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Autore: holls    19/11/2013    8 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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16. Scosse di terremoto
 
 
 
17 gennaio 2005.
Sentì la palpebra calarle lentamente, mentre la voce della professoressa si faceva sempre più lontana e sommessa; somigliava in tutto e per tutto a un gas soporifero, che prima si diffonde nella stanza, poi ti circonda e infine ti cattura nella sua rete, perché non puoi far altro che inalarlo.
Almeno fino a che qualcuno non ti tira una gomitata.
Madison si rizzò di colpo e, dopo un attimo di smarrimento,  acchiappò l’evidenziatore e tornò a sottolineare frasi a caso e a prendere appunti sparsi a bordo pagina del libro di Psicologia Infantile.
Splendida materia, senz’altro, ma terribilmente noiosa.
Madison buttò un’occhiata alle lancette dell’orologio, per constatare con orrore che erano passati, sì e no, solo cinque minuti.
Abbandonò definitivamente l’idea di seguire la lezione e cercò qualcosa di più stimolante da fare. E lo trovò nelle file davanti, dove sedeva Loretta, che si pavoneggiava con le altre compagne del nuovo orologio che aveva al polso, regalo – così pareva – di un suo ammiratore segreto. Allietò poi le compagne con altri pettegolezzi su vestiti e borse, sul profumo che voleva comprarsi e altre amenità che a Madison non interessavano più di tanto.
Buttò uno sguardo fuori dalla finestra, constatando il tempo terso; poi tornò a fissare la professoressa, e si chiese quanto peggio poteva finire quella giornata.
 
Come uscì fuori, cominciò a piovere forte. E si ricordò, sbuffando, che non aveva preso l’ombrello. Alzò gli occhi verso il cielo, coperto da nubi plumbee che si estendevano fino all’orizzonte, segno che non avrebbe smesso presto. Madison si sfilò la cartella e la portò sopra la testa; fece un respiro profondo, prese la rincorsa e si buttò in mezzo alla pioggia, come un eroe in battaglia.
Sentì le gocce picchiettarle il viso e scenderle sul collo, facendola rabbrividire; il piede in una pozza, invece, contribuì a farla assomigliare sempre più a un pulcino bagnato, dato che l’acqua era penetrata fin dentro le scarpe.
Percorse tutto il cortile antistante alla porta, indugiò qualche attimo di fronte a un ingorgo di studenti e salì le scalette che l’avrebbero condotta fuori dal complesso universitario, quando le parve di sentire una voce che la chiamava. Si voltò, incurante della pioggia non appena si accorse di aver ragione.
« Ash! Che ci fai qui? »
Non sentì più le gocce colpirle il naso e quella sensazione di essere un tutt’uno con i suoi abiti cominciò a scomparire. Le bastò alzare poco poco lo sguardo per rendersi conto che Ashton la stava riparando col suo ombrello. Adesso che la pioggia non le batteva più sul corpo, provava un tremito per ogni goccia che le cadeva dalla punta dei capelli.
« Ti stavo aspettando. »
Madison sorrise con un pizzico di imbarazzo. Si liberò dal suo riparo ormai inutile e più fradicio di lei, mettendo la cartella sulla spalla. Continuò a sorridere timidamente, senza riuscire a dire una parola. Ci pensò Ashton a liberarla da quel silenzio imbarazzante.
« Be’, è un po’ che non ci vediamo e avevo voglia di chiacchierare un po’. Stavi andando a mensa? »
Madison abbozzò una risata.
« Ci provavo, sì. Vuoi venire anche tu? »
« Perché no? È tanto che non assaporo la vita universitaria. Andiamo? »
Ashton le porse il braccio, in modo che Madison potesse arreggervisi, ma la ragazza lo guardò senza capire. L’altro indicò le punte dell’ombrello sopra la testa di lei.
« Vedi, l’ombrello è piccolo, per cui se ti attacchi a me stiamo più stretti e ci ripariamo meglio. »
« Ma sono tutta fradicia. Se mi attacco a te, finirò per bagnarti. »
Ashton fece spallucce.
« Non è importante, si asciugherà. Allora, vieni? »
Ashton le porse di nuovo il braccio e, questa volta, Madison lo afferrò.
 
Dopo aver riempito il vassoio con una fetta di carne rossa e una manciata di piselli, Ashton e Madison presero posto nell’unico tavolo che non era stato ancora preso completamente d’assalto. Si sedettero all’estremità, uno di fronte all’altro. E fu in quel momento che Madison cominciò a sentirsi imbarazzata; le volte che lei e Ashton erano usciti insieme, avevano sempre bevuto un caffè o poco più.
Provò a distrarsi versando un po’ d’acqua nel bicchiere; ma, come bevve, la sua gola cominciò a emettere dei suoni strozzati, smorzati solo dalla confusione imperante. Spostò il suo sguardo verso Ashton, sperando che non se ne fosse accorto, e così pareva: stava dando infatti il suo primo morso a un pezzettino di carne, esibendo una faccia compiaciuta.
« Non è male questa roba. Pensavo molto peggio. »
Madison raccattò dal piatto una piccola forchettata di piselli.
« Non è buono come quello di casa, ma si fa mangiare, sì. »
Portò la forchetta alla bocca, ma un pisello le scivolò dalla posata: inutili i disperati tentativi di riprenderlo.
Ashton ridacchiò, mentre Madison tornò a fissare il suo piatto. Avrebbe combinato altri pasticci, proprio quando cercava di fare bella figura? Fissò il piatto, minacciando mentalmente la carne e i piselli.
« Ah, Mad! Ho la data della mostra, finalmente. »
Abbandonò il piatto per un momento. Gli occhi le si illuminarono.
« Wow, è fantastico! Quando si terrà? »
« Il ventisette febbraio, per l’esattezza. Ci saranno quattro categorie: ritratti, paesaggi, bianco e nero e ‘emozioni’. »
Madison si grattò la nuca con un dito, pensosa.
« Cosa dovrei portare esattamente per ‘emozioni’? »
« Be’, cara Madison, qualunque cosa che per te rappresenta un’emozione, direi. »
La ragazza appoggiò i gomiti sul tavolo, e posò la testa sui palmi delle mani.
« Mi mette un po’ in difficoltà questo ‘emozioni’. Cos’è che mi fa emozionare? Non lo so… »
« Non hai una passione, Madison? Qualcosa a che fare con la fotografia, per esempio. »
« Non so, non sono convinta. Forse non è l’emozione che cerco. »
Ashton provò a cercare il suo sguardo.
« Prova a vederla da un altro punto di vista. Non c’è niente a cui tieni veramente, o qualcosa che ti fa battere il cuore ogni volta che ci pensi, per dire? Ci sono molti tipi di emozione. Scegli quella che senti più tua. »
Qualche istante dopo quelle parole, Madison arrossì tutta. Ashton sorrise divertito.
« Ah, lo sapevo! Allora c’è qualcosa che fa vibrare ogni cellula del tuo corpo. Porta quello, andrà benissimo. »
Madison abbassò lo sguardo e tornò a fissare il piatto per distrarsi, senza risultato. Tentava di scacciare i pensieri concentrandosi sul cibo, ma era più il tempo che passava imbambolata che a mangiare.
Dopo un po’, provò a lasciar perdere per un po’ il cibo e fece ad Ashton la domanda che la tormentava da qualche giorno.
« Qualche giorno fa, ho sentito in tv della morte di un certo S… » Madison continuò a pronunciare quella lettera, in cerca del nome completo che non ne voleva sapere di arrivare.
« Sánchez? »
« Sì! Mi sono chiesta se per caso non fosse il maniaco, visto che avevi fatto questo nome, quella sera in auto. »
Ashton ridacchiò e scosse il capo divertito.
« La nostra piccola investigatrice! Mi complimento con te, hai indovinato. »
Madison rimase a bocca aperta e adagiò la forchetta sul bordo del piatto.
« Ma… si sa qualcosa? Chi è stato? Com’è successo? »
« Calma, calma. Sarebbe bello aver già risolto il caso, ma purtroppo non è così. Si sa molto poco, e sono tutte informazioni riservate. »
La ragazza provò a corromperlo, con un bel sorriso e lo sguardo supplichevole.
« Daaaai, ti prego, dimmi qualcosa! Avete già qualche pista? »
« Devo ammettere che i tuoi occhioni sono irresistibili. » Come terminò quella frase, sul viso di Madison si aprì un enorme sorriso eccitato. « … Ma sarà per la prossima volta. » Sorriso che si smorzò in tempo record.
« Mad, non te la prendere, ma è morta una persona. C’è un assassino a piede libero qua fuori, non è un gioco. La riservatezza non è qualcosa che puoi prendere sottogamba. E se tu fossi l’assassina e ti rivelassi, per sbaglio, la pista che stiamo seguendo? Non possiamo correre questo rischio, potrebbe costarci caro. »
Madison sorrise, provando a smorzare l’imbarazzo di quella ramanzina.
« Ma io sono innocua! Ti sembro una tipa aggressiva? »
Ashton tirò il sorriso da una parte e abbassò lo sguardo per un momento.
« Be’, in qualche momento lo sei stata. »
Il ricordo di quel pomeriggio di dicembre, quando aveva avuto uno scatto d’ira dovuto al pianoforte, le tornò alla mente e la fece vergognare talmente tanto da voler sprofondare in quella sedia; ma aveva le gambe talmente lunghe che, se l’avesse fatto davvero, si sarebbe scontrata con Ashton, e non aveva proprio bisogno di un’altra figuraccia. Così appoggiò un gomito sul tavolo e nascose il volto tra il palmo della mano e i capelli ancora umidi.
« Madison, scusa, era… era scherzoso. Non penso davvero che tu possa aver commesso un omicidio. »
Ashton ridacchiò nervoso, sperando di spezzare la tensione con quella battuta sciocca, che non diede i frutti sperati. Provò ancora a scusarsi.
« Dai, su, non volevo rivangare il passato, anche perché ormai ho già dimenticato tutto. Sul serio! »
Ma Madison era ancora rossa come un peperone e continuava a inforcare pezzi di carne già tagliata. La verità era che, osservando quella carne, sperava di trovare un modo per far passare più in fretta quella sensazione di tremendo imbarazzo.
Ma arrivò qualcos’altro ad aiutarli.
« Ehi, Mad! »
Sulle prime pensò di aver sentito male, ma quella cadenza leziosa e quella vocetta stridula non le diedero molta possibilità di scelta. Alzò lo sguardo, e davanti a lei c’era proprio Loretta, con un vassoio in mano e un sorriso più falso di una banconota da tre dollari. Si chinò per poggiare il vassoio accanto ad Ashton, e Madison notò subito che la ragazza aveva appena offerto un generoso panorama sulle sue colline.
« Posso sedermi? Disturbo? »
Ashton guardò in direzione di Madison, come per cercare la sua approvazione, ma non servì; Loretta prese posto accanto a lui, senza aspettare alcun responso.
« Wow, Madison, hai amici così e non me li presenti! Piacere, io sono Loretta. » disse, porgendo la sua mano ad Ashton, che la strinse e si ripresentò a sua volta.
« Loretta, come Loretta Lynn? »
La ragazza spalancò la bocca, sorpresa.
« O. Mio. Dio. Tu la conosci! Non mi era mai successo! Sai, i miei genitori la adorano così tanto che hanno deciso di chiamarmi come lei. »
Ashton ridacchiò.
« Anche in casa mia abbiamo avuto il “periodo Lynn”. »
Madison sbuffò nervosa, decisa a spezzare quella chiacchierata a suo parere ridicola.
« Posso sapere anch’io chi è questa tizia? »
Loretta scoppiò in una risata fragorosa, portandosi una mano davanti alla bocca.
« Scusami, Ash – posso chiamarti Ash? –, la nostra Madison a volte manca di nozioni così basilari! » Si voltò verso Madison e continuò. « Mia carissima Madison, tutti sanno che Loretta Lynn è la più famosa cantante – ma che dico, cantante? -, è l’icona della musica country negli Stati Uniti! Ma già, come puoi saperlo tu? Sempre tutta sola con i tuoi artisti ormai morti e sepolti… »
Madison era livida di rabbia. Teneva in mano la sua forchetta di plastica e pensò che sarebbe bastato davvero poco per spezzarla in due. E ripensò anche alle parole che Asthon le aveva riservato poco prima, riguardo al suo essere aggressiva.
« Be’, in qualche momento lo sei stata. »
Fece un sorriso di circostanza, pensando che in quel momento la frase poteva rivelarsi terribilmente vera.
Nella sua mente pensava e ripensava a cosa rispondere a Loretta, ma era troppo tardi; i due avevano già ripreso a conversare amabilmente, e Loretta stava ben attenta a servire il suo scollo sotto gli occhi di Ashton. Ma fu quando si accorse che lui non disdegnò, per un momento, quella visione, che la rabbia dentro di lei esplose totalmente. Si alzò di scatto e, con l’aria più mite che poteva, trovò una scusa per assentarsi.
« Vado un attimo in bagno. »
 
Si infilò dentro al bagno delle ragazze, che in quel momento era vuoto. Voleva chiudersi nel gabinetto e stare lì per sempre, ma qualcosa le fece cambiare idea. Si ritrovò davanti allo specchio e osservò la sua figura riflessa. Aveva i capelli biondi – naturali – perfettamente in ordine, il viso pulito e, soprattutto, quel golfino più accollato della veste di una suora.
Tirò un pugno allo specchio, ma non era abbastanza forte per romperlo. Le nocche della mano le facevano davvero male, così aprì un po’ d’acqua e le passò sotto il getto freddo.
Quando aveva, in un certo senso, rifiutato la corte di Ashton, forse si era immaginata che lui sarebbe rimasto lì per sempre dietro a lei, che non sarebbe mai esistita nessun’altra. E invece, quanto era stato facile distogliere la sua attenzione da lei? Loretta, pensò, ci aveva impiegato meno di un minuto. E tutto questo perché non aveva avuto il coraggio di buttarsi, di provare emozioni e sensazioni nuove quando ne aveva avuto l’opportunità.
Cominciò a rimproverarsi, a dirsi che forse aveva sbagliato, ma era tutto inutile.
Perché quando arrivi a ventitré anni e di un uomo non hai nemmeno sfiorato le labbra, non è tutto facile come si può pensare.
 
***
 
Alla fine si era chiusa nel gabinetto, e ci rimase per così tanto tempo che le sembrò davvero un’eternità. Fino a che una voce maschile non la riportò alla realtà.
« Madison? Sei qui? »
Provò a trattenere il respiro, ma qualcosa andò storto; Ashton capì subito in quale bagno si trovava, e bussò alla porta.
« Tutto bene? Posso entrare? »
« No! »
« Allora esci tu, mi stai facendo preoccupare. »
Si alzò dal gabinetto e, con la coda dell’occhio, notò un ciuffo fuori posto. Fu tentata di riordinarlo, ma si trattenne.
Girò il pomello che chiudeva la porta, la aprì e si trovò Ashton davanti a sé.
« È un quarto d’ora che sei chiusa qui dentro, lo sai? Stai poco bene? »
Madison tossicchiò, forse per simulare una malessere che non c’era. Almeno non nel corpo.
« Sì, scusa, non mi sentivo bene. »
Madison lo superò e si avviò verso l’uscita della toilette, con Ashton al suo seguito.
Si accorse che Ashton stava per dire qualcosa, ma poi emise un sospiro a vuoto.
« Dimmi. »
Lui scosse una mano.
« Niente, tranquilla. Loretta, comunque, aveva un impegno e se n’è andata. »
Come sentì quel nome, Madison sentì un fiume di rabbia risalirle nel petto, ma si trattenne. Ashton le parlò di nuovo.
« Ma è veramente una tua amica? »
Madison si voltò accigliata.
« Secondo te? Comunque, se ti interessa, penso che tu possa chiedere a ogni maschio di questa mensa. »
Ashton ridacchiò divertito.
« Sei veramente buffa, Madison. »
La ragazza fece finta di non sentire, non sapendo se interpretare quella battuta come un complimento o meno. All’improvviso, Ashton le mise un braccio intorno al collo. Sussultò lievemente.
« Senti, devo andare, tra poco mi ricomincia il turno. »
Madison si limitò ad annuire.
« A presto, allora. Ah, Madison…! »
Il ragazzo si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò qualcosa.
« Sei carina, gelosa. »
Madison diventò porpora ed ebbe giusto le facoltà per salutarlo mentre si allontanava.
Forse non tutto era perduto.
 
***
 
Era rimasta in biblioteca fino alle sette di sera, troppo svampita per poter studiare alcunché.
La frase di Ashton l’aveva mandata al settimo cielo. Non perché le avesse detto chissà che, ma perché ormai si era data definitivamente per vinta, mentre quella frase l’aveva rimessa in gioco. O, almeno, era quello che sperava.
Scese dalla metro, e le sembrò quasi che non ci fosse nessuno a spintonarla e nemmeno nessun ubriaco dall’alito mefitico. Quel sorriso un po’ ebete le si era stampato sul volto e non c’era nessuno in grado di strapparglielo via.
Rientrò in casa e, con sua sorpresa e stupore, i suoi genitori erano ritti in piedi, ad aspettarla, in mezzo alla hall. Da un lato c’era anche Claire, che però non sembrava sorridere compiaciuta come i suoi genitori. Si avviò verso di loro con aria interrogativa, sfilandosi la cartella e poggiandola in un angolo. Claire arrivò subito a portarla via e uscì dal salotto con altrettanta rapidità; la cosa non le piacque.
« È successo… qualcosa? »
Sua madre si avvicinò a lei, con un sorriso fiero; le poggiò le mani sulle spalle e le parlò guardandola fissa negli occhi.
« Tesoro, io e tuo padre siamo lieti di annunciarti che, il ventisette febbraio, terrai il tuo primo concerto! »
Madison rimase spaesata. Avevano detto proprio ‘ventisette febbraio’.
« Mamma, di cosa stai parlando? »
« Sarà il tuo debutto ufficiale come pianista. Un po’ in ritardo rispetto agli altri, ma sono comunque orgogliosa di te, cara. »
Madison incespicò un po’ nel trovare le parole. Quel giorno ci sarebbe stata anche la mostra!
« Aspettate un momento! Quando avreste deciso tutto questo? E il mio parere? »
Sua madre le mise ancora le mani sulle spalle.
« Tesoro, se avessimo aspettato te non avremmo mai avuto alcuna occasione. Invece ho colto l’opportunità al posto tuo, così finalmente potrai mostrare al pubblico la tua bravura. »
Madison spalancò gli occhi, incredula, senza sapere cosa dire.
« Papà! Di’ qualcosa, ti prego! Perché non mi avete aspettato per una simile decisione? Perché non avete chiesto il mio parere? »
L’uomo non ebbe il tempo di rispondere, che sua madre riprese subito la parola.
« Madison, tesoro, non c’è nulla di male ad aver deciso per te. Visto che tu non volevi farlo, ci abbiamo pensato noi. »
Sua madre provò ancora ad afferrarle le spalle, ma Madison la scacciò via.
« Non hai mai pensato che forse, se non volevo farlo, un motivo c’era? Ma tanto, vero, che potere può avere la piccola Madison? Tanto io non capisco nulla, vero? Sono una bambina, no? Che cosa ne capisco, io! »
Con le lacrime trattenute a stento, Madison aprì la porta di casa e, senza nemmeno richiuderla, scappò via.
 
Pensò inizialmente di scappare a piedi, ma non la trovò una grande soluzione: l’avrebbero trovata presto. Diresse invece i suoi passi verso la stazione della metro, ringraziando il fatto di tenere sempre il portadocumenti e il telefono nelle tasche del cappotto. Controllò lo schermo e cercò la linea che sarebbe passata per prima. Si indirizzò verso i binari, arrivando insieme alla vettura, sulla quale salì.
Si sedette sul primo posto libero che trovò e ne approfittò per calmare la mente e le emozioni. Era ormai tardi, la sera stava calando e lei non aveva un posto dove andare.
La prima persona a cui pensò fu Jack. E un po’ di malinconia l’avvolse, perché quel ragazzo lo sentiva sempre più distante. Erano lontani i tempi dove si confidavano ogni loro problema e scoperta, dato che, in quegli ultimi tempi, Jack non sembrava avere voglia di raccontarle le sue difficoltà. E poi, pensò, se fosse andata da Jack l’avrebbero rintracciata senza problemi: era uno dei pochi amici che aveva.
E poi, certo, c’era lui.
Ashton.
Il solo pensare al suo nome le faceva battere il cuore, soprattutto ripensando a quello che era accaduto e a ciò che le aveva sussurrato nell’orecchio.
L’unica persona a conoscenza di Ashton era Claire, ma sperò con tutto il cuore che se ne fosse dimenticata. Pensò sempre più seriamente all’ipotesi di chiamarlo, ma cosa gli avrebbe detto?
Le vennero in mente le scuse più improbabili, ma alla fine optò per la verità in pillole.
Scese dalla metro non appena ebbe la frase in testa, ignara di dove fosse.
Compose il numero di Ashton – si ritrovò a ringraziare chiunque avesse dato ad Ashton il suo -, e aspettò che rispondesse.
« Ehi, ciao, sono Madison. »
Dall’altro capo seguì un momento di silenzio: Ashton era evidentemente spiazzato.
« Madison, sì, dimmi tutto. »
La ragazza fece un respiro profondo. Quella era la sua unica speranza: se Ashton avesse rifiutato o avesse avuto qualche impegno, sarebbe dovuta tornare a casa ad affrontare i suoi genitori, e non era certo quello che voleva.
« Avrei bisogno di un posto dove stare questa notte. »
Ashton rimase ammutolito ancora una volta. Se non fosse stato per i rumori di sottofondo, Madison avrebbe perfino pensato che fosse caduta la comunicazione.
« Be’, è un po’ improvviso, così su due piedi… »
« Ti prego! Non darò fastidio, lo prometto, è solo per questa notte. »
Per la verità, Madison si augurò che fosse per molto di più, ma ritenne più intelligente omettere quel piccolo dettaglio.
« Sì, ma che succede? Perché non puoi tornare a casa? »
« Ho litigato con i miei genitori. Ti prego, Ash, non voglio tornare laggiù. È solo per questa notte, davvero. »
Ancora un altro silenzio dall’altra parte. Madison incrociò le dita e strizzò gli occhi, invocando una preghiera a un dio qualunque.
« … E va bene. Dove sei adesso? »
Madison indietreggiò di qualche passo, tanto quanto bastava per poter leggere il nome della fermata per intero.
« Sono a Central Park North. »
« Va bene, aspettami lì, passo io. »
« No! Posso venire anche da sola, dimmi dove abiti. »
« Madison, per favore, non puntare i piedi. Passo io. A dopo. »
Come ebbe riattaccato, sentì una moltitudine di sentimenti correrle dentro. Era felice che Ashton avesse accettato, ma quell’ultima frase, quel “non puntare i piedi”, sembrava il rimprovero di un adulto stizzito di fronte a una bambina capricciosa. Ed ecco che si ritrovò ad appiccicare a se stessa, ancora una volta, quel sostantivo. Bambina.
Come poteva spiegare al mondo che una bambina non era? Che era in grado di pensare e decidere come tutti, ma che le mancava semplicemente l’occasione di dimostrarlo?
Si sedette, malinconica, sulla sedia in plastica sotto il grande cartello che riportava il nome della stazione, aspettando, un po’ annoiata e un po’ determinata, che il suo principe azzurro venisse a salvarla.
 
Ashton non si fece attendere troppo. Come Madison entrò in auto, capì che era appena uscito da lavoro, poiché indossava ancora la divisa. Si salutarono appena. La macchina ripartì nel più innaturale dei silenzi, riempito solo dal clacson di auto impazienti e dalla radio un po’ troppo alta delle macchine accanto.
« Non sei scappata tanto lontano. »
Madison era sul punto di piangere. Sia perché aveva litigato con i suoi genitori e si ritrovava, in quel momento, completamente sola, sia perché Ashton sembrava prendere la sua fuga con molta leggerezza.
« Non sono scappata. Ho solo bisogno di stare da sola per un po’. »
« Vuoi stare sola, però mi chiami perché non sai dove passare la notte. »
Madison esplose. Provò prima a voltarsi verso la strada, cercando di non farsi vedere; ma quando le fu impossibile nascondere il pianto, lasciò andare tutta la tensione che aveva accumulato quel giorno e un pizzico di quella che portava sulle spalle da tanti anni.
« Mad, scusa, non volevo. »
Sempre a ‘non volere’, tu, avrebbe voluto rispondergli, ma si zittì. Ci mancava solo che si mettesse a litigare anche con Ashton.
Lui, intanto aveva accostato la macchina in un passo carrabile. La osservò singhiozzare per un po’; poi spense la macchina, si avvicinò a lei e la tirò a sé.
Accolse in quell’abbraccio tutte le sue lacrime, accarezzandole la schiena nel tentativo di consolarla.
« Scusami, davvero. A volte sono acido. »
Madison sembrò non ascoltarlo, continuando a piangere, con i pugni chiusi sul suo petto.
« Ti ospito volentieri, stasera. Scusa. »
Quelle parole sembrarono calmarla, almeno in parte. Ashton afferrò una ciocca di capelli fuori posto, e provò a metterla dietro l’orecchio, nel tentativo di darle ordine.
« Lasciala lì. »
« Ma sarai tutta spettinata, sennò. »
Madison si staccò dal corpo di Ashton, e lo fissò con quegli occhi così gonfi e rossi.
« Meglio così. »
Detto questo, si ricompose e tornò a guardare il finestrino. Ashton rimise in moto la macchina e diede un’occhiata allo specchietto sinistro.
« A me piaci di più tutta ordinata. »
Madison continuò a guardare la città che le scorreva sotto gli occhi, con un timido sorriso.
Che Ashton non poteva vedere.
 
***
 
L’appartamento di Ashton era piccolo ma molto personale. C’erano le ciabatte perfettamente disposte ai piedi del divano, un mucchio di scartoffie allineate sul tavolo e, in quello che le parve lo studio, una serie di foto, forse di criminali, appese a un filo di canapa con una serie di mollette, proprio come aveva visto nei film. Non era quella che si poteva definire una casa ordinata, tuttavia lo era nel suo disordine.
« Mi piace la tua casa. »
Ashton si affacciò dalla cucina.
« Ne sono contento. Senti, per cena ci sono gli avanzi di ieri, ti va bene lo stesso o ti cucino qualcosa? »
Ashton le mostrò un contenitore con un po’ di arista a fette, e un altro pieno di patate.
Madison si sentì eccitata. Per un momento, quella le parve casa sua e si divertì a pensare a cosa preparare per cena, a gestire gli avanzi e ad apparecchiare la tavola.
« Gli avanzi vanno benissimo. Sembra tutto delizioso. »
Ashton richiuse il frigo, travasò arista e patate in un tegame e accese il fuoco. Madison intanto osservava estasiata qualsiasi cosa accadesse intorno a sé.
« Posso apparecchiare? »
« Se vuoi. Ti faccio vedere dov’è la roba. »
Ashton le mostrò dov’erano piatti, bicchieri e posate, e Madison si divertì a disporre il tutto a tavola. Erano cose che raramente aveva fatto in prima persona, e di certo non in modo così completo.
« La tavola è pronta! »
Ashton le sorrise.
« È così divertente apparecchiare? Comunque è pronto anche qui. Si mangia! »
 
Riscaldandola, la carne si era indurita un po’, e le patate erano piuttosto farinose, tuttavia a Madison sembrò il pasto più buono della sua vita. Ogni tanto alzava lo sguardo verso Ashton e arrossiva, perché in quella situazione sembravano davvero una coppietta di sposi novelli. Finito il pasto, aiutò Ashton a sistemare i piatti sporchi in lavastoviglie, finché non le disse di aspettarla sul divano.
La raggiunse poco dopo e accese la tv di fronte a loro.
« Allora, che si guarda? »
Madison scosse il capo.
« Non lo so, non guardo molta tv. »
Ashton continuò a scorrere i canali, finché non ne trovò uno di suo gradimento.
« Ah, è bellino questo telefilm. Lo conosci? »
« Penso proprio di no. »
« È carino. Lui è un assassino seriale, solo che è un tipo strano, perché a quanto pare compie questi omicidi per una causa personale, che ovviamente non conosciamo e scopriamo a poco a poco. Poi be’, ovviamente questi omicidi lo mettono in difficoltà nella vita di tutti i giorni perché qualcuno comincia ad avere dei sospetti sulla sua doppia vita. »
« Mi sembra interessante. Questo qui chi è? »
Madison indicò un dottore alto e robusto che parlava col protagonista.
« Lui è quello che comincia ad avere dei dubbi. E sospetto che farà una brutta fine. »
 
Durante la durata del telefilm, Madison si distrasse a osservare Ashton, che sembrava piuttosto divertito da alcune battute. Cominciò anche ad avvertire un leggero senso di torpore e, d’istinto, appoggiò la sua testa sulla spalla di Ashton. Fu troppo tardi quando si accorse di quello che aveva fatto e il suo cuore raddoppiò il battito. Fu tentata dal rizzarsi su, ma così avrebbe fatto brutta figura, come se la spalla di Ashton fosse qualcosa di pericoloso dal quale bisognava fuggire senza ripensamenti. Anche rimanere in quella posizione la imbarazzava, perché Ashton rimase pressoché immobile; Madison si accorse, però, che aveva anche smesso di ridere alle battute del telefilm.
Capì che, qualunque scelta avesse compiuto, sarebbe stata comunque in imbarazzo; e allora decise di rimanere su quella spalla ancora un po’, perché quel batticuore era davvero fastidioso, per non parlare di quella gola riarsa, ma al contempo si sentiva tranquilla e in un mondo parallelo, quasi onirico.
Dietro di sé sentì qualcosa muoversi. Frenò il respiro, fino a che non si accorse che era il braccio di Ashton che si alzava. Braccio che finì per stringersi intorno a lei, abbracciandola.
Madison ebbe un po’ di paura: le sembrava che il cuore stesse per esploderle davvero. Era così emozionata che sarebbe anche potuta svenire, e il solo pensiero di quella mano calda sul suo braccio le faceva attorcigliare lo stomaco ancor più di un esame universitario.
Non aveva mai provato simili sensazioni. Non sapeva cosa fare. Forse, nelle sue fantasie più remote, avrebbe voluto alzare lo sguardo verso di lui e baciarlo, ma al solo pensiero si agitava, costringendosi a concentrarsi di malavoglia sul telefilm.
Abbassò gli occhi sul suo petto e il panico aumentò, non appena si accorse che il cuore batteva talmente forte che era pure visibile da fuori.
« Perché sei scappata di casa? »
« Eh? »
Si accorse che la voce le aveva tremato. Istintivamente si mosse da quella posizione, ritrovandosi faccia a faccia con lui.
« Che è successo a casa? »
« Ho litigato con i miei genitori. »
« Qualcosa di grave? »
Madison si allontanò un po’ da Ashton e si rannicchiò sul divano, abbracciandosi le ginocchia.
« Mia madre vuole che io faccia un concerto. L’ha prenotato al posto mio, senza dirmi niente! Come si è potuta permettere? E poi io non voglio suonare, odio suonare! »
Madison nascose il capo tra il suo corpo e le ginocchia.  Aveva omesso di proposito il fatto che il concerto e la mostra si sarebbero svolti lo stesso giorno: avrebbe sbrogliato da sola quella situazione. Non sapeva ancora come, ma confidò nel fatto che le sarebbe venuto in mente qualcosa.
Sentì la mano di Ashton accarezzarle la testa per qualche istante.
« Ho capito. Ma, prima o poi, dovrai tornare a casa. »
« Lo so! Ma adesso non me la sento. Ho voglia di stare un po’ da sola, lontana da loro. Non li sopporto più. Mi considerano una stupida, una che non riesce a decidere niente nella sua vita. »
« Hai mai provato a parlargli di questo? »
« Figurati, sai che gliene importa. Tanto da quell’orecchio non ci sentono. »
« Se non hai mai provato, come fai a dirlo? O forse sei tu che, per qualche motivo, non vuoi parlare con loro? »
Madison si zittì. Rimuginò sulla risposta da dare, ma non voleva rovinare i suoi bei momenti pensando a quello che avrebbe dovuto affrontare una volta tornata a casa.
« Non ne voglio parlare. »
Ashton le accarezzò ancora la schiena.
« Va bene, non insisto. Ma non credi che loro siano preoccupati per te? Forse ti stanno cercando. »
« Mi cercheranno giusto perché sennò faranno una brutta figura al concerto, se non mi ritrovano in fretta. »
Lui non disse niente. Continuò ad accarezzarle la schiena, sperando di darle sollievo.
« Adesso posso fartela io una domanda, Ash? »
« Sentiamo. »
« Perché a volte sei così acido, con me? »
Ashton sorrise e indugiò qualche secondo prima di rispondere.
« Non ne voglio parlare. »
« Ah. Scusa. Non volevo essere indiscreta. »
Ashton scoppiò a ridere e la abbracciò un poco, avvicinandola a sé.
« Ti sto prendendo in giro, dai. Tu credi che ci sia un motivo? »
« Assolutamente sì. »
« Sembri piuttosto convinta, e fai bene. Vedi, Madison, quando ci si espone troppo, ci si può far male. E allora si impara a difendersi. Ognuno lo fa a modo suo, lo sai anche tu. »
Aveva capito che Ashton si riferiva a qualche esperienza amorosa passata, ma lei non poteva sapere cosa si provava, anche se lo intuiva. Ashton parve leggerle nel pensiero.
« Ci sono tanti campi in cui ci si può scottare. Tu perché non vuoi affrontare i tuoi genitori? È una domanda retorica, tranquilla. »
Madison ripensò a quella volta, tanti anni prima, quando era piccola. Aveva provato a sfidare sua madre, subito dopo che aveva contratto quella tendinite che le aveva sottratto per sempre la possibilità di suonare. Sua madre le aveva passato il testimone, anche se lei non voleva; e glielo aveva dimostrato storpiando il brano di Beethoven da lei preferito, ridicolizzandola davanti a tutti. L’aveva sgridata così forte e con così tanta disperazione che non ebbe più il coraggio di mettersi contro di lei. Aveva paura di deluderla, forse, non raccogliendo il testimone che sua madre le aveva lasciato? E cosa sarebbe successo se avesse provato a protestare un’altra volta?
Ashton aveva ragione. Non è solo l’amore che ti scotta.
« Comincio a essere un po’ stanca. »
« Di tutti questi discorsi? »
Madison sorrise e scosse il capo.
« No, ho solo un po’ di sonno. È stata una giornata lunga, per me. »
« Sì, anche io sono abbastanza stanco. »
Ashton spense la televisione, si alzò poi dal divano e si stiracchiò.
« Ti lascio il letto, io dormo di qua. »
« Non sarà un po’ scomodo, per te? »
« C’è il trucco. Ora vedi. »
Ashton tolse i due cuscini alle estremità del divano e quelli della seduta, poi tirò verso di sé la rete fino ad aprirla per esteso: era un divano letto.
« Ecco fatto. Allora buonanotte, Mad. Per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi. »
« Buonanotte anche a te, a domani! »
 
***
 
Poco dopo essersi messa sotto le coperte, Madison riaccese il telefono, dopo che lo aveva lasciato spento tutta la sera. Come si aspettava, c’erano almeno venti chiamate dei suoi genitori, che ignorò volutamente. Poi, tra tutte quelle notifiche, notò anche un messaggio da parte di Claire. Lo aprì e sorrise vedendo che non rispettava nessuna regola di buona scrittura, ma Claire non andava troppo d’accordo con la tecnologia. Il messaggio, errori esclusi, diceva:
“Ciao piccola, spero che tu stia bene. Ai tuoi ho detto che sei da Jack e di stare tranquilli. Spero di aver fatto bene. Un bacio.”
Fu sollevata al pensiero che i suoi genitori non avrebbero scomodato nessuno per cercarla, almeno per un po’. E, al contempo, era felice di avere un’alleata come Claire, e sperò che non finisse nei guai per colpa sua.
Madison appoggiò il telefono sul mobiletto accanto al letto, poi si rigirò tra le coperte. Le tirò su fino a coprirsi il viso, poi strinse il cuscino tra le braccia, cercando di rimanere più coperta possibile. Le sue narici furono invase da un profumo di cocco e le tornò subito in mente il flacone di shampoo che aveva visto poco prima, a bordo vasca, nel bagno di Ashton. Per un momento le parve di vederlo lì, disteso accanto a lei, ma era solo la sua fantasia.
Come sarebbe stato dormire davvero con lui?
I suoi pensieri cominciarono a viaggiare, e immaginò che Ashton si risvegliasse all’improvviso con lei accanto; poi i due si guardavano, rischiarati solo dalla luce della luna, mentre Ashton si avvicinava sempre di più; e infine lui posava quelle labbra sulle sue, dandole il suo primo bacio.
Madison tornò alla realtà, e scacciò imbarazzatissima quel pensiero dalla sua testa. Stava davvero immaginando una simile scena? Era quello che voleva?
Si domandò se Ashton stesse già dormendo. Aveva voglia di stare con lui, ma non voleva svegliarlo. Si chiese se fosse un tipo dal sonno leggero o pesante. Pensò, però, che non ci sarebbe voluto molto per scoprirlo. Sarebbe potuta andare ugualmente nell’altra stanza, provare a distendersi accanto a lui e studiare la sua reazione. E se si fosse svegliato e le avesse chiesto che ci faceva lì, poteva sempre dirgli che non riusciva a dormire perché aveva troppi pensieri nella testa. E i pensieri, certamente, erano per il pianoforte. Non per quel batticuore incontrollabile che aveva ogni volta che pensava a lui e immaginava certe scene.
Si alzò furtiva dal letto, un po’ eccitata e un po’ impaurita, ma il fatto di aver già pensato al piano di riserva la tranquillizzò un poco.
Si affacciò in soggiorno e individuò subito il divano letto. Ashton sembrava dormire beatamente, ignaro del fatto che Madison si era alzata. La ragazza uscì dal suo nascondiglio e fece qualche passo in punta di piedi. Si fermò e scrutò Ashton, che non si era mosso di un millimetro. Si avvicinò ancora, fino a che non si ritrovò ai piedi del letto: se fosse riuscita ad adagiarvisi sopra senza farsi sentire, avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo. Si abbassò piano piano, fino a che non fu seduta, ben attenta a non staccare, nemmeno per un momento, lo sguardo da Ashton. Sprofondò lentamente nel materasso, ma l’altro sembrava dormire ancora serenamente. Madison aspettò qualche secondo, dopodiché liberò i polmoni con un bel sospiro. Prese posto accanto a lui, alzando le coperte cercando di non tirarle, e si distese sul fianco con lo sguardo verso Ashton.
L’oggetto dei suoi desideri era lì. E adesso che ce lo aveva davanti, capì che il batticuore non rappresentava più soltanto la sua emozione.
Aveva paura.
Non aveva mai baciato nessuno, né era stata mai sul punto di farlo e altri pensieri occuparono la sua mente. E se avesse sbagliato mira? Se si fosse scontrata col suo naso, non combinando niente e, anzi, svegliandolo? E poi, come faceva a sapere come si baciava, se non l’aveva mai fatto?
Un’altra parte della sua mente provò a tranquillizzarla: che senso aveva farsi tutti quei problemi, se Ashton dormiva? Non aveva bisogno di pensare alla tecnica, visto che avrebbe fatto tutto da sola. E qui, altri pensieri la tormentarono: voleva davvero sprecare così il suo primo bacio?
Stanca di quei pensieri, li zittì, risoluta. In fondo, si disse, si trattava solo di uno stupido bacio, nessuno era mai morto per quello, e di certo non era difficile, se lo facevano tutti con tanta facilità.
Osservò ancora il volto di Ashton, che era rimasto immobile, smosso solo dal suo respiro. Si bagnò le labbra e deglutì.
Cominciò a spostare il suo viso verso quello di Ashton, mentre il respiro le tremava. Alla fine, arrivò così vicino da poter sentire il respiro di lui.
Deglutì un’altra volta.
Prese la mira, memorizzando dove si trovavano quelle labbra che voleva baciare.
Chiuse gli occhi.
E lo baciò.
L’emozione era talmente tanta che Madison avrebbe voluto piangere, ma non aveva voglia di rovinare quel momento e, soprattutto, non voleva staccare le sua labbra da quelle di Ashton. Le sembrò una sensazione molto strana, e non aveva mai notato quando le labbra potessero essere morbide e calde.
Si staccò da quel contatto così sorprendente e, con un sorriso incantato, riaprì gli occhi.
E si accorse che Ashton la stava fissando.
 
Il cuore le si pietrificò. Non riuscì a pensare a nulla, aveva la testa completamente vuota. Ashton continuava a guardarla, senza dire niente, ma era perfettamente sveglio.
Poi, lo vide muoversi. Capì che voleva baciarla ancora. Ma con un bacio vero, stavolta. Raccolse tutto il suo coraggio e aspettò che le labbra di Ashton la sfiorassero. Ma, come sentì che erano vicinissime, si tirò indietro.
« No! »
Nascose il volto nel cuscino e si maledì un secondo dopo. Si diede della stupida, perché, ancora una volta, l’aveva data vinta alla sua inesperienza. Provò a rimediare immediatamente, liberandosi del cuscino.
« Scusa, non volevo dire quello! »
Ashton, però, si era già alzato e le dava le spalle.
« Madison, sono stanco di questo tuo atteggiamento. È l’ora di finirla. »
Lei lo guardò con fare interrogativo.
« Che stai dicendo? »
« Sto dicendo che sono stufo di questa tua indecisione. Prima mi rifiuti, poi mi fai gli occhioni dolci, poi sei di nuovo distante e infine mi baci! Madison, lo sai che mi piaci, e trovo veramente scorretto questo tuo comportamento. Non puoi giocare così con i sentimenti delle persone. »
Madison lo fissava con occhi sbarrati.
« Ash, scusami, io non mi ero resa conto che… Sono così imbranata! Era la prima volta, per me, io… »
Madison abbassò lo sguardo, forse aspettando l’esito di questa sua confessione.
« Mad, mi dispiace, ma non è una giustificazione. Sai da quanto tempo aspettavo questo momento? E adesso, ancora una volta, ti tiri indietro! Non volevo arrivare a questo, ma sono costretto a metterti alle strette. »
Ashton si risedette sul letto, alzò con delicatezza il mento di Madison, finché non riuscì a guardare quegli occhi umidi.
« Vuoi stare con me, sì o no? »
Madison rimase a bocca aperta. Non rispose. Ashton continuò.
« Se dici di sì, ricordati che è un impegno; ma se dici di no, allora sappi che questa volta è definitivo e non so se avrò voglia di vederti ancora. Non volevo arrivare a farti un aut aut, ma non sopporto davvero più questa situazione. »
Madison si sentì nel panico. E in quel momento si rese conto che si era veramente illusa che potesse durare per sempre quella situazione così idilliaca, dove era libera di andare e venire quando più le faceva comodo. Senza rendersi conto, egoisticamente, che quel suo atteggiamento aveva fatto soffrire qualcuno.
Un qualcuno che adesso le chiedeva di scegliere. Il tempo dei giochi era finito e lei doveva fare la sua scelta e prendersi le sue responsabilità.
Ashton aveva significato davvero tanto per lei: solo in quel momento capì che era stato proprio lui ad attenuare la sua avversione per il pianoforte, era stato lui che, indirettamente, le aveva dato la spinta per liberarsi da quella situazione opprimente. Le aveva anche dato il sogno di una mostra fotografica, dove finalmente avrebbe avuto l’occasione per dimostrare che aveva tutte le carte in regola perché i suoi genitori fossero orgogliosi di lei.
E se l’avesse perso, se avesse perso il suo riferimento, cosa ne sarebbe stato di lei? Sarebbe rimasta ancora la solita, piccola Madison che suona il pianoforte e che cerca di uscire da quel mondo di latta costruito appositamente per lei.
Ma se, invece, avesse accettato di stare con Ashton? Dove l’avrebbe condotta quella scelta? La risposta, in realtà, era una sola: non lo sapeva. Poteva immaginare anche un milione di possibili scenari, ma sarebbe potuto accaderne uno che non aveva previsto. E se non fosse stato tutto rose e fiori?
Aveva paura di quel salto nel vuoto, perché poteva migliorare la sua situazione, ma poteva anche peggiorarla. Avrebbe potuto soffrire.
Ma mentre la sua mente continuava ad arrovellarsi tra mille pensieri, la sua bocca agì di testa propria.
« Va bene. »
Realizzò dopo qualche attimo ciò che aveva appena detto. Stava accettando di stare con Ashton. Di diventare la sua ragazza.
Lui la guardò con le sopracciglia alzate, sorpreso.
« Sei sicura? »
Ormai non poteva più tirarsi indietro. Era riuscita a muovere il primo passo verso l’ignoto, e sentiva, dentro di sé, la voglia di camminare ancora.
« Sì. »
Ashton si avvicinò a lei e le accarezzò una guancia con un tenero sorriso. Erano davvero poco distanti l’uno dall’altra, tanto che il volto di Ashton cominciò a sdoppiarsi. Madison chiuse gli occhi, mentre il cuore tornò a batterle all’impazzata.
E un altro bacio non tardò ad arrivare.

 

Sera a tutti! Capitolo un po' più lungo del solito, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso ^^ Fan di Ash, non mi picchiate! XD Tanto lo sapevate che sarebbe finita così... u.u
Ah, ci sono alcuni punti che ho aggiunto in un secondo momento; ho riletto tutto comunque, ma se qualcosa mi fosse sfuggito sentite liberi di dirmelo ^^ 
Ringrazio tantissimo le persone che mi seguono, che commentano e non, mi rendete ogni giorno più felice *__*
A presto, ci vediamo martedì prossimo con altri ricordi del personaggio misterioso... tra un paio di capitoli comincerete a capirne il senso ;)
   
 
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