«Sei completamente uscito fuori di testa?! Prima mi lasci sola per anni e poi mi porti qui?! Così, senza neanche un preavviso?!».

Thor aggrottò le folte sopracciglia, assumendo un’espressione spaesata. «Ti ho forse offesa?», chiese. «Credevo volessi visitare Asgard, e la Terra al momento è sotto assedio. Dubito ci sarà mai un’occasione migliore di questa».

«La Terra è sotto COSA?!» Urlò Jane, gli occhi terribilmente sgranati. «Che diavolo erano quei cosi?! E perché ce l’avevano con te?!».

Era sconvolta. E la testa le faceva ancora male. E non riusciva ancora a metabolizzare gli ultimi eventi. Era accaduto tutto così in fretta! Aveva schiaffeggiato per ben due volte Thor, lo aveva accusato di essere uguale al suo ex, di averla lasciata sola per anni, senza neanche mandarle un messaggio con scritto Come stai? e averle dato false speranze; gli aveva anche detto che non sarebbero stati dei muscoli – E che muscoli… - a farle cambiare idea e che anche se la guardava in quel modo – Oh, quei dannatissimi occhi!! – la situazione non cambiava e lei era ancora furente con lui. Poi però Thor l’aveva baciata e lei si era sciolta sotto la dolcezza di quel bacio come neve al sole. Ricordava parole confuse – Ti avevo fatto una promessa… -, la voce squillante di Darcy mentre chiamava il suo nome e un improvviso blocco allo stomaco, come se qualcuno le avesse dato un pugno ben assestato. Quando aveva riaperto gli occhi, Jane si era ritrovata ad Asgard. Con tanto di tizi in cosplay di Xena e Robin Hood, e la donna dai capelli neri e in armatura conosciuta in New Mexico che la fissava di sbieco. – Oh, ma che vuole questa?, ricordava di essersi chiesta, ma aveva pensato fosse meglio non dirlo a voce alta.

«Sono Elfi Oscuri, lady Jane», Disse un uomo sulla sessantina d’anni, con una folta barba, una benda e tanta stanchezza sul volto. Quando comprese di essere al cospetto di Odino in persona, la testa cominciò a girare e Jane credette di essere sul punto di svenire. «Esseri provenienti da Svartálfaheimr inclini al caos e alla devastazione. Noi riteniamo che siano in cerca del Tesseract».

«Il Tesseract? Perché? A che serve?».

«La domanda non è a cosa, lady Jane, ma a chi. Thor mi ha raccontato della tua intelligenza e del tuo ingegno. Sono certo che saprai trarre le giuste conclusioni».

Jane ci pensò su. Non poteva fare una brutta figura di fronte a Odino, doveva assolutamente dire qualcosa! Qualsiasi cosa!

Prima che potesse tirare le somme, però, lo stesso malore che l’aveva pervasa poco prima riaffiorò in lei. Questa volta però era diverso, più doloroso. Per un istante Jane vide solamente bianco e la testa continuava a ronzare terribilmente, senza sosta. Era come avere un maglio a vapore al posto del cervello.

Cominciò a tossire e qualcosa di denso e appiccicoso le colò sulle mani. Non fece in tempo a capire di che si trattasse, perché le ginocchia cedettero sotto il suo peso e Jane sentì il freddo del pavimento sotto di sé. Il suo corpo era percorso da brividi e la sua schiena bruciava terribilmente.

Le parve di udire la voce di Thor urlare qualcosa e quella di una donna accorarsi. Era tutto così confuso, così strano. Cosa stava succedendo? Perché era a terra e non riusciva più a vedere niente?

Nella sua mente, apparve un volto. Era spigoloso, ruvido e scuro; i suoi occhi erano piccoli, virgola le sue iridi bianche e il suo sorriso diabolico. Rise in modo sguaiato e Jane riconobbe la voce del suo sogno. Poi, il buio.
 
 
 
 
- Note dell’Autrice.

1) Da quel che ho capito, nella scherma si usa questo termine per indicare: “azione comune a tutte e tre le armi, che permette allo schermidore di eludere la parata dell'avversario, facendo girare la propria punta attorno alla lama avversa con un moto a spirale”.

2) La canzone iniziale è Jar of Heart, di Christina Perri.

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Ebbene, eccomi di nuovo qui!

Scusate il ritardo, ma ho avuto alcune complicazioni. Spero comunque che il capitolo vi piaccia :)
Finalmente si entra nel centro della storia! Yeeaah! Da qui in poi preparatevi al peggio! :,D

Ho cercato di approfondire di più il rapporto che Emily ha con Hlìn e di come lei cerchi di starle accanto in questo periodo un po’ (?) nero per lei. In fondo, a conti fatti, Hlìn è una delle pochissime amiche femmine di Emily, quindi mi piaceva l’idea di dedicarle una piccola particina. :)

Jane e Thor si rivedono, finalmente! E… Jane lo schiaffeggia. Già. Questa ragazza un po’ violenta, non trovate? Nei trailer non fa altro che dare sberle alla gente…
Ad ogni modo, la vita non sarà più facile per la povera Jane. Non voglio anticiparvi nulla, ma vi assicuro che ci sarà un bel po’ di Angst per lei. (Harmony394 non ha mai sopportato questo pg. N.d.a). Ragion per cui: brace yourself. <3

Per quanto riguarda Malekith: ho saputo da poco che nel film è cazzutissimo. Son felicissima per lui, sul serio, ma nella mia storia non sarà così, purtroppo. Principalmente, perché ho strutturato questa storia prima ancora che uscisse il film e dunque Malekith ha “ricevuto” una caratterizzazione originale, non attinente a quella del film, appunto perché non avevo idea di come lo avrebbero reso, e secondariamente perché lo reputo più un personaggio furbo, calcolatore e bravo nel “maneggiare” le parole, piuttosto che cazzuto e iracondo come Thanos – seppur nel mio HeadCanon anche Malekith sia abbastanza bravo nell’arte della lotta. Spero possa piacervi comunque! ^^

 Vi lascio. Corro a rispondere a tutte le recensioni in sospeso! E, anzi, ne approfitto per dirvi per l’ennesima volta GRAZIE per tutto quello che fate. Siete gentilissimi, sono davvero felice che la storia continui a piacervi. Leggere i vostri pareri mi fa davvero venir voglia di continuare questa storia al meglio!! Grazie, grazie e ancora grazie! (anche da parte dei coniglietti! :P)

Grazie mille anche a 
vannagio per il betaggio. <3 <3
 
Come al solito, vi lascio il link del mio Facebook.
Link: https://www.facebook.com/harmony.efp.9

Un bacione! A presto!

   
 
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