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Autore: EffieSamadhi    17/11/2013    4 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=diyTY0QZwSA}
Contrariamente a quanto pensa la gente, la vita di un rocker non è tutta 'sesso, droga & rock'n'roll': ci sono momenti in cui, come ogni persona normale, ci sentiamo stanchi e solitari e stufi del mondo, e se a volte ci capita di sembrare scostanti e scontrosi è solo perché vogliamo andare a casa, perché vogliamo infilarci sotto una doccia bollente o perché vogliamo spalmarci sul divano a guardare un programma trash in tv. [...] Mi chiamo Shannon Leto, ho quarantatré anni e mezzo e non vedo l'ora di andarmene a letto.
Tutti hanno bisogno di tempo per se stessi, e nessuno lo sa meglio di Shannon, che così preso dalla ricerca di un attimo di respiro si trova coinvolto in qualcosa che di privato e personale ha ben poco. Ma alla fine di tutto, Shannon si accorgerà che a volte la pace non si trova soltanto nella solitudine e nel buio, ma anche nella luce degli occhi di chi ci sta accanto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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Portagioie di tristezza | 1
Portagioie di tristezza





Capitolo secondo
Immergiti nelle parole non dette,
vivi la vita con le braccia spalancate,
oggi è dove il tuo libro inizia,
il resto non è ancora stato scritto.1

Torino, 03 novembre 2013

    Stesa sulla brandina che ha aperto al centro della stanza, Alice dorme profondamente, russando appena, mentre io non sono ancora riuscita a chiudere occhio. Alice ha voluto cedermi il suo letto per ringraziarmi del passaggio e della pazienza nell'aspettare che lei e Federico finissero di fare i loro comodi, ma nonostante la comodità del materasso non riesco proprio a convincermi a cedere al sonno. Non riesco a fare a meno di guardarmi la mano, dove ancora campeggia l'indirizzo e-mail di – ancora non riesco a dirlo – Shannon Leto.
    Shannon Leto, signore e signori.
    Shannon Leto, quarantatré anni e mezzo, batterista dei 30 Seconds To Mars, sogno erotico di migliaia di donne e ragazzine in tutto il mondo, mi ha dato il suo indirizzo e-mail. E mi ha chiesto di scrivergli. E io non l'ho ancora trascritto da nessuna parte.
    Mentre guidavo sulla strada del ritorno, con una soddisfattissima Alice seduta a fianco, mi sono inventata ogni sorta di balla pur di tenere nascosta la vera identità di Shannon: alle sue domande ho risposto che si trattava di un ragazzo straniero che ho conosciuto uscendo dal palazzetto – lui mi urta, mi chiede scusa, io lo perdono, lui mi chiede se mi è piaciuto lo show... ho sempre avuto un certo talento nell'inventare menzogne, anche se non l'ho mai sfruttato appieno. Per fortuna la curiosità di Alice si è spenta dopo cinque o sei domande, perciò non sono dovuta scegliere nei dettagli – anche se ho i miei dubbi che la questione sia conclusa, conosco troppo bene la mia amica e la sua proverbiale tenacia.
    Sollevo di nuovo la mano davanti al viso, tentando di decifrare i singoli caratteri nonostante il buio pesto. Sospiro, rimettendo giù la mano. Quei pochi simboli, insieme al retrogusto di nicotina che sento ancora in bocca, sono la prova tangibile che quell'incontro è avvenuto veramente, che quella conversazione ha avuto luogo – sono la prova che Shannon Leto mi ha davvero stretto la mano, offerto una sigaretta e parlato. Ho sempre criticato le ragazze ossessionate dai loro idoli, ma dopo questa sera le capisco. Oh, se le capisco. Dopotutto non è di un comodino che stiamo parlando, ma di un uomo fatto – e fatto dannatamente bene.
    Mi giro su un fianco, dirigendo lo sguardo verso il punto da cui sento arrivare il leggero russare di Alice, chiedendomi che cosa mi consiglierebbe di fare – non ho dubbi sul fatto che possa credermi o meno, è sempre stata lei quella incline a credere all'impossibile. Subito dopo mi viene da ridere, perché so benissimo che inizierebbe a strillare di gioia e a saltellare sul posto all'idea che una celebrità del calibro di Shannon Leto mi abbia chiesto una corrispondenza – oltre che molto credulona, Alice è anche il tipo di ragazza che ama indulgere in fantasie romantiche e che guarda il mondo attraverso occhiali colorati di rosa. Non che io non mi conceda di sognare, intendiamoci, è solo che... sono meno illusa di lei.
    Sopportare la separazione dei miei genitori è stato meno facile del previsto, e anche a distanza di quindici anni ho difficoltà a parlarne. Secondo il dottor Martini, lo psicologo che vedo una volta a settimana, il mio cinismo in materia di relazioni sentimentali ha origine dalla fine del matrimonio dei miei, e la mia insicurezza affonda le sue radici nell'abbandono di mia madre – si tratta pressappoco della stessa analisi compiuta da Alice, ma sentirselo dire da qualcuno di cui puoi vedere la laurea appesa alla parete rende tutto più ufficiale. Come ho detto anche a Shannon, ho avuto dei ragazzi, ma in nessun caso ho mai avvertito quella che io chiamo 'la scintilla' – ovvero, semplicemente, la sensazione di essere capitata insieme al ragazzo giusto. Fino a questo momento, a dire il vero, non me ne sono mai preoccupata – in fondo ho solo ventitré anni, e di tempo per conoscere gente nuova ne ho a iosa. Non me sono mai preoccupata, davvero.
    Non fino a stasera, almeno.
    Perché diciamolo, quando ti ritrovi a parlare di sesso e relazioni sentimentali con una celebrità incontrata da meno di un quarto d'ora, poi qualche domanda te la fai. Ripenso a tutte le cose di cui abbiamo parlato e mi sembra di rivivere tutta la conversazione, come se non fossero trascorse ore ma solo pochi minuti. Se sul momento la mia preoccupazione era di parlare correttamente inglese per farmi capire, ora mi ritrovo a sperare di non essere riuscita a comunicargli nulla – no, seriamente, gli ho raccontato del divorzio dei miei? Gli ho detto che intendo trasferirmi in una casa tutta mia? Gli ho praticamente fatto capire che non vado a letto con qualcuno da un sacco di tempo? Complimenti, Daria, complimenti. Mi applaudirei da sola, se non avessi paura di svegliare Alice.
    All'improvviso, la lieve sensazione di disagio che avverto da un po' si acuisce, diventando una forte pressione all'altezza dello stomaco. Consapevole di non poter dormire, mi metto a sedere, incrociando le braccia davanti alla pancia nella speranza di bloccare il fastidio. Quando al dolore si somma anche un vago senso di nausea, non ci penso due volte prima di alzarmi e raggiungere il bagno. Mi spruzzo un po' d'acqua fredda sul viso e mi tampono i polsi, cercando di convincermi che non si tratti di nulla di mortale. Sicuramente non sono dolori mestruali, visto che il ciclo mi è finito pochi giorni fa, proprio in tempo per il concerto. Scartata l'ipotesi più ovvia, ciò che rimane è che probabilmente il mio corpo si rifiuta di accettare quello che mi è successo stanotte – so che sembra assurdo, ma se c'è una cosa di cui Alice è riuscita a convincermi nei diciotto anni della nostra amicizia, è che a volte le cose impossibili succedono davvero.
    Sospiro, mi asciugo viso e mani e torno a letto, pur sapendo che continuerò a non dormire. Mi sono appena messa giù – e intanto sono passate le quattro e mezza –, quando sento la voce di Alice. «Non stai bene?»
    «No, figurati, sto benissimo. Dovevo solo andare in bagno» mento.
    «Ah. No, è che sarà mezz'ora che ti rigiri nel letto... pensavo non stessi bene.»
    «E io pensavo che dormissi.»
    «Lo sai che ho il sonno leggero, no? Ma è successo qualcosa? Hai una faccia...»
    «Come fai a vedere che faccia ho, scusa? È buio pesto!»
    «Ho tirato a indovinare. Se devo essere sincera, è da quando siamo partite da Milano che sei strana. Sicura che vada tutto bene?»
    «Va tutto benissimo, Alice. Sono solo troppo stanca, e quando sono troppo stanca a volte fatico ad addormentarmi.»
    «Sarà. Comunque adesso faticherò ad addormentarmi anch'io. Perché non parliamo un po'? Dai, raccontami qualcosa del tuo nuovo amico. In macchina non ti sei sbottonata più di tanto. Hai detto che è americano?»
    «Sì, è americano, ma adesso non è il...»
    «E invece sì, è proprio il momento. Senti, a me è venuta fame» aggiunge subito, senza darmi il tempo di rispondere. «Metto su un po' d'acqua e ci facciamo un po' di tè, così parliamo del tuo nuovo amico.» Senza aspettare cenni di dissenso o approvazione, si alza in piedi e schizza via come un fulmine, non lasciandomi altra scelta se non quella di seguirla.

    «Allora, parli da sola o pretendi che ti faccia anche delle domande?» Chiunque troverebbe questa sua curiosità invadente e inopportuna, ma io la conosco, e so che vuole farmi parlare solo perché sa che parlare mi fa bene – quando inizio a tenermi dentro tutto poi divento eccessivamente triste e difficile da trattare. «Tra l'altro, correggimi se sbaglio, ma ho avuto come l'impressione di avervi interrotto in un momento molto importante.»
    Continuo a spalmare Nutella su una fetta di pane, fingendo indifferenza. «No, affatto. Insomma, stavamo solo parlando. Qualche chiacchiera di circostanza, tanto per passare il tempo.»
    «Ah» fa lei, forse un po' delusa. «No, te lo dico perché mi era sembrato che ci fosse una certa... intimità. Sono sincera, ero lontana e non l'ho guardato bene, ma il suo atteggiamento era piuttosto difficile da fraintendere.»
    «Sarebbe a dire?»
    «Non fare la gnorri, non ti riesce bene come raccontar balle» mi rimprovera subito lei, strizzando la bustina usata per l'infusione e buttandola nel cestino. «Era piuttosto evidente che ci stava provando. Scommetto che stava per baciarti.» Ho commesso l'errore di bere prima della fine della frase, e quando sento l'ultima parola, colta di sorpresa, sputacchio in giro tè e frammenti di pane masticato. «Direi che ho avuto la mia risposta» è il commento di Alice, che si alza per prendere una spugna. A volte il suo autocontrollo è destabilizzante.
    «Scusa, non volevo...» bofonchio, pulendomi la bocca. «Beh, veramente non so se... insomma, non credo che...» Ripenso all'attimo immediatamente precedente all'interruzione di Alice e l'incertezza si dissolve: Shannon che dopo la telefonata torna a sedersi accanto a me, decisamente più vicino di prima, e poi il suo sguardo che non mi abbandona mai, e i suoi occhi che si fanno improvvisamente più vicini, e le parole che sembrano mancare all'improvviso, lasciando un vuoto che può essere colmato solo... no, mi rifiuto di crederci.
    «Te ne sei accorta soltanto adesso?» interviene Alice, ammiccando. «Allora, che mi dici di lui?»
    L'improvvisa consapevolezza di quanto sta accadendo mi colpisce in pieno stomaco: non posso più tacere la verità ad Alice. Devo parlare con qualcuno, altrimenti rischio di esplodere. «Alice, devo dirti una cosa.» Sta per dare un morso alla sua fetta di pane, ma nel sentirmi parlare così si blocca, cristallizzandosi in una posa piuttosto comica. «Non è una cosa grave, tranquilla. Non è grave, è solo... strano
    «Riguarda il tuo nuovo amico? A proposito, ti sei scritta quell'indirizzo da qualche parte? Ehi, aspetta, se ce l'hai ancora vuol dire che non ti sei lavata le mani prima di mangiare! Che schifo!»
    «Le ho lavate, le ho lavate. Ho usato solo l'acqua perché tanto non avete più sapone.»
    «Oh, dobbiamo comprarlo. Ma non cambiare discorso, signorina. Riguarda il tuo nuovo amico?»
    «Beh, sì. Se di amico possiamo parlare.»
    «Possiamo parlarne.»
    «Ti ho raccontato che è uno studente americano che vive qui ed è venuto a vedere il concerto con degli amici, ma non è vero. Ti ho detto una bugia.»
    «Su quale parte hai mentito, scusa? Non è uno studente?»
    «No, non è uno studente. Non è qui per studio e non è andato a vedere il concerto con degli amici.»
    «E quindi cosa...»
    «Stavo parlando con Shannon Leto» dico, interrompendola. O almeno, questo è quello che vorrei aver detto. Ho parlato così in fretta che quello che ho detto in realtà è un miscuglio di lettere e vocalizzi a casaccio. «Stavo parlando con Shannon Leto» ripeto, questa volta più lentamente. «Dopo la signing session sono uscita e mi sono cercata un angolo tranquillo dove aspettare che mi chiamassi. Ero vicino ad un'uscita di sicurezza, e a un certo punto lui è uscito per fumare, e... e non lo so, non aveva l'accendino e allora gli ho prestato il mio, e poi ci siamo messi a parlare e... e quando mi è arrivato il tuo squillo ha detto che voleva accompagnarmi perché non si fidava a lasciarmi sola, e... io non lo so, Alice, io... io stento ancora a credere che sia successo davvero. Ho paura di svegliarmi e di rendermi conto che è stato tutto un sogno, che sono solo le otto di mattina e che al concerto ancora ci dobbiamo andare.»
    «Mi stai prendendo per il culo?»
    «No, non ti prendo per il culo. Era lui. Era lui, e io gli ho parlato di quando i miei hanno divorziato, e del fatto che voglio andare a vivere da sola, e di che lavoro faccio eccetera. Gli ho parlato come se fossimo amici, o roba del genere, e... non posso credere che sia vero.» Alice distoglie lo sguardo, aggrottando le sopracciglia come se stesse riflettendo su qualcosa di importante. «Ti prego, Alice, dimmi qualcosa.»
    «Stavo pensando... in effetti quando ho visto quel tipo seduto vicino a te ho pensato che somigliasse un pochino a Shannon. Insomma, il modo di vestire, il berretto, la postura... ho pensato che avesse l'aria da cattivo ragazzo che ha lui, ma... porca miseria, Shannon Leto ci ha provato con te?» Vorrei dirle che a sconvolgermi è il fatto che mi abbia parlato, ancor prima del pensiero che possa averci provato con la sottoscritta, ma lei non mi lascia il tempo di ribattere. «Aspetta, prendo il portatile. Gli devi scrivere.»
     «Ma sono le cinque del mattino!» esclamo, mentre lei corre in camera. «Starà dormendo! E poi che gli scrivo?»
    «Vorrà dire che leggerà domani. E comunque gli puoi scrivere che... che ne so, che ti ha fatto piacere parlare con lui. Potresti chiedergli quali sono i loro progetti, se si trattengono ancora in Italia o no. Inventati qualcosa. Ehi, e comunque ti faccio notare che è stato lui a darti il suo indirizzo, e questo può voler dire solo una cosa.»
     «Che cosa?»
    «Che vuole tenersi in contatto con te, ovvio!» Mi mette davanti il portatile acceso, senza curarsi di spostare tazze e barattoli. «Forza, dai libero sfogo alla tua creatività.»
    «Alice, io non faccio questo genere di cose. E poi lui è...»
    «Lui è un uomo attratto da te, e tu sei una donna attratta da lui. Lasciati andare, una volta tanto. A volte abbracciare la vita non è così brutto.»


***


Milano, 03 novembre 2013

    Durante il viaggio in auto, Jared ha evitato ogni discussione fingendosi addormentato, mentre accanto a me Tomo cercava di tenersi sveglio giocando a Candy Crush. Io ho ingannato il tempo guardando fuori dal finestrino, sprofondando in un mondo tutto mio grazie al mio iPod. In albergo, ci siamo augurati a vicenda la buonanotte e ci siamo rintanati dietro porte di legno laccate di bianco, finalmente liberi di lasciarci andare ed essere di nuovo noi stessi.
    Ho fatto una lunga doccia, forse la più lunga della mia vita: non so per quanto tempo sono rimasto fermo sotto il getto caldo, con la testa china e le mani appoggiate alle piastrelle, domandandomi se mai avrò un'altra occasione di incrociare lo sguardo limpido di Daria, se mai avrò un'altra occasione di sentire ancora la sua strana pronuncia della lettera erre, se mai la vedrò ancora sorridere coprendosi una mano con la bocca per coprire un dente lievemente accavallato. Era buio e sono stato con lei per poco, ma l'ho potuta osservare bene, e nonostante sia già riuscito a trovare in lei almeno due difetti, non riesco a non essere attratto da lei. È una cosa che non riesco a spiegarmi.
    Uscito dal bagno con la pelle praticamente ustionata, mi sono strofinato qui e là con un asciugamano e mi sono infilato soltanto un paio di mutande, giusto per non rimanere completamente nudo. Poi, in preda a non so quale stupida idea, ho tirato fuori il portatile e l'ho acceso, andando subito a controllare la posta elettronica – come se potesse aver deciso di scrivermi subito, o di scrivermi in generale. Trovando la casella più deserta del frigo di casa, ho pensato di andarmene a letto e riposare – che, in fondo, è lo scopo principale per cui siamo rientrati in albergo.
    Quando sento bussare alla porta, sono quasi le cinque del mattino e non sono ancora riuscito a chiudere gli occhi. Ho lasciato il computer acceso con il volume al massimo, in modo da sentire il segnale acustico di un'eventuale notifica, ma nonostante questo non sono riuscito a calmarmi. Mi infilo addosso l'accappatoio, giusto per non correre il rischio di sembrare la classica rock star ninfomane nel caso dovesse essere qualcuno del personale.
    Errore.
    Non è qualcuno del personale.
    Peggio.
    È mio fratello.
    E l'idea che voglia iniziare a litigare alle cinque del mattino sinceramente non mi attira.
    «Ciao» biascico, fingendomi appena sveglio. «Che succede?»
    «Niente. Veramente volevo chiederlo io a te. Che succede?»
    Mi sposto, lo faccio entrare, chiudo la porta e mi tolgo l'accappatoio, abbandonandolo su una poltrona. «Che intendi?»
    «Shan, non fare il finto tonto. Sei uscito per fumare e sei sparito per quaranta minuti. Che è successo? Senti, non voglio litigare» aggiunge, e nel tono della sua voce leggo finalmente quella stanchezza che non gli vedo mai addosso. «Stavo solo pensando che sei per caso hai fatto qualcosa di... ehm, non programmato, ecco... vorrei solo saperlo, così se per caso dovessero esserci delle... complicazioni...»
    «Jared, mi stai chiedendo se ho fatto qualcosa tipo scoparmi una ragazza sconosciuta dietro un angolo senza usare protezioni, o roba del genere?» Il tono monocorde con il quale l'ho detto sconcerta persino me. Lui evita il mio sguardo, gonfiando un po' le guance e cercando le parole giuste. Sembra in difficoltà, perciò decido di cavarlo dall'imbarazzo. «Non l'ho fatto.»
    «Quindi hai usato il...»
    «L'unica cosa che ho fatto dietro un angolo è stata fumare. Niente ragazze nude, niente scopate. Stai tranquillo, non ho fatto niente che tu non avresti fatto.» Una breve pausa. «In ogni caso, quaranta minuti sarebbero stati pochi» aggiungo, avvicinandomi al frigobar per prendere una bottiglietta d'acqua.
    Lo vedo sorridere, mentre senza chiedere il permesso si siede a gambe incrociate sul letto. «E allora che diavolo hai fatto, ti sei fumato un pacchetto intero?»
    «Ho incontrato una ragazza» confesso. Meglio la verità subito, che tante bugie e una sfuriata alla fine. E poi non ho fatto niente di male, perché dovrei tenerlo nascosto?
    «Cosa? Ma hai detto che...»
    «Ho detto che non ho scopato. Sono uscito da una porta di sicurezza, solo che quando sono arrivato lì mi sono accorto di non avere l'accendino» inizio a raccontare, raggiungendolo sul letto. «Lei era lì, e mi ha dato da accendere.»
    «C'era una ragazza appostata dietro una porta di sicurezza?»
    «Non era
appostata» lo correggo, sistemandomi un cuscino dietro la schiena. «Stava aspettando una sua amica, e quello era il posto più tranquillo che avesse trovato. L'amica era con il suo ragazzo, in macchina, e stavano... vivono in due città diverse e non si possono vedere spesso» taglio corto, appellandomi all'esperienza di mio fratello.

    «Ah, capito. E sei rimasto quaranta minuti a parlare con lei?»
    «Sì. No, in realtà dopo cinque minuti la sua amica l'ha chiamata per dirle che avevano finito, e lei se ne stava per andare. Solo che... cazzo, Jared, dovevo lasciarla tornare sola verso il parcheggio? Insomma, sicuramente erano tutte brave persone, ma se qualcosa fosse andato storto non me lo sarei perdonato.»
    «L'hai accompagnata alla macchina?»
    «Sì, anche se lei non voleva. Ho dovuto insistere un po' per convincerla. Poi siamo arrivati a quindici metri dalla macchina e ci siamo accorti che l'amica e il tizio avevano ricominciato. Lei ha detto che poteva aspettare da sola, ma ho deciso di restare ancora. Quando hai chiamato, ero con lei. A proposito» aggiungo, ridacchiando al ricordo di quel momento, «mi ha detto di chiederti scusa da parte sua. Ha detto che le sarebbe dispiaciuto sapere che avevamo litigato per colpa sua.» Questa confessione strappa un sorriso anche a lui, che intanto si rimette a posto una lunga ciocca sfuggita alla coda disordinata. «Sarebbe piaciuta anche a te, se l'avessi conosciuta. È simpatica.»
    «Come si chiama?»
    «Daria.» Daria. Ripeto il suo nome nella mia testa finché acquista un suono naturale, come se fosse stato fatto per essere pronunciato da me. «Era al concerto.»
    «Lo immaginavo. È italiana?»
    «Sì, abita a... Torino, mi sembra. Sì, Torino. Abbiamo parlato di un sacco di cose: sua madre l'ha abbandonata quando aveva otto anni, e da allora vive con suo padre e con il fratello e la sorella.»
    «Brutta storia.»
    «Già. Lavora come commessa in una libreria, e parla benissimo inglese. Ha detto che il suo prossimo progetto è di prendere in affitto una casa tutta per sé, perché vuole staccarsi da suo padre e dai fratelli e avere un posto tutto per lei.»
    Jared aggrotta appena le sopracciglia. «Quanti anni ha?»
    Sospiro, costretto a confessare. «Ventitré.»
    «Ventitré.»
    «Ventitré» ripeto. «Ma ti assicuro che di testa è molto più grande, glielo leggi negli occhi. Ragiona come una donna di trentatré almeno. È davvero molto matura. E poi è anche carina, il che non guasta.»
    «Ricapitoliamo: hai incontrato una ragazza italiana di ventitré anni che lavora in una libreria e vive ancora con il padre e i fratelli, e che, cito testualmente, è molto carina. Giusto?»
    «Giusto.»
    «Ok. Tanto per sapere, quando vi siete salutati ti sei fatto lasciare il numero, o altro? Casomai ti venisse l'idea balzana di rivederla?»
    «Non sarebbe un'idea balzana, comunque sì. Le ho lasciato il mio indirizzo e-mail.»
    «E se non dovesse scriverti?»
    «Sarebbe un segno del destino: non è la donna per me, lascio perdere.»
    «Toglimi una curiosità: da quando in qua credi nel destino?»
    Abbasso lo sguardo sulla bottiglietta d'acqua dalla quale sto grattando via l'etichetta, pensando ad una risposta valida. «Probabilmente da quando mi hai messo in mano il suo cd da autografare.» Un improvviso trillo impedisce a mio fratello di rispondere. «Questa è lei!» esclamo, saltando in piedi.
    «Come lo sai?»
    «Lo so e basta» taglio corto, spostando il portatile dalla scrivania al letto. Deve essere lei.





***




1Immergiti nelle parole non dette / vivi la vita con le braccia spalancate / oggi è dove il tuo libro inizia / il resto non è ancora stato scritto. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso della canzone Unwritten di Natasha Bedingfield, contenuta nell'album Unwritten (2004).
   
 
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