Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: vampiredrug    19/11/2013    13 recensioni
La storia è (molto) liberamente tratta dall'omonimo film del 2003.
Castiel è un giovane redattore in una rivista per ragazze, Dean un brillante e fascinoso pubblicitario all'interno di una grande agenzia. Si incontreranno per motivi esclusivamente lavorativi (il primo ha solo dieci giorni per scrivere un importante articolo, l'altro deve vincere una scommessa ad ogni costo) ben decisi a non farsi coinvolgere, ma i sentimenti ci metteranno lo zampino...
- Dean Winchester. - disse infine, tendendo la mano a Castiel.
- Affascinante…- mormorò quest’ultimo, stringendola brevemente e osservandolo con la testa inclinata da un lato, studiandolo.
- Bè… grazie. - disse Dean, compiaciuto, con il sorriso di chi è assuefatto a complimenti del genere.
- Intendevo il cognome. - specificò Castiel con un piccolo ghigno malefico, sgretolando quel sorriso - Castiel Novak.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balthazar, Castiel, Dean Winchester, Gabriel
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 NO BONE MOVIES [1]
 
“I shouldn’t do it,
the guilt tells me why
I just can’t stop it,
I try and I try
X-rated demon
that lives in my head
Hungry for bodgie,
and he wants to be fed
 
No bone movies
No bone movies
No bone movies”
 
(OZZY OSBOURNE – No bone movies)
 
 
 
GIORNO QUATTRO, redazione di Grace Magazine, ore 9.43
 
 
Non era stato nelle intenzioni di Castiel arrivare in ritardo al lavoro, quel giorno.
Sul serio, non lo era stato.
Ma non appena Dean era scomparso oltre la porta del suo appartamento, lasciandolo solo e vergognosamente eccitato in un letto che di lui conservava ancora un debole tepore e una traccia di profumo ad impregnare il cuscino… bè, diciamo che c’era stata una certa questione di cui doversi occupare.
Scrupolosamente.
Il redattore s’era rotolato fra le lenzuola stropicciate per quasi mezz’ora, ad occhi chiusi, ispirando l’impercettibile sentore emanato dal cuscino di Dean e immaginandolo nudo, sognando di sentire la sua pelle sulla propria, le sue labbra dappertutto, fantasticando su come sarebbe stato guardarlo negli occhi mentre facevano l’amore, immaginando di sentirselo addosso, di sentirselo dentro… consapevole che Dean Winchester si stava trasformando in una vera e propria ossessione, e che sarebbe probabilmente imploso ben prima di arrivare al termine di quell’infernale settimana.
 
Ed esattamente come ogni singola volta in cui si era soffermato a pensare a Dean, il tempo era parso dilatarsi, così tutto ad un tratto Castiel s’era ritrovato ansante, stravolto e incredibilmente in ritardo a doversi catapultare fuori di casa, con l’aggravante di essere inevitabilmente obbligato a passare in pasticceria, se intendeva arrivare a fine giornata con la psiche integra.
 
Fece capolino in ufficio reggendo la consueta - e appiccicosa - offerta sacrificale al dio dei ficcanaso, sperando di dirottare sulle focaccine al limone l’attenzione dei propri inopportuni angeli custodi che, tanto per cambiare, erano all’erta nei rispettivi cubicoli.
 
Purtroppo l’overdose di zucchero, al posto di renderli sazi e mansueti, li rese iperattivi come scimmie impazzite, e altrettanto ipercuriosi.
Planati sulla sua scrivania come avvoltoi in cerca di carogne, riuscirono ad avventarsi sui dolci ed in contemporanea a mettere Castiel con le spalle al muro, subissandolo di domande ed esigendo senza tante cerimonie il resoconto della sera precedente, resoconto che l'altro fornì nella maniera più distaccata ed impersonale possibile, anch’egli dimenticando di riportare il trascurabile particolare di essere quasi andato a letto con Dean.
 
Due volte.
 
Perché la verità, Castiel, preferiva ometterla piuttosto che alterarla.
 
Essendo sempre stato un pessimo bugiardo trovava più facile tralasciare dei particolari, piuttosto che inventarne d’alternativi, e di solito funzionava.
Naturalmente, il suo “di solito” non comprendeva Balthazar, il più grande impiccione sulla faccia del pianeta.
 
- Fammi capire… - sibilò quest’ultimo in tono scettico, interrompendo il racconto del collega e osservandolo con sospetto - Dopo che l’hai leccato, e sottolineo, leccato, in un luogo pubblico, vorresti farmi credere di aver dormito nello stesso letto con lui senza che sia accaduto nulla? I casi sono due, Cassy: o mi prendi per il culo, o Dean è impotente. -
 
‘Figlio di buona donna…’ ringhiò Castiel fra sé, alzando gli occhi al cielo in cerca d’ispirazione.
 
- Invece è proprio così Balth, non è successo niente. Niente di niente. - affermò, mentendo con tutta la convinzione di cui era capace e guardandolo sfrontatamente negli occhi - Ho messo subito in chiaro che volevo andarci piano col sesso, e dato che lui mi rispetta molto non mi ha fatto alcuna pressione.
 
‘Se vogliamo escludere quella che ho sentito distintamente contro la mia gamba circa tre ore fa…’ aggiunse mentalmente, lasciando che le proprie labbra si curvassero impercettibilmente verso l’alto, al ricordo.
 
Le sopracciglia di Balthazar, già piuttosto occupate a far sentire Castiel colpevole, si aggrottarono ancor di più.
 
- Gabe… guarda. - mormorò, rivolto al collega, attirando la sua attenzione - Guardalo. -
 
- Che cos… Oh. Oh, merda… fienile? - domandò esitante, come se stesse valutando varie opzioni.
 
- Fienile. - confermò l’altro, lapidario, annuendo gravemente.
 
- Ma che… che diamine state dicendo? - sbraitò Castiel, irritato - Cosa significa “fienile”? Siete impazziti? -
 
- Se qui è impazzito qualcuno, pulcino, non siamo certo io e Gabe… -
 
- Vuoi avere la grazia di spiegarmi, Balth, o devo farmi venire una crisi di nervi? Guarda che sono piuttosto bravo, mi sono allenato un sacco negli ultimi giorni…  - minacciò il più giovane, esasperato dalle ermetiche allusioni degli amici.
 
- Oh, è molto semplice: dal momento che quando ti piace qualcuno non capisci più niente, ti butti a capofitto nelle situazioni più incresciose e prendi una marea di decisioni avventate, io e Gabe abbiamo elaborato un pratico sistema “a facce” per valutare l’entità del problema in modo da poter intervenire in fretta e arginare i danni. - spiegò con noncuranza.
 
Castiel restò in silenzio per qualche secondo, cercando di capire se fosse uno scherzo.
Non era quasi mai uno scherzo.

- Che… che cos’è un… sistema a facce? - domandò infine con un filo di voce, non completamente persuaso di volerlo realmente sapere.
 
- Bè, Cassy… in pratica… le espressioni del tuo viso, che a quanto sembra non sei in alcun modo in grado di controllare, ci rivelano quanto sei compromesso in una relazione in maniera più precisa e attendibile che non entrare nella tua casella e-mail, leggere di nascosto i tuoi sms o frugarti nei cassetti della scrivania. -
 
- Voi… voi frugate fra le mie cose? - balbettò il redattore, impietrito - Leggete i miei messaggi privati? Voi… no, mi rifiuto di… no. -
 
- Ma no Cassy, dai… - lo rassicurò, per quasi due secondi, Gabriel - Quello lo facevamo prima! -
 
- P-prima? -
 
- Certo, prima del sistema a facce. Ma è una vita che non lo facciamo più, vero Balth? - dichiarò orgoglioso l’altro, come se per una tale delicatezza si aspettasse un encomio da parte di Castiel, che invece si massaggiò debolmente la fronte, nel vano tentativo di arrestare l’insorgere di un’emicrania e di resistere all’impulso di commettere un brutale, seppur soddisfacente, omicidio.

- Premettendo che non vi ammazzo solo perché ci sono troppi testimoni… - ringhiò minaccioso - Vorreste comunque illuminarmi sul significato di “fienile”? Così, giusto per farmi un’idea di quanto riusciate ad essere idioti, unendo i vostri due cervellini rinsecchiti. -
 
Fu Balthazar a riprendere la parola, calmo e tranquillo come se l’altro non stesse progettando di mettergli il veleno per topi nel caffè.
 
- Devi sapere Cassy, che il sistema a facce si basa su una scala che va da uno a dieci dove uno, tanto per fare un esempio, è “drink”. Drink significa che trovi un tizio abbastanza carino da essere disposto ad uscire una sera con lui per qualcosa di poco impegnativo. -
 
- Ok… - mormorò il collega, fissandolo con astio - E tanto per sapere, il… il sei cos’è? -
 
- Il sei… dunque… ah, sì, il sei è “weekend”. Vuol dire che sei piuttosto preso, e che sei in grado di tollerare l’idea di seppellirti in qualche oscuro B&B in Vermont per un intero fine settimana, sorbendoti giri per mercatini antiquari alla ricerca di porcellane francesi e raccolte di mele nel frutteto. -
 
- Sì… bene. Certo. Cos’è “fienile”, allora? - chiese quindi Castiel, che cominciava a perdere la pazienza.
 
- Facile, fienile è il numero otto della nostra scala. - affermò con sicurezza il collega.
 
Castiel reagì come se si fosse appena scottato.
 
- Otto? Ma… è una follia! Non sono all’otto, non sono affatto all’otto! Sarò a malapena a… al due, ecco, di qualunque cosa si tratti! Vi state sbagliando, e di grosso. - dichiarò con enfasi.
 
- Vuoi forse dirmi che la tua faccia non sta gridando al mondo “Voglio rotolarmi in un fienile con Dean Winchester per giorni e giorni come nei migliori film da pollastre, facendomi scopare fino allo sfinimento, dimenticandomi persino di mangiare o dormire”? -
 
- Certo che non lo fa! - replicò l’altro con convinzione, cercando di dissimulare la vampata d’imbarazzo che sentiva risalire lungo il collo - E ti dirò di più, Balth: quello che vedi, o credi di vedere, sulla mia faccia, è unicamente frutto del mio talento. Sto fingendo di essere innamorato di Dean praticamente da quattro giorni, ventiquattr’ore su ventiquattro e… probabilmente mi sono solo immedesimato più del dovuto. Tutto lì. -
 
- Ma certo, mio talentuoso amico! - lo schernì Gabriel - Probabilmente è a causa di questa tua incredibile capacità d’immedesimazione che al club teatrale, al college, ti affidavano l’incarico di tecnico delle luci…  -
 
- Ti odio, Gabe. E odio anche te. - sibilò il redattore, ignorando la frecciata e osservando alternativamente sia Gabriel che Balthazar, che ostentava innocenza come se non sapesse nemmeno a cosa l’altro si riferisse - Avete violato la mia privacy in ogni modo umanamente possibile, mi trattate come se fossi un povero sprovveduto e sostanzialmente siete due figli di puttana, perciò ora farete quello che dico io. - sentenziò inferocito - Gabe, mi serve la tua scorta segreta di caramelle. -
 
- Quale scorta segreta? Io non ho un- provò a negare Gabriel, interrompendosi immediatamente nel notare l'espressione incazzosa dell’amico - Ok… quante te ne servono? - si arrese quindi in tono remissivo.
 
- Tutte. -
 
- Ma… - azzardò l’altro.

- No. Nessun ma. Ora andrò a prendere delle cose, dopo di che voi due chinerete la testa e le userete per fare quello che vi dirò di fare, per tutto il tempo che sarà necessario. Anzi, no, esigo che il lavoro sia finito prima di pranzo, ho un impegno. - ordinò con un’espressione davvero poco rassicurante, alzandosi e allontanandosi in direzione della porta.
 
- Dove vai? - chiese titubante Balthazar.
 
- Reparto “hobby femminili e creatività”. Sgombrate le scrivanie. Avrete bisogno di spazio. - dichiarò seccamente prima di sparire.
 


Un paio d’ore più tardi, alla sede della King, Chuck stava infilando la testa nell’ufficio di Dean per appurare quanto pessime fossero le condizioni dell’amico, trovandolo ancora a faccia in giù sulla scrivania.
 
- Dean, stai… ehm… stai dormendo? - domandò circospetto, aggrappato allo stipite della porta, pronto a fuggire se l’altro gli avesse lanciato contro un fermacarte.
 
Da sotto le braccia incrociate del pubblicitario arrivò un attutito e funereo “No”.
 
Chuck mosse qualche passo all’interno della stanza, avvicinandosi al collega.
 
- Tutto ok? Che… che stai facendo? - chiese in tono cauto, poggiando una mano sulla spalla di Dean, che levò su di lui uno sguardo strano.
 
- Sto pensando. -
 
- Posso chiederti a cosa? -
 
- A Castiel. -
 
- … Ancora arrabbiato? - chiese comprensivo il profeta.
 
- Sì. No. Sì… non lo so. - mormorò Dean, rimettendosi a sedere in posizione eretta, mentre l’amico si appollaiava su un angolo della scrivania pronto ad ascoltare - Forse… forse non ne ho il diritto… in fondo nemmeno io mi sto comportando esattamente bene nei suoi confronti. Non so, Chuck, questa situazione sta diventando molto… strana. Quando ho accettato la scommessa con Bela e Ruby non credevo che sarebbe stato così difficile. Immaginavo… oh, non lo so cosa immaginavo! Pensavo che sarebbe stata come una campagna qualsiasi, un’operazione commerciale, asettica e indolore… o forse non stavo proprio pensando. - confessò abbattuto, strascicando le parole come se mettere insieme ogni sillaba gli costasse una fatica immane - Sì, sì, è chiaro che non stessi pensando, dovevo essermi davvero bevuto il cervello per prestarmi ad una cosa simile. Forse quelle due hanno drogato il mio champagne… -
 
Solo allora lo sguardo di Chuck cadde sullo schermo del computer dell’amico, dove ancora campeggiava la pagina Facebook con la foto che aveva causato tanto scompiglio.
 
L’osservò con attenzione per qualche istante, quindi osservò Dean, che giocherellava con una penna ad occhi bassi. E la lungimiranza per cui era famoso fece il resto.
 
Con tutto il tatto di cui era capace, pose una semplice domanda.

- Dean… Castiel ti… cioè lui... ehm… ti piace? - chiese in tono mite, posandogli nuovamente una mano sulla spalla, sperando di non beccarsi un pugno sul naso.
 
Non ci fu bisogno di alcuna risposta, fu sufficiente lo sguardo che Dean gli rivolse, un misto di tristezza, imbarazzo e gratitudine che, al di là dell’implicita ed enorme portata di una tale ammissione, lo lusingò profondamente. Chuck si trovò a constatare che alle volte, essere Dean Winchester doveva essere davvero dura… e che quella che aveva appena ricevuto era una grandissima prova di fiducia da parte sua, fiducia che si ripromise di non tradire mai.
 
- Bè… Wow. - commentò dopo aver assimilato l’informazione, cercando di sdrammatizzare - Quindi qual è ora il tuo piano? Mollare tutto? -
 
- Nessun piano, amico. Si va avanti come prestabilito. - replicò Dean in tono forzatamente asciutto, nonostante l’enorme sollievo per essersi tolto quel peso dallo stomaco.
 
- Ma Dean, tu-
 
- Io ho accettato la scommessa, coinvolgendo anche te e Garth senza consultarvi. - lo interruppe l’altro, duro - Quindi ora pagherò le conseguenze della mia arroganza, nel bene o nel male. Non è niente di serio Chuck, davvero. Lo conosco solo da quattro giorni, noi tre invece siamo amici da anni, e in questa faccenda siete una mia responsabilità: io vi ho ficcati in questo casino e io vi tirerò fuori. -
 
- Però… -
 
- Non c’è alcun però. Castiel sa essere fantastico, lo ammetto, ma è anche del tutto fuori di testa. Stare con lui è come… come essere incatenati ad una cometa, ecco [2]. È completamente imprevedibile, e mi fa letteralmente impazzire dalla rabbia a volte. Non fa per me, punto. -
 
- Come credi, Dean, sono certo che tu sappia cos’è meglio per te… - mormorò Chuck in tono sibillino, osservandolo con indulgenza, come se conoscesse un segreto di cui l'amico non era al corrente.
 
- Grazie Chuck.-
 
- Perciò ora che hai intenzione di fare? -
 
- Anche se mi spiace giocarmi subito una delle mie carte migliori, stasera lo invierò da me e cucinerò per lui. -
 
- Caspita, vuoi calare l’asso, eh? - commentò ammiccante Garth, facendo capolino dalla porta lasciata aperta senza avere la minima idea della delicata discussione terminata solo qualche secondo prima - Cosa gli prepari, il tuo celeberrimo soufflè? -
 
- No, quello è per quando voglio concludere con una ragazza che fa particolarmente la difficile… il soufflè è da femmine, per un uomo ci vuole la carne. Carne rossa. Gli cucinerò l’hamburger più buono che abbia mai mangiato in vita sua… -
 
- E speri di farlo capitolare con un semplice hamburger? -
 
- Non sarà affatto un semplice hamburger: manzo Kobe [3], signori, duecento dollari al chilo. -
 
- Hai di nuovo guardato Hell’s Chitcken, vero? La tua fissazione per Gordon Ramsay ha qualcosa di morboso, Dean. -
 
- Che ci posso fare, ragazzi? Adoro quell’uomo. Ma d’altra parte, se non amassi i bastardi, non lavorerei per Crowley, giusto? -
 
- Effettivamente, non hai tutti i torti. - convenne Garth.
 
- Tra parentesi, l’altra sera allo Sky mi è sembrato di intravederlo al bar… -
 
- Chi, Crowley? - chiese Chuck.
 
- No, idiota, Ramsay. Se non fossi stato occupato con le due streghe sarei andato a chiedergli un autografo. - dichiarò Dean, ignaro di aver in realtà adocchiato Balthazar - Comunque, oggi dovrò uscire un po’ prima per fare la spesa e avere il tempo di cucinare, se Cass accetterà il mio invito, per cui se il capo mi cerca dite… dite che sono andato a trovare mia zia all’ospedale. -

- Tua zia è già morta almeno due volte, quest’anno, Dean, suggerirei un maggior sforzo immaginativo - E poi… Cass? - sottolineò Garth, inarcando un sopracciglio.
 
- Sì, bè, è così che lo chiamo. Gli… gli piace. - replicò Dean, preso in contropiede - E tutta la mia immaginazione al momento è impegnata su come conquistarlo, per cui inventatevi qualcosa di plausibile, in fondo è il vostro lavoro, no? E ora fuori, devo concentrarmi! - borbottò, spingendo sbrigativamente gli amici fuori dal proprio ufficio per poter arrossire in pace.
 
Pace che per sua sfortuna si rivelò davvero breve dato che, dopo neanche venti minuti, Castiel piombò nel suddetto ufficio con la furia di un tornado, degnando a malapena Dean d’uno sguardo e reggendo tra le mani un enorme pannello di legno alto circa un metro e mezzo.
Poggiatolo contro il fianco della scrivania, l’aggirò per raggiungere la  parete dietro di essa, staccò un’enorme cornice che racchiudeva il poster promozionale di una delle campagne più riuscite di Dean e, senza dire una parola, lo sostituì col proprio.
 
L’altro osservò l’intera operazione in apparente stato di trance, riuscendo infine, con un notevole sforzo, ad indirizzare la propria attenzione su ciò che Castiel aveva appeso al muro.

Ad occhio e croce si trattava di… lui.
In una specie di riproduzione alla Andy Wharol fatta con… ehi, erano Smarties, quelli? [4]
 
- Ehm… Cass? Ciao, Cass… che… che cos’è quello? - domandò, cauto come ormai aveva imparato fosse meglio essere.
 
- Oh, ciao Fagiolino! Questo? - chiese, accennando al quadro - Questo è un regalo per te, mi sembra evidente! -
 
- Un regalo? Un… un altro? Io, ehm, non sono certo di meritare tutte queste… premure, da parte tua… - osservò Dean, scrutando confuso il confetto verde che rappresentava la sua pupilla.
 
- Non dire sciocchezze! Tu ti meriti questo ed altro! Oggi ti stavo pensando e mi sono chiesto: qual è la caratteristica del mio amore che preferisco? - spiegò Castiel, invitando con lo sguardo Dean a dare una risposta.
 
- Io… io… non lo so… che sono, uh, colorato? - buttò lì l’altro, a caso.
 
- Ma no, sciocchino! La tua dolcezza, no? E allora ecco qui un altro Dean, dolce quanto l’originale! Ti piace? -
 
- C… certo, tesoro, lo trovo così… audace e… variopinto. - mormorò Dean, stranito, fissando ipnotizzato l’accozzaglia di confetti colorati accatastati praticamente a caso  e chiedendosi cosa mai avesse fatto di male, in questa vita o nelle precedenti, per meritarsi una simile umiliazione, mentre osservava i colleghi, incollati al vetro dell’ufficio adiacente come gechi, ridere fino alle lacrime.
 
- Esattamente il risultato che volevo ottenere! - cinguettò Castiel - Oh, e poi considera che ho rischiato la vita per realizzarlo! - aggiunse poi, facendosi serio.
 
- Che intendi dire? - domandò l’altro, avvicinandosi fino ad affiancare il giornalista e sfiorando con la punta delle dita la superficie irregolare della sua ”opera d’arte”.
 
- Bè, come puoi immaginare l’ho realizzato in ufficio, e ho dovuto combattere con le unghie e con i denti per impedire a Gabriel di mangiarti. Meglio che mi appunti di non frappormi mai più fra Gabe e dei dolci… - commentò con aria grave Castiel - … Comunque sono stato un vero eroe, ed è riuscito solo a leccarti la faccia! - concluse entusiasta.
 
- Che… che cosa? Ma che schifo! - sbraitò Dean, disgustato, strofinandosi freneticamente la mano sui pantaloni tra le risate dei colleghi - E voi due piantatela di ridere o vi faccio deportare nella nostra sede in Siberia! - ringhiò all’indirizzo di Chuck e Garth, che intanto si erano affacciati alla soglia dell’ufficio per non perdersi nemmeno una parola e che ora si stavano silenziosamente sbellicando ai danni dell’amico.
 
- Noi non abbiamo una sede in Siberia… - gli fece ingenuamente notare Chuck.
 
Dean lo fulminò con lo sguardo, ringhiando un minaccioso “Per ora…”, prontamente interrotto da Castiel.

- Oh, Dean, su, non fare tante storie, la saliva è un potente antisettico naturale, in pratica è come se Gabe l’avesse disinfettato! Eppure con la mia, di saliva, non fai così lo schizzinoso… - mormorò, imbronciato ed allusivo allo stesso tempo, abbracciando Dean e facendolo arrossire fino alla radice dei capelli, mentre gli occhi dei colleghi si sgranavano a tal punto da rischiare di cadere fuori dalle orbite.
 
Stringendo forte Castiel tra le braccia, in modo tale da impedirgli di girarsi, intimò agli amici di sparire mimando una serie di silenziose minacce, decidendosi a lasciare la presa solo quando la porta dell’ufficio si chiuse alle spalle del redattore.
 
- Wow, tesoro, che entusiasmo… non credevo che potesse piacerti così tanto! - trillò il redattore, allegro, divincolandosi dall’abbraccio e indietreggiando un poco in modo da poter ammirare assieme il volto del quadro e l’originale in 3D.
 
- B-bè… sai… non sono un’esperto d’arte moderna ma questo è sicuramente… impressionante. - commentò Dean, a corto d’aggettivi.
 
‘Infatti fa impressione…’
 
- Ero certo che l’avresti apprezzato, sei sempre così sensibile e premuroso con me… è una delle doti che più amo di te, sai? -
 
- Ehm, ecco, a proposito di doti… stasera sei libero? - domandò, leggermente esitante.
 
- Sì, perché? -
 
- Mi farebbe molto piacere invitarti da me e cucinarti qualcosa di speciale… stasera c’è anche la partita dei Knicks, ce la godremo durante la cena, ti va l’idea? -
 
Castiel tentennò per qualche secondo.

- Da… da te? Di nuovo? - chiese, improvvisamente intimidito.
 
- Sì, certo, perché? C’è qualche problema? -
 
- No, no, assolutamente tesoro, che… ehm… che problema potrebbe mai esserci? -

‘A parte il fatto che quell’appartamento grida “sesso” da ogni angolo, con i suoi stupidi mobili in pelle, le sue stupide luci basse, la sua stupida musica e quel fottuto letto che mi fissa dal soppalco.’
 
- Perfetto, quindi passi da me alle sette e mezza? Non tardare o perderemo l’inizio della partita! -
 
- Ci sarò, non preoccuparti. - mormorò Castiel, senza enfasi, indietreggiando goffamente fino a raggiungere la porta.
 
- Non te ne pentirai, Cass… - dichiarò Dean, sfoderando un sorriso carico di promesse che diede il colpo di grazia alla già misera sicurezza del redattore.
 
- Ne… ne sono sicuro. Allora a stasera, zucchino. - mormorò quest’ultimo nel chiudere la porta ed avviarsi con aria afflitta verso gli ascensori.
 
Non attese nemmeno di essere fuori dall’edificio prima di estrarre il cellulare dalla tasca del trench e comporre in fretta un numero.
 
- Balth, sono io. - annunciò gravemente - Ordina il pranzo e chiama Gabe. Abbiamo un problema. -
 

 
Una ventina di minuti dopo, in redazione, Castiel e quelli che, in tempo di crisi, erano rapidamente stati ripromossi da vermi a migliori amici, consumavano il loro pranzo nel cubicolo di Balthazar, che tanto per cambiare era il più grande di tutto l’ufficio, oltretutto col bonus di una vera finestra.
 
Mentre Gabriel aggrediva una lasagna e Balth piluccava annoiato del sashimi, Castiel si stava sbrodolando senza ritegno con l’hamburger più farcito che mente umana possa concepire, mentre contemporaneamente tentava di spiegare ai colleghi la propria difficile situazione senza soffocare.
 
- Fammi capire Cassy, perché non credo di aver afferrato il nocciolo della questione… che c’è di male nell’invito di Dean? Avete dormito insieme e ne sei uscito indenne, che sarà mai un’innocua cenetta? Sei stato tu a dire che nutre il massimo rispetto per te, giusto? - chiese Gabriel.
 
- Temo che il tempo per il rispetto sia terminato, Gabe. - farfugliò Castiel abbacchiato, sbocconcellando una strisciolina di bacon - Quando mi ha invitato… non so… ho avuto una strana sensazione, come se questa serata fosse… una trappola. E poi nessun ragazzo si mette a cucinare per te, dopo tre o quattro appuntamenti, se non per ottenere qualcosa in cambio. Credo che voglia, come dire, concludere… -
 
- E anche se fosse? Che t’importa? - replicò il critico con noncuranza - Se lo vuole, tu daglielo. Voglio dire, anche se la sua mercanzia non è di mio gusto, devo ammettere che Dean è un bellissimo ragazzo, e mi sembra che a te piaccia no? Se non fossi interessato sarei il primo a dirti di non farlo, ma non mi pare che sia il tuo caso… -
 
- Gabe, sei utile come la gonorrea. - commentò Balthazar, sarcastico - Non capisci che è proprio perché Dean gli piace che non può farlo? -
 
- E perché? In fondo Cassy non è mica vergine! Anzi, farsi una bella scopata forse potrebbe aiutarlo a levarsi quel palo dal culo. -
 
- Santo cielo, ora capisco perché le tue relazioni non durano, Gabe! Primo: Cassy non può andarci a letto perché lo scopo del suo pezzo è farsi lasciare, quindi sarebbe controproducente ai fini dell’articolo. Secondo: sai bene com’è fatto il nostro pulcino, se mai dovesse fare sesso con Dean sarebbe una cosa epocale per lui, e dopo sono certo che soffrirebbe nel doversene sbarazzare. -
 
Castiel fece per protestare, irritato dal modo di fare degli altri due, che parlavano di lui come se nemmeno fosse presente e di Dean come se fosse un cucciolo malridotto trovato in strada, ma la testa di Pamela sbucò improvvisamente al disopra della parete divisoria, spaventandoli a morte.
La salutarono in coro, guardinghi, cercando di capire che aria tirasse e soprattutto il motivo di quell’improvvisata nel bel mezzo della pausa pranzo.
 
- Buongiorno ragazzi. E buon appetito. - salutò lei di rimando, approvando con lo sguardo solo l’ipocalorico pranzo di Balthazar - Stavo giusto cercando te, Novak. - annunciò poi.
 
Gli altri due si rilassarono visibilmente, mentre Castiel annuiva e abbozzava un sorriso a bocca piena, temendo una lavata di capo.
 
- Volevo solo dirti che mi sto davvero appassionando ai tuoi appunti, e sono certa che ne uscirà un pezzo favoloso. Come procede la tua ricerca? - domandò la donna.
 
- Uhm.. ‘ene. - replicò il redattore, nel vano tentativo di deglutire tutto intero un enorme pezzo di panino -‘Hasera ciono ‘nvitato da hui. A ‘scena. ‘Hucineà pemmè. - annunciò fiero, cercando di darsi un tono e di non sputacchiare in giro.
 
- Oh, perfetto! Sai, non vedo l’ora di leggere il resoconto che farai domani… ora però mi attendono i grafici, vi saluto ragazzi. - mormorò, prima di eclissarsi.
 
- Wow. - commentò Gabriel, riprendendo a mangiare - Mi ha fatto quasi andare di traverso il pranzo. Riesce ogni volta a terrorizzarmi, con quel suo vizio di comparire all’improvviso come un ninjia. -
 
- Sì, è vero. - ridacchiò Castiel - Detesto quando lo fa. -
 
- Vi ho sentiti. - sibilò Pamela in tono severo, facendo di nuovo capolino dal  separè e regalando ai tre amici il secondo infarto nel giro di cinque minuti, per rivolgersi poi a Castiel, che aveva la bocca piena all’inverosimile ed un enorme sbaffo di maionese sulla guancia, con aria critica - Quanto a te, Novak… stasera ti consiglierei di fare bocconi più piccoli. - suggerì sarcastica, prima di sparire di nuovo.
 

 
Quella stessa sera, alle sette e venti, un redattore piuttosto nervoso bussò alla porta di Dean Winchester con uno scatolone fra le mani, accolto da una voce attutita proveniente dall’interno che lo informava che era aperto e che poteva entrare.

Castiel fece come suggerito, e una volta dentro posò per qualche istante la scatola sul tavolino all’ingresso, cercando con lo sguardo Dean, che si sporse dal muretto divisorio della cucina con un gran sorriso.

Lo salutò timidamente, un po’ sulle spine.
 
- Ehi Cass! Scusa se non vengo a salutarti, ma ho letteralmente le mani in pasta… - spiegò allegro, alzando una mano sporca di qualcosa che l’altro non riuscì ad identificare - Finisco di preparare qui e controllo il forno, dammi dieci minuti e sarò a tua completa disposizione. Intanto accomodati, fai come fossi a casa tua! -
 
- Oh, non preoccuparti Dean, lo farò! - replicò Castiel, che non aspettava altro, recuperando la scatola e prendendo un lungo respiro per farsi coraggio.
 
Evitando di soffermarsi ad ammirare la tavola apparecchiata con cura, con tanto di candele, che faceva bella mostra di sé in soggiorno, fece il più rapidamente possibile il giro della casa, disseminando ovunque ciò che Balthazar e Gabriel gli avevano procurato: in bagno sostituì i sobri asciugamani di Dean con una coppia di spugne rosa LUI & LUI, stipando il mobiletto sopra il lavabo di discutibili prodotti per l’igiene personale e fissando in fretta e furia una tenda di perline in corrispondenza della porta [5].
In camera da letto staccò un quadro dalla parete, appendendo al suo posto un ridicolo ed ingombrante ricamo “Homo sweet Homo” che Gabe aveva ordinato su Puntocrocesovversivo.net, posando poi al centro del grande matrimoniale due conigli di peluche abbracciati.
Per completare la propria opera fece frettolosamente ritorno in soggiorno, dove drappeggiò sul divano una vezzosa coperta all’uncinetto e accese un incenso nauseabondo che rese l’aria irrespirabile in tre secondi netti.
 
‘Giusto in tempo…’ constatò, imponendosi di non tossire, osservando Dean arrivare dalla cucina reggendo due piatti colmi di cibo.
 
- Che… che cos’è questa puzza? - chiese questi, inchiodando nel bel mezzo della stanza e annusando l’aria con espressione nauseata.
 
- Oh, questo è… incenso. L’ho portato io per… uh… creare l’atmosfera. - spiegò Castiel, cercando di respirare con la bocca.

- L’atmosfera di Chernobyl? - si lasciò sfuggire l’altro, un po’ più bruscamente di quanto intendesse.
 
‘Dio, ti prego, non farmi morire ora, o sulla mia lapide scriveranno «Qui giace Dean Patchouli Winchester»!’ pregò fra sé e sé.
 
- Non… non ti piace? - mormorò Castiel, sfoderando l’espressione da cucciolo che Dean, almeno fino a quel momento, era stato fermamente convinto essere di esclusivo appannaggio del fratello.
 
Goffamente, cercò di rimediare al proprio infelice commento.

- Oh, oh no, no Cass! Mi sono espresso male! - esclamò posando rapidamente i piatti sul tavolo per raggiungere Castiel e abbracciarlo - Volevo dire che… sai, tra il fumo delle candele, l’incenso e l’odore di cibo, rischio di non poter sentire l’unico profumo che mi piace veramente… il tuo… - sussurrò piano, affondando il viso nel collo dell’altro e posandovi le labbra, inspirando ad occhi chiusi.
 
Il redattore, che si era lasciato abbracciare ma senza ricambiare, istintivamente circondò a propria volta il corpo di Dean, stringendolo forte e godendosi qualche secondo di beatitudine, prima di farsi forza e sciogliere l’abbraccio, mormorando in tono mite “Va bene, spegniamolo”.
 
Dopo aver portato il piattino con l’incenso in cucina e averlo passato sotto il getto del lavandino per debellare il fetore, Castiel tornò da Dean, che gli scostò la sedia e lo aiutò ad accomodarsi come un vero cavaliere.
 
- Allora, Cass, ho passato quasi due ore a cucinare, ma credo che ne sia valsa la pena. - annunciò, posando teatralmente il piatto davanti a Castiel - Ecco qui: hamburger di carne Kobe tritata personalmente al coltello dal sottoscritto e cotta al sangue, condita con Fleur de Sel e senape di Digione, accompagnato da pane francese, anelli di cipolla caramellata, uovo in camicia e patate al forno! - proseguì, elencando con orgoglio ogni ingrediente del capolavoro che aveva messo insieme con tanta cura.
 
Castiel deglutì, di fronte al paradiso di qualsiasi carnivoro.

Carne Kobe.
 
Ne aveva solamente sentito parlare da Gabe, che ne decantava l’incomparabile sapore e morbidezza nella sua rubrica, ed erano mesi che aspettava - invano - d’imbucarsi ad una delle prestigiose cene a cui spesso l’amico veniva invitato, per assaggiare una tale rara squisitezza.
Ormai si era arreso, arrivando quasi al punto di considerarla una leggenda metropolitana, e invece… eccola qui.
Ora.
Proprio sotto il suo naso.
 
- Non posso mangiarlo. - dichiarò con la morte nel cuore, facendosi forza e allontanando da sé il piatto che spandeva nell’aria un profumino celestiale.
 
Il suo stomaco, per rappresaglia, brontolò sonoramente.
 
- Che… che cosa? - chiese sbalordito Dean.

- Non posso mangiarlo. - ripeté - Sono vegetariano Dean, non potrei mai gustarmi la cena sapendo che le mie mani sono lorde del sangue di qualche povero animale innocente. Questo hamburger è… è chiaramente un abominio [6]. - aggiunse poi con le lacrime agli occhi, lacrime che Dean interpretò come sincero dispiacere per il manzo che si era sacrificato per la causa, mentre in realtà erano di pura disperazione per l’occasione mancata.
 
- Oh, bè ma… magari questo vitello non è stato ammazzato, magari si è… uhm… suicidato? - azzardò Dean, piuttosto restio all’idea di vedere sprecata una tale meraviglia, guadagnandosi un’occhiataccia e cambiando velocemente registro - Cass, mi dispiace, non immaginavo… cioè, non mi avevi mai detto d’essere vegetariano! - mormorò quindi, a propria discolpa - E poi, perdonami, ma nella torta che abbiamo mangiato da Missouri c’erano le uova, e anche il latte… - osservò giustamente.
 
Colto in flagrante, Castiel improvvisò, sperando di non tradirsi arrossendo.
 
- Dunque, bé… non sono proprio… del tutto… rigidamente… cioè, in pratica non mangio roba che ha… un…un muso, ecco. -
 
- Un… muso? - gli fece eco l’altro, come se ripetendole le parole di Castiel acquisissero improvvisamente un qualche tipo di logica - Nemmeno il pesce? -
 
Il redattore, di fronte alla prospettiva di altri sette giorni di erba, semini e soia, capitolò.
 
- Il pesce… ehm, sì. Il pesce sì. Non mangio animali con il muso carino… - borbottò, messo alle strette.
 
‘Dio Cass, questa era davvero gay…’
 
- … E infatti non mangio i delfini. - dichiarò poi, solenne, per dare enfasi alle proprie affermazioni.
 
- Nessuno mangia i delfini, Cass. - replicò Dean, asciutto.
 
- Ah. Bé, ma io non li mangerei nemmeno se fossero buonissimi! -
 
Dean si stropicciò gli occhi, passandosi stancamente una mano sul viso.
 
- Quindi… ora che facciamo? - chiese - Non ho praticamente altro in casa, ceno quasi sempre fuori… vuoi ordinare una pizza? Non dovrebbe metterci molto… -
 
- No la pizza non mi va… usciamo, so io dove andare! -
 
- Ma… la partita sta per cominc… - replicò Dean senza pensare, bloccandosi immediatamente nell’incontrare lo sguardo omicida del compagno.
 
L’altro si avvicinò fino ad arrivargli ad un palmo dal naso, le mani piantate sui fianchi.
 
- Dean Winchester, devo forse arguire che il mio fidanzato antepone una partita di basket ad una romantica cena con me? - sibilò, fulminandolo con gli occhi e tremando di sdegno.
 
- N-no… certo che no, Cass! - balbettò Dean, sulla difensiva - Registrerò la partita e la guarderemo insieme al nostro ritorno, che ne dici? -
 
- Prendi la giacca. - ordinò Castiel, voltandogli le spalle e dirigendosi verso la porta.
 
Venti minuti dopo erano seduti a un piccolo tavolo da “Tofu or not Tofu”, di Tran e figlio, attività che la signora Tran, una minuscola e decisamente energica donna coreana, mandava avanti con efficienza tutta asiatica e il piglio di un generale tedesco.
 
- Sai che questo, secondo la rubrica dei ristoranti del Times, è il miglior ristorante macrobiotico-fusion della città? - esordì Castiel in tono allegro, sbirciando il compagno che scrutava perplesso il menù.
 
- Non avevo alcun dubbio… leggi qui che piatti… insalata di bulgur con spezzatino di seitan… non potevano darci un menù che fosse scritto in inglese, invece che in tailandese? -

- Coreano, Dean. - lo corresse il redattore - E comunque il nostro menù è in inglese. -
 
- Ah. - commentò atono l’altro tentando di indovinare cosa, all’interno di quell’enigmatico elenco, potesse rivelarsi commestibile.
 
- Cosa prendi? Io credò opterò per della tapioca con germogli di felce e zenzero, sembra ottimo! -
 
Dean, che ignorava sia cosa fosse la tapioca sia che le felci si potessero mangiare, si orientò su un più prudente tofu veggie burger, sperando che assomigliasse anche solo vagamente a del cibo vero.
 
Quando un adolescente di nome Kevin, o almeno così recitava la targhetta sulla sua maglia, posò le loro ordinazioni sul tavolo, Castiel si pentì immediatamente della propria scelta: la tapioca si rivelò un’orrenda pappetta vischiosa piena di grumi, i germogli di felce sembravano bizzarre chiocciole di un verde accecante e lo zenzero rendeva il tutto piccante senza però riuscire a renderlo buono. Sconsolato, osservò di sottecchi Dean che assaggiava guardingo il proprio panino, decidendo poi di prenderne un secondo morso, pur senza mostrare eccessivo entusiasmo.
 
- Com’è? - domandò il redattore, sperando che l’altro glielo facesse assaggiare, cincischiando con la forchetta e spostando da una parte all’altra della ciotola le felci, o qualsiasi cosa fossero gli ignobili cosi verdolini che spacciavano per tali.
 
Dean fece spallucce, a bocca piena.
 
- Mh… ho mangiato di meglio, ma almeno non sa di cartone. - commentò rassegnato, senza accennare a voler offrire a Castiel un boccone - Il tuo com’è? -
 
- Oh, è… uhm, interessante. - replicò l’altro, desiderando solo teletrasportarsi al Burger King lì all’angolo e continuando a giocherellare col cibo - Ne vuoi un po’? - offrì poi, sperando di sbolognare parte dell’intruglio al compagno.
 
- Senza offesa Cass ma… no, grazie. Non ha l’aria molto appetitosa… -
 
- Dici? Ti assicuro che è davvero… particolare… e poi ho letto da qualche parte che la tapioca aiuta a bruciare i grassi - mentì, senza osare buttar giù un altro boccone.
 
- Perché, credi di averne bisogno? - domandò l’altro, facendo scorrere lo sguardo sul compagno con un risolino divertito.
 
Visto che nulla sembrava scalfire la granitica pazienza di Dean, Castiel decise, con un sospiro rassegnato, che era giunto il momento di toccare il fondo dell’autodegradazione.
E della checcaggine.
 
- Io no, ma… evidentemente tu sì. - replicò gelido - Come… come puoi dirmi una cosa del genere proprio mentre siamo a cena? Basta, non posso più mangiare di fronte a te! - continuò poi con voce tremula, lasciando cadere la forchetta nella ciotola con un tintinnio abbastanza forte da far voltare tutti i clienti nel raggio di tre metri (ed una certa soddisfazione per essersi sbarazzato dell’orrido intruglio), per poi alzarsi con foga ed iniziare ad allontanarsi.
 
- Ma… ma io non… non ho affatto detto… Cass, dove vai? - balbettò Dean, disorientato, accennando a seguirlo.
 
- Vado in bagno, non credo di sentirmi bene, e tu sei pregato di lasciarmi solo! Sei cattivo Dean, sei cattivo a dirmi che sono grasso! - disse l’altro in tono melodrammatico, a voce abbastanza alta da farsi sentire da mezzo locale, prima di voltarsi e sparire in un corridoio.
 
La signora Tran, che aveva preso ad aggirarsi dalle loro parti dopo aver notato che Castiel non aveva praticamente toccato cibo, scoccò a Dean un’occhiata di severa e totale disapprovazione.
 
- Ma io… non gli ho detto… io non… - cercò di giustificarsi Dean, chinando la testa sul proprio piatto e decidendo di lasciar perdere quando, dopo essersi guardato attorno in cerca di supporto morale da parte degli altri clienti, incontrò solo sguardi ostili.
 
Frattanto Castiel, invece di recarsi in bagno, si era infilato di soppiatto nelle cucine, da cui aveva sentito provenire commenti concitati riguardanti la partita. Effettivamente, tutti quelli che in quel momento non erano occupati a cucinare erano riuniti davanti ad un minuscolo televisore, piazzato su una mensola, cenando in piedi con avanzi e cartocci del fast food e facendo rumorosamente il tifo.
Unitosi a loro e fatta velocemente amicizia con un lavapiatti messicano di nome Ramon, che divise con lui un untissimo burrito al chili, Castiel fece giusto in tempo a vedere il playmaker dei Knicks sbagliare clamorosamente un tiro da tre punti appena prima dello scadere del tempo, perdendo così l’incontro per un soffio e scatenando un coro di proteste nella cucina sovraffollata.
Avvilito, diede al proprio nuovo amico una pacca sulla spalla biascicando qualcosa tipo “Sarà per la prossima volta, Ramon” e tornò da Dean, che cominciava a dare segni di nervosismo a causa della sua prolungata assenza.
 
- Cass, stai bene? - domandò preoccupato, una volta che l’altro si fu riaccomodato al proprio posto - Sei stato via parecchio, e sembri piuttosto accaldato… - osservò, notando le guance arrossate e la fronte imperlata di sudore del redattore.
 
Naturalmente Castiel non poteva confessare d’essere in quello stato a causa del piccantissimo chili che aveva ingollato di straforo e del tifo indiavolato che aveva fatto con gli inservienti in cucina.
 
- Sì, io… non mi sentivo molto bene, forse mi ha fatto male qualcosa che ho mangiato a pranzo, sai credo di avere una mezza indigestione… - buttò lì.
 
- Quindi non vuoi finire il tuo piatto? - chiese l’altro, indicando con un cenno la ciotola di tapioca ormai fredda, che assumeva un’aria sempre più disgustosa ad ogni istante che passava.
 
- Ehm, no, credo che sia meglio che lasci perdere. - replicò Castiel, sospirando sollevato quando Kevin portò finalmente via quella sbobba nauseante.
 
- Senti Cass, a proposito di prima… - iniziò col dire Dean, cercando di trovare le parole giuste per rientrare in modalità Principe Azzurro e recuperare almeno parte di quella disastrosa serata.
 
- Non dire niente amore, credo di essermela presa un po’ troppo, forse ho reagito male a causa della nausea. Non devi dire niente, io ti perdono. - mormorò, magnanimo, stringendogli affettuosamente la mano.
 
- Ah. Ti ringrazio… sei molto… molto comprensivo con me, Cass. -
 
- Non dire sciocchezze, Dean, so bene che non diresti mai intenzionalmente qualcosa che potesse ferirmi. - dichiarò l’altro, fissandolo con uno sguardo tanto limpido e fiducioso da farlo sentire un verme - Vuoi ordinare qualcos’altro? Ho la sensazione che tu abbia ancora fame… - insinuò poi con una risatina, notando che Dean aveva fatto piazza pulita del cestino del pane e di tutto ciò che di commestibile era stato portato al loro tavolo.
 
Dean accettò con entusiasmo la proposta e quella, almeno per lui, fu l’unica parte veramente piacevole di quella cena disgustosa: Castiel non prese nulla, nonostante il suo stomaco brontolasse sempre più forte, per continuare con la farsa dell’indigestione, mentre Dean scelse una torta di mele biologiche con cannella di chissà dove e gelato di chissà cosa che si rivelò, del tutto imprevedibilmente, strepitosa.
 
- Avevi ragione Cass, qui si mangia davvero bene… - mormorò soddisfatto, dopo averne preso un paio di bocconi e aver assunto un’espressione beata - Non dirlo a Missouri, ma questa torta è buona quasi quanto la sua! -
 
Castiel ridacchiò, promettendo di portarsi il segreto nella tomba.
 
- Sei sicuro di non volerne? - domandò l’altro, pescando dal proprio piatto una generosa porzione di dolce ricoperto di gelato direttamente con le dita e sventolandogliela davanti al viso - Qualche briciola non ti ucciderà, coraggio, devi assolutamente assaggiarla… - mormorò in tono persuasivo avvicinando la mano alle labbra del redattore, che si aprirono spontaneamente senza che se ne rendesse nemmeno conto, permettendo a Dean di imboccarlo con quella delizia e compiere così uno dei gesti più incredibilmente sensuali che Castiel avesse mai sperimentato, ritrovandosi a deglutire a fatica sia la torta che un mostruoso groppo d’eccitazione.
 
- Dio, potrei buttarne giù altre quattro fette… che ne dici, ce ne facciamo incartare un po’ per gustarcela durante la partita? - chiese l’altro con un sorriso entusiasta, rompendo l’incanto.
 
Il redattore, riavendosi dalle proprie fantasie, non poté far altro che annuire, un po’ perché l’atteggiamento infantile di Dean era adorabile e un po’ perché sì, insomma… aveva fame.
 
Sulla via del ritorno, camminando tanto vicini da sfiorarsi ad ogni passo, Castiel voltò leggermente il viso, osservando di sottecchi il compagno che gongolava con il suo cartoccio tiepido tra le mani come se custodisse un minuscolo tesoro, sorridendo intenerito di fronte a tanta disarmante spensieratezza e reprimendo l’istinto di abbracciarlo così forte da stritolarlo.
 
Naturalmente Dean scelse proprio quell’istante per sollevare lo sguardo, sorprendendolo a fissarlo con un’espressione ebete che non riuscì a mascherare in tempo.
 
Rallentando gradualmente il passo fino a fermarsi, trattenne gentilmente Castiel afferrando un lembo del trench, facendolo voltare dalla propria parte. Il sorriso spontaneo di poco prima aleggiava ancora sul suo volto, quando prese gli il mento tra due dita della mano libera, posando il pollice sul labbro inferiore e premendo leggermente.
 
- Sono… sono sporco di gelato? - balbettò piano Castiel, ripensando all’identico gesto compiuto solo – santo cielo, erano davvero passati solo tre giorni? Il pensiero di Dean sembrava aver letteralmente saturato ogni singolo momento delle sue giornate, dilatando il tempo all’infinito – tre giorni prima da Missouri.
 
- No… - rispose sommessamente Dean, guidando le sue labbra sulle proprie per un bacio lento, dolce, senza secondi fini, proprio lì in mezzo alla strada, con i passanti che li schivavano divertiti e forse un po’ invidiosi.
 
Castiel da principio avvertì solo zucchero e un vago retrogusto di cannella, mentre la lingua di Dean lo sfiorava delicata, ma dopo poco si sciolse letteralmente contro di lui, perdendosi, fino a quando una bolla di calore si irradiò dal suo petto fino al cervello, scaricandovi una tonnellata di endorfine e facendogli rizzare i capelli sulla nuca.
 
Aveva dimenticato.
A causa delle sue poche e deludenti esperienze passate, aveva completamente dimenticato com’era baciarsi solo per il gusto di farlo e non come un fine per arrivare al sesso, in mezzo alla strada come due adolescenti… e ora Dean lo stava baciando così, solo perché era felice.
Perché era felice di tornare a casa con un po’ di torta fatta con mele di contrabbando, dopo aver passato una serata di merda a causa sua.
 
Una cosa così sciocca e dolce.
 
Fu quello l’esatto momento in cui il nome di Dean s’impresse come un sigillo sul cuore di Castiel.

Perché il pubblicitario sapeva essere incredibilmente malizioso a volte, ed era eccitante e divertente, certo, ma era questo, questo aspetto di lui che Castiel davvero amava.
 
Istintivamente si aggrappò al bavero della sua giacca, indietreggiando di qualche passo e trascinandoselo dietro fino ad appoggiarsi con la schiena al muro di un palazzo, senza smettere di baciarlo per paura che l’altro potesse interpretare la cosa come l’ennesimo rifiuto.
 Circondò il suo viso con le mani, lasciandole scivolare sulla nuca e tra i capelli per attirarlo più vicino, dimenticando ogni cosa: c’era solo Dean, che gli sfiorava le labbra, le palpebre, il collo, sussurrando ogni tanto il suo nome in una specie d’ipnotica litania che Castiel desiderò poter ascoltare per sempre.
 
Si baciarono a ridosso di quel muro per un tempo indefinito, e quando infine si staccarono, entrambi senza fiato, il redattore ridacchiò ad occhi bassi, inspiegabilmente nervoso.
 
- Wow… certo che doveva essere davvero buona, quella torta… - mormorò, emozionato come una ragazzina, cercando di tornare a respirare normalmente.
 
Dean l’osservò per qualche istante, senza trovare in lui alcuna traccia del ragazzo sfrontato che gli aveva succhiato le dita in un cinema, quindi si avvicinò nuovamente, accostandosi al suo orecchio.
 
- Andiamo Cass… sai perfettamente che l’unica cosa che vorrei mettere sotto i denti, stasera, non è certo la torta… - sussurrò mordendogli delicatamente il collo, con una voce tanto bassa e calda da far piegare le ginocchia del redattore, che nonostante la luce fioca proveniente dai lampioni arrossì visibilmente.
 
- Dean, io… - farfugliò, cercando di trovare qualcosa, qualsiasi cosa di plausibile da dire.
 
- Lo so Cass, so che non sei pronto. - replicò l’altro, pacato, senza la minima traccia di rimprovero nella voce - Solo… lasciami sognare, ok? - aggiunse con un sorriso dolce, prima di prendere la mano di Castiel ed avviarsi verso casa.
 

 
Rientrati nell’appartamento avvolto dalla penombra, entrambi evitarono con lo sguardo la tavola ancora imbandita, dove gli splendidi hamburger di Dean giacevano ancora, gelidi e intatti, e le candele languivano ridotte a mozziconi, preferendo dirottare la propria attenzione sul divano, su cui il padrone di casa si gettò a peso morto, recuperando il telecomando dal tavolino e deponendovi in cambio il pacchetto con la torta.
 
Dopo essersi comodamente stravaccato, Dean accese la tv in cerca della registrazione dell’incontro, invitando Castiel a fare altrettanto con un paio d’eloquenti pacche date al posto accanto al proprio, rendendosi così conto di essere seduto su una coperta sconosciuta.
Una coperta soffice e… lilla.
Tastandola con fare diffidente, indirizzò uno sguardo interrogativo verso Castiel.

- Cos’è questa? -
 
- Una coperta, Dean, mi sembrava ovvio. -
 
- Sì, cioè, volevo dire, che ci fa qui? Hai… hai freddo? -
 
- No, perché? -
 
- Se non hai freddo, perché hai portato a casa mia una coperta? - chiese ingenuamente Dean.
 
- Per abbellire il nostro nido d’amore, no? - rispose Castiel con un’alzata di spalle, come se ogni spiegazione fosse superflua, cercando di non ridere di fronte all’espressione di puro terrore che era comparsa a tempo di record sul volto di Dean - Ricordi? Quando ci siamo conosciuti hai detto che a questo posto sarebbe servita una mano più gentile, quindi… bè, eccola qui. Siccome lavori così tanto, ho pensato che quella mano potrebbe essere la mia, in modo da sollevarti da quest’incombenza. Spero ti piacciano le migliorie che ho apportato anche alle altre stanze! - annunciò entusiasta.
 
Il pubblicitario annuì meccanicamente, cercando di sorridere senza sembrare il pupazzo di un ventriloquo e di non pensare a quali orrori potessero celarsi al di là del soggiorno. 
 
- Ehm, grazie Cass, anche se forse mi stai viziando veramente troppo… - mormorò a denti stretti, tornando a concentrarsi sulla propria missione e ripetendo “principe azzurro” come un mantra nella propria mente - Ora… che ne pensi di guardare la partita? -
 
- Come desideri, zucchino. Vuoi che scaldi la torta? -
 
Dean, a cui si era chiuso completamente lo stomaco, scosse il capo.
 
- No, no, credo… credo di essere a posto così. Vieni qui, su. -
 
Castiel obbedì, docile, accoccolandosi sul divano accanto a lui, e Dean poté finalmente godersi sia la partita che un po’ di quiete.
La situazione, però, precipitò proprio durante gli ultimi minuti dell’incontro: i Knicks si trovavano in svantaggio di due punti rispetto agli avversari, e prima ancora che Felton effettuasse il tiro da tre che poteva garantire loro la salvezza, Castiel, evidentemente soprappensiero, se ne uscì con un quanto mai inopportuno “Maledizione, è davvero un peccato che abbia sbagliato quel tiro, eravamo a tanto così!” che, dopo l’effettivo fallimento del tiro, fece lentamente voltare Dean nella sua direzione.
 
- Ma tu… come facevi a sapere che avrebbe sbagliato? - domandò, scrutandolo serio.
 
Castiel, preso in castagna, arrossì.
 
- B-bè ma… era logico… lo sai che Felton sbaglia sempre i tiri da tre punti… - balbettò, cercando di sembrare disinvolto.
 
- E invece no, non è affatto vero, lui non sbaglia mai… - replicò Dean, sempre più sospettoso - Com’è possibile che tu lo sapessi? -
 
In un lampo di preveggenza, il redattore capì che doveva creare un diversivo, e di corsa, o Dean avrebbe mangiato la foglia.
 
‘Ed ecco che il corso d’arte drammatica ed improvvisazione teatrale acquisisce finalmente un senso…’
 
Così fece l’unica cosa che gli venne in mente.
 
Con un movimento tanto improvviso da far sobbalzare l’altro sui cuscini per la sorpresa, gli schiaffò una mano sulla coscia, voltandosi quindi a fissarlo con tutta la malizia di cui era capace.

Il pubblicitario lo fissò a propria volta sbattendo appena le palpebre, apparentemente senza capire, ma Castiel non gli diede il tempo di aprir bocca, facendo perno su quella stessa mano e scivolando giù dal divano, in ginocchio tra le sue gambe leggermente divaricate. Le sopracciglia di Dean avrebbero potuto tranquillamente toccare il soffitto, tanto era lo stupore che gli si leggeva in volto, ma continuò a rimanere in silenzio, forse provando ad intuire che piega stesse prendendo la situazione ma senza osare sperare in un risvolto interessante, visto l’esito della sera precedente.

Invece Castiel se ne uscì con un inatteso e tutt’altro che innocente “Non trovi che faccia un po’ troppo caldo, qui?”, estrapolato direttamente dai terribili porno che avevano costellato l’adolescenza di entrambi, mentre poggiava entrambe le mani sulle sue cosce e con calcolata lentezza le faceva risalire fino all’inguine, senza sfiorarlo, strisciando poi sotto la t-shirt e accarezzandogli brevemente la pelle tiepida prima di ridiscendere un poco e sollevare l’orlo della maglietta scoprendo l’addome dell’altro, che deglutì vistosamente, spiazzato da quel cambio di atteggiamento.

Castiel incrociò il suo sguardo per qualche istante, serissimo, e si prese un momento per ammirare il torace ampio e muscoloso sotto le proprie mani prima di chiudere gli occhi e posarvi le labbra, avvertendo gli addominali di Dean contrarsi sotto la pelle a quel lieve contatto e un minuscolo gemito sfuggire dalle sua gola.

Se diversivo doveva essere, a questo punto tanto valeva goderselo.
 
Con tutta calma, esplorò e baciò ogni singolo centimetro di pelle esposta: baci lenti, bagnati, a labbra socchiuse, che lasciarono una scia umida sulla pelle surriscaldata dell’altro e provocarono una serie d’inequivocabili spasmi all’interno dei suoi jeans, che iniziavano a rappresentare un serio problema.
Baci che, se erano un’anteprima del modo di fare l’amore di Castiel, non fecero che infiammare Dean, che ormai ansimava senza vergogna osservando ipnotizzato quella testa arruffata china su di sé, esattamente come nelle proprie inconfessabili fantasie.
Nel frattempo Castiel, dopo essersi dedicato con dovizia al suo ombelico, era risalito verso l’alto, sollevando ancor più la maglietta.
 
- Oh, guarda… capezzoli. Che coincidenza, ne ho due anch’io… - mormorò allusivo, mentre ne sfiorava uno con la lingua, piantandogli di nuovo addosso quegli occhi assurdi e facendolo rabbrividire - … Chissà se sono sensibili come i miei… - sussurrò poi lentamente, leccandone uno e soffiandoci sopra.

Dean si lasciò sfuggire un gemito strozzato, mentre le sue mani si tuffavano tra i capelli del giornalista, senza sapere se fosse per scostarlo o trattenerlo dov’era. Non riusciva a capire dove fosse finito il ragazzo un po’ansioso ed  insicuro, anche se dannatamente eccitante, con cui aveva fatto ritorno a casa, ma doveva ammettere che questa versione provocante e spudorata non era niente male...
 
- Cass… - una specie di ringhio a denti stretti sfuggì dalle sue labbra quando Castiel passò all’altro capezzolo, mordicchiandolo piano e leccandolo, facendo inarcare involontariamente Dean in cerca di maggior contatto o di un qualsiasi tipo di sollievo.
 
Castiel non disse nulla, si limitò a sollevare di nuovo lo sguardo su di lui e a fissarlo, labbra socchiuse e iridi scurite dal desiderio, mentre l’inconfondibile rumore di una zip che veniva abbassata risuonava nell’aria, amplificato dal silenzio, paralizzando Dean.
 
Cosa stava succedendo? Da quando aveva perso il controllo della situazione? E soprattutto, perché non gliene importava nulla? Voleva solo che Castiel non smettesse di fare quello che stava facendo, non pensare a nulla e affogare in quegli occhi blu…

‘Così blu… blu… oh, merda! Merdamerdamerda! Non blu! Azzurro!’ ricordò Dean, in uno sprazzo di lucidità a cui fece immediatamente seguito il panico ‘Questo… questo non è affatto da Principe Azzurro! Questo non è romantico, non è rispettoso, non è… merda e stramerda!’ imprecò mentalmente, sentendo già la voce afflitta di Chuck chiedergli asilo politico dopo essere stato licenziato e sfrattato.
 
Ma ogni tipo di fantasia, apocalittica o sessuale che fosse, andò in frantumi nell’istante in cui Castiel aprì bocca.
 
- Allora, Winchester… - mormorò in tono provocante, facendo uno sforzo sovrumano per non ridere  - Vediamo se là sotto nascondi veramente un fucile o una pistola ad acqua… -
 
- C-che cosa? - balbettò l’altro, smarrito.
 
- Sai come si dice, no? “Un nome, una garanzia”. - proseguì imperturbabile Castiel - Speriamo solo che la tua non sia pubblicità ingannevole… - concluse poi con un plateale sospiro, aggrappandosi all’elastico dei boxer di Dean ed iniziando ad abbassarli, mentre le mani del proprietario del sopracitati boxer si avventavano sulle sue, bloccandole.
 
- Cass, ma che…? Che stai dicendo? Anzi, che stai facendo? - farfugliò Dean, stranito.
 
Castiel parve piuttosto deluso dalla sua reazione.
 
- Ma… come? La Principessa Samantha non ha voglia di uscire a giocare? - chiese con fare ingenuo, mentre Dean serrava ancora di più la presa sulle sue mani, impedendogli d’intraprendere qualsiasi altra iniziativa che coinvolgesse la sua biancheria intima.
 
- Chi? - domandò, mentre il suo pensiero volava a Sam, che chiamava abitualmente Samantha ogni volta che litigavano o che l’altro cercava di farlo parlare dei suoi sentimenti.
 
- La Principessa Samantha… forse non ti piace? Preferisci che lo chiami in qualche altro modo? - domandò, seguendo le istruzioni di Balthazar.
 
- Ma…. ma certo che non mi piace, Cass! - sbraitò Dean, sentendosi umiliato e in imbarazzo come non mai - Come potrebbe piacermi immaginare la faccia di mio fratello sul mio… sul mio… oh, lascia stare! Devi capire che non puoi chiamare il coso di un uomo principessa! E’ svirilizzante, ed è… è una cosa che non si fa, ecco! -
 
- E come dovrei chiamarlo, allora? - domandò Castiel ad occhi sgranati.
 
- Ma che ne so… - sibilò Dean, in preda all’esasperazione - Ci vuole qualcosa di potente, di epico, che so… Brutus, Attila… - suggerì.
 
Castiel ci pensò su per qualche istante.

-Trovato! - esclamò trionfante - Lo chiamerò Torre di Babele! Eh? -
 
- La Torre di Babele è crollata, Cass. - replicò Dean, atono.
 
- Sì, però prima stava su… - argomentò l’altro con convinzione, ritraendosi leggermente di fronte all’espressione caustica del compagno - Ok, ok, capito. Che ne pensi di King of Hell? -
 
Dean annuì, suo malgrado, giusto per far finire quel degradante strazio.
 
- Va bene. King of Hell va bene. - dichiarò con un sospiro avvilito.
 
- Quindi… il re degli inferi ha voglia di venire fuori a giocare? - chiese nuovamente il redattore, rispolverando il tono seducente di poco prima e posando a tradimento le mani suoi boxer di Dean prima che lui potesse fermarlo, ritirandole però immediatamente con espressione delusa - Oh. Oh-oh. Il Re è morto… ehm, viva il Re? - ridacchiò, a disagio, accennando all’indumento non più così teso e rendendosi allo stesso tempo conto, in un cristallino e orribile momento di consapevolezza, di aver perso Dean.
 
Il quale, frattanto, aveva chiuso gli occhi, cercando di incamerare ossigeno per calmarsi.
Ormai stava diventando davvero bravo a resistere agli impulsi omicidi, avrebbero dovuto dargli un premio come mancato serial killer dell’anno.
 
- Il Re ha… momentaneamente abdicato a causa di una cocente umiliazione… - sibilò a denti stretti, osservando Castiel con astio.
 
Questi sorrise, cercando di sembrare a proprio agio, pur sapendo di aver ampiamente passato il segno.
 
- Oh. Sì, io… capisco. Bè, allora direi che per stasera non abbiamo più nulla da fare, giusto? - commentò in tono forzatamente allegro, alzandosi in tutta fretta e recuperando il trench dallo schienale del divano per poi avviarsi verso l’uscita senza dare all’altro nemmeno il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo - Chiamami! - gridò dalla soglia prima di precipitarsi all’esterno, cercando di mantenere salda la voce, certo che non avrebbe mai più risentito quella di Dean, il quale rimase sbigottito a fissare la porta per dieci minuti buoni, una volta che se ne fu andato.
 
Quando fu al sicuro in ascensore, Castiel si lasciò scivolare lungo la parete, accasciandosi sul pavimento della cabina e permettendo alle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento di cadere.
 
 
 
“No bone movies
No bone movies
No bone movies
 
I shouldn’t do it,
the guilt tells me why
I just can’t stop it,
I try and I try…”
 
 
 
 
 
[1] “No bone movies” è la traccia numero sette del primo disco solista di Ozzy Osbourne, Blizzard of Ozz, pubblicato il 20 settembre del 1980.

[2] Questa l’ho “rubata” a Jimmy Novak quando nella 4X20, “The rapture”, spiega a Dean e Sam come ci si sente ad essere il tramite di Castiel.
 
[3] Il manzo di Kobe è una particolare razza giapponese da cui si ricava della carne, pregiata e costosissima, rinomata per il suo sapore, la tenerezza e la struttura grassa e marmorizzata.
 
[4] Non ho potuto resistere. Denunciatemi. Il pannello che Castiel ha regalato a Dean è stato ispirato uno degli items che si dovevano realizzare in una delle passate edizioni di Gishwhes, la caccia al tesoro internazionale che Misha organizza da qualche anno.

 
[5] Qui c’è lo zampino di Future!Cas 2014 e del suo arredamento hippie, io non c’entro.
 
[6] In origine, la frase era riferita al povero Sam (dalla 5X17, “99 Problems”).  ^__^


NDA:
Ho freddo. Ho freddo e unicamente questo (e il sostegno morale di Aniel) mi ha permesso di rimanere in casa a finire questo lunghissimo capitolo. L'adattamento si fa man mano più difficoltoso (ammetto di aver sottostimato la cosa, inizialmente) e forse ho anche un po' di blocco dello scrittore, ma mi sto impegnando con tutta me stessa cercando di fare un buon lavoro, perciò ancora una volta ringrazio chi continua a seguire e ad apprezzare la storia nonostante gli aggiornamenti discontinui! A Natale avrete dei regali bellissimi. Vi bacio <3

 
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: vampiredrug