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Autore: AsanoLight    17/11/2013    1 recensioni
Una raccolta di flash-fics e One-shots sul personaggio di Tokitatsu ed il rapporto che ha con il fratello Hirato.
Vari inserti anche sulla pairing Hirakari.
Genere: Demenziale, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akari, Hirato, Tokitatsu, Tsukitachi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '♣ Karneval Parade'
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Titolo: Fireworks Show
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato, Gareki
Avvertenze: One Shot

Wordcount: 1622





 

Sono le vivaci iridi di acquamarina di un fanciullo quelle che guardano il cielo che lo sovrastano. Corre sereno nel viale alberato tracciato dalla foresta, si sollevano le secche foglie multicolori al suo passaggio. Le luci dei fuochi d’artificio risplendono sopra il suo capo, esplodono fulgide nel cielo notturno tingendolo di mille colori. Arranca ancora qualche passo prima di raggiungere la radura, tira pervicace la manica del kimono di una giovane donna, bellissima da vedersi. La chiama e nota che gli sorride. Non può che essere felice.

Ha i capelli neri come l’inchiostro di china raccolti in una stupenda e tradizionale acconciatura giapponese, adornata con degli appariscenti fiori di loto. E’ di una rara bellezza, ha il fascino di una geisha. Non ha nemmeno quarant’anni e pure non riesce a tenere il passo con il figlio. E’ pallida nel volto, è la sua carnagione ad esserlo, sono vani gli sprechi di trucco nell’inutile tentativo di donargli un po’ di colore. Lo raggiunge con qualche stento senza smettere di sorridergli. E’ dolce la piega delle sue labbra, forse perfino piena di compassione.

Scoppia un fuoco d’artificio nel cielo e per un istante il mondo si tinge di rosso davanti agli occhi del fanciullo. E’ tutto così spettacolare quando si è infanti.

«Sono belli, i fuochi, Tokitatsu», gli si accosta alle spalle la stupenda donna e gli avvolge un velo attorno al collo per scaldarlo, a mo’ di sciarpa, «Sai, quand’eri più piccolo ti spaventavano tanto... Se non ti fanno più paura, possiamo tornarci anche l’anno prossimo così li vedrà anche il tuo fratellino o la tua sorellina».

«Ma non si spaventerà?», chiede ingenuamente Tokitatsu, gli sorride divertita la madre accarezzandogli affettuosamente il capo e portandosi serena una mano all'ancora non molto pronunciata pancia.

«No», risponde sincera e sicura di sé, un angelico sorriso risplende fulgido nel suo volto, «Non se si sentirà protetto o protetta da un fratellone forte come te».

«Fratellone?», Tokitatsu esulta, gli occhi animati di un'allegra luce, «Mi chiamerà 'fratellone'?».

«Chissà»

«Beh, io non lo chiamerò mai fratellino, se sarà un maschio»

«Oh?, e come mai?»

«Non mi piace. Avrà un nome ed io lo o la chiamerò con quello»

Soffoca una risata la donna e gli bacia una guancia. L’ingenuità dei bambini è senza pari.

«Tokitatsu... La fai una promessa alla mamma?»

«Una promessa?»

«Sì», pronuncia la frase in un sibilo e gli prende entrambe le mani proteggendole tra le proprie, al caldo, «Promettimi che, qualunque cosa accada, qualunque, tu le o gli sarai accanto, anche nei momenti più difficili».

«Devo proprio?»

«Sì. Devi proprio promettermelo...»

 

 

«Tokitatsu»

 

 

«Stai bene?».

Gli si avvicina rapido notandolo in disparte e trascina i sandali sull'erba fino a raggiungerlo. Si gira appena Tokitatsu, gli occhi volti verso l'immenso cielo tempestato di fuochi d'artificio ed ostenta una risata che tuttavia non riesce a non tradire della pura malinconia.

«Ah, ah, che domande fai? Certo che sto bene!»

 

«Stavo solamente–»

Lo stomaco gli si chiude colto da un’improvvisa morsa.

Abbassa lo sguardo.

Stava ricordando.

Ricordava di tempi lontani, tempi andati che non sarebbero mai più tornati.

Ricordava di promesse fatte ad una donna che era comparsa come un'ombra nel suo passato, una creatura che suo fratello non aveva avuto l'opportunità di conoscere. Dolci cantilene che mai più sarebbero tornate, parole di conforto che nessun altro avrebbe potuto più sussurrargli.

Non si stava solo limitando a riesumare delle vecchie memorie.

Stava elucubrando su qualcosa di più profondo, una ferita che da qualche parte nel suo animo era ancora rimasta aperta.

Gli tende una mano e gli fa cenno di avvicinarsi maggiormente.

 

«Fratellino, ricordi la prima volta che ti ho portato qui a vedere i fuochi?»

«Avevo sei anni. Come dimenticarselo», Hirato riprende le sue parole con tono di beffa, ride della sua ingenuità come un tempo aveva riso la madre, «Sei scoppiato a piangere come un bambino».

E’ un sorriso compito quello del fratello ma stranamente bello. Fa riaffiorare nella sua mente una miriade di ricordi, altrettanti ne riporta alla luce l’abbracciarlo ed il percepire i suoi neri capelli di china dai riflessi di ametista tintinnare sulla pelle. Lo rassicurano quei contatti, gli ricordano che non tutto della madre è veramente andato perso. C’è ancora rimasto qualcosa in Hirato e quel ‘qualcosa’ è nel suo sguardo, è nel modo in cui sorride, è nella maniera nella quale ama.

 

«Tokitatsu, perché siamo venuti a vedere i fuochi?», Hirato resta in piedi accanto all’oramai adulto fratello. Un’enorme linea sembra oramai dividere il grande dal piccolo. Tokitatsu si volta appena, resta con il mento teso verso il cielo, come se attendesse una risposta da lui. Ma non v’erano risposte da ottenere, non erano quello ciò di cui il giovane ragazzo andava in cerca. Erano gli occhi della madre quelli che quella sera andava cercando tra le stelle del firmamento. E, quando l’avesse trovati, li avrebbe mostrati ad Hirato e gli avrebbe detto: “Ecco, lassù c’è la nostra mamma”, e l’avrebbe fatto felice.

«Tokitatsu».

E si ricordava di aver scrutato il cielo a lungo in passato, di aver cercato quelle perle del mare notturno come un cacciatore di tesori, non era la prima estate che faceva un cosa del genere. Aveva spesso guardato ogni stella e sperato di scovare in essa qualcosa di familiare.

Quando muoriamo dove andiamo...?”, le parole della madre gli riecheggiavano ancora nella mente, ancora calde, la sua voce era davvero divina, degna di una Dèa, “Andiamo in Cielo e diventiamo tutti una stella”.

«Tokitatsu»

E ricordava di aver cercato indefessamente, quella notte di fine estate di alcuni anni prima, la sua stella ma nessuna sembrava rappresentarla. Lei non c’era, non brillava in quel cielo notturno. Se ne era andata per davvero e prima ancora che potesse realizzare il termine dello spettacolo dei fuochi, la magia era svanita e mentre nel suo cuore era rimasta lascia di un’amara malinconia, sul volto fu più difficile cancellare le tracce di alcune lacrime di dolore.

Hirato in quell’occasione non chiese, non chiese nemmeno negli anni che venirono.

Non voleva essere invasivo ed aveva un profondo rispetto per il dolore del fratello.

Quella sera però, se n’era dimenticato e, per quanto si accorse dell’errore fatto, era troppo tardi per tornare indietro.

 

«Hirato, secondo te quando moriamo dove andiamo?», Tokitatsu fa una domanda, è spiccio ed insolitamente freddo, sta ancora contemplando il vago ed apparentemente vacuo cielo notturno.

«Sotto terra»

Una voce gli risponde coincisa e laconica, non è quella di Hirato, non è quella che tanto conosce bene del fratello. E’ una risposta che si sarebbe aspettato da Akari ma che da Akari non era venuta. Volge la sua attenzione alla figura che ora emerge dal sentiero che conduce alla radura.

«Gareki, pensavo ti annoiasse partecipare alle discussioni di lavoro», Hirato ironizza ma è visibilmente turbato da quella presenza.

«Qualunque discorso si faccia più intelligente di quelli che fa Yogi va bene. Penso dunque che mi tratterrò un po’ qui. D’altro canto...», sibila ed incrocia lo sguardo tagliente e levantino con quello di ametista del comandante, «Non era aria di discussione di lavoro quella che tirava fino a poco fa».

«No, non lo era decisamente,Gareki», riprende cercando di sorridere Tokitatsu, seguendo con lo sguardo la figura del giovane, che ora avanza con passo sostenuto nel buio, il volto illuminato ora dai fuochi rossi, ora da quelli azzurri, «Ma la mia era una domanda retorica. Anche se sono stato felice di sentire il tuo parere».

«Non era un parere», ribatté severo il corvino, «E’ un dato di fatto. Non esiste Cielo per chi muore in questo mondo. Una volta che qualcuno è scomparso, è scomparso per sempre e non ritornerà mai più».

Tokitatsu ascolta scettico, forse è la prima volta che Hirato lo vede alterato, più turbato e scosso del solito da quelle parole. Nonostante ciò, tace. Non la reputa cosa saggia intervenire per fermare le parole dello spavaldo. Ogni tanto è necessario mettere le persone davanti alla realtà dei fatti.

«Ho perso delle persone care», la voce gli si fa per un istante flebile, sembra soffrire veramente a parlarne ma ancora più forte è la forza e l’impegno che ci mette nel reagire, nel celare in ogni modo ciò che prova veramente, «A causa dei Varugas. Loro non torneranno più. Né ora, né mai. Se tutti i giorni mi soffermassi a pensare a loro, finirei per impazzire, i miei ricordi diventerebbero la mia trappola, la mia tomba. Non mi lascerebbero scampo. Bisogna avere il coraggio di gettarsi tutto alle spalle, prima o poi, e di guardare avanti».

«Gareki ha ragione, Tokitatsu». Hirato si limita solo a dire ciò. Non ritiene necessario intervenire oltremodo e vuole assaporare fino in fondo l’espressione stupita del fratello –quanto raro era per lui essere colto alla sprovvista. Il castano piega le labbra in un sorriso, appoggia una mano sulla spalla del ragazzo e lo ringrazia con un sincero abbraccio. Non l’aveva mai visto così spontaneo.

A distanza di tanti anni, Hirato poteva vagamente ipotizzare che la fonte di quella sua malinconia fosse stata la mancanza della madre. Gareki si sente improvvisamente richiamare da Yogi e, come aveva fatto la sua comparsa, subito se ne va portandosi dietro la sua iattante e tracotante aria, la stessa di chi se ne va in giro come fosse una divinità fattasi uomo.

«E’ stato esaustivo?», domanda d’un tratto Hirato avvicinandosi al fratello.

«Credo di sì» commenta in un flebile sorriso Tokitatsu, «E’ un ragazzo abbastanza maturo, a discapito della sua età».

«A differenza di un certo qualcuno...», si lascia sfuggire il corvino con una punta di ironia.

Tokitatsu si volta distrattamente, inarca curioso un sopracciglio.

«Che cosa hai detto...?»

«Niente»

 

Piega le labbra in un sorriso e spontaneamente lo abbraccia stretto a sé.

«Anche se piangi, ti voglio bene, fratellone»

   
 
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