Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: crimsontriforce    28/04/2008    5 recensioni
Tre motivi per non volere che un uomo cada ai propri piedi – oltre la finestra, il nulla – di talismani d'amore e altri cambi di proprietà – in tempi bui, cadono e sorgono gli eroi – accettando la normalità sconosciuta
(breve storia di due opposti e un'amicizia ritrovata)
(che di fantasy ha l'ambientazione, il resto mica troppo, ma tant'è)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Germogli della città chiusa'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La mia origgginal partecipante al concorso Brainstorming di Criticoni, concorso che si chiama così perché ti frigge il cervello peggio di un fulmine sulla zuc...no XD Si basa su sette prompt (due canzoni, due immagini, due citazioni, un jolly) da unire in un racconto che abbia un capo e una coda XD Note sull'uso dei prompt sono in fondo alla pagina. Grazie agli organizzatori e in bocca al lupo ai millemila colleghi! B)

Qualcuno potrebbe ricordare un certo Sert dalla mia altra original, La porta chiusa, che al momento non è online. Sì, è sempre lui. O, meglio, ni: entrambe le storie sono prese da un mio insieme di personaggi e avvenimenti molto precisi con cui mi diletto da anni. Nei rari casi in cui scrivo original mi piace pescare da lì, ma ovviamente (non voglio scrivermi fanfiction da sola! XD) taglio, cucio, aggiungo, semplifico e riadatto pesantemente all'occasione. Resto comunque poco avvezza a misurarmi con questo tipo di scrittura: vogliate perdonarmi eventuali punti poco chiari.

Pubblico sotto "Fantasy" per disperazione (e per il discorso di Pratchett sulla cacca di cavallo, se qualcuno l'ha presente...): nella mia testa sarebbe una fantasintrospettivdrammaticommedia ergo Generale, ma boh. In attesa che su EFP compaia la categoria fantasintrospettivdrammaticommedia, opto per Fantasy.









In due dimensioni



(Tre motivi per non volere che un uomo cada ai propri piedi – oltre la finestra, il nulla – di talismani d'amore e altri cambi di proprietà – in tempi bui, cadono e sorgono gli eroi – accettando la normalità sconosciuta)




La veggente salutò l'ultimo cliente della giornata con un sorriso d'occasione che ne mascherava un altro, più personale e soddisfatto. Da quando aveva iniziato ad esercitare la professione l'oro non mancava e, con sempliciotti che tornavano a consultarla per ogni evenienza, aveva un futuro assicurato. Si sistemò il corpetto viola – ricco, d'effetto, dannatamente scomodo.

Tornò a sedersi al piccolo tavolo su cui eseguiva le predizioni, seguendo il pigro impulso di chiedere qualcosa sul suo stesso futuro. Giocherellando col massiccio ciondolo di ametista, sui cui lati erano incisi simboli appartenenti a cinque diverse scuole ermetiche, si concesse un attimo per scegliere il tramite materiale della sua arte: osservò sconsolata il pendolo, si specchiò nella sfera di cristallo, sistemando una ciocca di capelli fuori posto. Le sembrava ancora, a tratti, di sentire la voce del suo maestro metterla in guardia da un uso improprio del potere. Un uso improprio, si rispondeva, era quello che ti faceva finire ammazzata in un fosso. O, volendo, quello che il possessore di detto potere – e nessun altro – definisce tale.

Decise per le carte.

Tagliato il mazzo con la mano sinistra, dispose sei carte a stella di fronte a sé, l'ultima rovesciata.


Stasera; un invito a un'occasione piacevole; riunione o festa.


Scoprì le carte. Gemma in alto, Cavaliere a sinistra: come previsto. Nel girare la Conchiglia, in basso a destra, fece una smorfia. Non avrebbero mai imparato. Passò velocemente in rassegna il mazzo finché non trovò la Stella e la sostituì alla carta incriminata. Stessa sorte toccò alla Torre, scambiata con la Via; il Fiore e l'Incontro invece sembravano soddisfarla.

Mentre la donna stava ammirando estasiata la corrispondenza, ora perfetta, fra le carte e la predizione, sentì bussare alla porta.

A quest'ora?, si chiese, reclinando la testa da un lato. Complessi orecchini sottolinearono la sua perplessità col massimo clangore di cui, nel loro piccolo, erano capaci.


Cliente o invito alla mia occasione piacevole?


Invito.


Compiaciuta, si avviò alla porta.


Quando la ebbe aperta, per poco non la sbatté in faccia al visitatore.


“Torna quando sarai diventato un'occasione piacevole”, sibilò, sforzandosi per chiuderla con la grazia che si addiceva a una dama del suo rango.

“Verena”, la richiamò lui.

“Non aggiungere alle tue colpe quella di farmi sbagliare la prima previsione dell'anno, Sert. Era una bella giornata. Falla tornare tale e lascia l'uscio libero per la mia occasione piacevole, sarà qui a momenti.”


Silenzio.


Verena scosse la chioma rossa, iniziando a mormorare una malia che avrebbe chiuso la sua mente alle influenze esterne. Smise quando si rese conto dell'inutilità di tentare tali dilettantesche difese contro chi aveva passato più tempo nelle teste degli altri che nella propria, ma restò in guardia contro simili incursioni, aiutandosi con l'ingegno e la magia. Non voleva sfidarlo sul suo terreno, per quanto fosse possibile.

Da quando aveva rifiutato di seguirlo alla fine del suo apprendistato, c'era una sola cosa che univa lei e quel folle del suo maestro: la consapevolezza del suo innato talento come incantatrice. Se Sert era tornato lì, in quel modo e a quell'ora del giorno, certo aveva intenzione di fare di lei l'ennesima pedina dell'ennesima scellerata impresa che avrebbe annoverato nella vaga categoria di “salvataggi del mondo”. Ma Verena aveva da tempo stabilito che la sua vita sarebbe stata quella di una ricca, nubile gentildonna e si guardava bene dall'immischiarsi nuovamente nell'avventura: lasciava con tutto il cuore quelle cose sporche, faticose e piene di rischi a chi ci credeva davvero.


“Ascoltami, almeno.”

“No”, rispose con un sospiro, ma aprì comunque la porta.

Sert era rimasto immobile e sembrava trovare il pavimento più interessante della sua ospite. Nel confrontarlo con lo strano uomo che aveva forgiato il suo passato, permettendole di scoprire il potere che era diventato il fondamento stesso della sua esistenza, Verena rimase sorpresa.

Era rimasto, com'era lecito aspettarsi, magro e minuto come lo ricordava, anche sotto i pesanti abiti da viaggio. Anche il viso, pallido e dai tratti quasi infantili, era inconfondibilmente il suo, ma i capelli biondi incorniciavano uno sguardo diverso rispetto al passato. Più presente, avrebbe detto. Notò anche una piccola spada, dettaglio sorprendente in chi aveva sempre contato su altri per difendere la sua preziosissima persona. Qualcos'altro mancava, ma Verena non avrebbe saputo definirlo con precisione.

La mia occasione piacevole?, sbuffò fra sé e sé.

“Dunque?”, chiese invece ad alta voce.

“Ho bisogno di un letto per la notte e ho pensato di rivolgermi ad una vecchia amica”, spiegò lui.

“Tutto qui?”, domandò nuovamente, incredula.

“Nient'altro. Sorpresa?”, le chiese di rimando, con il primo guizzo di emozione che gli avesse visto esprimere quella sera.


Rilassò muscoli che non si era accorta di aver teso. Se era solo di passaggio, solo per una notte... forse potevano tornare ad essere quelli di un tempo. Dubitava di riuscire a resistere altri due anni senza saltargli alla gola, ma per una notte poteva riuscire a contenersi. Forse.


“Sert?”

Non le rispose, limitandosi a superarla in silenzio.

“Sert, sei solo.”

Appoggiò la sua sacca in un angolo, chinandosi a controllare che tutto fosse al suo posto.

“Sert, dannazione, era una domanda”, lo richiamò Verena incrociando le braccia. “Sei diventato così supponente, in questi anni, da andartene in giro senza nessuno che protegga la tua insostituibile vita? Sei così certo di riuscire a plasmare le menti di chi ti sta intorno al punto da garantire la tua sicurezza?”, chiese con una punta di stizza. Quando faceva così la disgustava. Cambiato, sì, ma in peggio... Lo raggiunse e lo prese per il bavero, costringendolo a guardarla negli occhi.

Ancora non le rispose, ma dal suo sguardo ebbe l'impressione che stesse cercando di dirle qualcosa che non poteva comunicare a parole. Nemmeno con l'immediatezza di un pensiero condiviso però, com'era solito fare, perché non sentiva smuoversi potere magico di alcun tipo.

Quando provò a sua volta a saggiare la mente dell'altro, che ricordava con chiarezza in ogni guizzo e meraviglia, trovò solo uno spaventoso vuoto. Non un'oncia di magia, non una parola di potere. Se n'era andato tutto. Tanto che Sert dovette scorgere e comprendere la sua espressione inorridita per accorgersi infine dei suoi tentativi.


“Alla fine ho sbagliato... e sono tutti morti”, sussurrò divincolandosi dalla presa.

“È finito.”

Crollò sulla più vicina sedia, come se quella rivelazione fosse l'unica cosa che l'aveva tenuto in piedi fino ad allora.

Verena si avvicinò, perplessa.

In mancanza di meglio, gli poggiò una mano sulla spalla.

Parte di lei voleva aiutare (compatire? Sentire finalmente al suo livello? Forse l'ultima) quell'uomo, da cui si era staccata perché disgustata dalle sue ambizioni di altruistica perfezione e che aveva sempre sperato di veder cambiare, ma non era così sorda da non aver sentito che il dolore vero era venuto con la seconda frase, non la prima. Si sentiva più affine – non da ultimo perché anche lei aveva rischiato di farne parte – alle persone senza volto morte per qualunque errore avesse segnato la sua fine. E davvero non le interessava sapere quale fosse stato né che orrenda minaccia incombesse ora sul regno, solo...


“Davvero non sei venuto a cercarmi come sostituto dei tuoi poteri? Puoi giurarlo?”, chiese un'ultima volta.

“Verena, credimi. Sono qui in veste di amico, non me n'è rimasta altra”, pronunciò con enorme fatica, poi cedette al sonno buio e senza sogni di chi ha passato troppo tempo in quelli degli altri per ricordarsi come sono fatti i suoi.


Quelle carte mi devono delle scuse.



***


L'indomani mattina, Verena stava osservando le scale con crescente preoccupazione. La colazione era apparecchiata per due, ma l'altra metà dei commensali non era ancora scesa dalla camera in cui era riuscita a farla dormire la sera prima, per pura pietà nei confronti della sedia.

Decise di salire.


Lo trovò alla finestra, appoggiato al muro con tutto il suo peso. Il letto era ancora sfatto.


“Cos'hai?”, chiese.

“Nulla.”

“Allora scendi per colazione.”
“Nel senso che non ho nulla, Verena.”

“Allora scendi per colazione, almeno avrai una pancia piena. È un inizio, sai.”


La ignorò per qualche secondo, tornando a concentrarsi sullo scorcio di vita cittadina che la strada gli mostrava.

“Guarda fuori”, le disse. “Cosa vedi?”

“La mia città. Il fornaio, una guardia...”

“Cosa sai di loro?”

“Non sono la pettegola che credi”, si difese scherzosamente.

Il tentativo di sdrammatizzare si perse in un silenzio imbarazzato.

“Va bene”, riprese lei, “hai vinto tu. Il fornaio ha tre figli, la guardia si è appena trasferita qui e...”

“Cosa sai di loro?”

“Nulla”, rispose, intuendo dove sarebbe finito il discorso e a corto di mezzi per sviarlo.

“Neanch'io.”

“È normale.”

“Non per me. Non posso più sentirli, comprenderli, guidarli. Sono confinato nell'inutilità del mio corpo. Non ho niente, amica mia, non ho più niente...”

“Devi solo capire una cosa, Sert, e tutto il resto ti verrà spontaneo, come è per tutti noi poveri mortali che siamo nati così”, gli rispose alzando un sopracciglio.

“Cioè?”

“Rassegnati: non sei indispensabile.”


Sfogò la sua rabbia tirando un pugno contro il vetro con tutte le forze che aveva. Impreciso, debole o indebolito: di fatto non lo ruppe, restando ad osservare stranito la sua mano arrossarsi contro la finestra intatta.


“Non sei neanche in grado di fare un'uscita drammatica come si deve, sei senza speranza”, lo canzonò, mantenendo un sorriso beffardo stampato in volto. Eppure cercò la sua schiena con la mano, sfiorandola dapprima, poi massaggiandogli le spalle ancora dolenti per un peso che non portavano più, e lo sentì rilassarsi al suo tocco.

“Bene. Ora scendi per colazione o ti ci mando a calci?”, intimò trasformando la carezza in un pizzicotto.


“Il fato ti ha giocato un brutto scherzo, forse il peggiore”, sussurrò seguendolo giù per le scale, lasciando al caso e all'udito del destinatario la sorte delle sue parole. Non era certissima di voler essere ascoltata. “Ma ogni tuo gesto dice che sarebbe stato meglio se fossi morto anche tu quel giorno... e questo non ho intenzione di accettarlo. Sappilo.”

“Grazie”, rispose lui a voce ancora più bassa.


Fuori dalla piccola finestra, il mondo continuava ostinatamente a ragionare, scegliere e vivere lasciandolo all'oscuro di tutto.



***


“Ti ho vista, Verena.”

“Visto che mi stai parlando, non fatico a crederti. Ora che dall'alto delle tue capacità mi hai confermato che non sono un fantasma, che vuoi?”

Era stato un lungo pomeriggio e aveva appena salutato l'ultimo cliente che l'avrebbe tormentata per quel giorno. Per quanto atteggiarsi a ciarlatana di paese, con tutti gli splendidi ammennicoli che la professione comportava, la divertisse nel profondo e non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo, mantenere credibili le apparenze e allo stesso tempo concentrarsi sul vero uso della profezia era stancante.

“Sei una truffatrice e vorrei che tu smettessi. Anche se già lo sai”, aggiunse con una nota di stanchezza nella voce.

“Non mi risulta di averlo ingannato. Voleva buona sorte in amore e quella avrà... per del tempo.”

“Gli hai venduto un amuleto.”

“Perfettamente funzionante, sì”, rispose lei guardandosi le unghie.

“L'amuleto, no. L'incanto che hai lanciato su di lui, sì. Avrò perso la capacità di percepirlo, ma le orecchie e la conoscenza mi sono rimaste.”

“Lui però è più contento così, io pure. Sai quanto ci ho messo a intagliare quegli amuleti? Tutte le lunghe sere invernali in cui nessuno osava uscire di casa per venire a trovarmi... sono piccole opere d'arte.”

“Potresti venderli come tali, invece di mercificare così la tua magia.”

“Avresti meno da recriminare se 'mercificassi così' il mio corpo, scommetto.”

“Scommetteresti bene”, la rimbeccò Sert. “Il tuo corpo è affar tuo, lungi da me metter bocca in quel che intendi farne.”

“Parole grosse, dal peggior moralista che io abbia mai conosciuto.” Verena sospirò e si avvicinò per fronteggiarlo, forte di anni di esperienza in più dall'ultima volta in cui avevano avuto una discussione simile.

“Falsa e tendenziosa. Sei la prima a dire che nemmeno un sasso seguirebbe quella che io chiamo morale.”

“Ficcanaso ti risulta appellativo più gradito? Qualcosa devo pur dirti.”

“Forse”, ammise lui, che nemmeno con la più elaborata delle bugie sarebbe riuscito a scrollarsi di dosso quella meritata etichetta. “Ma il tuo corpo resta affar tuo.”

“E non sai cosa ti perdi”, rispose con sufficienza. “Mentre il mio potere non sarebbe affar mio?”

“No.”

“Dobbiamo ricominciare?”
“Se almeno servisse a qualcosa... Hai capacità fuori dal comune ed è un dato di fatto. Quello che ti ostini a non – non voler – capire è che il tuo non-uso di queste capacità influenza il prossimo esattamente quanto lo farebbe l'uso.”

“Ed esattamente quanto un uso sbagliato, seguendo il tuo ragionamento. E le possibilità di errare sono nel minimo quante quelle di essere nel giusto. Quindi così facendo non metto a rischio nessuno e continuo ad aver ragione io. Ricordami che mi devi da bere per averti seguito in questi ragionamenti odiosi di cui solo tu saresti capace.”

“Ma il tuo uso non sarebbe sbagliato”, sottolineò Sert con un gesto della mano.

“Perché sotto la tua saggia guida, ovviamente”, lo mimò Verena.

“Non mi arrogo questo diritto a priori. Ma siamo i più simili... potrei almeno evitarti i miei errori.”

“Ti avverto, Sert: abbiamo già avuto questa discussione e la mia pazienza ha un limite.”

“Anche la mia, Verena, anche la mia.” Si sedette: intimidatorio non gli riusciva di essere, per costituzione nel minimo, e tanto valeva stare comodo. Cercò parole adatte, ma dovette limitarsi a seconde scelte. “Sei reclusa qui senza uno scopo, senza un orizzonte. Passi i tuoi giorni nel nulla. Cosa ne ottieni?”

La maga gli si avvicinò e si appoggiò alla schiena di lui, lasciando che i suoi capelli rossi ricadessero su entrambi.

“Sono felice”, gli rivelò.

“Non basta.”

“Forse perché tu non lo sei mai stato.” Si risollevò.

“Non è quello che ho ricercato. Ambivo ad altro.”

“E guarda come sei finito, tesoro dolce. Io mi diverto; chi mi è vicino è contento di quello che posso dargli ogni giorno. Con quel poco, la città fiorisce. Quello che succede al di fuori è oltre i confini della mia vita.”

“È un ragionare piccolo”, ribatté debolmente, sapendosi già sconfitto. Eppure non rinnegava gli ideali che l'avevano sempre accompagnato, per duri che potessero sembrare.

“Il mio ragionare sarà piccolo come dici. In fondo, sono una semplice ragazza di città. Ma ha funzionato. Il tuo no. E, a parte tutto, quanto pensavi di durare? Non sei un ingranaggio, sei una persona. Concentrazione limitata, risorse limitate. Prima o poi avresti sbagliato...”

Sert scacciò la possibilità con un cenno, al limite della sopportazione.

“...magari anche peggio di come è avvenuto. Quello che è successo può essere un vantaggio. Già nel discorso di oggi ho sentito i semi di quello che combattevi, e se tu lo fossi diventato del tutto? Che limiti avresti posto al tuo stesso controllo? Raccontamelo, perché non l'ho mai capito”, chiese con aria di sfida.

Se questa era la comprensione cui poteva ambire, bene, “Saresti stata meglio nell'ignoranza in cui ti ho trovata”, rispose a denti stretti. La sentì fermare di colpo.

“Io non sono tua nemica, checché tu ne pensi”, disse lentamente. “Non voglio urlare né prenderti a male parole.”

Con improvvisa dolcezza lo prese sottobraccio, accompagnandolo nella fresca aria serale.

“Tu stai male, Sert. Penso di poterlo capire.”

La guardò, senza riuscire a vedere il motivo di una tale confidenza proprio in quel momento e con quei precedenti.

“Ma non osare sfogarlo di nuovo su di me.”


Quando si vide sbattere la porta in faccia senza possibilità di appello, la parola “umiltà” si tinse ai suoi occhi di tutt'altri colori. Forse per cena l'avrebbe fatto rientrare.



***


“Sai, Sert, non è male parlare con te, quando si ha l'impressione di relazionarsi a un essere umano.”


Chiuse gli occhi, attendendo la fine del periodo come una punizione immeritata.


“...e non a una piccola comunità, com'era il caso fino a pochi giorni addietro”, concluse con un sospiro, mentre il tè le riscaldava le mani intirizzite da una fredda giornata primaverile. “Mi piace quando rispondi a tono e mi piace quando mi segui a lungo con lo sguardo e, sì, mi piace anche che tu sia sempre disposto a lavare i piatti. Ci sono tante cose che mi piacciono di te. E, se alcune già le conoscevo, altre sono senza dubbio miglioramenti di questa nuova versione.”

“Risparmiati”, rispose Sert fra i denti, ma per la prima volta sorrideva, barricato dietro la sua tazza.

“Sono serissima”, rispose a sua volta Verena con una scrollata di spalle. “Io ora sto parlando con te e tu stai grugnendo in risposta a me e a nessun altro. So di avere la tua completa attenzione, è incredibile. Non stai sbraitando ordini a miglia di distanza né conversando con demoni e defunti. Se posso azzardare un'ipotesi, è meglio anche per te.”

“Ne dubito.”
“E io dubito che tu ne dubiti, nella piccolissima parte del tuo intimo che non è piccata dallo scoprirsi nuovamente nel torto. Dai, raccontati la verità: si sta meglio così.”

“No. Non posso accettarlo.”

“Eppure... fai vedere.”

Gli strattonò la mano, tenendola aperta a forza e seguendone le linee con un dito.

“Vedo, vedo serenità, per la prima volta in tanti anni. Ne hai paura e non la vuoi perché te ne fai una colpa, ma c'è, impossibile sbagliarsi. Un peso che scompare. Dolcezza, accettazione. Riscoperta di sé.”
“Verena...”

“Una vita lunga e tranquilla, parallela a...”

“Verena! La mano non si legge così, almeno fingi decentemente, suvvia. E poi sai che non è per me.”

“Ma per il mondo, lo so. Il Mondo! Sembra quasi che tu lo conosca di persona, da come ne parli. Inviti anche lui a prendere un tè, la prossima volta?”

“Lo conosco di persona meglio di quanto tu non creda”, disse abbassando gli occhi. “Vorrei potertelo ancora mostrare.”

“Forse invece è una fragile damigella?”, riprese lei senza troppo prestargli attenzione. “Almeno a giudicare dal numero di volte in cui dev'essere salvato. Eppure guarda me: sarei ben in grado di salvarmi da sola, se se ne presentasse occasione. Non ti viene in mente che forse, dico forse, lo stesso possa valere per questa tua principessa in pericolo?”

“Paragone grazioso, ma non regge. Mi sei stata vicina per due anni, come puoi non capire?”

Sert ritrasse la mano. Verena la lasciò andare a malincuore: aveva continuato a tracciare simboli con l'unghia sul suo palmo, nella vaga speranza di fargli il solletico.

“Non sto dicendo che tu sia stato inutile o perfino dannoso, per quello che hai fatto finora. Se l'avessi pensato, in tutto questo tempo, ti avrei ostacolato invece di lasciarti in pace. Forse. Se ne avessi avuto voglia. Ma visto che ora non puoi più fare nulla devi capire che non è la fine del mondo. Che non porterà alla fine del mondo, che è abbastanza grande da essere andato avanti per millenni senza di te e altrettanti ne passerà da ora in poi.”

“I nostri avi non vivevano in tempi così bui.”

“E in tempi bui sorgono gli eroi, o così dicono. Altri prenderanno il tuo posto.”

“Non avranno nessuno a guidarli”, mormorò.

“Sottovaluti il prossimo, è sempre stato uno dei tuoi molti, insopportabili difetti. Si guideranno da soli. Impara a vivere la tua vita, per una volta.”

“Non...”

“O almeno lasciami vivere la mia”, disse volgendo lo sguardo al cielo. “Era iniziata come una conversazione simpatica. Ora, se non ti dispiace...”

Chiuse gli occhi e si concentrò. L'incantesimo che aveva accuratamente scritto sulla mano di Sert si attivò, facendolo crollare addormentato in pochi istanti.

“Ci vorrà ancora un po' prima di poter parlare d'altro, suppongo”, disse rivolta al corpo riverso sul tavolo, scompigliandogli i capelli con affetto. “Ma ci stiamo avvicinando.”

Verena gli sollevò un braccio e, così guidandolo, si versò il tè rimasto.

“Nel mentre, mi dovevi da bere. Avevo in mente qualcosa di più forte, ma per stavolta mi accontento. Alla tua salute”, concluse, con un solitario brindisi.



***


“Grion è morto”, disse un mattino a colazione.

“Chi?”

“Grion”, rispose seccato, ancora poco abituato a dover dare chiarimenti.

“Uno della tua scorta?”

“Non 'uno'. 'Il'.” Stette in silenzio per un po', studiando mestamente una fetta di pane. Poi osservò la sua mano come se potesse contenere la soluzione a tutte le sue pene.

Dapprima Verena aveva temuto che dietro a quella nuova consapevolezza potesse nascondersi quella che, secondo qualunque altro metro di misura, sarebbe stata una ripresa. Secondo il suo, però, un Sert che potesse tornare a sentire la morte di un uomo a miglia di distanza era tutt'altro: la negazione di quello che in quei pochi giorni si era costruito in quella casa, un'amicizia rinata, rinsaldata, la cui importanza arrivava quasi a spaventarla. Cercò nel suo sguardo una soluzione più semplice, la trovò e ne chiese conferma.

“L'hai accettata”, azzardò.

“Non posso più farci nulla”, annuì Sert.

“Non avresti mai...” Si fermò, temendo di ingannarsi. Ripassò mentalmente quello che conosceva del vecchio Sert, che pure viveva dei suoi poteri e continuava a saggiarne i limiti. “Non l'avresti mai fatto, neanche prima. Hai un granello di coscienza da qualche parte in quel cuore al contrario, voglio credere che non avresti mai desecrato i cancelli della morte”, disse, poggiando i gomiti sul tavolo e senza smettere di guardarlo.

“Certo, non l'avrei mai fatto”, rispose.

“E allora?”

“Non l'avrei fatto per mia scelta. Grion, di tutti, avrebbe capito.”

“Sei tutto matto.”
“Lo so. Sono venuto qui apposta per sentirmelo dire, Verena.” Si sbilanciò sulla sedia, appoggiando la testa sulla spalla di lei. Lo lasciò fare, stupita, mentre tornava a sentire il suo profumo. Che continuava a non essere una sensazione sgradevole.


“Non so cosa tu pensi di me e dei miei motivi”, riprese, “ma ho passato una giornata a piangere su quel campo di battaglia. Piangere, capisci? Nient'altro. Non era la prima volta che perdevo dei compagni, anche se...” Si fermò. “Niente. Ma è la prima volta che le loro morti sono invano.”

“Smettila”, lo interruppe come avrebbe fatto con un bambino piccolo, accarezzandogli i capelli.

“No, Verena... no. Ho sempre portato il peso di coloro che sono morti per causa mia. L'ho sempre sopportato perché erano state scelte necessarie, anzi era una spinta per andare avanti, un obbligo verso la loro memoria anche quando le mie forze sembravano non bastare. Sono stati tanti e so che mi odi per questo, ma senza quegli errori non saremmo qui a discutere ora. Non era per “me” né per “la mia causa”, ma... Per tutti voi che restavate a dormire sonni tranquilli, anche se non vuoi accettarlo, era necessario che qualcuno si prendesse il peso di...”

“Non voglio odiarti, non ora. Cambia discorso.”

“Come preferisci”, acconsentì placidamente.

“Hai detto di essere venuto apposta per farti insultare, ad esempio.”

Lo sentì ridacchiare piano sotto le sue dita.

“No, sono venuto qui per ritrovare la mia vita.”

“Non capisco.”

“Sapevo che non l'avresti capito. Siamo troppo diversi perché tu possa riuscirci senza che prima litighiamo per mezz'ora.”


Sert si alzò, accarezzando a sua volta la mano di Verena, e con un sospiro si allontanò dal tavolo.

“I miei piedi mi hanno portato qui. All'inizio non sapevo neanche dove stavo andando. Era tutto uguale... tutto finito.”

“Ma sei ancora vivo.”

“Vivo e inutile, in un mondo piatto. Puoi immaginare cosa sia stato rientrare in città e trovare in ogni persona un estraneo? Non conosco i loro pensieri. Non capisco cosa vogliano da me. So di non poterlo dare loro, ad ogni modo, perché non so più fare nulla. Se le loro parole nascondono doppiezza, non ho modo di difendermene.”

“Ora esageri. Stupido non sei mai stato.”

Si fermò a pensare a una risposta adatta. Sentiva la gola secca.

“Ma non abituato a pensare nel modo cui voi tutti siete forzati. Avevo bisogno – ne ho tuttora – di un porto sicuro.”

“Così sei venuto da me? Detta così sembra quasi un complimento”, disse Verena con un sorriso compiaciuto. “Però! Se avessi saputo che bastava la fine del mondo per farti diventare una persona sopportabile, diciamo anche piacevole, mi sarei organizzata prima.” Si massaggiò il collo, su cui poteva ancora sentire il calore di lui.


Sert, al contrario, aveva solo voglia di chiudersi in camera e restare in silenzio per un giorno intero. Le parole lo stavano disgustando. Affidarcisi per pochi giorni soltanto l'aveva sfiancato e non sapeva quanto altro avrebbe retto. Non poteva però sottrarsi a spiegazioni che doveva e voleva dare.

“Verena, sei l'unica che mi conosce davvero. L'unica che io conosca, che possa chiamare amica. Posso quasi anticipare le tue battute... mi fai sentire bene, in un certo senso.”

“Lieta di vedere che tu te ne sia accorto, dopo solo cinque anni o poco più.” E anch'io, aggiunse fra sé e sé. Ma era lui a dover cambiare, quindi posso tenermelo per me.


“Fuori il mondo va al contrario, ma in questa casa, quando sono con te, posso illudermi che niente sia cambiato...”

Avrebbe voluto dirle molto altro, non aveva però più parole per farlo, né fiato, né forza. Aveva solo l'immagine, nitida com'era abituato a crearle, di una casa circondata dall'assurdo, che la assediava senza tregua e cui tuttavia resisteva. Una casa che era un'abitazione qualsiasi, la loro casa ma anche e soprattutto “Casa”, un concetto che troppo a lungo si era negato. Cosa poteva dire una frase di tutto quello e degli altri meandri di significati che si annidavano fra i mattoni, sotto ogni tegola?

Tacque scuotendo la testa. Nella più remota e migliore delle ipotesi, Verena avrebbe capito.

Nella realtà, arrivò solo a intuirne i sommi capi e si avvicinò a lui, offrendogli la mano nella speranza di tirarlo fuori dal momento buio che stava vivendo. Nell'assenza di parole le sembrava di aver finalmente toccato un fondo di onestà nel maestro e ritrovato amico, un riverbero della forza che l'aveva per prima avvicinata a lui, anni addietro. I battibecchi dei giorni passati sarebbero sfumati, col tempo, dimenticate le parole più cattive. Quel momento no.


Sert accettò quella mano tesa in silenzio, stringendola e cercando oltre un abbraccio a lungo negato. Vi si abbandonò con tutta la gratitudine e l'onestà di cui era capace. I tintinnanti gioielli di lei ruppero per poco la perfezione raggiunta, ma presto si quietarono lasciando spazio solo al rumore tenue dei loro respiri.


Con la mente finalmente, spaventosamente sgombra, il suo sguardo era fisso su un insignificante fregio della parete, quello che avrebbe a lungo ricordato come l'immagine che aveva segnato l'inizio della sua nuova vita.

Era piuttosto semplice e suoi colori sbiaditi mostravano il passaggio degli anni. Era soprattutto piatto, come da allora avrebbe visto ogni frammento del mondo, persa per sempre la splendida profondità che era stata sua e sua soltanto.

Ma era un fiore.













--------

Prompt:

il biglietto coi palloncini può essere l'invito a una festa, quindi in senso più generico a un'occasione piacevole: la profezia iniziale.

La tappezzeria (o pezzo di carta da regalo elevato a tale... che era in origine?) è l'immagine finale. Passata da tappezzeria a fregio perché mi sapeva di anacronistico, a naso. “Disegno su un muro” generico, toh.

Il bonus, la casa con lo sfondo a colori invertiti, è la forte sensazione di Sert che esterna nell'ultima parte.


L'amicizia erotica è boh. È stata la frase che mi ha dato il concept, ma i miei scritti sono erotici come un paracarro, quindi l'avrò cannata in pieno. Se si riesce a sentire la tensione di fondo che ho cercato di costruire (principalmente da parte di Verena), more power to me. Altrimenti non ho usato un prompt e non muore nessuno XD

La continua lezione di umiltà sono le tre parti mediane, oltre alla condizione generale di Sert che da potere-ombra dietro a mezzo mondo si trova ad essere un uomo qualunque.


What took you so long è, abbastanza in dettaglio, il punto di vista di Verena; riferimenti più espliciti alla canzone sono sparpagliati fra la terza parte e alcuni dialoghi dell'ultima. I personaggi coinvolti ci tengono a far sapere che il verso “I believe in honesty and then be strong and true” li ha spaccati entrambi dalle risate.

Enjoy the Silence è l'abbraccio finale con annessi emo; parti di strofe emergono lì in zona.




   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: crimsontriforce