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Autore: shioren    19/11/2013    3 recensioni
Questa storia è di mia invenzione, mi ero iscritta con l'intenzione di fare fan fiction, ma alla fine ho optato, almeno per ora, ad iniziare un racconto originale. E' tanto che non scrivo più e voglio mettermi un pochino alla prova per vedere se riesco ancora a scrivere qualcosa di decente.
Spero vi piaccia, aspetto le vostre impressioni.
Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi è puramente casuale.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Sara aveva un segreto inconfessabile che si portava dietro da diversi anni ormai, cioè da quando aveva scoperto che suo padre era un vampiro. Da quel giorno il pensiero che anche lei un giorno avrebbe sviluppato simili poteri, la tormentava togliendole il sonno. Com’era possibile che suo padre, l’uomo che l’aveva cullata nelle notti insonni, che l’aveva consolata quando era ferita, che l’abbracciava con amore ogni volta che lei era triste in realtà potesse essere una creatura dell’oscurità.
Quella sera, a causa di un compito in classe non riuscito, aveva deciso di restare sveglia a studiare per recuperare il brutto voto. Non era mai andata molto d’accordo con la matematica, materia nella quale aveva molte lacune. Ma non voleva essere da meno di Jessica, la classica “prima donna” del liceo che riusciva bene in tutto e, soprattutto, aveva un forte ascendente su Allen, il ragazzo del quale si era presa una cotta. Le ore passavano lente e pesanti, il sonno era ormai insostenibile e le palpebre sempre più pesanti. Si stiracchio sullo schienale della sedia, sentii le vertebre scricchiolare sotto la pressione muscolare e ne ebbe sollievo. “Forse potrei fare anche una pausa” si disse passandosi una mano dietro il collo e prendendo a massaggiare. Si alzò dalla sedia, la stanza era piccola, poco arredata, giusto lo stretto indispensabile, la porta dell’armadio a muro che lei usava come guardaroba era socchiusa, creandole quel senso d’inquietudine che l’ora tarda suscitava a chi come lei era facilmente suggestionabile. Prese a fissare l’oscurità che s’intravedeva dalla porta socchiusa, quasi ne fosse attratta, si aspettava che prima o poi qualche strano essere sarebbe uscito da li per aggredirla come succedeva nei più classici filmetti di serie B. Sorrise a quel pensiero, “Sara, Sara” mormorò fra se e se, “a volte sei così paranoica, che mi fai proprio ridere” sbuffò soffocando una risatina. Si avviò verso l’armadio, lo aprì lentamente facendo scricchiolare l’anta. “Ecco, vedi?” disse fra se e se, “nessun troll, nessun mostro, niente di niente. Sei proprio paranoica!” rise scuotendo il capo. Sistemò con un gesto deciso alcuni indumenti che ostruivano l’anta e richiuse l’armadio. Si stiracchiò nuovamente e prese a passeggiare nella stanza per sgranchirsi le gambe. Erano ore che stava ricurva sui libri ed aveva il corpo intorpidito. Sfiorò i peluche ordinatamente esposti sullo scaffale, li passò in rassegna uno ad uno, poi prese il suo preferito di quand’era una bambina, un orsetto bruno col fiocco giallo e lo strinse a se per alcuni minuti. Nella stanza il silenzio regnava sovrano, solo il ticchettio delle lancette dell’orologio a muro, scandivano lo scorrere del tempo rimbombando sordamente nel silenzio della notte. Si sedette sul letto pensierosa, le gambe incrociate e l’orsetto stretto al petto, vi ci posò sopra il mento ed iniziò ad accarezzarlo con le labbra, un gesto quasi meccanico, visto che il suo sguardo non era rivolto al pupazzo di pezza ma alla porta della sua stanza. La luce fioca che penetrava dalla soglia mostrava l’ombra di qualcuno o qualcosa che, nervosamente, continuava a passeggiare al di fuori di quella camera. Sembrava combattuta sul da farsi, se entrare o meno. Lei rimase in attesa per alcuni secondi, poi spazientita, si alzò di scatto, spalancò la porta con estrema decisione e sbruffò: “stai facendo un solco qui fuori, che c’è?” sbottò nervosa.
“Allora eri ancora sveglia?” mormorò suo padre.
“Certo, mi sto preparando per il compito in classe di domani. Ma avevi bisogno di qualcosa? Perché stavi qui fuori?” chiese. L’uomo sorrise, “e tu studi con quello in braccio?” mormorò cercando di trattenersi dal ridere. Sara arrossì visibilmente, nascose in fretta l’orsetto dietro le spalle ed abbassò lo sguardo.
“Ti ho fatto paura? Per quello avevi mister Booh con te?” chiese il padre con voce calda, il modo in cui la guardava era così dolce e delicato, da commuovere. Provava un’immensa adorazione per la dolce figliola e non si faceva problemi a dimostrarlo.
“Ecco, veramente…” mormorò lei imbarazzata, d’istinto prese a scompigliarsi la folta chioma corvina, “beh, si, un po’ si” ammise giocando con una ciocca. “E’ che è colpa tua, papà! Non puoi passeggiare a quel modo dietro la porta della gente nel cuore della notte, capisci?” iniziò a balbettare agitando mister Booh con forza.
“Piano, piano” rise lui divertito, “o farai del male a mister Booh” concluse accarezzando il capo del pupazzo. Lei sorrise scuotendo la testa e gli si gettò tra le braccia con un sospiro. “Annunciati la prossima volta, bussa, fai qualcosa, ma non farmi più spaventare così, ok?” mormorò guardandolo dal basso verso l’alto.
“Va bene, piccola. Ti chiedo scusa” sorrise il padre stringendola a se. Rimasero abbracciati per una manciata di secondi, lui le baciò il capo accarezzandola dolcemente. Sua figlia Sara era ormai l’unico parente che gli era rimasto in vita, Beatrice, sua moglie, era morta diversi anni prima ed oltre a Sara non avevano avuto altri figli. Vedeva nella sua piccola donna, tutto il suo mondo, un mondo fragile come il vetro, delicato come un fiore di campo, un piccolo mondo sul quale lui avrebbe dovuto vegliare e proteggere con tutte le sue forze. 
“Papà?” mormorò lei. “Non è che mi dispiace stare abbracciati, ma avrei da studiare” ironizzò. L’uomo allentò d’istinto la presa, le passò una mano tra i capelli scompigliandoli e si avviò giù per le scale che portavano alla cucina.
Lo  seguì con lo sguardo scendere le scale, il cuore in gola. Il bene che voleva a suo padre e la paura di quello che lui era diventato, si scontravano nel suo cuore in una lotta all’ultimo sangue. Non sapeva come affrontare l’argomento con lui eppure, in cuor suo, era certa che il padre sapesse che lei aveva scoperto il suo segreto, ma aspettava paziente le sue domande senza forzarla. Rimase in silenzio sulla soglia della stanza, sentì la porta d’ingresso socchiudersi lentamente. La battuta di caccia era iniziata. Corse nella stanza, s’infilò veloce le scarpe da tennis ed uscì veloce dietro di lui.
 
  
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