Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    17/11/2013    7 recensioni
Raccolta di one-shot ispirate a canzoni dei Coldplay; una per ogni ship.
I | JeanMarco | The Scientist | Il fantasma di Marco si sedette sul suo letto per la prima volta due giorni dopo che le pire funebri erano state spente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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The Scientist



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'Ciao.'

'Ciao.'

'Posso sedermi?'

'Certo.'

'Grazie.'

'Non mi aspettavo ti avrei mai vista qui. Sulla sua tomba.'

'...Era anche amico mio.'

'Non me ne sarei mai accorto, se non me l'avessi detto.'

'Non sono il tipo di persona che esterna facilmente i propri sentimenti.'

'Mmm. L'avevo notato.'

'…'

'…'

'...Mi dispiace.'

'…'

'A cosa pensi?'

'...mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi stato al suo posto.'


*


Il fantasma di Marco si sedette sul suo letto per la prima volta due giorni dopo che le pire funebri erano state spente, e le lapidi dei giovani della 104esima divisione conficcate nel terreno, in mezze a quelle degli altri migliaia di soldati morti in quei cento anni di lotta contro i titani.

Confuso, Jean era rimasto in silenzio ad ascoltare i singhiozzii sommessi, credendo si trattasse di Connie. Non sarebbe stato capace di consolarlo, non in quel momento. Poi i singhiozzii si erano interrotti.


'Credevo saresti stato lì.'


Il corpo di Jean si era irrigidito sotto le coperte ispide della caserma.


'Credevo che saresti stato accanto a me per sempre. Credevo avresti capito che non hai bisogno che Eren, Mikasa o gli altri ti riconoscano come un leader. Credevo sarei bastato.'


Jean aveva sentito sudore freddo colargli lungo la schiena. Si era mosso appena, alzando la testa verso il fondo del proprio letto, ma il buio gli impediva di vedere. Aveva continuato a ripetersi che ciò che stava accadendo fosse impossibile, che Marco era morto, e a quel pensiero silenziose lacrime avevano iniziato a cadere dai suoi occhi. Si era portato la mano destra agli occhi e se gli era coperti, conficcandosi le unghie nella carne.


'Mi dispiace...'

'Perchè non eri lì quando sono morto, Jean?'

'Mi dispiace...'

'Avrei voluto semplicemente qualcuno a cui parlare, una carezza...'

'...Mi dispiace...'

'...un bacio.'

'BASTAAAAAAAARGH!'

A quell'urlo, qualcuno aveva risposto con un 'Jean, tutto bene?' e le luci si erano accese di colpo. Connie e Bertholdt erano corsi verso il suo letto, solo per trovarlo sudato, in lacrime e tremante.


'Jean! Che è successo?', aveva urlato Connie.

Lui lo aveva guardato con occhi spiritati. 'Marco...era...era proprio lì...'

Connie e Bertholdt si erano guardati; nel frattempo era sceso Reiner, che si era accovacciato accanto a lui.

'Sono stati giorni pesanti per tutti, Jean. Devi cercare di dormire. Il sonno potrebbe giocarti brutti scherzi.'

'Non è il sonno, lui...lui era proprio lì.'

'Torna a dormire, Jean. Ti prego.', aveva mormorato Bertholdt.

Si erano allontanati in silenzio, osservandosi a vicenda. Con orrore, Jean si era reso conto che quella nei loro occhi non era mancanza di fiducia o paura: era pietà.


*


'ATTENTO, JEAN!'


Aveva scansato la lurida mano di un titano per un attimo, agganciandosi al ramo più in alto e atterrandovi sopra con la consueta agilità. Armin, già leggermente più nervoso del solito, gli era sbottato dietro.


'Si può sapere che ti prende?'


Non avrebbe saputo spiegarlo a parole; o meglio, non avrebbe potuto. Chi gli avrebbe creduto se avesse detto a voce alta che ovunque si voltasse, in un angolo del suo campo visivo continuava a vedere Marco?


'Mi dispiace.', rispose ad Armin, poi si voltò e il cuore gli saltò un battito. C'era Marco, seduto su quel ramo, le gambe penzoloni nel vuoto e gli occhi chiusi rivolti verso il cielo. Jean boccheggiò; quella non era una voce nella notte o l'impressione di poterlo vedere ovunque: quella era una vera e propria apparizione.


Tese una mano verso di lui, sussurrando il suo nome. Marco lo ignorò.


'Non è mai stato un mio desiderio vedere il mondo esterno, ma lo apprezzo.', disse. 'Sembra un bel posto. Sono sicuro che un giorno potranno vederlo tutti quanti.'

'Marco...', sussurrò Jean.

Lui si era voltato. Il suo volto era distrutto, mangiato a metà. Sangue colava attraverso la ferita atroce, mortale, dolorosa anche solo da vedere. Nonostante la sua bocca fosse andata per metà, era riuscito comunque a parlare.


'Non sentirti in colpa, Jean.'


Lui era svenuto.


*


'Colpiremo da destra.', esclamò Eren, indicando un punto sulla mappa. Il comandante Rivaille era riuscito a fatica ad alzarsi dalla propria sedia, ma vi era ricaduto con un grugnito insoddisfatto.


'Al diavolo questa maledetta sedia. Arlert, portami le stampelle.'

Armin annuì secco e fece un cenno al ragazzino che gli stava dietro, che corse a recuperare le stampelle del comandante.

'Tutto considerato, non dovrebbe essere un'operazione particolarmente rischiosa.', mormorò il comandante. 'Gli ultimi superstiti della razza dei Titan Shifter sono occupati a difendere la loro capitale dagli attacchi guidati dal capitano Ackermann...'

Eren deglutì, nervoso; il comandante sembrò divertito da quella reazione.

'Nervoso all'idea di non avere la mogliettina a fianco per questa volta, eh, Jaeger? Tranquillo, Ackermann se la cava bene. Non che mi aspetti altro dalla mia elitè scelta.'


Le stampelle erano arrivate. L'assistente di Armin gliele aveva posate accanto alla sedia, e nonostante il moncherino alla gamba, il comandante si era issato da solo, le aveva afferrate e si era alzato in piedi. Aveva indicato Jean, alla sua sinistra, il volto scuro e una barba di qualche giorno sfatta.

'Capitano Kirschtein, guiderai la cavalleria. Sottosterai al caporale Jaeger, che si muoverà inizialmente tra le tue truppe. Jaeger, oltre a te ci saranno altri sei dei nostri Shifter nascosti tra la cavalleria. Sapete come muovervi. Arlert, nella retroguardia. Avverti i caporali Braus e Springer di muoversi in caso ci fosse bisogno di rinforzi.'


Jean aveva annuito, e così Eren e Armin, facendo il saluto militare. Il comandante si era ritirato nelle sue stanze; sul suo volto era fin troppo visibile la smania di tornare a combattere, nonostante le mutilazioni. Non scendeva sul campo da sette anni.


'Non riesco a credere che ci siano voluti ventotto anni.', aveva sospirato Armin, guardando il cielo fuori dalla finestra. 'Ventotto anni e decine di migliaia di morti solo per arrivare a scoprire che tutte le persone inghiottite dai titani venivano semplicemente portate via per rinforzare le file dei ribelli.'


L'idea rendeva chiunque fosse nella stanza nervoso fino all'inverosimile; tutti loro avevano perso qualcuno durante quella guerra.


Marco posò una mano spettrale sulla spalla di Jean. Quest'ultimo nemmeno si voltò; erano rari i giorni in cui il vecchio, defunto amico non fosse venuto a fargli visita, ma in ventotto anni non era mai riuscito a parlarne a nessuno. Oggi, constatò Jean con la coda dell'occhio, era uno di quei rari giorni in cui il corpo di Marco non gli si mostrasse in putrefazione o mutilato. Oggi sul volto dell'amico, rimasto ragazzino innocente, c'era un sorriso aperto e brillante.


'È quasi finita.', aveva esclamato.


Guardandolo e ricordando, Jean si sentì improvvisamente vecchio. Vecchio e stanco.


(La prossima volta che ti vedrò sarà tutto finito e tu sarai libero di andartene)

Aveva accarezzato la spada al suo fianco.


(E anch'io.)


*


Lacrime di disperazione scivolavano sul volto degli uomini, le donne, i bambini e gli anziani rinchiusi sottoterra. Jean guardava Armin, sotto shock. Le persone passavano davanti a loro, ringraziando, inginocchiandosi, riparandosi dal sole che non vedevano da tanti anni o che addirittura non avevano mai visto.


'Li hanno rinchiusi come bestie...', sussurrò Armin.

Jean aveva stretto le spade nelle mani. Non aveva mai odiato così tanto la razza dei Titan Shifter ribelli, nemmeno quando aveva visto Ymir morire uccisa dai propri simili, nemmeno quando il Culto delle Mura aveva deciso di offrire tutti loro al Dio Titanico tramite un omicidio di massa; era allora che Rivaille aveva perso una gamba, Eren un occhio e il comandante Erwin era morto. No, nemmeno allora.

Correvano disperati fuori da quell'inferno, cercando un volto amico, una mano da stringere, qualcuno da abbracciare. Correvano fuori, liberi, dove la battaglia si era conclusa con la carneficina dei ribelli. Scappavano per tornare a vivere, loro, già morti una volta.


'JEAN!'


Jean si era voltato. Un uomo si faceva largo a fatica in mezzo alla folla; era magro, e lunghi capelli gli ricadevano sul volto; gli occhi sembravano aver visto più di quanto un uomo possa sopportare.


'JEAN, SEI TU! JEAN! JEAN KIRSCHTEIN!'


E Jean aveva capito, e aveva sorriso, tremante. Sarebbe stato così facile correre incontro a Marco, abbracciarlo, rivelargli ciò che aveva solo potuto sussurrare a se stesso in ventotto anni di incubi. Ma sarebbe stato troppo facile, sarebbe stato troppo bello.


Non voleva correre incontro a quello che sapeva essere frutto del suo senso di colpa.

Estrasse la spada e se la puntò al cuore.

Nessuno si voltò a guardare.


'JEAN! NO! SONO IO! SONO MARCO! MARCO BODT! JEAN! JEAAAAAN!'


Era caduto in ginocchio. Non faceva male, si disse; probabilmente non quanto aveva fatto male a Marco. Era come addormentarsi, senza pensieri, dopo tutti quegli anni. Aveva sentito due mani ruvide afferrarlo, voltarlo. Un rivolo di sangue gli colava dalla bocca.

'Jean...'

E in un lampo di improvvisa lucidità, il primo dopo quasi trent'anni, Jean aveva capito di essere un pazzo disperato, e aveva capito che l'uomo che lo stringeva in quel momento era davvero il suo amico d'infanzia. Aveva sorriso, quasi disgustato dal proprio destino. La vita era sempre stata beffarda con lui, ma mai avrebbe pensato di morire tra le mani della persona che lo aveva tormentato per tutti quegli anni.

Era riuscito ad alzare una mano, la sinistra, e ad appoggiarla sulla parte destra del volto di Marco. Il solo sentire la sua presenza, la sua concretezza gli aveva dato la forza di parlare ancora, e aveva mormorato le uniche parole che gli erano venute in mente, le uniche parole che sentiva sarebbe stato giusto dire.


'Mi...dispiace...Marco.'

'No...Jean...no! AIUTO! QUALCUNO MI AIUTI!'


Aveva chiuso gli occhi, sorridendo.


*


Mikasa era scivolata verso Marco in silenzio. Si erano scambiati uno sguardo grave, triste, uno sguardo che parlava da solo e diceva tutto ciò che non sarebbe stato possibile dire a parole. Eren, Armin e gli altri se n'erano andati dopo la cerimonia funebre; lui era rimasto.

Il mantello di Mikasa era ancora sporco di sangue. Era appena tornata dalla missione.


'Ciao.', aveva sussurrato lei.

'Ciao.', aveva risposto Marco.

'Posso sedermi?'

'Certo.'

'Grazie.'

'Non mi aspettavo ti avrei mai vista qui. Sulla sua tomba.'

'...Era anche amico mio.'

'Non me ne sarei mai accorto, se non me l'avessi detto.'

'Non sono il tipo di persona che esterna facilmente i propri sentimenti.'

'Mmm. L'avevo notato.'

'…'

'…'

'...Mi dispiace.'

'…'

'A cosa pensi?'

'...mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi stato al suo posto.'


Dopo quelle parole, Marco si era alzato. Gli avevano detto che quello era il luogo in cui era stato seppellito il suo corpo, o meglio, ciò che il Titano aveva lasciato cadere del suo corpo. In realtà, lui era sopravvissuto dentro il corpo del Titano, il suo corpo si era formato per essere quello di un Titan Shifter, come era successo a quello di tutte le altre persone morte mangiate dai Titani, e ciò che era stato seppellito di lui era solo un fantoccio, ma era lì che aveva chiesto di poter far seppellire Jean, in un atto di egoismo puro.


'Credo che sarei impazzito.', aveva continuato, senza guardare Mikasa. Lei non aveva risposto.

Marco aveva avuto l'impressione che, dall'angolo del suo campo visivo, di fianco all'anonima tomba di un soldato qualsiasi, Jean lo stesse guardando.




C'è solo una cosa che posso dire...

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E, sì, quella sono io.
Scusate, ma erano giorni che l'idea mi girava per la testa, non potevo ignorarla. Aspettatevi un sacco di angst nel capitolo 2, una BeruAni.
Sono una persona allegra.
Tanto allegra.
Se voleste rebloggare il photoset a inizio pagina, da me fatto, potete trovarlo qui: http://what-a-joice.tumblr.com/post/67272380436/tell-me-you-love-me-come-back-and-haunt-me
Alla prossima!
- Joice


   
 
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