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Autore: Matt94Black    19/11/2013    1 recensioni
Guren si guardò in un grosso specchio: ormai aveva 24 anni, i lunghi capelli neri erano legati in uno chignon con una bacchetta d’argento e il suo viso era ricoperto dalla tipica cipria bianca che usavano le oiran e le geisha. Indossava un kimono rosso, decorato con dei disegni di fiori bianchi e di una fenice dorata. Solo due cose stonavano sul suo volto: la bocca, che dipingeva un’espressione triste e rassegnata sul suo volto, e gli occhi, vuoti e tetri, che avevano perso la loro lucentezza. Guren guardò la fenice sul suo kimono: nella mitologia, la fenice poteva risorgere dalle sue ceneri. Ma lei non si sentiva una fenice, non sarebbe mai risorta.
Genere: Drammatico, Poesia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oh Guren-chan, mio piccolo fiore di loto,
creatura innocente dal futuro ignoto,
nata in questa notte fredda e piovosa.
Bambina dagli occhi neri, delicata e meravigliosa,

cullata dall’acqua tiepida, come il tocco della madre,
e baciata dal calore del Sole, come lo sguardo del padre.

 
E fu in quel momento che la loro figlia nacque: in una notte piovosa di novembre. I suoi genitori avevano già in mente un nome per la bambina: Guren. Fiore di loto. Aveva i capelli neri, gli occhi scuri e il suo viso era talmente angelico ed innocente avrebbe potuto riappacificare i paesi in guerra. I suoi genitori la osservavano felici, anche se non era un maschio; ma il loro sentimento fu volatile: quando Guren compì 10 anni, i suoi genitori la vendettero ad un uomo, senza spiegare nulla alla loro giovane figlia. Le dissero solo: “Ti verremo a trovare, Guren-chan. Promesso”. Guren aspetto giorni, settimane, mesi: ma nessuno arrivò, tantomeno sua madre e suo padre. Lei era troppo piccola per capire qual’era il suo scopo lì, in una struttura di un quartiere che la gente chiamavano “Dai Roku Yoshiwara”, traducibile in “Sesto Yoshiwara”; Guren si limitava a seguire le ferree regole che imponevano le signore più grandi di lei, vestite con eleganti kimono, che punivano fisicamente coloro che osavano trasgredire ciò che dicevano. Solo quando compì 13 anni capì quale sarebbe stato il suo destino: diventare una oiran, una vera e propria cortigiana. Rassegnatasi al suo futuro, al fatto di essere stata venduta dai suoi genitori e al fatto che nessuno sarebbe riuscita a salvarla, smise di sorridere e iniziò a vivere la sua vita per quello che era: una sofferenza vera e propria, che non le avrebbe mai mostrato sentimenti come la felicità e l’amore.
Dopo molto tempo in quel posto, Guren si guardò in un grosso specchio: ormai aveva 24 anni, i lunghi capelli neri erano legati in uno chignon con una bacchetta d’argento e il suo viso era ricoperto dalla tipica cipria bianca che usavano le oiran e le geisha. Indossava un kimono rosso, decorato con dei disegni di fiori bianchi e di una fenice dorata. Solo due cose stonavano sul suo volto: la bocca, che dipingeva un’espressione triste e rassegnata sul suo volto, e gli occhi, vuoti e tetri, che avevano perso la loro lucentezza. Guren guardò la fenice sul suo kimono: nella mitologia, la fenice poteva risorgere dalle sue ceneri. Ma lei non si sentiva una fenice, non sarebbe mai risorta.
 
Oh Guren-chan, mio piccolo fiore di loto,
tu che ormai sei vista come un guscio vuoto,
con quel viso che ha perso il suo calore,
proprio come l’appassirsi di un fiore.
Ed è guardandoti che mi vien da dire, con gran tristezza,
che questo mondo non riesce a vedere la tua vera bellezza.

 
Era tardo pomeriggio e Guren si stava preparando: quella sera avrebbe dovuto accontentare le necessità del signor Kitantai, un uomo di quasi sessant’anni, che aveva un ruolo politico piuttosto rilevante, depravato e sudicio come pochi. Guren, da quando era ufficialmente diventata una oiran, era stata costretta ad accontentare molti uomini di rilevante importanza sociale, ma il signor Kitantai era il peggior uomo che abbia mai visto. Lei lo odiava. Stava per togliersi il kimono, quando guardò fuori dalla finestra e vide che un giovane per strada la stava osservando. Appena Guren si affacciò alla finestra, il ragazzo fuggì impaurito: aveva i capelli neri e indossava dei vestiti piuttosto trasandati. Probabilmente non era lì per le oiran, dato che solo i ricchi potevano permettersi trattamenti speciali da queste signorine.
“Spione di merda, questi uomini sono tutti dei maiali” pensò Guren.
Chiusa la finestra, Guren si tolse il kimono e andò a farsi un bagno: nel Sesto Yoshiwara le avevano sempre insegnato che una oiran di classe doveva essere sempre pulita, ben vestita e profumata ogni volta che avrebbe dovuto accontentare un uomo. Dopo essersi truccata ed aver indossato un kimono azzurro con disegni di fiori neri e blu, fece per uscire dalla struttura, quando si ritrovò davanti una faccia conosciuta: il ragazzo che la stava osservando qualche ora prima; era piuttosto basso, con gli occhi neri e nella sua bocca mancava qualche dente, nonostante sembrasse avere circa trent’anni.
Guren, più che seccata, chiese: -Che cosa vuoi? La pianti di guardare?-. il ragazzo balbettò: -Mi perdoni! È solo che…che…-. Guren gli gridò: -Parla!-. Il ragazzo, dopo aver preso fiato, disse: -È solo che ti trovo bellissima, come un fiore di loto. Anche se prima eri senza trucco e spettinata. Non riesco a capire perché una come te dovrebbe ridursi a fare un lavoro del genere. Non meriti di essere in questo posto-.
In quel momento, a Guren luccicarono gli occhi dall’emozione: nessuno le aveva mai detto delle cose così belle, cose che non si sarebbe mai aspettata da un omuncolo come quello che aveva di fronte. Ma, per sua sfortuna, proprio in quel momento, due oiran più vecchie, che l’avevano educata quando era piccola, sbucarono da un vicolo. La loro reazione fu immediata: una iniziò a inseguire quel povero ragazzo, mentre l’altra avverò Guren e la portò nel giardino all’interno di quella struttura. La fece spogliare e le disse: - Solo con uomini di alto ceto sociale, signorinella! Non siamo mica delle puttane qualsiasi! Mi sembrava di averti insegnato cosa succede a chi trasgredisce le regole!-. Iniziò a tirarle delle secchiate d’acqua gelida per ore, che, combinate con il freddo della sera autunnale, la facevano sussultare dopo ogni getto. Dopo venne portata dentro dalla stessa signora, quell’altra chiamò una sua coetanea ed iniziarono a frustare la schiena della povera Guren con dei grossi rami di salice. Tutta fasciata e sanguinante, Guren venne sbattuta nella sua stanza, dove, poche ore prima, aveva visto quel ragazzo dalla sua finestra. Guren iniziò a pensare a cosa sarebbe successo se quello fosse stato l’uomo della sua vita, quello con cui avrebbe potuto tirare su una famiglia. Probabilmente non lo avrebbe mai saputo. In quel momento, si sfilò la bacchetta dai capelli, facendo ricadere le lunghe ciocche sulla sua schiena, e iniziò a squadrare quell’oggetto argenteo con i suoi occhi neri, che erano ritornati vuoti e privi di vita.
Una delle oiran che l’aveva flagellata prima stava entrando nella sua stanza: voleva ricordarle che aveva un incontro con il signor Kitantai. La signora lanciò un urlo. Ciò che vide nella stanza era shoccante: Guren era sdraiata sul suo lato destro, in un lago di sangue, con la bacchetta argentea conficcata nel cuore. A qualche metro di distanza dal corpo, vi era una pergamena con un messaggio, una specie di poesia divisa in tre strofe; la calligrafia era quella di Guren.
 
Oh Guren-chan, mio piccolo fiore di loto,
il tuo sorriso non è mai sbocciato, nemmeno in questa foto.
In questa notte, la luna si è colorata di rosso
e tutto l’universo piange il tuo corpo in quel fosso.

Per salutarti nell’ultimo viaggio, tutto il modo tace,
sperando che la tua anima possa trovar la tanto desiderata pace.


Salve a tutti.
Non è il mio solito genere, però pochi giorni fa ho visto il film intitolato "Memorie di una geisha"...molto bello! Ho pensato di scrivere questo racconto/poesia dal contenuto simile.
Spero che vi piaccia.
Giusto per rimanere nel tema "Giappone", vi saluto dicendo:
Kon'nichiwa!
  
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