Film > Pirati dei caraibi
Segui la storia  |       
Autore: Fanny Jumping Sparrow    18/11/2013    6 recensioni
Tutti quanti conosciamo l’eccentrico ed affascinante Capitan Jack Sparrow, ma poco o nulla sappiamo delle sue origini.
Chi erano i suoi genitori? Come si sono conosciuti? Quanto hanno inciso i loro caratteri e la loro storia d’amore sul famigerato pirata che ha conquistato i nostri cuori?
Con questa breve long-fic proverò a dare risposta a questi spinosi ed enigmatici interrogativi, usando molta fantasia, qualche dato certo e parecchie speculazioni personali.
Buona permanenza a chi vorrà imbarcarsi!
La terra arsa poteva conciliarsi con l’intemperanza del mare?
Poteva trattarsi di un sofferto addio, oppure del nodo definitivo di un cappio di fuoco che non si sarebbe spento nemmeno con la forza di mille maree future.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Capitan Edward Teague, Jack Sparrow
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve ciurma!)
Rieccomi a proporvi il nuovo capitolo di questa long i cui tempi di aggiornamento, a discapito della mia volontà, sono oramai diventati molto dilatati.
Considero questo capitolo uno dei più importanti, dato che ho provato a dare la mia versione della nascita del nostro eroe. Spero di non aver reso gli eventi troppo affrettati e di riuscire a divertirvi, con i momenti di umorismo che non ho potuto fare a meno di inserire.
Ringrazio i Rolling Stones che mi hanno ispirata il titolo con la loro "Jumping Jack Flash" (per chi non la conoscesse vada ad ascoltarla e a leggersi il testo: è praticamente la storia di Jack Sparrow!XD) e tutte le pagine web dedicate al meraviglioso Keith Richards che mi ha dato tanti spunti per creare la figura di Capitan Teague.
Grazie anche a tutti coloro che leggono, seguono, preferiscono, mettono "mi piace" e mi fanno avere il loro parere.

Buona lettura, al prossimo approdo!)
Ps: a fondo pagina troverete alcuni chiarimenti.




IV – CROSSFIRE HURRICANE



Dall’oblò si infiltrava una brezza umida e densa che sapeva di vivificante rinascita e minacciava devastazione.
L’estate si era appena conclusa, e il giorno addietro era stato uno dei più soleggiati e torridi dell’intera stagione, uno di quei giorni in cui la limpidezza del sereno appariva quasi accecante. Impensabile che il tempo sarebbe deteriorato con tale rapidità.
Le paratie riverberarono con un lamento sordo e lugubre all’infrangersi dell’ennesimo rombo di tuono, lame di luce rompevano l’etere in tumulto. Un concerto di rivoli e brontolii aveva iniziato a sferzare copiosamente la vetusta e solida chiglia della Dama di Nebbia.
Rimase in un silenzio indifeso e sbigottito, ascoltando il crepitio continuo delle gocce che fendevano lo scafo putrescente di viaggi e incalcolabili scontri a fuoco.
Quell’ammasso di corde, catrame e legno aveva affrontato già molte burrasche, non c’era ragione di temere la fresca pioggia battente che incombeva dalla sera precedente, sbalestrando la nave in un sommovimento crescente.
Solo che da qualche minuto ne avvertiva uno simile anche nel suo grembo.
Era stata destata definitivamente da una fitta tremenda sotto l’ombelico, straziante e subitanea, che l’aveva attanagliata nel dubbio e nell’inquietudine.
Le arrecava una viscerale impressione sapersi custode di quella creatura che avevano plasmato nel loro disperato e dissennato rimescolarsi di pene e desideri, e che ormai sentiva scalpitare con prepotenza dentro di lei.
Aveva faticato ad accettarlo, si era sbagliata a pensare di essere pronta e volenterosa di accudirlo; non sapeva badare neppure a se stessa, forse. Non lo aveva desiderato per niente, ma adesso fremeva dall’ansia di darlo alla luce, di conoscerlo. Di presentarlo a lui.
Un altro improvviso pungiglione le contorse l’addome che sentiva gonfio e tirato come un otre. La schiena da ore non trovava sollievo in nessuna posizione, le ginocchia e le caviglie erano indolenzite come se avesse percorso sterminate miglia su un terreno accidentato.
Non aveva mai provato crampi così forti e ripetuti.
Ruth si lasciò sfuggire un lieve mugolio di fastidio rannicchiandosi contro il suo petto, le gambe aggrovigliate nelle sue. Cercò di contenere la paura e l’ansietà semplicemente stringendolo e respirando l’intenso odore acre e salso della sua pelle nuda.
Doveva ammettere che le era mancato quasi da vergognarsene il suo tocco di ruvido velluto.
Dopo tante notti in cui si era sentita più sola del solito, avevano condiviso l’angustia della branda e un sonno discontinuo.
Era stato parecchio restio nelle ultime settimane a coricarsi al suo fianco. Aveva prediletto delle coperte stese sul pavimento. E un pomeriggio si era montato un’amaca sopra la cuccetta che le aveva ceduto, spostandosi gradualmente al centro della cabina e poi finendo per non rientrarvi affatto.
Si era intristita e offesa, lo aveva detestato profondamente prima di comprendere che nelle sue ermetiche intenzioni si trattava solamente di un disinteressato atto di gentilezza.
Nessuna donna avrebbe potuto biasimare il suo dissapore se fosse stata nei suoi panni.
Suo marito si sottraeva sovente alle sue braccia, restava attivo fino allo stremo, dormiva occasionalmente. Le veglie, le recenti imprese e le nuove incombenze da pirata nobile lo avevano smagrito e indurito. Ogni suo gesto era divenuto più riflessivo e impenetrabile.
Aveva smesso addirittura di imbracciare la chitarra.
Insieme a quella nuova, inaspettata, piccola e fragile vita, si era annidato in lei un macerante tarlo. Era arrivata a meditare che la considerasse merce avariata.
La trattava con rispetto pressappoco paterno, quasi la tenesse con sé per pietà o incomprensibile senso del dovere, o volesse ottemperare a un patto su cui non aveva mai effettivamente giurato.
Se in passato le aveva concesso di accompagnarlo in qualche bazar, dove aveva fatto incetta di chincaglierie e stoffe pregiate, da qualche tempo l’aveva praticamente confinata a bordo, fra poche distrazioni e molte preoccupazioni, suscitando la sua imperterrita smania di scappare alla chetichella e affrancarlo da quella costrizione ogni qual volta avevano gettato le ancore in un porto di passaggio. Aveva sconfitto quel proposito perché, anche se era stata sempre incostante, si era imposta di riuscire a mantenere almeno una promessa. Aveva l’incontrovertibile certezza di essergli debitrice e di dover meritare la sua clemenza. Il suo spirito errante si era rassegnato: lui sarebbe stato senza eccezione il suo insostituibile eroe; marcio e fiero d’esserlo.
Si era assuefatta al suo modo di fare: non agiva per cattiveria o indifferenza, quanto per timore e riservatezza. Lo poteva accusare di essere lunatico, scontroso e chiuso, ma le aveva dimostrato, con restio affanno, di non essere insensibile né superficiale.
Perciò non si era più lasciata condizionare dal distacco apparente cui l’aveva relegata.
In certi momenti, quando si spogliava, lo aveva sorpreso a sbirciarle quella rotondità sempre più accentuata sotto la veste, allungando il collo con incredula diffidenza e alcune volte con l’accenno di increspature ai lati della bocca. Se la scorgeva in giro per il ponte, ad ostentare con disarmante naturalezza il suo stato, le mandava delle occhiatacce di disapprovazione per la sua imperdonabile leggerezza.
Quell’affinità non infuocava come prima ma nemmeno si era dissolta. Semmai era mutata in qualcosa di meno palpabile che volteggiava tra gli sguardi e i sospiri, perché in fondo si era già concretizzata in altra carne.
Sfregò la fronte sulla sua spalla e si crogiolò a tratteggiare i suoi lineamenti nel chiarore intermittente. Il naso affilato, la mascella sfuggente, le guance scavate e spigolose che adombravano gli occhi, brumosi, schivi e inaccessibili, le labbra strette e un po’ sporgenti, atteggiate anche nel sonno in quel familiare corruccio cupo e contemplativo, i capelli trasandati sparsi sul braccio usato come poggiatesta.
Se ci aggiungeva il suo muoversi sbilenco e il mugugno quasi incomprensibile con cui si esprimeva, non capiva ancora perché mai apprezzasse tanto il suo aspetto: era perfino più imperfetto del suo carattere grezzo e astruso!
Eppure la sua vicinanza accendeva ancora un brivido caldo al centro del petto, una fiamma che non si stemperava neppure con le sue malefatte.
Stare insieme si era trasformato in un’inevitabile trappola.
Adagiò l’orecchio sul fervido pulsare del suo cuore vagabondo, chiedendosi se e quanto il loro erede sarebbe somigliato a loro nel bene e nel male, o se invece avrebbe avuto altri pregi e debolezze. Era convinta che quel bambino, anche se non fosse nato e cresciuto sotto i migliori auspici, avrebbe potuto essere migliore di tutti e due. Probabilmente era solo un pensiero tendenzioso e consolante, perché non voleva più permettere allo sconforto di sopraffarla.
E perché sperava che a quella diavolessa, con cui aveva per disgrazia incrociato la parentela, si rodesse il fegato per averlo ripudiato anzitempo.
In quell’istante avvertì un fiotto acquoso defluire tra le cosce e una contrazione. Le pareva che qualcuno si stesse sadicamente divertendo a rigirarle un punteruolo tra le ossa del bacino. Conficcò le unghie nel palmo calloso della sua mano, non riuscendo neanche ad urlare per l’intontimento causato da quell’immane dolore.

Edward sollevò lentamente una palpebra cisposa dopo l’altra, sprimacciandovi i polpastrelli. Un’aria piovigginosa gli soffiava sul volto e gli venne istintivo controllare, un po' impanicato, che non si fossero formate fenditure nel tetto dalle quali trapanasse acqua. Pareva tutto a posto, eppure l’aveva svegliato una sgradevole sensazione di bagnato alle parti basse.
E una stretta compulsiva.
Spostò gli occhi assonnati su quelle sottili dita che quella mattina lo avevano graffiato, anziché vellicargli la fronte, e le intrecciò alle proprie. Togliendo l’altro braccio da dietro la nuca incominciò a massaggiarle il magro polpaccio che gli aveva attorto al tronco. Percepì il consistente arrotondamento del suo addome contro il proprio e si ritrasse moderatamente, mentre rifuse le iridi ancora impregnate di sonno nelle sue, riconoscendovi uno strano alone, colpevole e impaurito.
Si era sforzato di convincersi che fosse tutto regolare, ma non lo era per nulla.
Erano stati incoscienti e sprovveduti.
Per giunta lui, che tra i due si credeva quello con la maggiore esperienza, si era rivelato il più debole e inetto.
Nei suoi acerbi diciotto anni lei era poco più di una bambina, ingenua e intempestiva, sebbene dotata del carisma seduttivo e impudente di una donna.
E lui si era trattenuto troppo tra le sue cedevoli anche che lo accoglievano generose fino all’ultimo ansito di gradimento.
Chi aveva istruito o ingannato l’altro in quelle conturbanti danze, non gli era chiaro. Si era lasciato contagiare dalla sua tendenza a vedere sempre il sole oltre l’orizzonte più nero.
Era stato solo un superficiale errore di valutazione. E di imbecillità.
Iniziava a ragionare con lo stesso cinismo di sua madre. Non che ne fosse mai stato del tutto immune. In più di un impeto di confidente malanimo aveva ipotizzato che avrebbero potuto perderlo. Aveva pregato, anzi, perché accadesse. Tutto sommato vivevano in equilibrio precario, la libertà che inseguivano era un lusso e una condanna. Il mare reclamava tante anime, perché dovesse mostrarsi così schizzinoso con quell’obbrobrio che le stava crescendo in seno, proprio non lo digeriva. Aveva sempre ubbidito alle sue imperanti richieste, era ingiusto che volesse punirlo anziché compensarlo per le fatiche e la lealtà con cui l’aveva servito.
Forse la sua colpa era stata impastarsi con il suo corpo argilloso.
Non si era mai espresso su quel fantomatico figlio in arrivo. L’idea balzana di crearsi una famiglia non l’aveva mai arrovellato, e perciò non aveva riposto grandi speranze sulla sua nascita. Non ne parlava nemmeno, aveva solo abbozzato un fiacco consenso, assumendosi la responsabilità di averla inseminata senza alcuna vera felicitazione.
Tuttavia quella ragazzina ad ogni rifiuto sembrava essersi fortificata. Aveva fatto presa come un’ancora in un fondale di rocce. Quale barlume di decenza vedesse nei suoi occhiacci per ostinarsi a perdonare le sue mancanze e le sue stranezze, gli restava più indecifrabile di certe mappe vergate in lettere cinesi. Almeno lì c’erano le figure di contorno.
Lei era stata un adescante enigma sin dal primo istante in cui il suo tocco delicato aveva fatto rizzare i peli sulla sua cute satura di lividi.
L’assurdo era che con quel morbido tatto sapeva rivelarsi ancora più convincente e tenace di lui.
E lo era in maniera imbattibile quando si avvaleva del suo innato fascino, provocandolo con determinazione e dolcezza, anche se c’era maretta tra di loro.
Fondamentalmente era una perniciosa acqua cheta.
Lo aveva raccolto trovandolo appisolato sulla scrivania, tra carte, libri e bottiglie, e gli si era strusciata addosso destandolo con il miglior sorriso ammaliatore, che si scioglieva furbo e condiscendente, stuzzicandolo sullo sperpero del prossimo bottino e blaterando di dissolutezze.
L’aveva vanamente respinta, con un laconico accenno al suo ventre pronunciato. Ma lei, senza curarsi del suo timbro caustico e brusco, aveva sfoderato un broncio malizioso. Era il cipiglio di quando voleva essere protetta ed esaudita, quello cui lui non era capace di rimanere irremovibile. Ammirevole e abbastanza odiosa l’attitudine con cui sopportava ogni avversità, senza scomporsi, senza motivazione.
E alla fine lo aveva indotto a seguire il luccichio delle sue gemme di buio.
Aveva ceduto al suo richiamo per stanchezza, non per quella voglia strampalata che continuava ad avere di lei, pure se le era ingrossata la pancia. E anche se adesso era dannatamente bella con quell’espressione supplice e indifesa, si sottrasse alla seduzione di restare ingarbugliato un altro minuto di più dalle sue lunghe ciglia che fremevano.
Si era addormentato in mezzo alla burrasca, non era un comportamento degno di lui.
Fece scorrere la mano dal ginocchio al suo piede e scivolò via, gettando la criniera scompigliata sotto la branda.
- Doveva esserci qualche bottiglia, sarà rotolata da qualche parte … – dedusse rialzandosi e scuotendo le spalle, non riuscendo a scorgere effettivamente qualcosa. Pur non cessando di percepire quella ripugnante secrezione bagnaticcia nel cavallo dei pantaloni.
Il tetro ululare del mare lo convinse ad interrompere quel tentativo. Manovrare un vascello nelle grinfie del maltempo era uno dei maggiori piaceri del suo mestiere. Fuori si stavano già divertendo, oppure erano incazzati perché a quell’ora non si era ancora fatto vivo ...
Dall’attribuzione di quella nomina impegni e agguati li avevano, a dir poco, impelagati in quelle acque. Non aveva potuto allontanarsi da quell’infido oceano e non aveva voluto perché sostanzialmente non si fidava di nessun altro luogo. Ne conosceva ogni corrente e ogni anfratto sfruttabile per darsi alla macchia o tendere assalti agli svariati navigli che vi si arrischiavano, trascurando le loro risapute scorribande. E avevano assicurato un durissimo filo da torcere alla Marina, costringendo le aragoste ad abbandonare molti avamposti.
Con un sorrisetto soddisfatto si fasciò la bandana viola attorno alle tempie e affibbiò in un battibaleno gli stivali, per poi ciondolare sull’appendiabiti e recuperare la camicia, la giacca e il cappello piumato di recente acquisto. Gli conferiva un’aria davvero distinta, si compiacque allo specchio.
L’unico lumicino acceso che pendeva sulla parete gli mostrò, accanto al suo riflesso, quello contratto e irrequieto della giovane moglie. Si era sollevata dal cuscino e lo fissava silenziosa e indisposta, tormentando la sottana di crinolina che le avvolgeva le curve, irrigidite da chissà quali tormenti. Non era mai sicuro di quello che le frullasse per la testa, ma quelle sue perle nere erano troppo espressive quando lo insediavano lasciando cadere il velo della menzogna, dietro cui spesso si proteggeva. E pareva che lo volessero supplicare di rimanere. Come le sue labbra, che continuava ad umettare con la lingua.
Avrebbe dovuto domandarle se stesse bene, ma la considerava una domanda superflua. Tanto lo sapeva benissimo che ci teneva a lei, era ovvio, altrimenti l’avrebbe indiscriminatamente scaricata in qualche postaccio e sarebbe sparito per sempre. Nonostante il tempo passato insieme lo avesse ammansito, rimaneva incapace di consolarla con le parole. Sceglieva sempre quelle sbagliate.
- Sta soltanto diluviando! – sbiascicò indolente, allacciandosi la cintura e voltandosi verso di lei.
La voce di Ruth fu un’unghiata acuminata e velenosa: - Perché? Ho forse detto qualcosa?
Era combattuta. Stava sulle difensive. Stava reprimendo qualcosa per non inquietarlo.
Sembrava terrorizzata.
Tutti quei pensieri furono sovrastati dall’agghiacciante muggire del vento, intenzionato a scardinare ogni consunta giuntura del suo egregio veliero.
Si calcò il copricapo sulla fronte e strisciò fuori dalla porta, mentre gli occhi di lei, trepidi e apprensivi, come dardi gli bucavano la schiena.

La nave beccheggiava e abboccava, scaraventando gli uomini da una murata all’altra.
Una fragorosa ondata si riversò fin sulla plancia dandogli appena adito per barricare la sala di comando. I vestiti si inzupparono e si appesantirono, rendendo di piombo ogni movimento.
Precipitava tanta di quella pioggia da affannare muscoli e riflessi. Il tumultuoso riflusso della marea rintronava il cervello, alimentando una cattiva compagna dei marinai: la demoralizzazione.
- Siamo condannati!
- Questo tempaccio ci renderà facile preda per Davy Jones!
La visibilità era scarsissima, la corrente falcidiava le gambe, ma Capitan Teague riuscì comunque ad inoltrare le pupille sui pennoni, appurando che le vele quadre si erano salvate dalla furia degli elementi. Fino a quel momento. E dovevano farsele bastare. Non avevano alternative e arrendersi all’ignavia era l’ultimo dei suoi propositi. La sua acredine gli aveva sempre suggerito di affrontare il pericolo senza demordere alle prime contrarietà.
- Ma sentitevi! Che bei cacasotto! Sono onorato di essere il vostro Capitano! – vessò con sdegnosa ironia i compagni, abbarbicandosi al timone che ruotava all’impazzata, come possedesse vita propria. – La Dama di Nebbia terrà la rotta! – si incaponì, contrastando con nerbo l’inarrestabile filare della ruota. – Virate di prua! Date volta alle scotte! Vele alla cappa!
Sebbene il drastico e burbero ordine si trasmise con solerzia di braccia in braccia, il vascello continuava a sbandare e vorticare attorno al proprio asse, una sfera intrappolata sull’orlo di un imbuto. L’orizzonte era scomparso dietro una stillante foschia, possenti frangenti frantumavano la chiglia e inondavano il ponte trasformandolo in un melmoso pantano.
Dalla sua prospettiva privilegiata il Capitano si accorse allora che, in lontananza, sulla superficie di quelle onde scroscianti, stava innalzandosi un formidabile gorgo di folgori e nubi.
Non erano alla mercé di un semplice diluvio.
- Per le braghe di Maometto! – sproloquiò Ismael, affiancandolo alla barra e rendendosi conto dell’azzardo in cui si stavano imbattendo – Non dirmi che si tratta di quello a cui non voglio nemmeno pensare …
Teague gli annuì con un ghigno altero e aleatorio, sentendogli tracimare una serie di bestemmie in turco.
Aveva udito racconti traumatizzanti. Quel fenomeno non risparmiava molti equipaggi, e se ne rigurgitava i corpi ne risucchiava spesso il sale in zucca. Bisognava essere freddi e spericolati, preparati a qualsiasi evenienza. Anche al disastro più totale.
Ma non era scoraggiato: andare all’avventura caldeggiava le sue velleità.
Stava per affacciarsi dal parapetto e riformulare i comandi, sennonché uno strattone improvviso lo frenò, appuntandogli la giacca.
- Capitano! Accorrete: vostra moglie è in travaglio!
- Neanche io sto messo bene! – gracchiò di rimando, allontanando con uno spintone il poveretto al quale non aveva neppure rivolto lo sguardo, senza riflettere sulla sua asserzione.
L’imberbe biondino, cui affidavano spesso le notizie più ingrate, gli arrancò dietro, concitato: - Non avete capito, signore! Sta per partorire!
Il respiro del pirata per un attimo collassò. Uno schianto di tuono sommerse il suo disinvolto ragionare. Credette di annegare, nella rabbia, nella confusione.
- Vuole procreare in mezzo all’uragano? Temeraria! – convenne, sconvolto quanto lui, Ismael.
Nella mente di Teague, però, turbinavano altri aggettivi: sconsiderata, imprudente, egocentrica, ad esempio. Non era mai stato sensato ospitare quella femmina irriflessiva tra le sue lenzuola per così tante lune.
Era irrilevante, ormai.
Le mani si staccarono con sofferenza dal timone, prontamente impugnato dal suo secondo.
- Tenetevi distanti da quella stramaledetta tromba d’aria! A meno che non vi prema incontrare gli dei degli abissi ...

Anarchia. Non esisteva definizione più appropriata per descrivere quello che stava sovvertendo la sala nautica. Tra urla e oggetti che volavano in tutte le direzioni, si era scatenato un parapiglia, peggiore di quello in corso sopra coperta.
Nizar, l’economo arabo-tedesco, solitamente frigido e compassato, strillava come una donnetta isterica contro la sua Ruth, affannandosi a raccattare i preziosi strumenti di calcolo che quella gli stava spargendo sul pavimento: - Non potete tenerlo dentro un altro po’? Finché non approdiamo?!
- No! Deve nascere! Ora! Qui! Dove è stato concepito! – farneticava la ragazza, insistendo a buttare tutto giù dal tavolo e tentando di salirvi.
Edward boccheggiò inerte: ci voleva molta immaginazione per riconoscere in quel collerico fascio di nervi la mogliettina indifesa e propensa alle sdolcinatezze che aveva lasciato meno di un’ora prima nel tepore dell’alcova.
- Ruth! – abbaiò imperativo, richiamandola perché non si era neppure accorta della sua presenza. Le sue iridi, lucide per delle lacrime che stava alacremente trattenendo, gli sorrisero appena.
- Ma non è troppo presto? – le domandò col tono di chi avesse ricevuto una randellata sui denti; aveva lanciato almeno un falso allarme a settimana.
- Il nostro piccolo avrà fretta di vedere il mondo – asserì spiccia e alterata la mora, ansimando e ringhiando sommessamente. Non mandava in visibilio neanche lei quella circostanza, sarebbe dovuto succedere agli inizi dell’inverno, a quanto avevano appreso da una vecchia mezzana che si erano risolti a consultare. Entro quella data avrebbero dovuto trovarsi ancorati a Libertalia, nel Madagascar, più o meno al sicuro. Era immaginabile che non rispettasse tutte le previsioni. Aveva respirato già nel suo grembo la brama di libertà che bruciava la loro pelle.
Edward gettò il cappello grondante sul pavimento, aggredendo un marinaio barbuto dalla carnagione olivastra che tentennava paonazzo evitando di incrociare il suo muso: - Zachary? Che diamine di problema hai? Ti sei sempre spacciato per cerusico! – lo strigliò furente, alitandogli tutto il suo permaloso astio.
- Ed è quello che sono, Capitano! – confermò stizzoso quello – Sego arti, ricucio tagli, estraggo schegge – enumerò sulle dita – Ma un parto è una faccenda da donne. Non mi ci immischio – grugnì alzando le mani in segno di resa e scuse.
- Ti avevo suggerito di rapire una levatrice! – puntualizzò Ruth, premendosi il ventre che, sconquassato da stilettate sempre più insopportabili, la costringeva a piegarsi.
- Io ho fatto sgravidare una capra, una volta – si intromise candidamente il mozzo lentigginoso che l’aveva accompagnato.
Nizar gli rifilò uno scappellotto sull’orecchio: - Forse c’è un dottore tra i prigionieri – borbottò svogliatamente, sovrapponendosi al timoroso chiacchiericcio dei compari.
All’ennesimo forte rollio le ginocchia di Ruth cedettero, prostrandola.
Edward sbiancò, ammattì, rinvenne. La calma simulata che gli appestava i polmoni si sprigionò sgomentando i suoi uomini: - Porco boia! Che aspettavate? Che prendessi a pugni le vostre brutte facce da imbecilli?! Portatelo qui!
Si era compromesso da parecchio: era vano oramai fingersi disinteressato.
Aggirò gli ostacoli e la raccolse, prendendola in braccio e sottraendola al loro invadente sbirciare.
Ruth gli si appigliò freneticamente, versando altre gocce di sale nell’incavo del suo collo. Non si era mai sentita tanto spossata. Gli spasimi le opprimevano il respiro e spaccavano la spina dorsale. I contorni stavano diventando sfocati. Provava un male inesprimibile, e per assurdo null’altro riusciva a confortarla quanto il contatto con quelle scontrose braccia impregnate di spuma di mare.
- Ho chiesto io ad Olly di liberare quel medico. Ho preso l’iniziativa senza consultarti, Capitano – ironizzò debolmente, mentre lui la adagiava con una smorfia di impotenza sulla branda.
- Vorrà dire che dimezzerò la tua razione mensile di acqua e sapone – ribatté con finta severità, invitandola senza successo a stendersi sul misero materasso che si insultò di aver inzaccherato. Con l’umidità che era caduta, avrebbe impiegato giorni ad asciugarsi …
La considerazione si rivelò futile poiché notò ben altro: striature rosse sulle proprie mani e una chiazza scura espandersi nella sua sottoveste celeste. La vista del sangue, intuire da quale ferita stesse sgorgando, gli divorò lo stomaco in un’inaspettata morsa di nausea e ribrezzo che lei colse, pur nella luce incerta di un lampo.
Si era anche grattato il naso, un movimento involontario che Ruth conosceva bene: era segno di disagio e insicurezza. Si analizzò: stava lentamente dissanguandosi, non sapeva se se tutto quello che le stava accadendo fosse normale.
Appena staccò da lei gli occhi, avvertì una schiacciante pressione sul cuore e gli si aggrappò con slancio al bavero della camicia, impedendogli di alzarsi: - Sto morendo, è così? Non resisterò a questa terribile agonia … – singhiozzò, scoraggiata da lancinanti doglie che la scuotevano fino al midollo.
Edward sentì un nugolo di granchi brulicare nelle budella. Voleva ricordarle che gli ultimi mesi erano equivalsi ad un’estenuante apnea e che era sopravvissuta ad ogni congiuntura, sopportando lui e la sua combriccola di derelitti. Non poteva sognarsi di abbandonarlo allo sbaraglio.
Tuttavia il suo orgoglio era troppo radicato: si sarebbe fatto tagliare la lingua piuttosto che soggiacere a simili effusioni. Si limitò a corrugare un distorto sorriso: - Scempiaggini.
Ruth ricacciò un pesante magone, gli accarezzò il mento pungente con l’urgenza di baciare e mordere quella bocca imbronciata solo per verificare se mentiva. O per la svenevole volontà di andarsene con il ricordo del suo sapore.
Un ridondante rumore di suole irruppe in quella tesa emotività. Capitan Teague si staccò da lei sfiorandola con una sfuggevole occhiata e si ridiede un contegno severo, andando incontro al nuovo arrivato: - Il dottore? – domandò scrutandolo insofferente, ma volgendosi più ad Olly che lo aveva condotto sin lì.
L’estraneo si tolse il berretto di lana, distogliendo lo sguardo sbigottito dalla partoriente che si contorceva sul lettino:
- Per amore del cielo e della terra! – esclamò accoratamente – Non è uno scherzo – balbettò mostrando le iridi chiare che si rimpicciolirono al rimbombante esplodere di un tuono.
Edward continuava a squadrare dubbioso il prezioso prigioniero. Pasciuto, rubicondo, pallido. Aveva l’apparenza tremante e bonaria di un prete fresco di studi, più che di un uomo di scienza, anche se lui non ne conosceva di quel genere di persone rispettabili. Ma qualcuno gli era capitato di minacciarlo, ed era stato semplice come scolarsi una bottiglia di punch.
- Badate a voi …
- Charlie Gibbs 1. Professore. – sottolineò l’ometto con un filo di voce, faticando a non cascare per i forti rollii del pavimento.
Il pirata trascurò quella pedante precisazione, accorciò le distanze e parlò stridendo la mandibola:
- Se malauguratamente lei non dovesse sopravvivere, il nascituro la seguirà, e voi potete considerarvi scotennato – gli intimò, aprendo un lembo della giacca e ammiccando con bieco sarcasmo alla sfilza di coltellacci che brillarono, sinistri come le sue pupille – Dunque vi basterà un elementare calcolo per comprendere che vi sono tre vite nelle vostre mani. Adoperatele bene.
Si avviò all’uscio, congedandosi con non poche remore dalla gemente Ruth: - Non ti azzardare ad uscire, Edward! Non mi vedrai mai più! – scalpitò tra gli urli e i lucciconi.
L’ostaggio, si sgualcì la faccia e deglutì saliva farinosa, inseguendolo: - Dovreste restare anche voi.
Il filibustiere sbuffò, esasperato dal seccante e inopportuno impedimento. Sembrava non se ne fossero accorti: imperversava una tempesta torrenziale che rischiava di ammazzarli tutti. Non poteva permettersi di indugiare in patetici sentimentalismi.
Richiamò Zac e Olly perché lo assistessero e bloccassero.
- C’è stato un imbarazzante equivoco. – riparlò cautamente lo sconosciuto, tentando di risultare udibile sopra l’assordante sciabordio esterno - Sono un professore, e mi interesso di specie animali – si rincrebbe con un’espressione così onesta e benevola che sbriciolò i modici residui di fede e buona creanza cui Teague si era attaccato.
Davvero una bislacca combinazione di astri capricciosi, si disse.
Scodinzolò la testa, roteò le orbite dalla consorte all’impostore, ascoltò il mugghiare dell’oceano.
Non si poteva più tornare indietro, non c’erano scappatoie.
Poteva appellarsi solo al ricatto più sleale e all’arcano volere della fortuna.
Lestamente lo sollevò per il fasciacollo: - Tu tira fuori quella bestiola, ed io ti giuro su tutti i Diavoli del mare, che ti tirerò fuori da quest’Inferno.

La Dama di Nebbia avanzava procedendo di sghembo, quasi come l’andatura del suo Capitano, restando a stento a galla, dati i continui sbalzi cui era sottoposta.
L’impeto dei marosi spazzava tutto, fulmini si abbattevano sugli alberi spezzandoli, correnti furibonde stracciavano le vele.
Erano trascorse circa due ore ed ogni manovra si era rivelata inconcludente. Lo strepitoso tifone marino continuava a stagliarsi lì davanti a loro, ad ogni sbandamento sempre più sfrontatamente vicino.
- Controbracciare! Imbrogliate il velaccio! Smuovete le chiappe, dannati pelandroni!
Sbraitò il Capitano con furia tale da sovrastare il persistente tuonare del cielo, ma non quello del suo spirito.
Un fottutissimo ciclone. Non poteva scegliersi luogo o circostanza più sciagurata.
Quel marmocchio, tanto per gradire, non era ancora venuto al mondo che già cominciava ad urtare la sua labile tolleranza. O cercava di accattivarsi la sua simpatia. Era ugualmente fastidioso.
Ottusamente non ci aveva riflettuto tanto a fondo come in quegli attimi, al confine tra lucidità e incoscienza: non sarebbe voluto diventare padre in una contingenza diversa da quella.
Ripensando all’infelice storia della sua Ruth, gli era salito il disgustoso sospetto che potesse anche essere un bastardo, non suo 2. Tutto quell’ardire con cui stava presentandosi pareva smentirlo. Era lungi dall’essere provato, però, forse, in quella dissennatezza, in quell’ambizione di superare l’impossibile, di sfidare il rischio, già gli somigliava e quella similarità l’avrebbe fatto penare non poco in futuro.
Un potente rimbombo lo indusse a riprendere con saldezza le redini della nave e della ciurma.
I raggi non riuscivano a penetrare la spessa coltre di nubi nere, la burrasca non si placava, anche se erano per lo meno riusciti ad evitare di essere inghiottiti da quel mulinello. Ma nel fragore delle onde un suono insolito riecheggiò tra le fradice pavesate, rivendicando ogni palpito.
Un vagito infantile.

Qualche altro tuono accompagnò i suoi passi titubanti e gocciolanti che si separavano dal cassero.
Un’insospettabile concitazione gli iniziò a scorrere nelle vene, emozione, apprensione.
Una cesta di vimini dondolava appesa a un gancio sulle travi del basso soffitto. Si era presa lei la briga di intrecciarla, vagheggiando di cullarvi il poppante. E dal suo lento altalenare, appariva svolgere già la sua funzione.
Edward incedette molto lentamente nella stanza in cui tutti tacevano, troppo, per soggezione o perché qualcosa non era andata come previsto. Sporse la fronte sulla culla ondeggiante, timoroso di guardare, la smosse e un piagnucolio si diffuse come uno spruzzo di linfa pulita.
- Il Signore ce ne scansi! Storto sin dalla nascita!
Il dottore rimediato comparve da dietro un pilastro con uno strofinaccio completamente macchiato di scarlatto e interruppe il suo circospetto curiosare, facendolo sobbalzare di panico.
- È nato podalico. Ha insistito a venire fuori di piedi. – specificò lo studioso, abbozzando un sorriso attenuante nel comprendere il fraintendimento iniziale causato dalla sua esternazione.
- È maschio - si congratulò frettolosamente il suo cerusico, uscendo di corsa, cereo in volto.
Capitan Teague rimosse i capelli bagnati dalle guance che si rigarono di vanto, e riprese ad avvicinarsi al neonato che ancora non aveva potuto scorgere.
Scostò con la punta delle dita la copertina. I tendini si protesero, la gola si prosciugò, gli occhi cercarono di scavare nella penombra, le orecchie si ferirono e gli angoli della bocca crollarono.
Inclinò più volte il capo, non capendo da quale angolazione potesse inquadrarlo meglio. Aveva una testa piena di lanugine nera, due gambe, due braccia, mani e piedi con tutte le dita, un corredo maschile di rispetto.
Sembrava abbastanza sano, anche se era rachitico, bluastro e bitorzoluto. E il suo pianto era più frastornante del maremoto. Avrebbe potuto soffocarlo con la semplice pressione di un palmo sulle minuscole narici, ma qualcosa scattò e si trattenne. Compatimento, comprensione, o magari perfidia, perché morire in quel modo sarebbe stato indolore e insignificante. Aveva agognato nascere, ora avrebbe dovuto pagarne il prezzo.
L’affare più bizzarro e rumoroso in cui si fosse mai imbattuto.
Suo figlio. La loro trasgressione alla più ferrea regola del Codice piratesco: non curarsi del domani.
Tanto lui era un pirata nobile, avrebbe anche potuto cambiarlo.
Lo lasciò frignare. Era comprensibile fosse un po’ strapazzato da tutto quel trambusto.
Fiondò gli occhi su Ruth, l’unica ad aver creduto in quel controverso miracolo, sfidando imprevisti, ristrettezze, lutti.
Proprio per quella sua leggerezza che tanto lo mitigava, non aveva avuto abbastanza forza di volontà per recidere quel nodo, sfilacciato ma indissolubile, che li avviluppava l’uno all’altra, una cima di salvezza, malsana e irrinunciabile. A cui ora si era unita un’altra cordicella.
Non riusciva a distinguere bene le condizioni di quella matta ragazzina con cui si era ammogliato, e quel Charlie Gibbs gli volse uno strano cenno reggendogli la lampada e restando distante e contrito, impensierendolo.
Edward la esaminò, risalendo dalle lenzuola imbrattate, notando l’innaturale immobilità delle sue membra, stese supine e molli sul giaciglio.
Le palpebre erano chiuse e i lineamenti rilassati, il colorito spento. Fissò di nuovo il suo ventre, svuotatosi di troppo sangue per la sua troppa passione.
Le toccò con il dorso della mano la fronte, non più febbricitante bensì imperlata di un sudore freddo. Sì sentì sperduto e rivoltato, neanche fosse stato il primo corpo straziato che gli capitasse di vedere. Le tempie pulsarono, il fiato si mozzò, gli occhi si appesantirono, ma non cedettero neppure una lacrima.
A dovere scontare la colpa erano lui e il suo egoismo. Non a caso donne e bambini erano banditi da quelle fetide dimore galleggianti.
Si inginocchiò accanto alla branda, chinando lo sguardo assente.
A lato dei suoi stivali si accostarono gli scarponi del professore e le sue grassocce mani, macchiate come quelle di un macellaio: - È stata molto forte. Ma adesso ha bisogno di assoluto riposo e cure più adeguate. Dovete approdare prima possibile a terra – bisbigliò amichevole.
Le iridi di Capitan Teague rifulsero di stupore e irritazione. Si rialzò, lo squadrò, si grattò un sopracciglio e gli allungò un cazzotto sul faccione liscio e sbarbato: - Siete libero, dottore.
Una presa malferma gli afferrò la manica della giacca: - Il solito pirata gentiluomo … - frusciò fioca, rianimandolo di gratitudine per chiunque avesse intercesso in quella grazia.
La sua piccola amante folle era rimasta con lui.
Ignorò le lamentele del prigioniero, ordinando a due dei suoi di trascinarlo via.
- Preparate la rotta per Fort Dauphin! – stabilì trepidante.
Anche Ismael era entrato: - Con questo tempaccio?
- Non c’è tempo che tenga! Sfrutteremo il vento a nostro favore, come sempre. In coperta! – li licenziò fumantino, manifestando l’indiscutibilità della rapida decisione.
Non appena gli intervenuti chiusero ossequiosamente la porta, il giovane filibustiere si sistemò adagio di nuovo a fianco dell’esausta puerpera.
Si insidiò nei suoi occhi finalmente aperti, e le sfiorò il profilo con il suo, permettendo ad un sorriso accennato di spuntare sul viso accigliato.
Tutte quelle sofferenze non la rendevano meno attraente e non esitò a riscaldarle le labbra con le sue, umide di pioggia e gioia, rammaricandosi di dover contenere l’irruenza di approfondire quell’unione. Chissà per quanto, appurò, immaginando sconcertato le ferite che si celavano tra le sue cosce martoriate.
Il lattante, dalla sua, non aveva smesso di piangere. Con quello sgorbio a bordo, non ci sarebbe più stato un momento di tranquillità, tra una rapina e l’altra.
- Promettimi che non gli farai mai mancare nulla, Edward.
L’apprensiva preghiera della moglie lo riesumò dalla bolgia di considerazioni in cui stava divagando.
Si sollevò un poco dal letto e la contempò dissentendo contrariato: - Quel mostriciattolo ti ha quasi uccisa, Ruth!
- Promettimelo! - lo sollecitò incontrastabile lei, comprimendogli le vene marcate del polso con la poca forza che le rimaneva, rinunciando alla tentazione di alzarsi, perché il dolore tornava a sbranarla dappertutto ad ogni movimento più veloce.
Edward si rizzò, serrò la mascella e inclinò la testa all’indietro girandola in tondo come volesse sgranchirsi il collo o cercare una boccata d’aria. Poi calò il mento un paio di volte, rassicurandola sulla sua fedeltà, nonostante fosse evidentemente in disaccordo.
Ruth si struggeva. Voleva prendere il suo bambino tra le braccia e trasmetterle un po’ di quel calore che sentiva mancare da parte sua.
Dopo l’uccisione della sua famiglia non aveva mai avuto niente per cui desiderare di andare avanti. Solo istinto di sopravvivenza e fame di cambiamento. Nessun affetto o apprezzamento.
Poi quello scapestrato, senza che glielo chiedesse, l’aveva salvata dal vuoto assoluto in cui era franata la sua esistenza.
Ancora sembrava non aver capito che, nonostante alcune liti interiori, lo aveva accettato e lo amava così com’era.
Forse non glielo aveva mai confessato, ad essere sinceri, ma non gli aveva mai mentito su ciò che provava. Temeva che se si fosse dichiarata esplicitamente, l’avrebbe fatto scappare davvero. Pirati e sentimenti non andavano a braccetto. Meglio fingere che stessero insieme per opportunità. Sebbene quel bambino fosse una prova tangibile del loro profondo coinvolgimento.
Detestava essere immobilizzata e dubitava lui l’avrebbe accontentata, porgendoglielo.
Voleva guardare ancora il frutto del loro strano amore, imprimersi ogni suo neo, respirare il suo odore, lo voleva allattare e coccolare, come nessuno aveva mai fatto con lei.
Guardandosi tra le gambe dolenti e tremolanti, tirò su con il naso e si premette una mano sulla bocca: - Molto probabilmente non potrò averne altri.
Edward si curvò nuovamente su di lei, osservò il suo incantevole volto, sciupato e provato, e un moto di tenerezza lo invase: - Io volevo solo te.


Qualche mese più tardi.


Era una tipica giornata tropicale. Nell’afa ancora mite del mattino, al suono cadenzato della risacca, tre uomini elegantemente abbigliati discutevano di ladreschi affari comuni in una grande cabina straripante di arredi e suppellettili orientaleggianti.
- Questi sono i posti in cui hanno attaccato i vostri carichi. Giacché ad ogni arrembaggio riescono a squagliarsela nel nulla, devono avere sicuramente un covo nei dintorni. Vi do la mia parola che li staneremo come ratti dai loro sudici pertugi! – asserì con arrogante grinta il più giovane del trio, riportando la concentrazione dalle carte nautiche spianate sul tavolo ai due baffuti colleghi seduti dirimpetto.
- In cambio del 40% sui vostri guadagni, si intende – precisò con sapiente senso pratico, guizzando uno scaltro sogghigno in direzione dei bucanieri con i quali sperava di inaugurare una proficua collaborazione.
Edward England e Christopher Condent 3 erano però notevolmente distratti da un sensuale ronzare alle sue spalle.
Capitan Teague sbuffò e mugugnò. Non gli occorreva voltarsi a guardare perché aveva già avvertito da qualche minuto lo scampanellio dei monili con cui si agghindava e l’afrodisiaco profumo di vaniglia e cannella di cui si cospargeva a litri.
Ruth si aggirava per la sala nautica ricercando furtivamente qualcosa in ogni angolo e intercapedine. E l’interesse di quei due bricconi era progressivamente sfumato dalla laboriosa negoziazione alle sue falcate feline.
- La mia compagna di sventure – non poté esimersi dal dichiarare arcigno, pur di dissuadere il loro tacito e azzardoso domandarsi.
La bella indiana si fermò a salutarli frettolosamente: - Namasté. Namasté. – mormorò tra colpetti di tosse.
Capitan England si sporse verso di lui dandogli una pacca invidiosa: - Complimenti. Proprio un appetitoso bocconcino. – ridacchiò rauco, perseverando a violarla avidamente con gli occhi.
- Viaggia con voi? – inquisì con un rigurgito di scherno e dissenso Capitan Condent, lisciandosi il pizzetto.
Teague si raschiò uno zigomo, sviando lo sguardo: - Temporaneamente. – chiosò ruvido e perentorio, palesando la mal disposizione per l’argomento e ritornando rapidamente ad illustrare le clausole dell’accordo.
Si spazientì percependo ancora il discreto ma insistente frugare della moglie, che gironzolava per la stanza spostando mobili, accovacciandosi, gattonando. E tossendo.
Edward la osservò imprimendosi una smorfia preoccupata. Quell’infiammazione alle vie respiratorie non accennava a darle pace. Gli strascichi di una gravidanza irregolare e di un parto travagliato, avevano sentenziato alcuni dottori.
Mai che ci fosse qualcosa di dritto nella sua vita, d’altronde.
Avevano consigliato, come palliativo, abbondante esposizione al clima salmastro. Di certo non le mancava, anche se da qualche mese avevano ridotto le traversate in mare aperto, dedicandosi ad attività diplomatiche, restando ormeggiati nel golfo di Libertalia.
Era stata lei ad insegnargli i vantaggi di sperimentare quel nuovo corso, pur sapendo con quanta difficoltà teneva a freno il suo animo battagliero. E irritabile.
Rintanandosi tra le gambe del tavolo e le sue, lo stava esponendo al facile dileggio di quei corrotti mascalzoni, con i quali la trattativa era già complicata.
Temette di perdere completamente la dignità.
- Vogliate scusarmi. – sussurrò a molari stretti e naso fumante, distanziando la sedia, chinandosi e acciuffandole la stola dei pantaloni, tirandola forzatamente in disparte dagli altri.
- Non so se ti sei accorta che abbiamo ospiti. - inspirò agitando le palpebre e di seguito dimenando le braccia - Ci stai facendo girare le palle degli occhi. E non solo quelle.
Ruth sbatté le ciglia e storse la bocca: - Ho perso Jack.
Lo avevano chiamato così. Il nome l’aveva scelto lei, d'impulso; lui aveva ribattuto che avrebbe preferito Jonah, ma che andava bene anche quello perché non avrebbe richiesto troppo spreco di fiato per rimproverarlo. Ipotesi che non aveva tardato ad essere verificata. Quel bambino era un mini uragano.
- Va a quattro piedi, non può essere sgattaiolato chissà quanto lontano! – dedusse Edward, cominciando ad inquietarsi quanto lei e a vagliare possibili tracce del suo passaggio.
La giovane donna lanciò un sorriso sbarazzino ai due convenuti che sfrigolavano spiandoli, e si genuflesse dietro un baule: - Non lo trovo di là.
- Diamine Ruth! Fai una sola cosa su questa nave: sorvegliare quel demonietto! – contestò il pirata, gesticolando con gli anelli, intravedendo il perplesso disappunto degli invitati.
- Stavo sonnecchiando solo un minutino, pensavo dormisse anche lui – si discolpò lei, estenuata.
Il piccolo Jack stava diventando ogni giorno più ingestibile. Suo marito le aveva premesso che sarebbero serviti polso e pugno duro per educarlo.
Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, in quel periodo era affetta da una larvata stanchezza e occuparsi di quel bimbo alquanto vivace la infiacchiva. Era sempre pallida, benché lo nascondesse con i lunghi capelli e con il trucco. Ma non si commiserava perché temeva che, se l’avesse fatto anche solo una volta, lui glielo avrebbe tolto.
Il tintinnio del sonaglio che gli aveva legato al piedino la rincuorò. Anche Edward aguzzò le orecchie ed entrambi si scambiarono un’occhiata d’intesa, intuendo che fosse infrattato tra le fusciacche penzolanti dei Capitani.
Ruth agguantò uno scialle di cotone, camminando sulle punte, intanto che il compagno si riaccomodava svelto a capotavola: - Allora, signori, la vostra risposta?
Con una rapida mossa la ragazza si abbassò e ghermì il frugoletto, avvolgendolo nel panno.
Jack protestò emettendo un acuto squittio che sbigottì England e Condent.
- La nostra scimmia da compagnia. Pessimo acquisto. – si affrettò a glissare stizzito Capitan Teague, aiutando la moglie che reggeva il fagotto scalciante e mugolante a richiudere la serratura malmessa.

Mezzora più tardi, congedati con un irresoluto arrivederci i due contrabbandieri, il Capitano della Dama di Nebbia si concesse una capatina nel suo alloggio.
La calura pomeridiana rendeva l’aria rarefatta e lo sciabordio placido delle onde che battevano sullo scafo impigriva i sensi. Puntò dritto all’amaca che, oscillando davanti all’invetriata, lo invitava a rilassarsi.
Una vocetta squillante lo fuorviò verso la branda. Il minuscolo scavezzacollo saltellava strillando sillabe a casaccio per richiamare la sua attenzione. Si soffermò a scrutarlo, ricambiato dal suo sorrisetto impertinente e da quelle biglie brillanti che aveva ripreso identiche dalla madre.
Non coglieva niente di suo in quel birbante cicciottello dai lineamenti gentili, eccetto forse l’indole incontentabile e testarda e l’insaziabile curiosità.
Faceva mille capricci, andava disciplinato e non vezzeggiato.
Una mano risuonante di braccialetti si interpose allungando al bimbetto un sacchettino di noccioline, che quello incominciò a sgranocchiare con gusto.
- Ancora rifiuti di credere sia tuo figlio? Guarda cosa stava rosicchiando! – gli rimbrottò Ruth, sbandierando un doblone e uno scellino.
Edward fissò impassibile i lucenti pezzi di metallo, si scompigliò la zazzera e li sgraffignò, conservandoli in tasca.
- Anche tu sei una ladra – bofonchiò con accento amarognolo e impastato.
La moglie scrollò le treccine girandosi di scatto e ritrovandoselo ad una spanna, nuvole nelle iridi brune, le nocche che battevano sul lato sinistro del torace.
Le sue labbra arrossirono componendo un armonico arco e attirandolo a sé, mentre le dita incominciarono a sganciargli i bottoni della giubba.
Lei era il vizio che viziava. Lo aveva derubato di tutte le sue sicurezze.
Su una questione, però, Capitan Teague era infine arrivato ad una risoluzione, inappuntabile come l’ammonitore segno della granata che aveva scalfito la parete della loro cabina nel corso di un fortuito agguato nemico.

La sua famiglia sarebbe rimasta ad aspettarlo alla Baia dei Relitti.



10639554-900219033341057-1226316712646387939-n
NDA
1 Charlie Gibbs: la mia solita mania di trovare impensabili collegamenti tra personaggi ed eventi dei film mi ha suggerito di usare il cognome Gibbs: Joshamee  in gioventù conobbe Capitan Teague e suo figlio e li aiutò ad evadere di cella quando erano stati catturati dalla marina britannica. Ho pensato che avesse una predisposizione benevola per i pirati in virtù del racconto di un suo parente che ne era stato graziato. Mie opinabili speculazioni personali ^^
2 Il fatto che Teague abbia riconosciuto ufficialmente Jack come suo figlio solo in età avanzata, mi ha fatto presupporre due opzioni: 1) non credeva fosse davvero suo figlio (da cui il passato drammatico di prigionia e abusi che ho immaginato per Ruth); 2) lo detestava perché  lo riteneva responsabile della salute incerta e della malattia di Ruth.
3 Edward England e Christopher Condent furono dei corsari realmente attivi nel Golfo Indiano a cavallo tra Seicento e Settecento, epoca in cui Jack era un bambino molto piccolo.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Pirati dei caraibi / Vai alla pagina dell'autore: Fanny Jumping Sparrow