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Autore: Kia85    17/11/2013    8 recensioni
Liverpool 1961. Quando John Lennon riceve in regalo cento sterline, non pensa molto prima di chiedere al suo amico Paul McCartney di unirsi a lui in un viaggio all’insegna dell’avventura, un viaggio che cambierà la loro vita, la loro amicizia e li preparerà a essere Beatles.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una dedica speciale per una lettrice speciale, strawberryfield_JI. Grazie di tutto! J

 

 

Ticket to Paris

 

Capitolo 12: “Buon compleanno”

 

“Buon compleanno, John.”

John, totalmente esterrefatto, lo guardò stare in piedi di fronte a lui, con la mano che gli porgeva una busta. Era allibito sia per quello che aveva appena scoperto di se stesso, sia perché non sapeva davvero come comportarsi in una situazione che per lui era così nuova, e lui odiava non sapere cosa dire o fare.

"Buon compleanno?" ripeté, senza riuscire a nascondere il fastidio che in quel momento pizzicava nella gola e sui polpastrelli.

Non che non fosse contento di vederlo. No, John non era mai stato così felice di vedere Paul, Paul che stava bene, Paul insieme a lui. Nondimeno, non poteva ignorare il fatto che il ragazzo l'avesse fatto preoccupare con la sua scomparsa improvvisa, senza neanche avvisare.  

Paul abbassò la mano, notando che John non sembrava avere alcuna intenzione di prendere il regalo. Anzi, la sua espressione da Lennon irritato non prometteva nulla di buono.

"Sì, oggi è il tuo compleanno e sai com’è, si usa fare gli auguri al festeggiato." esclamò cercando di sorridere, malgrado il disagio per essere guardato in modo così truce da John.

"Certo. Si usa anche sparire e far preoccupare a morte il festeggiato?” ribatté l’amico, per nulla divertito, portando le mani sui fianchi, “Oppure è un'usanza solo tua?"

Paul contrasse le labbra: anche se doveva ammettere che John avesse ragione, non gli piaceva affatto il tono della sua voce; non gli piaceva perché quel particolare tono di voce tirava sempre fuori il peggio di lui, di loro.

"Oh, andiamo, John. Siamo a Parigi negli anni ‘60, non in trincea nella Prima Guerra Mondiale."

Cercò di buttarla sul ridere prima di voltarsi per raggiungere il letto, ma evidentemente sbagliò ancora sia a parole sia con i gesti, perché John lo afferrò per un braccio e lo riportò bruscamente nella posizione di prima, in piedi davanti a lui. Un gesto che sembrava dirgli, “Non è il momento di scherzare, non è il momento di fuggire, e ora resta qui e affronta qualunque cosa io abbia da dirti.”

"Siamo in una grande città straniera e tu sei un coglione e uno sprovveduto. Sai cosa fanno i delinquenti agli imbranati come te?"

Paul aggrottò la fronte, decisamente infastidito da quanto avesse appena detto l’amico: "Ehi, modera i termini. Mi stai stancando."

"Ah, io ti starei stancando? Ti prego, ricordami chi ha salvato il tuo prezioso culetto ubriaco dalle grinfie di quella sgualdrina l'altra sera? Chi è che si è svegliato oggi ritrovandosi da solo, mentre il suo compagno di viaggio era a spasso per la città? Chi ha passato tutta la giornata rinchiuso qui ad aspettarti, sperando che tornassi sano e salvo?"

L’aria seriamente preoccupata di John, le sue parole, la sua mano ancora stretta sul suo braccio fecero sussultare Paul.  Si aspettava che John fosse arrabbiato e ansioso, ma davvero non così, non in un modo che lo faceva sentire non in colpa, tremendamente in colpa, e vergognare di se stesso, più di quanto già non fosse.

"Mi...mi dispiace, John.” si scusò, abbassando il capo, “Lo so che ho sbagliato a sparire."

John scosse il capo e con un sospiro rassegnato lasciò la presa sul suo braccio: "No, tu non lo sai, Paul. Non sai cosa vuol dire svegliarsi e non trovarti da nessuna parte. Non sai cosa ho provato mentre ricreavo nella testa i peggiori scenari in cui tu potessi capitare. Non sai proprio un bel niente."

"Allora dimmelo." disse esasperato Paul e John lo guardò come se non si aspettasse niente del genere da lui, e in effetti, mai e poi mai avrebbe pensato che un discorso simile potesse prendere una tale piega.

Si aspettava che Paul lo mandasse a quel paese, o che gli dicesse, “Va bene, John, ho recepito il messaggio, passo e chiudo”, prima di comportarsi come se nulla di tutto ciò fosse accaduto. Per questo motivo si sentì arrossire lievemente quando Paul si avvicinò di un solo passo, un passo che per John erano sembrati chilometri.

“Dimmelo, John.” ripeté con più calma e non poté trattenere l’accenno di un sorriso, “Così non sbaglierò più.”

Oh, ma quanto era vicino? Dovevano essere non più di dieci centimetri. Era forse la prima volta che la distanza, o la vicinanza di Paul, pesasse in modo così incredibile per John e lui si ritrovò con il respiro accelerato. Santo Dio, da quanto tempo con esattezza stava respirando tanto velocemente?

“Io… io…”

Stava anche balbettando. Lui!  John Lennon! Ed era tutta colpa di Paul e del modo in cui lo guardava. Non era mai stato difficile rimproverare Paul, ma in quel momento John avrebbe trovato più semplice scalare il monte Everest. Sarebbe stato più divertente correre il rischio di precipitare in un burrone, piuttosto che inoltrarsi in un terreno così fragile e delicato come quello che ora si stendeva di fronte a lui.

Incapace di sostenere ancora quegli occhi, John gli diede le spalle, allontanandosi verso la finestra. Non era così che aveva immaginato il ritorno di Paul. Ma d'altra parte i suoi filmini mentali erano davvero improbabili, anzi, del tutto impossibili da concretizzare, perché Paul l'avrebbe allontanato e mandato al diavolo, ma anche perché la rabbia che aveva provato quella mattina stava tornando a ruggire in lui.  

E allora forse Paul doveva davvero sapere quanto l'avesse fatto preoccupare, anche se John rischiava di ammettere davanti a lui, con l’enfasi delle sue parole, che... che Paul gli piaceva. Ecco, l'aveva detto. Paul gli piaceva, in qualche modo ancora non del tutto chiaro, e John non poteva impedire a se stesso di provare un tale devastante sentimento, non poteva e non voleva impedirlo.

"Quando ho visto che non eri qui, ho pensato che potesse capitarti di tutto, con quella faccia che ti ritrovi e il tuo dare sempre e subito troppa confidenza agli sconosciuti. Qualche furbetto poteva facilmente attirarti in qualche vicolo e farti del male."

"Mi fai sembrare un incosciente. Come se non sapessi badare a me stesso." esclamò Paul con un cipiglio, mentre guardava John incrociare le braccia sul petto.

"Forse perché è davvero così. Sei troppo buono e pensi che lì fuori siano tutti tuoi amici solo perché riesci a conquistarli con un sorriso. Beh, non è così, Paul. Il mondo divora le persone come te, dopo averle fatte soffrire per bene. È ora che ti dia una svegliata. Non voglio più ritrovarmi in questa situazione. Se siamo insieme da qualche parte, non voglio più stare così lontano da te. Non voglio pensare ancora, ti prego, fa' che non gli accada nulla, e sentirmi nello stesso momento così impotente."

Paul sussultò appena e fu grato che John non potesse vederlo ora, perché era sicuro che stesse sfoggiando un sorriso davvero sciocco che avrebbe fatto solo innervosire di più John. Ma le sue parole continuavano a risuonare nella testa di Paul, alimentando quel sorriso e Paul dovette costringersi a reagire e non lasciarsi trasportare in uno dei suoi sogni preferiti, dove John accettava i sentimenti di Paul, li faceva suoi e li ricambiava totalmente. Così si avvicinò a John e gli mise una mano sulla spalla.

"Scusa, John. Davvero. Non volevo farti preoccupare."

John si voltò e allontanò con un gesto brusco la mano di Paul: "Beh, ma l'hai fatto."

La sua reazione prese in contropiede Paul, che ritirò la mano al proprio posto, e guardò John in modo diffidente: "Sì, e non posso tornare indietro nel tempo per cambiare quello che è successo. E anche se potessi, sai una cosa, John? Lo rifarei, lo rifarei altre cento volte se questo dovesse aiutarti a farti capire che sono stanco di essere trattato così. Sono stanco del modo in cui ti senti autorizzato a rivolgerti a me con questo tuo modo scontroso di affrontare i problemi, e poi ignorarmi come se non esistessi, senza neanche una spiegazione."

Nonostante le parole di Paul l’avessero colpito, perché vere e perché sì, John era stato un colossale idiota a trattarlo in quel modo la scorsa notte, il ragazzo non poté fare a me di aggrottare la fronte, mentre i suoi sentimenti verso Paul, ovvero la rabbia e quello più recente, quello più dolce, tornavano a ribollire in lui.

"Se sei così stanco di me, perché hai accettato di venire con me in questo viaggio? Oh, deve essere stata una vera noia, giusto, venire fino a Parigi con questo pazzo isterico che sta pagando tutto, è così, Paul?” John quasi sputò quelle parole, incapace di trattenerle più a lungo e sapendo che non le pensava davvero, “Ah, aspetta. È per questo, giusto? La prospettiva di un bel viaggetto gratis era più forte dell'essere costretto a sopportarmi, mh?"

Paul spalancò gli occhi, quando parole tanto ignobili uscirono dalla bocca dell’amico: "Sei uno stronzo, John. Sei... Dio, questa è la cosa più stupida che tu abbia detto da quando ci conosciamo. Io... Cazzo, io ti odio quando fai così. Mi fai rimpiangere di essere tornato."

Questo proprio non se l’aspettava: John non l’avrebbe mai fatto, John non gli avrebbe mai rinfacciato il gentile pensiero che aveva avuto per lui. E questo, più di tutto il resto, riuscì a impedire che Paul agisse d’istinto e se ne andasse un’altra volta.

"Allora vattene. Vattene via. Chi ti trattiene?"

Paul si morse il labbro: poteva anche andarsene, se voleva, per quello che importava a John... Ma Paul non voleva andarsene, non voleva andarsene mai più.

"Certo. È quello che vorresti, vero? Così tutto questo finirebbe e tu non dovresti più affrontarlo e pensare che tutti e due abbiamo sbagliato. Ma no, John, stavolta staremo qui a risolvere la questione come due persone civili."

Il giovane si avvicinò nuovamente, il suo sguardo si ammorbidì.

"In fondo sai che non vuoi che me ne vada, e sai che neanche io voglio andarmene ora, perché ho promesso che avremmo festeggiato il tuo compleanno insieme. Sai anche che non è per quel motivo che ti ho accompagnato in questo viaggio. Se me lo avessi chiesto senza la questione dei soldi, avrei fatto di tutto per trovare i mezzi per venire con te. Perché io, John, io ti seguirei fino in capo al mondo. Se mi avessi proposto di andare insieme al che ne so, polo nord ti avrei seguito anche lì. John, cazzo, questo viaggio ha un significato più profondo, è impossibile che tu non l'abbia sentito."

“Sentito cosa?” domandò John, la rabbia cominciò a scemare lentamente, mentre le parole di Paul esercitavano abilmente il loro potere lenitivo  sul ragazzo, che ora sembrava pendere totalmente dalle sue labbra.

“Il motivo per cui me ne sono andato. Sentivo che la situazione mi stava sfuggendo di mano, questo viaggio serve a consolidare ciò che siamo, John, definitivamente. Noi scriviamo insieme, passiamo molto tempo insieme, quasi mi sembra di vedere più te che mio padre.” disse aggiungendo poi una piccola risata, “Ma non abbiamo mai avuto davvero l'occasione di solidificare questo…questa cosa che ci unisce. C'è sempre stato qualcun'altro con noi. Perciò l'idea di un viaggio solo con te mi aveva elettrizzato a tal punto che sarei scappato, anche senza il permesso di mio padre, se fossi stato costretto. Forse all'inizio non l'avrei mai pensato possibile, ma fanculo! Se era per stare con te, alla fine l'avrei fatto. E quando ieri sera mi hai trattato in quel modo, ho pensato che non stava funzionando e forse era anche colpa mia e del mio essere assente nei tuoi confronti, dal momento che la mia compagnia è l'unica cosa che tu abbia qui.”

John si ritrovò a essere d’accordo e fu quasi sollevato che Paul avesse riconosciuto le sue mancanze. Era un segno di umiltà, umiltà che John non aveva mai considerato una delle sue caratteristiche più importanti. Non aveva mai pensato di dover dire “mi dispiace” per qualcosa, perché avrebbe solo aggiunto altra insicurezza a quella che già risiedeva in lui. Ma con Paul era diverso, Paul gli faceva venire voglia di dire “Mi dispiace”, “Perdonami”, “Non lo farò mai più.”

“E ora mi odierai per quello che sto per dire.” proseguì Paul, sorprendendo John che non si aspettava di sentire altro da lui e che stava quasi per porgergli le proprie scuse, “So che mi odierai, ma devo farlo perché non ce la faccio più a stare in silenzio. Mi sono trattenuto per troppo tempo, pensando che non fosse mai il momento giusto, pensando alle parole giuste da usare, ma non c’è momento più giusto di questo, né parole più giuste.”

John stava per chiedergli, “Di che cazzo stai parlando? Cosa stai blaterando? Hai perso la testa?”, ma si accorse di essere senza voce, soprattutto perché Paul si avvicinò solo un altro po’ e gli afferrò la giacca con le mani.

“John, devo farlo, perché se questo significa allontanarti da me, allora non ci sto. Non voglio che tu sia lontano da me, mai."

Paul si ritrovò quasi senza fiato, il viso in fiamme, le mani che tremavano, gli occhi inumiditi e più di tutto il resto, incapace di credere che avesse appena detto qualcosa di tanto importante a John. Il vero problema arrivava ora. John aveva capito cosa intendesse dire Paul? Aveva compreso il senso più profondo di quelle parole? La sua assenza di reazione fece pensare a Paul che forse non era stato proprio chiaro.

“John, io voglio te.”

Ma John aveva capito, aveva capito fin troppo bene. Aveva visto il volto arrossato e splendente di Paul, il lieve sorriso che le sue labbra non potevano trattenere mentre lasciavano fuoriuscire parole che erano come una delizia per John. Aveva visto tutto questo, vi si era rispecchiato totalmente e aveva capito.

E ora sapeva di dover dire qualcosa, qualcosa che non era molto diverso da quanto gli avesse appena confessato Paul, ma era così difficile. Come puoi dire al tuo migliore amico che ricambi totalmente il suo sentimento d’affetto, quando questo affetto è ormai ben al di là dell’amicizia?

“Lo sai, Paul, cos’è successo ieri notte? Qual è stato davvero il mio problema?”

Paul scosse il capo, senza trovare nessuna parola da aggiungere, forse perché ancora scombussolato dal coraggio che aveva appena dimostrato a John, o forse perché si aspettava una reazione molto diversa dall’amico. John che si allontanava da lui, e non John che restava con la sua giacca tra le mani di Paul. John che sbraitava bestemmie e altre orribili ingiurie nei suoi confronti, e non John che gli parlava con tono pacato e osservava le braccia di Paul, sul suo petto.

“Il problema è che quando ti sei spostato, il tuo braccio mi ha toccato e io ho pensato che…”

“Cosa?”

John si morse il labbro nervosamente.

Ehi, un momento.

Cosa stava facendo?

“Lascia perdere.” disse voltandosi di nuovo, per non mostrare il suo rossore a Paul.

Non poteva dirgli quello che era successo, non sapeva come farlo senza sembrare ridicolo, senza sembrare sdolcinato, un modo che avrebbe rovinato la sua reputazione di duro, di Teddy boy, di-

“Perché?” gli domandò l’amico, camminandogli intorno così che ora si ritrovò di nuovo di fronte a lui e Paul prese le sue braccia tra le sue mani.

Anche se Paul gli stava aprendo il suo cuore, anche se aveva paura come John, aveva trovato le parole giuste da rivolgergli. Ma John, lui era un fallito, un perdente, lui… Non solo quello che provava lui era ridicolo, lo era anche lui stesso, la sua persona, il suo essere, era indegno di tutto ciò che di bello aveva condito la sua miserabile vita. E questo comprendeva anche Paul.

“Mi prenderesti in giro e io rovinerei tutto come al solito.”

“John, no, io non lo farei mai.” protestò vivacemente Paul, “Io capisco quello che stai provando, giuro che è così, e se riesci a dirmelo, forse insieme possiamo trovare il modo di affrontarlo.”

Le mani di Paul sulle sue braccia cominciarono ad accarezzarlo con delicatezza, movimenti incerti, timidi, ma non si fermarono mai e John le guardò per un istante, mentre veniva riportato subito alla sera prima, sul letto, con Paul che l’aveva abbracciato.

In fondo, non aveva motivo di avere paura di Paul e di questo sentimento che sembrava essere condiviso, che sembrava stesse tormentando entrambi e non solo lui. Anzi, forse aveva tormentato Paul per più tempo, rispetto a John, perché mentre gli diceva quelle cose, Paul era sembrato tanto sicuro da fare invidia a John. E di fronte a lui la reputazione di John perdeva tutta la sua importanza e poteva anche andare a farsi benedire. John  glielo doveva, ora, in questo momento, in qualunque modo avesse scelto di dirglielo o mostrarglielo.

Così, prima di pensare davvero a cosa fare, il suo cuore agì per primo e lo convinse ad abbracciare Paul e stringerlo a sé.

“Quando mi hai toccato, ho pensato che avrei voluto abbracciarti.”

Paul si concesse di trattenere il fiato, ma cercò disperatamente di non chiudere gli occhi e abbandonarsi alla sensazione di essere finalmente tra le sue braccia, una sensazione che era perfetta, perfetta come l’aveva sempre immaginata lui.

“Oh.” esclamò, lasciandosi scappare un sorriso, “Proprio così?”

“Proprio così.” ripeté, tirandosi solo un po’ indietro per guardarlo negli occhi e caspita, Paul non sembrava pensare una delle cose cattive che aveva previsto John.

Sembrava invece che non aspettasse altro da lui, perché forse quella vocina flebile dentro John che gli sussurrava che il suo sentimento non era ridicolo, e non lo era affatto, forse quella vocina aveva ragione.

“E poi, avevi questo stupido ciuffo davanti agli occhi. Ho pensato: cazzo, se si sveglia, sicuramente gli darà fastidio. E avrei tanto voluto spostarlo di lato.”

La sua mano seguì l’indicazione delle sue parole, facendo arrossire Paul.

“Molto gentile da parte tua, grazie.”

“Non c’è di che.” disse John, rendendosi conto che tutto sommato non si stava dimostrando essere una cosa tanto difficile.

Forse iniziare era la parte più complicata di tutto quel discorso, come il piccolo sforzo di girare la chiave nella serratura o sollevare le barriere di una diga, perché una volta superata l’iniziale difficoltà, tutto il resto fuoriusciva da solo, facilmente, con la forza prorompente di un fiume in piena, con la pressione accumulata da tutto quel tempo in cui John non aveva visto, né sentito, né saputo che il suo migliore amico, Paul, era diventato la persona più preziosa nella sua vita, la più cara per John.

“E poi mi sarebbe piaciuto avvicinarmi di più per sentire l’odore della tua pelle.”

Quando John lo fece, quando John gli sfiorò la guancia con il naso e la bocca, Paul lottò con tutte le sue forze per non chiudere gli occhi, non era ancora il momento giusto. Decise invece di aggrapparsi alle spalle larghe di John, mentre le sue gambe minacciavano di cedere lì e subito, e il cuore dentro di lui era troppo felice e non sapeva più con che ritmo continuare a pompare sangue nelle sue vene e tenerlo in vita.

“Tutto… tutto qui?” riuscì a dire, la voce lieve e sospirante.

“No.” rispose John, scuotendo il capo e sorridendo fra sé, più che a Paul, “Penso proprio che avrei voluto anche baciarti.”

Le mani di Paul si strinsero automaticamente sulle spalle di John, strinsero la sua giacca, anzi no, la giacca di Paul. La realizzazione fece ampliare il sorriso di Paul, per quello che aveva detto John, certo, parole che naturalmente avevano aperto le porte di una specie di paradiso per Paul, ma anche perché la sua giacca indosso a John ora sarebbe stata impregnata del suo odore. E quando Paul l’avrebbe indossata nuovamente, lui sarebbe stato avvolto non solo dal proprio odore, ma anche da quello di John e questa volta non  per sbaglio. Sarebbe stato giusto così, perché ora era suo e apparteneva a lui.

“Lo pensi ancora?”

“Sì.”

“E lo vuoi ancora?”

John annuì, mentre l’espressione di Paul abbandonò ormai la timidezza. Ora sul suo viso vi era determinazione, una molto accesa a giudicare dalle sue guance rosse, come se non avesse rinunciato tanto facilmente all’inevitabile gesto che avrebbe concluso quel discorso.

“Ti prego, fallo.”

Il suo sembrava quasi un ordine e John lo osservò, così, a pochi centimetri dal suo viso, e davanti ai suoi occhi imploranti, al piccolo naso costellato di lentiggini appena accennate, di fronte a quelle labbra dischiuse che aspettavano solo lui, John davvero non sapeva cosa lo stesse trattenendo dall’appropriarsi di tutto questo, di Paul che si offriva a lui con fare disperato.

Forse lo sapeva e questo lo faceva solo arrabbiare di più con se stesso.

“Ho paura.” E senza volerlo scostò la testa da quella di Paul di un paio di centimetri.

Perché, perché quel John tormentato che si celava in lui non lo lasciava in pace almeno ora, ora che stava provando l’emozione più eccitante e meravigliosa della sua vita? Ora che l’avrebbe reso un po’ meno tormentato e un po’ più felice?

“Basta, John, basta aver paura. Ormai non si torna più indietro.” affermò, avvolgendo le braccia intorno al suo collo e riportandolo in questo modo vicino a sé.

Forse John aveva bisogno di aver paura, solo perché così Paul poteva fare ciò che gli riusciva meglio: allontanare i suoi timori con una parola o un gesto, e conquistarlo una volta di più.

“Dovresti proprio baciarmi, sai, John.” gli fece notare, sorridendo malizioso e incurante dei timori dell’altro ragazzo, “Dovresti farlo ora e senza aver paura perché non ti fermerò.”          

John ci pensò per qualche secondo, non che avesse bisogno di rifletterci davvero. In fondo la sua decisione era stata già presa.

“Giusto. In qualche modo devi farti perdonare per essere scappato via stamattina e avermi lasciato solo, il giorno del mio compleanno per di più.”

“Beh, ora non sei più solo.” commentò Paul, inclinando di poco il capo e avvicinandosi a John, alle sue labbra, al suo bacio, “E si dà il caso che io desideri disperatamente farmi perdonare.”

Gli ci volle solo un ultimo sorriso di Paul, prima che John si decidesse a eliminare quell’ultimo centimetro che lo separava da lui.

Quell'ultimo centimetro che lo separava dalla bocca del suo migliore amico. Porca miseria, stava per baciare il suo migliore amico. Era così incredibile che John non aveva realizzato che lo stesse per fare davvero. Si trovava ancora in una specie di stato intorpidito, come se si fosse appena svegliato dal sogno più bello e si fosse accorto che il sogno era solo la realtà.

Capì quanto questo fosse reale solo quando, infine, la sua bocca sfiorò quella di Paul. La sfiorò timidamente, come se pensasse che da un momento all'altro Paul o lo stesso John potessero cambiare idea in modo repentino e far pentire entrambi di quanto stesse accadendo.

Ma fortunatamente non fu così, e quando le braccia di Paul si strinsero di più intorno al suo collo, come a volerlo incoraggiare ad approfondire il bacio, John seguì il suggerimento, baciandolo solo un po' più appassionatamente. Quello, proprio quello fu il momento in cui si rese conto di quanto fosse perfetto il bacio di Paul, di quanto superasse di gran lunga le sue aspettative o qualunque filmino che avesse proiettato quel pomeriggio nella sua testa. Non era niente di tutto ciò, era molto meglio, era grandioso, era pazzesco, era puro rock 'n roll e Dio solo sapeva quanto John amasse il rock 'n roll.

Quando la sua bocca fu catturata da John, Paul chiuse gli occhi, decidendo finalmente di abbandonarsi al gesto e non meno importante, a John. Chiuse gli occhi e subito si ritrovò al concerto del suo cantante preferito, John Lennon, che cantava, suonava, viveva solo per lui.

Così coinvolgente era il bacio di John, così unico, così speciale, che Paul avrebbe tanto voluto muoversi di più: allontanarlo solo un po’ per vedere la sua reazione o stringerlo di più e inchiodarlo al muro per poterlo baciare in modo appropriato, ma rimase fermo immobile, perché indeciso su cosa fare e perché non voleva ancora separarsi da lui. Ora che finalmente aveva quello che aveva sempre desiderato negli ultimi mesi, voleva assaporarlo fino in fondo.

Tuttavia, quando il bisogno di più aria divenne impellente Paul si allontanò da John, accorgendosi che il ritmo del suo respiro affannato seguiva quello dell’altro ragazzo e il suo viso era così arrossato che riuscì a sorprendere Paul. Non aveva mai visto John in quello stato e sapere che fosse merito, o causa sua era oltremodo appagante.

"Allora…” iniziò a dire, trovando il coraggio di parlare dopo essersi scambiati un lungo sguardo, “Sono perdonato?"

"Oh sì.” rispose John, ridacchiando, “Puoi scommetterci."

****

Non seguì una scommessa, bensì qualcosa di tanto impacciato, goffo, intimorito che Paul quasi scoppiò a ridere a vedere come fossero cambiati entrambi in pochi minuti. Non sembravano neanche loro. E se da un lato aveva amato quanto fosse accaduto, dall’altro pensò che non voleva che questo li cambiasse. Così, quando John per l’ennesima volta intercettò il suo sguardo e lo distolse, volgendo il capo dall’altra parte e arrossendo come un peperone, sospirò apertamente.

“John.”

“Cosa?”

“Smettila.”

“Di fare cosa?”

“Di fare così.”

“Così come?”

“Andiamo, lo sai.” rispose, scrollando le spalle, “Sembriamo due estranei. Lo detesto. Non hai fatto così neanche quando ci siamo conosciuti.”

John sorrise, accorgendosi che Paul aveva ragione e che neanche lui sopportava questa sensazione di disagio tanto densa che sembrava essere fisicamente presente accanto a loro.

“Scusa, è solo che…” disse ridacchiando, “Non so proprio come comportarmi.”

“Come al solito, John. Non è cambiato nul-” disse, ma lo sguardo di biasimo che gli lanciò John lo interruppe e lui fu costretto ad ammettere che, “Ok, forse qualcosa è cambiato.”

“Forse? Come puoi dire forse?” esclamò John totalmente esterrefatto.

Paul scosse il capo, sorridendo e gli si avvicinò prendendo le sue mani fra le sue.

“Quello che voglio dire, John, è che qualunque cosa accada, niente deve rovinare il  nostro rapporto. Niente e nessuno. Chiaro?”

"Chiaro."

Paul annuì soddisfatto, ma solo quando John gli disse, "Sei il solito sentimentalista del cazzo!", sorrise genuinamente, sicuro ormai che John avesse recepito il messaggio.

"Comunque, prima mi sembra di aver intravisto un regalo..." iniziò a dire John, guardandosi intorno.

"Davvero? A me sembra che di regali oggi ne hai già avuti abbastanza."

John lo guardò e si chiese se fosse normale trovare la sua aria sfacciata assolutamente adorabile. Prima di quel giorno non ci avrebbe fatto molto caso, ma ora stava accorgendosi di tante piccole cose che non aveva mai visto prima d'ora, particolari del viso di Paul, della sua postura che non facevano altro che riaccendere in lui il desiderio di prenderlo di nuovo fra le sue braccia e baciarlo e questa volta non solo sulle labbra, ma anche sul naso, le orecchie, le palpebre, baciare tutto ciò che sul suo viso contribuisse a rendere la sua espressione adorabile.

Ma, ripensando a quello che aveva detto Paul, capì che John Lennon avrebbe risposto in modo diverso.

"I regali non sono mai abbastanza, non lo sai? Soprattutto il giorno del compleanno."

Paul rise e poi si avvicinò alla busta lasciata a terra poco tempo prima. La riprese e la porse nuovamente a John.

"Ecco qua."

"Grazie." esclamò John, prendendo finalmente il regalo tra le mani.

Andò a sedersi sul letto, incrociò le gambe e iniziò a esplorare la busta, mentre Paul si avvicinava e si sistemava di fronte a lui.

Il contenuto della busta si rivelò essere due hamburger, due bottiglie di birra e quello che assomigliava molto a un vassoio di pasticcini.

"Ho pensato che sicuramente non ti saresti mosso dalla camera." iniziò a spiegare Paul, arrossendo mentre ricordava e si sentiva in colpa per il suo aver lasciato John da solo, "E non sapevo se le nostre scorte potessero soddisfare la tua fame da lupi, per cui ti ho preso un paio di hamburger e la birra, perché la birra sta bene dovunque e perché non ha bisogno di una spiegazione. In più ho comprato anche dei pasticcini perché in qualche modo dobbiamo pur festeggiare."

John lo guardò attentamente, mentre Paul indicava col dito ogni cosa che nominava. Ma più che seguire le sue indicazioni, era come rapito da questa nuova angolazione con cui poteva ammirare Paul. Con lo sguardo di Paul rivolto in basso, tutto ciò che poteva vedere John erano le sue palpebre che si muovevano di tanto in tanto e quando lo facevano, le sue lunghe ciglia scure vibravano sullo sfondo di due guance bianco latte, che ora John sapeva essere anche lisce. Erano sempre state così lunghe le sue ciglia? E le sue guance, così paffute e delicate?

Notando la mancanza di una risposta da parte di John, Paul alzò lo sguardo e vide il giovane tutto intento a fissarlo e malgrado i suoi propositi di comportarsi come al solito nei suoi confronti, non poté fare a meno di arrossire. Aveva sempre amato quell'espressione così persa e trasognata di John. Era così raro vedere che John si concedesse di perdersi nei suoi pensieri, un'espressione che Paul aveva visto sul suo viso solo in rare occasioni e quasi sempre queste prevedevano la presenza di una chitarra o di Cynthia. Tuttavia ora la stava rivolgendo a lui e questo lo fece solo avvampare di più e sentire il suo cuore sussultare lievemente nel suo petto.

“John?”

“Grazie.”

Paul, divertito, arricciò il naso: “Significa che ti è piaciuto il regalo, vero?”

“Moltissimo.” rispose John, annuendo, “Ma sai, Paul, penso che un hamburger per me sia più che sufficiente. Dovresti mangiare tu l’altro.”

“Non importa, non ho fame.”

“Non ci credo, tieni.” ribatté John, porgendogli un hamburger, “Devi mangiare, altrimenti poi chi lo sente tuo padre, se torni tutto sciupato?”

Paul scoppiò a ridere: “Non penso di correre questo rischio, John, ma grazie.”

Fu così che mangiarono il panino, scambiandosi di tanto in tanto un sorriso e uno sguardo. Niente di così insolito, davvero, eppure John sentiva quanto fosse tutto molto diverso, con un lieve tepore e una dolcezza che lo avvolgevano, insieme a Paul, in una sorta di limbo che lui non voleva mai abbandonare.

Poi passarono ai pasticcini, tante piccole tortine colorate, biscotti al burro, amaretti, meringhe… e tante piccole gare per accaparrarsi più velocemente quello più bello, più colorato e quindi più buono.

Quello per John fu davvero il compleanno più bello della sua vita, il compleanno in cui per la prima volta non aveva sentito la mancanza di nulla, perché tutto ciò di cui aveva bisogno, amicizia, famiglia e amore era proprio lì di fronte a lui, a portata di mano.

Infine, troppo stanchi per l’avvincente giornata che li aveva visti separati e in seguito, così rapidamente avvicinati, i due ragazzi andarono a dormire presto, ma nessuno dei due sperava, o anche solo credeva, di riuscire a prendere davvero sonno. Rimasero in silenzio per molto tempo, ascoltando l’uno il respiro dell’altro, non essendo in grado di muovere un solo muscolo, né di cambiare posizione per la dolce paura, o forse la speranza, di finire troppo vicino all’altro ragazzo.

"Paul, dormi?"

Paul sospirò, lieto che John si fosse finalmente deciso a parlare, dopo che nell’ultima mezz’ora aveva percepito su di sé l’insistente sguardo del ragazzo.

"No. Non ancora."

"Neanche io."

"Non l'avrei mai detto." commentò Paul, ridacchiando e si voltò sul fianco a guardare John nel buio della camera, “I ventun anni cominciano a pesare, eh?”

"Stupido." esclamò John e glielo disse con tono affettuoso, più che come offesa.

"Allora, cosa ti tormenta, John?" gli chiese, interessato.

"Quando hai detto che questo viaggio nasconde un significato più profondo, ti riferivi a quello che è successo oggi?"

Paul sospirò, passando distrattamente una mano sul copriletto.

"John, per quanto io abbia aspettato di dirti quello che provavo, e credimi, ho aspettato tanto, non pensavo davvero che potesse accadere qualcosa del genere. Quindi no, non mi riferivo a questo. Ma sapevo che in qualche modo questo viaggio avrebbe cambiato le nostre vite, non prese singolarmente, ma insieme." spiegò Paul, "Secondo te ha senso?"

"Sì.” rispose John, senza neanche pensarci, solo perché lo sentiva, sentiva dentro di sé che fosse così, “Molto. Ma sono felice di quello che è successo oggi."

"Non sarebbe ora di chiamarlo con il suo nome?"

"Ovvero?"

"Ovvero ci siamo baciati, John, ba-cia-ti." rispose e poi con un gesto rapido, si sporse verso di lui per appoggiare un brevissimo bacio sulle sue labbra, prima di tornare al proprio posto.

John ridacchiò, accorgendosi che stava cominciando a sentire la mancanza della bocca di Paul sulla sua e fu felice che lui l’avesse fatto.

"Va bene, allora. Sono felice che ci siamo baciati."

"Sì." concordò Paul e la sua voce si fece più sussurrata e più dolce, "Anche io."

John sorrise mentre pensava che solo la sera prima sarebbe inorridito a una tale ipotesi e ora invece, non voleva mai smettere di baciare Paul e stringerlo a sé.

"Paul, posso avvicinarmi?"

"Certo che puoi. Che domande!"

John non fece in tempo a muoversi che Paul gli aveva già avvolto la vita con un braccio e l’aveva attirato a sé. E questa volta John non lo respinse, anzi, ricambiò l'abbraccio, mentre Paul si accoccolava contro di lui, sicuro che ora avrebbe anche potuto addormentarsi.

"Buon compleanno, John."

E lo era davvero.

"Grazie, Paul."                    

 

 

Note dell’autrice: mi dispiace per la lunghezza del capitolo, è solo che ho scritto la bozza, poi rileggendolo ho aggiunto altre cose, rileggendolo ancora per la correzione ne ho aggiunte altre… Alla fine ho detto, va bene, mandalo a kiki altrimenti non finiamo più.

Spero che questo capitolo decisamente importante sia piaciuto. Non so perché, ho avuto un po’ di timore a pubblicarlo. :/ Se è orribile potete anche dirmelo, non mi offendo. J

Il regalo vero che Paul ha comprato a John mentre erano a Parigi era un solo hamburger (lo dice nell’Anthology), io ho aggiunto tutto il resto.

Bene, grazie a kiki per la correzione. Ridendo e scherzando siamo arrivati a 4 capitoli dalla fine.

Se avete voglia di una double drabble fluff, con John, Paul e una fanart di Fiona, trovate tutto qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2275627&i=1

Ci sentiamo domenica prossima con il capitolo 13: “Mani”

kia85

   
 
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