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Autore: yeahitsmarts    16/11/2013    0 recensioni
La chiamata avviene soltanto una volta nella vita, dopo di che la tua esistenza diventa un semplice rincorrersi nel tempo e nello spazio. Lo sa bene Gabe, l'unico viaggiatore consapevole di ciò che lo aspetta nel corso delle sue innumerevoli rinascite. I suoi compagni (uno per ogni continente) non ricordano praticamente nulla o, quando lo stanno per fare, muoiono in circostanze misteriose.
Fermare il male è davvero il loro compito principale o c'è qualcosa di più potente e oscuro dietro la loro missione?
Gabe, Helga, Shani, Yurim e Connor affronteranno il viaggio più difficile di sempre, pieno di ostacoli, di partenze, di addii. Cinque ragazzi dalla vita apparentemente normale che dovranno prendere una decisione più difficile di quanto pensino. Il male e il bene sono davvero ciò che sembrano?
Dreamtime, che il viaggio abbia inizio.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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05 // Ricordi e confessioni.
"oh ricordi, dove siete andati?
Eravate l'unica cosa che conoscevo."

Quella mosca proprio non voleva saperne di lasciarla stare. Helga provò prima a scacciarla con un gesto della mano, poi con un colpo secco del diario che fece sussultare Aria e infine, a bassa voce, prese ad insultarla in tutte le lingue che conosceva. 
La professoressa di francese continuava a fare su e giù per la classe, ribadendo quanta poca attenzione ci fosse durante le sue lezioni: i compiti in classe andavano sempre uno schifo per tutti e in più nessuno faceva niente per migliorare.
L'insetto se ne stava sempre lì, a ronzare nelle orecchie di Helga che imperterrita sbuffava. Riuscì a mantenere la calma una quindicina di minuti, tentando di ignorare quel fastidioso rumore. Dopo un po' però cedette, e il suo astuccio andò a scagliarsi sul banco, rimbalzando e rovesciando tutto il contenuto a terra.
«Ma vai al diavolo!» fu l'imprecazione che ne seguì mentre tutta la scena si svolgeva sotto gli occhi increduli di Miss Lorey, professoressa madrelingua. 
«Helga Van Der Meer!» la sgridò quella mentre metà della classe ridacchiava sotto i baffi «Ti pare il modo di interrompere una lezione? Se avevi bisogno di un po' di attenzione sarebbe bastato altro!».
La ragazza abbozzò stringendosi nelle spalle e chinandosi a raccogliere le matite sparpagliate sul pavimento freddo. Una volta tornata su, però, si accorse che tutti erano ancora intenti a fissarla, aspettandosi qualcosa. Helga li scrutò un po' alla volta, domandandosi che razza di problemi avessero. Avrebbe voluto dirne quattro a tutta la classe, che non bisognava prendersela tanto per un po' di baccano e che sarebbe potuto capitare a chiunque.
«Beh?» chiese irritata. 
La professoressa sembrò sorpresa dalla sua uscita, si parò davanti a lei e gridò esasperata: «Beh cosa, Helga? Ci hai appena detto che avevi un avviso importante da fare ad un componente della classe! Stiamo tutti aspettando te e il diretto interessato».
Si costrinse a non fissare Gabe, non sarebbe stato altro che un gesto involontario, un riflesso. Perchè lei non aveva detto assolutamente nulla, era impossibile che una frase simile le fosse scappata dalle labbra altrimenti l'avrebbe ricordata.
Si guardò le mani, poi spostò lo sguardo su Aria, di nuovo sulle mani. 
La sua compagnia di banco lo riconobbe all'istante. Si catapultò sulla finestra più vicina e, nonostante il freddo e le proteste, la spalancò, facendosi spazio tra la calca che nel frattempo si era formata attorno ad Helga.
Erano tutti improvvisamente gentili e cordiali con lei, al punto da far innervosire l'amica che li spintonò all'indietro chiedendo di farla respirare.
Helga era presente, ma non del tutto. Il suo corpo era lì, in mezzo a quei visi preoccupati e a quelle domande sommesse, ma la sua testa era altrove. Helga viaggiava a rilento, il mondo attorno a lei si muoveva così velocemente che faceva fatica a stargli dietro. Intorno c'erano solo suoni confusi, facce sfuocate e un imminente pericolo. Non seppe mai spiegarsi il perchè di quella sensazione, eppure qualcosa dentro di lei, le suggeriva che la sua vita non era più al sicuro.
«A-Aria?» balbettò debolmente mentre provava ad allungare una mano da dove credeva provenisse la voce dell'amica «Sei ancora qui vicino a me?»
Quella l'abbracciò a lungo e le diede un bacio sui capelli «Si, sono sempre vicino a te» sussurrò ma Helga non riuscì a cogliere l'intera frase. Sospirò e si abbandonò alla sedia, con la vista sempre più appannata e gli altri sensi addormentati.
«Ho paura di non riprendermi mai più. Ho paura di restare così, matta per sempre» cantilenò isterica mentre soffocava l'impulso di scoppiare a piangere senza un buon motivo apparente.
«Oh no, no» tentò di rassicurarla mentre le stringeva la mano «Sono quei soliti fastidiosi cinque minuti, ma poi passa, Helga, passa tutto. Me l'hai insegnato tu». Ascoltare quelle parole la fece sentire decisamente meglio. I muscoli intorpiditi si rilassarono, il battito ritornò ad essere un poco alla volta regolare ed Helga finalmente riuscì a superare l'ennesimo attacco di panico.
La classe la osservava con curiosità e chissà cosa stava passando per le loro teste. Perfino Miss Lorey sembrò visibilmente preoccupata. Helga le fece cenno con il capo di non farsi troppi problemi e poi aggiunse: «Non devo dire niente a nessuno. Mi sarò sbagliata». Si strinse nelle spalle ma, in cuor suo, temeva di aver fatto un'uscita del genere di non saperne neanche il motivo.

 
***

Connor osservò le sottili dita del padre stringersi attorno alle sue per l'ultima volta. Nonostante i medici avessero sconsigliato al ragazzo di passare altro tempo con l'uomo, in quella casa di cura piccola e asettica, Connor non riusciva proprio ad immaginarsi con quale coraggio lo avrebbe  potuto lasciare da solo. E ora era lì, ad emettere il suo ultimo respiro prima di chiudere gli occhi per sempre.
Da piccolo la chiamava 'la brutta bestia', perchè mangiava gli uomini e lasciava loro poca possibilità di sopravvivere. Ne aveva così paura da stare perfino attento a non respirare il fumo passivo della sorella o quello del sigaro del nonno.
E in quella triste giornata di novembre, si era portato via anche il suo papà.
Non pianse neanche quando i medici lo invitarono ad allontanarsi in più fretta possibile dalla camera da letto. Osservava, da oltre il vetro, il corpo esamine di quello che ormai era suo padre.
Non aveva più una famiglia, né un posto dove stare. Forse lo avrebbero sbattuto dentro qualche casa famiglia, in attesa della maggiore età. O magari sarebbe riuscito a scappare o a farsi affidare ad Alex. Erano però tutte pessime idee. 
In quel preciso momento perfino la sua casa in piena città gli parve incredibilmente meravigliosa.
In quel preciso momento la vita gli sembrò un dono immenso da non sprecare.
In quel preciso momento,  Connor, che aveva perso tutto, decise di lasciare il segno. Da qualche parte nel mondo.

 
***

Aria era scappata dalla parte opposta della sua. Doveva sbrigarsi se voleva arrivare in tempo al pranzo organizzato con i famigliari del suo ragazzo e quindi Helga si ritrovava a passeggiare da sola, stretta nella sua giacca a vento, in compagnia del suo amato mp3.
A parte quel piccolo inconveniente durante l'ora di francese, a Gabe non aveva pensato per tutto il tempo. Forse le stava passando e magari presto sarebbe riuscita a concentrarsi su qualche altro ragazzo, più disponibile, socievole e, soprattutto, con meno sbalzi d'umore.
Era quasi fuori dal parcheggio della scuola quando, il rumore di una rapita sterzata, superò il volume della musica. Helga osservò quel veicolo malconcio e vecchio mancarla per un pelo ed andare a sbattare contro il palo lì vicino. La nube di fumo che si alzò non le impedì di leggere la targa che riconobbe all'istante.
Non era possibile.
Prima che qualsiasi altra persona potesse raggiungerlo, prima che Elke potesse correre in suo soccorso, Helga gettò tutto a terra e si precipitò verso l'auto, pregando che almeno uno dei due finestrini fosse aperto per aiutarlo.
Tossendo si gettò letteralmente sulla portiera che non riuscì a forzare, prese a sbattere i pugni contro il vetro chiamando a gran voce il suo nome. Il ragazzo sembrò sentirla, si voltò verso di lei e le accennò un sorriso.
Fu così che Helga vide.

«Padre, crede davvero che la Nuova Inghilterra sarà la salvezza di tutti noi?» per un momento l'uomo sembrò finalmente accorgersi della presenza della figlia. Posò a terra il martello con i chiodi e la fissò meravigliato, allungandole perfino una carezza.
«La mamma apprezzerebbe davvero molto tutto questo» sospirò specchiandosi negli occhi verde chiaro della ragazza. «Mia cara, la Nuova Inghilterra sarà un posto magnifico per ogni singolo componente della nostra comunità e non. Hai già conosciuto i membri della tribù dei Wampanoag?».
La giovane Mary scosse il capo ed incrociò le dita dietro la schiena.
Oh, eccome se aveva avuto l'onore di scambiare quattro chiacchiere con quei nativi americani. E di certo mai e poi mai avrebbe dimenticato il volto di Keme, promettente cacciatore e ragazzo dall'animo gentile.

Helga continuò a chiamare, con tutte le sue forze Gabe ma lui era lì, intrappolato in quel catorcio e non sembrava affatto sentirla. Nel frattempo un mucchio di curiosi si era riunito attorno alla scena ma nessuno di loro si azzardò ad aiutare Helga.
Quella continuava a prendere a pugni il finestrino, a gridare, a provare ad aprire la portiera. L'osservò chiudere lentamente gli occhi mentre un rivolo di sangue iniziò a colargli giù per la fronte. La ragazza si fermò temendo il peggio.
«Ti prego Gabe, ti prego» sussurrò «Non lasciarmi».
Non sapeva neanche cosa stesse dicendo o perchè, tanto lui sembrava non ascoltarla. Eppure Helga continuava a supplicarlo, e ancora e ancora.
Gabe aprì gli occhi e trasse un enorme respiro, come se fosse stato a lungo in apnea. Riprese coscienza e la prima cosa che fece fu far scattare le portiere e uscire fuori di lì.
Helga gli corse incontro, non lo abbracciò, lo guardò con sdegnò ed esclamò irritata: «Pensavo che stessi per morire. Ti odio Gabe e ti avrei avuto per sempre sulla coscienza».
Il ragazzo ridacchiò e la strinse tra la morsa delle sue braccia: «Morire? Helga!» sentiva il suo respiro caldo sul collo, era una sensazione meravigliosa che quasi... non ricordava più.
«C'è soltanto un po' di sangue» proseguì allontanandosi da lei e passandosi un indice sulla ferita ancora fresca «E ho mal di testa. Ma la macchina è rotta e al momento non ho i soldi per comprarmene una nuova. O farla riparare». 
Nonostante l'auto con il muso sfasciato e il fumo che continuava ad uscire, Helga si sentì molto meglio. Ma se fosse andata in modo diverso? Se Gabe fosse morto davvero come avrebbe passato il resto dei suoi giorni? 
«Ti odio lo stesso. Adesso me lo dai un passaggio?» rise senza troppa convinzione, corse a riprendere le sue cose e lo salutò di tutta fretta mentre Gabe continuava a chiamarla ad alta voce.
Helga aveva una ricerca importantissima da fare e al diavolo quella di arte sugli uomini primitivi, al diavolo anche gli esercizi di matematica e le frasi da tradurre in francese. 
Quando entrò in casa evitò perfino di salutare la madre, seduta comodamente sul divano e in vestaglia, e si catapultò in camera. Si accese una sigaretta mentre sulla tastiera digitava veloci parole.
Keme era soltanto un nome maschile, un po' strano che non aveva mai sentito prima di allora. Ma cosa aveva visto di preciso qualche minuto prima? E com'era stato possibile?
Un flashback, ne era quasi sicura. Ma era durato qualche minuto quando nella realtà erano passati solo pochi istanti. 
Cosa le stava accadendo? E soprattutto: qual era il nome della tribù che aveva sentito nominare?
Pawanog? Mapawonag? Nawampoag? Wampanoag!
Helga lesse velocemente le prime righe e dedusse che avevano a che fare con i Padri Pellegrini. La ragazza non aveva visto nessun film al riguardo che avrebbe potuto segnarla in qualche modo, tanto meno letto libri o affrontato l'argomento con storia.
Guardando la sigaretta bruciare si rese conto che erano soltanto un mucchio di pensieri stupidi, che lo stress per la scuola la stava divorando e che quello era soltanto il frutto di troppe canne durante l'orario scolastico. Magari, per guarire, avrebbe dovuto smettere di fumare, o almeno provarci.
Ma era una pessima, pessima idea.
Fortunatamente l'indomani si sarebbe riposata grazie alla gita al museo, sicura che Gabe avrebbe ripreso ad ignorarla con la scusa che Helga portasse sfiga.

 
***

«Corinne... Tuo padre è morto stamattina».
Alex non riusciva proprio a mandare giù l'idea di dover fare il portavoce di certe notizie. Se ne stava appoggiato alla cabina di un telefono pubblico, leggermente lontano dalla cornetta, in attesa di una qualsiasi reazione dall'altra parte.
Udì un sospiro ma la voce, quando parlò, non era affatto rotta: «Alex, da dove diavolo mi stai chiamando? E come hai fatto a rintracciare anche questo numero?»
Il ragazzo ridacchiò immaginando la sua faccia irritata con tanto di rossore sulle guance «Oh, cara, lo sai perfettamente che il primo amore non si dimentica mai! Come sai anche perfettamente che tuo fratello non ha più nessuno, a parte te».
Probabilmente trattenne il respiro e strinse forte il telefono «Non puoi venire qui da me, io sto lavorando e...» ma prima che potesse aggiungere altro, Alex la interruppe: «Sei stata via per troppo tempo ed è ora che voi due riallacciate i rapporti. Davvero pensi che per Connor sia meglio andare a sbattere in un orfanotrofio? Dopo tutti i traumi, credi davvero che gliene serva un altro? Presto o tardi, per mano tua o mia, se preferisci, saprà che sei viva, che stai bene e dove ti trovi e verrà da te. Quella ragazza a cui pulisci la camera, lì...»
«Yurim» lo corresse Corinne
«Sì, quella tipa lì potrebbe mettere a lavorare anche tuo fratello» secondo Alex era un piano perfetto. Dirgli addio gli avrebbe distrutto il cuore ma, in compenso, ogni volta che sarebbe andato a trovarlo avrebbe rivisto anche la sua prima ed ultima ragazza.
Corinne si arrese, sospirò di nuovo ed Alex ricordò con nostalgia quelle volte in cui lo faceva in sua presenza, con gli occhi tristi e lo sguardo sempre perso verso il cielo.
«Potrebbe funzionare» sentenziò non troppo soddisfatta «Ma c'è un piccolo problema: tra meno di tre giorni partiamo in vacanza, Yurim mi porta con lei in Europa...»
«Fantastico!» sbottò «E' l'occasione perfetta per far passare un po' di giornate tranquille anche a tuo fratello»
«Non credo... Non credo... Oh accidenti, non credo che mi dirà di no. La storia è anche abbastanza commovente» Corinne parlava in modo apatico, dalla sua voce non trapelava nessun tipo di emozione.
«Altrochè se lo è. E adesso dammi indirizzo e recapito telefonico, ho dei giri da fare, una valigia da preparare, un biglietto aereo da comprare e un ragazzo da mandarti» con carta e penna in mano, e la cornetta incollata all'orecchio, prese appunti. Infilando il foglio in tasca, fece per attaccare ma, prima di chiudere la telefonata, bisbigliò in fretta: «Io non ti ho mai dimenticata» e, così dicendo, agganciò.


Angolo dell'autrice:  e via con il quinto!
Non potete proprio immaginare quanto io sia
fiera e orgogliosa di questa storia che mi piace sempre di più!
Inoltre volevo ringraziare i cuore Pandora Stark, 
Shomer e _BonjourTristesse.
  
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