Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: sleepingwithghosts    17/11/2013    3 recensioni
(...) mi ripetete come, di preciso, riusciremo a scovare Jared, Shannon e Tomo?»
Una malsana idea nata subito dopo aver visto Artifact. Tre amiche che partono alla ricerca dei loro eroi, prendendo un volo last minute per Los Angeles e che finiranno per mangiare tante ciambelle, questo è sicuro. Ma li incontreranno? Ci riusciranno davvero? Che l'avventura abbia inizio.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sento un rumore strano, ma il sonno e l’annebbiamento che esso mi produce in testa, mi impediscono di capire di che cosa si tratta. Inconsciamente decido di ignorarlo, per cui mi rimetto comoda sulla mia parte di letto – sono riuscita a confinare Rain nel divano a suon di minacce – e mi faccio avvolgere di nuovo dal tepore di Morfeo. Per qualche motivo, comunque, il rumore si fa più fastidioso. Sprango la mia mente, impedendole di continuare ad udirlo, ma niente, quel suono mi si insinua fin dentro l’ultima cellula del cervello e lo riscuote incitandomi a svegliarmi una volta per tutte. Quando lo sto per fare, il rumore molesto viene sovrapposto da un «ma che cazzo è?» pronunciato da Frances. Mi volto verso di lei e apro gli occhi lentamente – io e la luce di mattina non siamo mai andate d’accordo.

«Non sapevo nemmeno ci fosse, un telefono, in questo schifo di posto», borbotta alzando la cornetta del telefono che, effettivamente, è sempre stato sul suo comodino. «Pronto?»

«O-okay, grazie», risponde qualche secondo dopo, prima di attaccare e voltarsi verso di me con la faccia corrucciata. «Era una della reception. A quanto pare abbiamo ospiti».

«In che senso?»

«Ha solo detto che qualcuno sarebbe salito nella nostra stanza, e poi ha chiuso».

«Non c’è nessuna possibilità che sia mia mamma, vero?», chiedo ironicamente, ma un po’ allarmata. Nell’istante in cui lo pronuncio, comunque, bussano alla porta. Frances e io ci guardiamo, poi lei si alza e va ad aprirla.

«Shannon?», esclama lei.

«Hi». Perché anche se non l’ho ancora visto i miei ormoni si sono risvegliati dal sonno profondo in cui li avevo costretti a rimanere? Basta la sua voce a farmi andare letteralmente su di giri? Evidentemente sì.

«Che cosa ci fai qua?»

«Se mi fai entrare te lo spiego».

Mi accorgo che sono in pigiama, che non mi sono ancora pettinata né lavata il viso e i denti e che Rain sta ancora dormendo. Mi allungo e le pizzico un braccio, poi acciuffo un elastico per i capelli e faccio una coda.

«Hei», dice Shannon facendo un cenno del capo verso di me. «Vi ho svegliate a quanto pare».

«Perché mi hai pizzicato un braccio, cretina?», abbaia Rain in italiano.

«Shannon», dico soltanto, sperando si accorga che è a pochi passi da lei.

«Cos’ha Shannon?»

«Morning», ridacchia lui.

La testa di Rain scatta verso la voce che l’ha appena salutata, e la sua faccia assume un’espressione indecifrabile. «Che cosa ci fai qua?», annaspa.

«Ve l’ho già detto un po’ mi fate paura? fate le stesse domande. Vivere in simbiosi non vi fa bene, ve lo dico io. Comunque ho portato del caffè», dice alzando dei contenitori che non mi ero accorta avesse in mano.

«Grazie al cielo!» Scatto sul letto, sentendo il richiamo della caffeina, e ne acciuffo uno.

«Grazie Shannon, casomai», dice lui.

«Grazie Shannon per avermi portato questo caffè, non ti risponderò più in modo sarcastico, non ti prenderò più in giro né manderò a fanculo».

«Dovrei crederti?»

«No».

«Lo sapevo», dice lui alzando gli occhi al cielo.

«Cosa diavolo ci fai qui?», chiedo. Infine sono l’unica che non ha ancora posto la domanda.

Shannon guarda l’orologio che tiene al polso e poi ci guarda. «Avete mezz’ora per preparare una valigia con dei vestiti, uno spazzolino da denti e del gel antibatterico che non si sa mai».

«Gel antibatterico? Ma che cosa stai dicendo?», domanda Rain che sembra appena essere uscita dall’oltretomba.

«Andiamo a New York».

«Cosa?», esclamiamo tutte e tre contemporaneamente.

«Ho promesso che vi avrei presentato Jared, e Jared in questo momento è a New York, ergo noi andiamo a New York».

«Stai scherzando», dico spaesata dopo un minuto buono.

«Tick tock, il tempo passa. Avete solo ventotto minuti».

 

Quando atterriamo all’aeroporto di New York, dopo ore e ore di volo in cui non sono riuscita a rilassarmi nemmeno un secondo (beh, forse quando Shannon ha accennato a un massaggio sulle mie spalle stufo delle mie continue lamentele e paranoie dicendomi «stai zitta un attimo» all’altezza e all’aereo sfracellato al suolo non ci ho poi pensato tanto) mi sento sfinita. Allo stesso tempo ho tanta di quella adrenalina in corpo che l’unica cosa che vorrei fare sarebbe urlare fino a che ho fiato in corpo e andare a farmi una corsetta, come a casa faccio spesso quando sono tesa per qualcosa. Sono euforica e sfinita, e le due cose nel mio corpo non vanno mai messe assieme, a meno che non si vogliano ottenere risultati disastrosi.

«Ho bisogno di caffè», dico quando siamo riusciti a recuperare i nostri bagagli.

«Concordo», annuisce Shannon, sorpassando però lo Starbucks.

Inchiodo, e le altre si schiantano su di me. Ignoro i loro insulti. «Perché hai superato questo bellissimo negozio che sprizza caffè da tutti i pori che non ha?»

Shannon guarda Frances e Rain con una faccia sconvolta. «Ma parla sempre così o l’enorme onore ce l’ho solo io?»

«Sempre così, e la conosco da dodici anni», scuote la testa Rain.

«Sono qui davanti a voi, se ve lo foste per caso dimenticati», sbotto. Mi stanno apertamente insultando, e anche se la cosa sicuramente apparirà comica, io sono una persona orgogliosa.

Lui alza gli occhi al cielo. «Conosco un posto migliore. Ti fidi di me? Quante volte ci sei stata in questo posto?» Ricordo improvvisamente l’altra volta in cui sono stata in questo posto: io, Frances e Rain alle calcagna di Jared. Ridacchio. «Stai ridendo da sola?». Ha un sopracciglio alzato e Dio solo sa quanto siano sexy le sue sopracciglia.

«Lasciala perdere. Caffè. Ora», interviene Rain salvandomi da imbarazzo certo.

Il posto in cui ci porta Shannon è un locale molto piccolo, incastrato fra un McDonald affollato e una farmacia. Non c’è tanta gente, solo un’altra coppia di anziani signori vestiti eleganti che si cibano di qualcosa che a questa distanza sembra riso nero con delle verdure, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Ordiniamo tutti un caffè tranne Frances, a cui non piace e che opta per una bibita al cioccolato. Lo so che con i nervi tesi che mi ritrovo non dovrei, ma lo ordino nel formato più grande che hanno, perché voglio rimanere sveglia e vigile per tutta la giornata. Sto per incontrare Jared, non è una cosa che capita tutti i giorni nella vita.

«Decisamente più buono del caffè di Starbucks», convengo.

«Lo so», sorride lui soddisfatto.

«Non per sembrare invadente», si intromette Frances. «Ma dove lo troviamo Jared? Non ci fucilerà all’istante? Infine ha un momento per sé e tu piombi qui con tre fan…».

Shannon alza le spalle. «Che io sappia non ha mai ucciso nessuno».

«Rassicurante», dice Rain in tono ironico. «Che nessuno dica c’è sempre una prima volta, per favore. E con nessuno intendo te, Deborah», aggiunge.

Alzo gli occhi al mio caffè e assumo un’espressione offesa. «Ah-ah, simpatica».

«Lo so», dice lei muovendosi i capelli.

Un telefono comincia a squillare e interrompe il nostro botta e risposta. È quello di Shannon, che lo estrae dalla tasca del giubbotto di jeans che indossa e legge il nome sul display. «È Jared. Fatemi la cortesia di stare zitte per due secondi». Odio quando ci tratta come delle bambine di due anni, ma infine ha l’età di mia madre, su per giù, ed è una rock star. Che cosa ci si può aspettare da lui? «Hi bro». Comincia a parlare in un inglese troppo veloce perché io riesca a capire tutte le sue parole, per cui dopo qualche secondo ci rinuncio, cominciando ad esplorare i vari tipi di zucchero che ci sono nella ciottola in centro al tavolo. Ho sempre collezionato praticamente qualsiasi cosa, dalle cartoline, alle figurine, ai francobolli, e per un periodo anche bustine di zucchero. Quando ne trovo una davvero carina, dimenticandomi dell’avvertimento di Shannon, esclamo ad alta voce un «guardate questa quant’è caaaarina», alludendo alla mela sorridente ritratta, lui mi lancia un’occhiataccia. «Nothing, just wait a second», allontana il cellulare dall’orecchio. «I’m gonna kill you if you don’t shut up now».

«Do it or die, I get it», dico ridacchiando. Non so perché ma non mi mette più in soggezione. Non mi sembra più di avere davanti il batterista per cui ho sbavato per anni, pur avendone coscienza, ma un amico, con cui scherzare liberamente.

Shannon continua a parlare per diversi minuti, e poi riattacca. «Andiamo».

Salita in taxi mi limito a guardare fuori dal finestrino, ammirando la città nella quale ho sempre sognato di andare e perché no, vivere. Il caos, le luci, i concerti, l’albero di Trafalguar Square a Natale, la neve, il Moma, Central Park. Tutte cose che sogno da quando ho quindici anni e che forse avrò l’occasione di vedere, almeno in parte. C’è il sole, e i raggi si riflettono sul vetro dei grattaceli di cui spesso non riesco a vedere la cima. Tutto in questa città è affascinante, niente a che vedere con il posto in cui sono nata, niente a che vedere con le spiagge e i tramonti di Los Angeles.

Mi risveglio dal trance in cui ero caduta quando l’auto gialla si ferma davanti all’entrata di un hotel e quando sento l’autista scusarsi con Shannon per il traffico. Scendiamo e dei fattorini sono subito pronti a raccogliere i nostri bagagli. Sto per entrare in un hotel a cinque stelle, me lo sento.

«È qui che alloggia Jared?», chiedo entrando per la porta che un uomo alto di colore sta tenendo aperta per noi, dandoci il benvenuto. Tutto questo fa molto Gossip Girl e io non sono per niente eccitata, no.

«Così pare».

Quando arriviamo al bancone mi rendo conto che Shannon ha già prenotato due camere, una per noi tre e una singola per lui. Non specifica quante notti alloggeremo, e io mi faccio prendere dall’ansia per una cosa a cui prima non avevo pensato: chi pagherà tutto ciò? L’ansia aumenta quando, dopo trenta piani di ascensore, apriamo la porta della nostra camera e ci accorgiamo che è una suite. «Sto per dormire in una fottuta suite!», esclama Frances cominciando a saltellare in giro per la stanza. Stanza che assomiglia più a un mini appartamento, preciso.

«Io vado a cercare Jared, voi aspettatemi qui, okay? Dormire, mangiate, saltate sui letti e fate tutte quelle cose da diciannovenni ma non lasciate quest’hotel per nessuna ragione al mondo. Non ho voglia di venirvi a raccattare in prigione o che so io».

«Quanto sei pessimista», esclamo.

«Vi ho incontrato mezze nude in spiaggia, senza un soldo. In più vi ho visto ubriache, se vi ricordate», ribatte lui scoccandomi un’occhiataccia.

Gli faccio una linguaccia. «Okay papà». Se ne va alzando gli occhi al cielo.

«Oddio. Ma avete visto questo posto? Favoloso!», dice Francis euforica.

«Ragazze», comincio io. «Non vorrei davvero uccidere la vostra euforia, ma lo sapete che se dobbiamo pagare noi questo posto dobbiamo creare un mutuo o lavare i piatti per l’hotel per il resto della nostra vita, giusto?»

«Merda», dice Rain.

«Già».

«Avevo dato per scontato che pagasse Shannon, ma mi hai fatto venire l’ansia adesso».

«Benvenuta nel club», borbotto.

«Che facciamo quindi?», domanda Francis, le labbra all’ingiù.

Sto per rispondere quando bussano alla porta. Tre colpi secchi. «Cazzo. Quanto male sono presa?»

Gli occhi di entrambe le mie amiche si dilatano. «Porca troia».

Tutte e tre ci precipitiamo in bagno, sgomitando per appartarci un angolino di specchio. «Sono bruttissima», si lamenta Frances.

La guardo: è perfetta come sempre, in realtà. «Sei bionda e respiri. Hai più chance tu di io e Rain messe insieme, con Jared, fidati di me». Le mi tira una gomitata su un fianco e io scoppio a ridere. Sento di nuovo battere sulla porta, impazientemente. «Dobbiamo andare o buttano giù la porta. O peggio, chiamano l’FBI per ritrovarci. Andiamo». Le trascino fuori dal bagno – personalmente non sono mai stata una che perde le ore davanti allo specchio per prepararmi, il mio brutto aspetto rimane lo stesso anche se continuo a fissarlo per minuti – e mi fermo solo quando siamo davanti alla porta.

«Chi apre?», bisbiglio. Non voglio farmi sentire da loro due.

«Non so che cosa hai detto, ma so che sei li dietro Deborah. Apri questa dannata porta».

Come non detto. Impugno la maniglia con la mano che mi trema e spalanco la porta, forse con un po’ troppa forza, dato che, essendo ancorata ad essa con tutte le mie forze a causa dell’ansia, quasi vengo scaraventata addosso al muro dove la faccio sbattere. Arrossisco anche le orecchie probabilmente.

«Forse ho capito», dice Jared. Quasi mi sento morire quando il cervello comincia a girare di nuovo e lo vedo davanti a me, sento la sua voce. Lui continua a scrutarci, una alla volta, con uno sguardo che fa veramente decedere le mie ovaie. Poi si volta verso Shannon. «Andiamo».

E non so che cosa abbia capito, non riesco nemmeno a pensarci in questo momento, ma so che vado.

 

 

 

Non mi convince molto questo capitolo, sapete? Comunque enjoy it. Ah, a proposito: qualche frase l’ho lasciata scritta in inglese perché rendeva meglio. Sono sicura che tutti capirete, anche quelli che non capiscono un’acca di lingue straniere. Deb.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: sleepingwithghosts