Serie TV > Quantum Leap / In viaggio nel tempo
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Autore: Lys40    18/11/2013    1 recensioni
"Alia era libera. Il Bene aveva trionfato ancora una volta. Ma il Male ritorna sempre. Dopo oltre dieci anni di attività il Progetto Quantum Leap stava per affrontare la sua parte oscura e l’eterna lotta si sarebbe accesa ancora una volta, immane." Scritta tanto tempo fa, una prova di coraggio per Sam e per Al....
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Progetto Quantum Leap.
“Dottoressa Elesee, voglio che sappia che sono desolata che il mio difetto di funzionamento abbia provocato il verificarsi di una situazione tanto spiacevole.” Il tono di Ziggy era ancora incerto e confuso, ma secondo Gooshie il computer ibrido aveva ripreso tutte le sue funzioni principali, compresa l’unità di ricerca.
Donna fece per parlare, ma fu interrotta dal rumore della porta che si apriva. Verbeena Beaks entrò nella Sala Riunioni, consapevole di essere l’ultima; nella stanza infatti, oltre a Donna, c’erano già anche Gooshie e Tina. Tutti lanciarono uno sguardo ansioso alla psichiatra, che però si limitò a sedere in silenzio accanto alla moglie di Sam. Donna sospirò leggermente: aveva sperato, come gli altri del resto, in un miglioramento delle condizioni di Al, ma il mutismo di Verbeena la disilluse in fretta. Tornò a concentrare la sua attenzione su Ziggy. “Prendo atto delle tue parole, Ziggy, ma credimi, ora è più importante scoprire cos’è successo con esattezza. La tua analisi a riguardo?”
Il tenue ronzio elettrico di Ziggy fu un sollievo dopo tante ore di assenza. Nella Sala Riunioni calò un silenzio attento mentre il computer tornava a parlare.
“La forte quantità di energia elettromagnetica, che ha interferito nel contatto tra l’ammiraglio Calavicci e il dottor Beckett, è stata provocata da una fonte elettromagnetica di altissimo livello, i cui fattori non sono riconducibili a nessuna energia conosciuta nell’epoca attuale.”
Un lampo attraversò la mente di Donna, che si piegò in avanti, mentre un terribile dubbio le si agitava nel cervello. “Ziggy,” iniziò con voce malsicura, “Sei in grado di paragonare quest’energia con quella che hai rilevato nei salti in cui il dottor Beckett ha incontrato la sua controparte malvagia, Zoey?”
Ignorò lo sguardo sorpreso di Verbeena e attese nervosamente la risposta. Il computer ibrido rimase un attimo in silenzio, poi disse lentamente, “Ci sono 89.7 probabilità che la fonte di energia sia la stessa.”
Un singulto soffocato provenne da Gooshie e da Tina mentre Donna tornava a parlare, con un tremito nella voce, “E quante probabilità puoi calcolare che il dottor Beckett possa trovarsi nel luogo da cui proviene la fonte?”
“Considerando tutti i fattori casuali e la mancanza di dati posso solo avanzare una possibilità del 24%.”
“Sei sicura che sia così poco?”
“Come ho già detto, ci sono troppi fattori che ostacolano la mia ricerca: il tipo sconosciuto di emissione; il forte shock che ha interrotto il collegamento neurologico tra l’ammiraglio e il dottor Beckett...” Ziggy fece una pausa, poi riprese timidamente, “Non è degno delle mie alte capacità, ma temo di non potermi affidare altro a che delle ipotesi.”
“Il tuo compito è anche quello di prevedere tutte le possibilità, razionali o meno e spesso queste si sono rivelate anche più vaghe di un’ipotesi; perché esiti?” chiese preoccupato Gooshie.
“L’incidente occorso all’ammiraglio Calavicci ha dimostrato che potremmo essere di fronte a una forza ostile e infinitamente più potente del Progetto Quantum Leap. Sarebbe irragionevole commettere degli errori a questo punto e l’idea cui sono giunta non ha purtroppo alcuna conferma oggettiva.”
“Correremo il rischio, Ziggy. Dobbiamo prendere in considerazione tutte le possibilità, anche le più assurde, non abbiamo altra scelta.” disse Tina, con impazienza.
“Bene. Dopo aver effettuato un controllo delle date a partire dal 1995, anno del salto originario del dottor Beckett, fino ad oggi, non sono riuscita a stabilire nessuna possibile connessione tra le fonti riscontrate e la forza di energia che ha colpito il dottore e l’ammiraglio. Dobbiamo quindi presumere due possibili alternative: che quest’energia appartenga a un altro pianeta e questo spiegherebbe i suoi valori anomali. Oppure che sia il frutto di una tecnologia terrestre progredita. Naturalmente un tipo simile di scienza non è stato ancora sviluppato nell’epoca attuale. In questo caso stiamo parlando di un’interferenza proveniente dal futuro, espressamente creata per disturbare il Progetto.”
“Aggiungendo anche queste ultime considerazioni alla tua analisi, quanto aumentano le possibilità che dietro a tutto questo ci sia Zoey?” chiese Donna, tremando.
“Al 98.9%.”
Seguì un lungo silenzio, rotto dalla voce sommessa di Donna: “Se Zoey ha trovato il modo di interrompere il contatto tra Sam e Al ed è riuscita a portare Sam con sé, nel futuro, non c’è modo di trovarlo. E’ perduto.”
Nessuno, neanche Verbeena seppe cosa risponderle. Il silenzio si prolungò pesantemente mentre ognuna delle quattro persone raccolte nella stanzetta tentava di far fronte a quella catastrofe.
Poi a un tratto, proveniente dalla porta, una voce disse quietamente, “Io non sono d’accordo con Ziggy. Credo che ci sia ancora una possibilità.”
In piedi sulla soglia, Al Calavicci fissò risolutamente le quattro persone raccolte nella stanza. Indossava ancora la casacca dell’Infermeria, ma era riuscito a recuperare i suoi pantaloni. Ignorando lo sguardo sconvolto di tutti loro, passò davanti a Donna e a Verbeena e sedette al suo posto, a capo del lungo tavolo.
La dottoressa Beaks fu la prima a riprendersi dallo stupore.
“Al, ti sei svegliato! Che ci fai qui? Perché ti sei alzato? Credevamo che...”
Al la interruppe con un gesto della mano. “Grazie della preoccupazione, ‘Bina, ma non c’è tempo. Ho dormito fin troppo, per fortuna sono arrivato in tempo per sentire il rapporto di Ziggy. Mettiamoci al lavoro. Gooshie, ho bisogno di sapere le condizioni esatte di Ziggy e soprattutto il suo livello di energia.”
Mentre ascoltava attento il lungo resoconto tecnico da parte di un eccitato e stordito Gooshie, Al sentì su di sé lo sguardo scrutatore di Verbeena e tentò di raddrizzarsi leggermente. La dottoressa Beaks colse l’impercettibile movimento e si accigliò: non le piaceva per niente quello che aveva davanti agli occhi. L’ammiraglio poteva anche cercare di ingannare gli altri, ma non un medico. E il medico che era in lei le stava dicendo che qualcosa non andava.
“Bene,” riprese Al quando Gooshie ebbe terminato, “Dal momento che Ziggy pare ristabilita, consiglio di attivare immediatamente la Camera Immagini.”
“La Camera Immagini?” Donna lo guardò, scioccata. “Al, il contatto è stato interrotto! Come pensi di fare per trovare Sam? Che facciamo se davvero è saltato nel futuro?”
“Donna,” Al fece una pausa e Verbeena notò che si stava asciugando la fronte imperlata di sudore. Non disse nulla, ma si fece ancora più attenta. “Credimi, il contatto non è ancora interrotto. Zoey non può averlo previsto, ma io posso ancora ‘sentire’ la presenza di Sam. Qui dentro.” Si batté leggermente l’indice sulla tempia, “E’ vivo ed è là fuori. Da solo. Io posso ritrovarlo, ristabilire il contatto nella Camera Immagini.”
“Ahem! In effetti, ammiraglio, credo che mi servirà un po’ di tempo.” lo interruppe Gooshie. “ Ziggy è ancora molto rallentata nelle sue funzioni dalle interferenze di.... beh, della nostra controparte. Mi dia almeno un’ora.”
Al fece nuovamente l’atto di asciugarsi la fronte, ma si arrestò a metà e Verbeena vide che le sue mani stavano tremando. Preoccupata, aprì la bocca per parlare, ma Al non gliene diede tempo. “Va bene. Un’ora. Non di più, Gooshie... non c’è tempo da perdere.” L’ultima frase fu pronunciata con tono leggermente ansimante, ma nel rumore delle sedie che si scostavano, nessuno parve accorgersene.
Quando finalmente tutti furono usciti dalla sala, l’ammiraglio disattivò il monitor di Ziggy e si accasciò pesantemente su una sedia. Non avrebbe resistito ancora a lungo e lo sapeva. Più volte, nel corso della riunione, aveva colto lo sguardo di Verbeena: prima o poi l’avrebbe scoperto. Senza neanche rendersene conto appoggiò la testa dolorante sulle braccia. L’improvviso contatto di una mano sulla sua spalla lo fece sobbalzare; per un attimo temette che Verbeena, forse... poi scorse due occhi scuri che lo fissavano preoccupati da dietro due lenti affumicate.
“Nathan! Per l’amor del cielo, quando sei entrato?”
“Cinque secondi prima che crollassi su quella sedia.” disse il dottor Nathan Lester, capo dell’Infermeria, con uno sguardo significativo. Al Calavicci era l’unica persona cui permettesse di dargli del tu e del resto, dopo vent’anni, era anche normale. Lui ed Al si erano conosciuti ancora prima del Progetto Star Bright e anche se non erano mai diventati veri amici, Nathan aveva sempre seguito con interesse, nel corso degli anni e dei vari incarichi, le vicissitudini di quello strano capitano di Marina. Mentre il rispetto di Al per quel dottore taciturno, ma così acuto e attento, cresceva giorno dopo giorno, il dottor Lester aveva capito che ormai ‘l’ammiraglio’ Calavicci non era più semplicemente il direttore amministrativo del Progetto Quantum Leap. Non per lui. Ma a 77 anni suonati la profonda stima che nutriva per l’ammiraglio si era trasformata in crescente preoccupazione: gli ultimi quattro anni erano stati sempre più duri per tutti quanti e lui sentiva di essere ormai troppo vecchio per stare dietro ad Al. E ora, dopo quello che era successo, l’uomo sfinito e sofferente che aveva davanti, aveva bisogno più che mai del suo aiuto, del suo consiglio e della sua lucidità. E lui non sapeva se era ancora in grado...
“Al,” cominciò lentamente, “Non credo che funzionerà.”
“Deve funzionare!” replicò Al, secco. “Tu sai meglio di me che non ci sono altre possibilità. Sei stato tu a dirmelo.”
“Ma gli esami possono essere sbagliati. Sei andato via così in fretta che non abbiamo potuto rifarli. Devi tornare in Infermeria, Al. Ti prego, dobbiamo essere sicuri.” lo scongiurò il dottore.
“Io sono sicuro.” disse Al, con calma. I suoi occhi neri si offuscarono per un attimo e la sua voce si fece distante. “Non sapevo ancora che ci fosse Zoey dietro a tutto, ma quando mi sono svegliato e ho sentito di non essere più collegato a Sam, ho capito che solo una forza diabolica poteva aver fatto una cosa del genere... e ora quella forza tiene Sam prigioniero!” Guardò fisso il dottore. “Non permetterò che gli facciano del male, Nathan. Zoey non avrà la sua vendetta.”
Nathan piegò lentamente la testa, sapeva che quando Al arrivava a quel punto, niente e nessuno al mondo poteva fermarlo. Ma non si sarebbe mai perdonato se non avesse tentato. L’ammiraglio si alzò e si avviò alla porta, ma dietro le spalle orgogliosamente erette, solo il dottor Lester sapeva quanta fatica gli costasse ogni singolo passo. “Al!” lo richiamò. “Tu ti rendi conto, vero, di quello che rischi, rientrando nella Camera Immagini?”
Al si limitò a voltare a metà la testa. “Certamente,” disse, “E sono sicuro che tu sai che rischio corro se non lo faccio.”
 
Fuori dalla sala Verbeena spiava con impazienza la porta chiusa. Il suo tentativo di parlare con Al era stato interrotto dall’inaspettato arrivo del dottor Lester; il suo sguardo le aveva detto chiaro e tondo che voleva rimanere da solo con l’ammiraglio, così era dovuta uscire. D’altro canto quella strana visita non aveva fatto altro che confermare i pensieri che l’avevano tenuta occupata tutta la riunione: Al non stava affatto bene, era arrivato fin lì solo grazie alla sua volontà di ferro, ma Verbeena aveva notato lo sforzo che gli costava anche solo reggersi in piedi. Quello che non capiva era come mai Nathan Lester, dottore famoso per la sua meticolosità e una delle poche persone cui Al desse retta, gli avesse permesso di alzarsi e di lasciare l’Infermeria. Possibile che non si rendesse conto delle reali condizioni dell’ammiraglio? O forse lo sapeva anche troppo bene; in quel caso doveva esserci qualcos’altro sotto, qualcosa che valeva il prezzo di questo rischio assurdo e lei voleva sapere cos’era.
Quasi in risposta alle sue domande, la porta si aprì e vide i due uomini uscire. Per un momento le parve che il dottor Lester sostenesse Al per un braccio, ma quasi subito i due si separarono e Al scomparve in un altro corridoio. Verbeena aveva imparato ormai a leggere i segnali che l’ammiraglio lasciava dietro di sé e ora c’era un chiaro ‘Off limits’ nella sua rapida ritirata. ‘Molto bene, ammiraglio,’ pensò, ‘Se non vuole parlare lei, posso sempre rivolgermi a qualcun altro.’
Nathan Lester era ancora fermo a pochi passi e lei lo raggiunse rapidamente.
 
 
Progetto Lucifero.
Nessuno al Progetto sapeva di quel posto. Nessuno sospettava che sotto i dieci piani sotterranei del complesso ce ne fossero altri dieci: la loro costruzione aveva preceduto di cinque anni quella dell’intero Progetto, ma questo era un particolare che solo Zoey e Thames conoscevano. La parte dell’Osservatore in tutto questo era stata però molto piccola: quello che lui aveva sperato sarebbe diventato un ottimo rifugio, o un bunker, oppure un nuovo laboratorio segreto, si era poi ridotto a un lungo buco verticale, grande quanto bastava perché ci entrasse un ascensore, che conduceva senza fermate al ventesimo piano. Thames aveva scoperto ben presto, con disappunto, di non possedere la chiave di quella porta; ogni tanto Zoey gli diceva, “Vado a trovare i miei antenati.” e scompariva. Ogni tentativo di seguirla, di scoprire il suo segreto era stato vano.
Fu così anche quel giorno, con una piccola eccezione: la frase magica non venne pronunciata. Thames vide Zoey uscire furibonda dalla Caverna speciale dove era rinchiuso Beckett, e dopo cinque minuti non c’era più: scomparsa, svanita senza una parola. Gli antenati non dovevano essere contenti quel giorno, pensò ironicamente l’Osservatore.
Thames non avrebbe mai immaginato che la persona meno contenta di quelle ‘visite’ era proprio la stessa direttrice del Progetto: scendere in quell’orribile buco buio e profondo era l’ultima cosa al mondo che desiderava. Ma non aveva scelta: c’erano vendette che avevano il loro prezzo, vendette che andavano consumate calde. Era entrata nell’ascensore senza riflettere, accecata dal disprezzo di Sam Beckett, dal quel suo assurdo coraggio, da quell’indomabile spirito di libertà, anche ora che sapeva di essere nelle sue mani, che la sua vita dipendeva da un semplice gesto di lei. Il desiderio di distruggere quell’uomo, tutto quello che rappresentava, tutto quello per cui combatteva, tutto l’amore di cui era capace - fu contenta di aver solamente pensato a quella parola; termini come quelli non dovevano neppure essere pronunciati in quel posto e d’altro canto lei non aveva nessuna intenzione di soffermarsi un secondo di più sullo scomodo vocabolo che le si era insinuato nella mente; non aveva senso per lei: era nauseante ed era pericoloso - era più forte della paura.
Persa nei propri pensieri, si rese conto di essere quasi arrivata e provò una breve fitta di panico. Per un attimo desiderò di poter tornare indietro, ma era inutile. Quando lui accettava la sua visita, cambiare idea, poteva costare molto caro.
Alzò il mento e si eresse in tutta la sua statura preparandosi a quello che avrebbe visto appena le porte si fossero aperte. E fu così anche questa volta. Buio. Nero: fitto, denso, silenzioso come la morte. Qui, in questa stanza, spoglia, assolutamente vuota, non arrivava neppure il gorgoglio meccanico dei monitor di Lothos e non ce n’era bisogno, perché qui c’era Lothos. Stupidi quei ridicoli tecnici quando guardavano con timore la grande sfera verde, terrorizzati anche solo all’idea di doversi avvicinare. Quella non era Lothos, era solo una delle sue antenne, la principale forse. Ma qui lui viveva, sentiva, pensava, ‘respirava’. Mentre avanzava nell’oscurità, poteva quasi sentire una presenza fisica e sapeva che il primo passo sarebbe toccato a lei, come sempre.
“Sono qui.” disse, maledicendo la propria voce malferma.
Il raggio rosso, che scaturì improvviso, agghiacciante nel buio, la inchiodò, togliendole il fiato. Odiava quella maledetta luce, odiava quel dannato posto, odiava gli orribili trucchi di Lothos.
LO VEDO. PENSAVI FORSE DI ESSERE SFUGGITA AL MIO CONTROLLO?Quello che sentiva non era la voce meccanica, stridula, che tanto intimoriva gli uomini dei piani superiori. No, questo era infinitamente peggio, perché Lothos non aveva bisogno di una voce esterna: usava la mente di Zoey, manipolava i suoi ricordi e frugando nelle sue paure, nei posti più oscuri della sua mente poteva farle sentire quello che voleva: il fruscio di un topo di fogna, il lento strofinarsi di un serpente velenoso, l’urlo di un uccello rapace. Oppure il semplice suono del suo respiro.
Zoey tentò di controllare il panico crescente. “Non ho una tale presunzione. Sono contenta che tu mi abbia potuto ricevere.” Fece una pausa e prese un profondo respiro. Sarebbe stato ancora più difficile di quanto avesse pensato. “Devo chiedere un favore.”
Per un momento non sentì nulla, il raggio rosso gradatamente si affievolì fino a scomparire nel buio, lasciandola di nuovo nell’oscurità. Quello era il gioco preferito del ‘computer’: lasciare le sue vittime inermi, tremanti nell’attesa. Improvvisamente la stanza si riempì di colori, ma erano sfumature terribili, gradazioni color della morte che si acuivano fino al riverbero di un incendio o alla terribile profondità di una fiamma ghiacciata. Un occhio umano non poteva sopportare una tale vista e Zoey dovette fare uno sforzo per non mettersi a urlare. Fu allora che la sentì: bassa, stridente, spaventosamente trionfante. Era la risata di Lothos.
NON PENSAVO FOSSI COSI’ STUPIDA. VIENI QUI, NELLA MIA CASA, A DISTURBARMI. PER CHIEDERE CHE COSA POI? UN FAVORE? UN FAVORE A ME? TU NON SEI IN GRADO DI CHIEDERE! TU PUOI SOLO SUPPLICARE LA MIA ATTENZIONE. IN GINOCCHIO, DONNA IMPUDENTE!
Zoey esitò, un secondo di troppo. La stanza si riempì improvvisamente di gas soffocanti e lei si ritrovò in ginocchio, la gola chiusa, i polmoni anelanti per un po’ di ossigeno. Le fiamme la sfiorarono da tutte le parti, arroventandole la pelle e prima che se ne rendesse conto, stava gridando di dolore. Dopo un secondo che parve un’eternità finalmente i vapori diminuirono e lei poté respirare di nuovo.
“Beckett!” riuscì ad ansimare, terrorizzata che potesse ricominciare di nuovo, “Si tratta di Sam Beckett; ho trovato il modo di annientare il suo Progetto.”
Il silenzio tornò a farsi sentire, più pesante ed opprimente di qualsiasi suono, ma almeno i gas erano svaniti. Con precauzione Zoey si tirò in piedi, barcollando.
PARLA.”
Era interessato. Lo dimostrava il tono quasi ‘normale’ della voce meccanica. Non bisognava perdere quest’occasione. “Non posso farlo da sola.” cominciò lentamente la donna, “Ecco perché ho bisogno del tuo aiuto. Ho bisogno di una ‘interferenza’. Di una delle tue interferenze. Con il tuo intervento, il tuo personale intervento, c’è una possibilità... anzi sono sicura,” si affrettò ad aggiungere, “Di sbarazzarci per sempre di Sam Beckett, del suo amico ammiraglio e del maledetto Progetto Quantum Leap. Per sempre, Lothos!” Tacque e attese, ma questa volta ne valeva la pena: Lothos non era così stupido da lasciarsi sfuggire quest’opportunità, non quando poteva dispiegare tutta la sua forza e il suo terribile potere. Non quando c’era così tanto in gioco.
Improvvisamente ebbe la sensazione che una mano le sfiorasse il collo e cacciò un grido soffocato; non c’era niente di minaccioso in quel tocco, ma aveva riconosciuto Lothos in quel contatto e l’idea di averlo così vicino la atterriva.
BUONA, ZOEY, STAI CALMA. NON TI FARO’ NIENTE. MI SONO DIVERTITO ABBASTANZA PER OGGI E ORA DOBBIAMO TORNARE AL LAVORO. DEVI SPIEGARMI I PARTICOLARI. POI TI DIRO’ IO COME PROCEDERE.”
Il tono quasi bonario di quell’orribile ansito meccanico era ancora più spaventoso della cacofonia precedente, ma Zoey era troppo eccitata e troppo spaventata insieme. Aveva accettato di aiutarla, non sapeva perché, Lothos non faceva mai niente per niente, ma questo non aveva importanza adesso: la rovina di Beckett era solo questione di tempo ormai. ‘Ancora poco, dottor Beckett, ancora un poco e non ti prenderai più gioco di me, stanne certo.’ Pensieri di vendetta, sensazioni di paura, di dolore, di confusione, unite a un terribile odio si agitavano nella sua mente sconvolta, mentre iniziava a parlare con voce rauca, quasi simile a quella di Lothos.
 
 
Aveva creduto di essere morto, ma quando riprese i sensi e si rese conto che niente era cambiato e che il luogo era sempre quello; con un gemito Sam si domandò se non sarebbe stato forse meglio morire davvero. L’unico fatto positivo è che Zoey l’aveva lasciato solo. Cercando di dare sollievo alle braccia indolenzite, lo scienziato tentò di svellere i pesanti anelli di metallo dal muro, ma stranamente, non appena i muscoli delle braccia fecero forza sul metallo, questo parve stringere ancora di più gli arti. Sam soffocò un grido di dolore, ma la sua mente era troppo presa dalla scoperta che quello che aveva creduto essere una lega robustissima di metallo e di acciaio, apparteneva invece a qualcos’altro.
Per la prima volta osservò attentamente i legami che lo assicuravano al muro: all’apparenza sembravano due comuni di cerchi di metallo scuro, ma c’era qualcosa in quella stretta... qualcosa di qualsiasi ‘organico’. Sam corrugò la fronte cercando di capire: perché prima lo avevano stretto così forte? Aveva forse qualcosa a che vedere con il gesto che aveva fatto Zoey prima di uscire? Allora gli era parso un semplice controllo della robustezza dell’acciaio, ma ora che aveva capito che non si trattava di un materiale comune, Sam cominciò ad analizzare più attentamente i due anelli. Quella era la sua unica possibilità: se avesse trovato un modo per liberarsi, forse sarebbe riuscito anche a uscire da quel terribile luogo, e dopo... e dopo?
La sua memoria ‘da formaggio svizzero’ ricordava fin troppo bene i colloqui con Alia, per non capire che tutto il Progetto di Zoey, la terribile forza che aveva a disposizione, non poteva provenire dal suo tempo. Cosa avrebbe potuto fare perduto nel futuro? Certo non sarebbe mai potuto tornare a casa. Certo non senza il contatto con Al ed il suo tempo. Il pensiero dell’amico disperso portò nuovo dolore nella testa stanca di Sam, ma non riusciva a togliersi dalla mente il terribile tono trionfante di Zoey, quando gli aveva accennato al deserto.
Il dolore, la frustrazione, i terribili dubbi che gli si agitavano dentro lo portarono ancora una volta a irrigidirsi contro quei maledetti anelli e ancora una volta questi si strinsero rabbiosamente intorno alle braccia esauste. Sam trattenne il fiato: c’era davvero qualcosa di strano in quella stanza. Improvvisamente un pensiero gli attraversò il cervello: contrasse spasmodicamente le braccia, ottenendo subito una reazione immediata. Il ferro minacciò di entrargli nella carne e Sam dovette combattere con tutte le sue forze per non urlare di dolore. E di trionfo.
Aveva capito. Com’era potuto essere così sciocco da pensare a un comune acciaio, a un comune legame? Tutto questo, gli anelli, la stessa stanza, era tutto correlato con la forza che lo aveva rapito dal deserto, che lo teneva prigioniero e sottomesso.
Ora doveva trovare un modo per liberarsi dal controllo mentale che la stanza e gli stessi legami esercitavano su di lui. Forse concentrandosi al massimo avrebbe potuto spezzare... un rapido tentativo in questo senso lo fece desistere in fretta: gli anelli si erano serrati così ferocemente intorno ai suoi polsi che Sam perse brevemente i sensi per il dolore. Quando si riprese realizzò che se avesse continuato su quella strada, sarebbe morto prima di riuscire a liberarsi: la testa gli faceva un male d’inferno e dovette chiudere gli occhi. Provò a rilassarsi, regolando il respiro, per cercare un po’ di sollievo al dolore incessante.
Gli anelli stranamente parvero allontanarsi leggermente dai suoi polsi, quasi indeboliti da quell’improvvisa calma. Ecco, la strada era quella. Sam Beckett chiuse di nuovo gli occhi e fece del suo meglio per non pensare, per liberare la mente da qualsiasi preoccupazione, perfino dall’immagine della figura esanime di Al nel deserto. No, non doveva pensarci. Prigioniero della maledetta stanza Sam Beckett concentrò la propria mente, tutto il proprio corpo nel tentativo di scacciare i propri demoni personali.
  
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