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Autore: Agapanto Blu    20/11/2013    7 recensioni
Osservai l’auto fare retromarcia e poi mi voltai verso la scuola. Prima di entrare, però, lanciai un’occhiata verso l’alto: il moro non c’era più ma il biondino sì e continuava a fissarmi come se fossi stato la promessa vittima di un film horror.
Quando Mathieu decide di rivelare al padre la sua omosessualità spera in un aiuto per risolvere la confusione e la paura nella sua testa, nonostante i suoi non ci siano mai stati per lui. L'ultima cosa che il ragazzo si aspetta è di essere cacciato per questo e iscritto alla Chess Academy, una scuola maschile molto esclusiva in Inghilterra.
Ma è qui che arriva il peggio, perché nella scuola esistono due soli colori, o bianco o nero, e le vie di mezzo vengono brutalmente soppresse.
Mathieu non vuole questo, non vuole essere un sovversivo e non vuole lottare, certo non vuole l'oppressione che sente addosso e spesso pensa di chinare la testa e smettere di resistere.
Sarebbe facile, quindi perché non farlo? Semplice: perché gli occhi di Gregory, ragazzo spigliato e decisamente ribelle, sono troppo azzurri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Scolastico
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Capitolo 22: In cambio
 
“Mamma, questo è Ryan, il mio compagno di stanza: è lui chi mi ha rimesso a posto le costole, la prima volta.” C’era una nota d’orgoglio nella mia voce e sorrisi: avevo degli amici fantastici, tanto valeva vantarmene!
Mia madre sorrise, radiosa, stringendo la mano di Ryan e chinando la testa in un muto ringraziamento per ciò che lui aveva fatto e Ry, ovviamente, scosse la testa per schermirsi.
“E questo” continuai, leggermente più imbarazzato ricordando il bel dialogo di due ore sul biondo che io e mamma avevamo condiviso prima del mio ritorno in Accademia, “è Gregory, un mio…”
Non feci neanche in tempo a finire la frase: gli occhi di Michelle Legris si accesero inequivocabilmente puntandosi sul mio biondino preferito.
“È un piacere conoscerti, Gregory!” disse, tranquilla, stringendogli la mano, “Mathieu mi ha parlato così tanto di te!”
Cercando di ignorare Ryan, scoppiato a ridere, provai ad arginare mia madre, ma lei stava già scansionando Greg per paragonarlo all’immagine di lui che si era fatta sulla base di ciò che le avevo detto.
“Mamma!” tentai, con tono di rimprovero, ma lei scacciò via la mia sott’intesa obiezione con un gesto della mano.
Gregory sembrava divertito dalla situazione e mi scoccò un’occhiata particolare con un sopracciglio alzato.
“Davvero?” chiese con finta noncuranza, “Spero non siano state brutte cose…”
Questa me la paghi, Gray!, lo minacciai con gli occhi, ma sia lui che la mia cara mammina mi ignorarono completamente.
“Assolutamente no! Al contrario!” lo spalleggiò mia madre, facendo piegare in due dal ridere Ryan.
“Zitto!” ringhiai, tirandogli un pugno sulla spalla ma senza ottenere risultati. Guardai malissimo mia madre. “Mamma, sono sicura che a Greg questo non interessa…”
“Oh, invece sì!” rise l’interessato, attirandosi a sua volta un mio pugno.
“NO!” ribadii, senza smettere di guardare lei, “Mamma, per favore!”
Lei si finse sorpresa.
“Ma come, Mathieu? Io sto solo cercando di essere gentile con i tuoi amici!”
Sì, come no!
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando, e tutti si misero a ridere, ma prima che potessi aggiungere qualcosa due piccoli autobus si infilarono nel cortile della scuola.
Sulle prime pensai fossero i mezzi di trasporto destinati a portare tutti i ragazzi in aeroporto, ma poi sorrisi quando la porta si aprì e una figura inequivocabilmente femminile scese, facendo da apri-fila ad una cinquantina di altre.
“Signori,” risi quando a Greg e Ry cadde la mascella nel riconoscere la giovane e senza dubbio splendida Lucille Gray alla guida delle sue compagne, “credo che nemmeno la Checkers Academy sia sopravvissuta ai media!”
Lucille non ci mise nulla ad individuare il fratello e il fidanzato e il sorriso sulle sue labbra brillò mentre lei partiva di corsa, senza rallentare, e finiva per andare a sbattere loro contro con tanta forza da gettarli a terra. Un braccio attorno al collo di Ry e uno attorno a quello di Greg e i capelli sparpagliati su entrambi, Lucille iniziò a ridere, felice.
“Siamo fuori!” esclamò, facendo scoppiare anche i due ragazzi che si tiravano su per stringerla a loro volta.
Sorrisi.
Lucille aveva ragione: eravamo fuori, finalmente.
 
“Ahia!” mi lamentai quando i paramedici strinsero le fasce che mi bloccavano sulla barella.
Le mie costole non avevano più retto, piegandomi in due per il dolore, ed essendo questo accaduto nel cortile sotto gli occhi di tutti, purtroppo, mi ero ritrovato privo di scelta: ospedale. Mia madre era stata fantastica con i miei amici, ma irremovibile con me e perciò in quel momento mi stavano caricando sull’ambulanza per accertarsi delle mie condizioni e decidere cosa farmi, ma siccome la mia situazione non era rosea i paramedici avevano stabilito che era impensabile farmi stare seduto. Risultato: me legato ad una barella come un pazzo.
Fulminai mia madre con un’occhiataccia, ma lei incrociò le braccia al petto, come a dirmi che era inutile anche solo pensare di convincerla a fare altrimenti.
Dietro di lei, Greg e Ryan mi sorridevano, annuendo soddisfatti, e Lucille mi lanciò un’occhiata comprensiva da in mezzo a loro, una mano stretta a quella del fratello e l’altra attorno alla vita del fidanzato che le cingeva le spalle con un braccio.
“Sto bene!” tentai per l’ennesima volta, ma fui zittito da un unanime “Shhhhh!” e mi offesi, così misi il broncio e smisi di parlare loro.
Gli sportelli dell’ambulanza provarono a chiudersi dietro mia madre, ma una voce li bloccò.
Strinsi i pugni d’istinto, ma mio padre parve non notare né quello né le occhiatacce che i miei amici e mamma gli stavano rivolgendo. Al contrario, salì placidamente sull’ambulanza per sedersi al fianco della moglie come se nulla fosse.
“Mi viene da vomitare.” sibilai.
Un paramedico, povero sciocco, cercò di prendermi un sacchetto, ma un suo collega un po’ più intuitivo lo fermò e iniziò a far oscillare lo sguardo tra me che fulminavo mio padre e lui che mi ignorava come se nemmeno esistessi.
Lanciai un’occhiata veloce a Greg, ma a malapena incrociai le sue iridi blu prima che le porte fossero chiuse per davvero. Quando l’ambulanza iniziò a muoversi, sospirai.
Si prospettava un lungo viaggio.
 
“Va bene, quindi, mi raccomando, devi stare…?”
“…fermo.” sbuffai, completando per la diciassettesima volta la frase del dottore.
Non sono così scemo!
Mio padre sbuffò e quindi io, tanto per ripicca, mi trattenni dal farlo. Non volevo avere niente in comune, con quell’idiota, mai più.
Me ne stavo sdraiato sul lettino al quale avevano minacciato già due volte di legarmi, mia madre invece rimaneva in piedi accanto alla testiera e ogni tanto mi passava una mano tra i capelli mentre mio padre si era seduto su una sedia accanto alla porta, neanche fosse stato pronto a scappare alla prima occasione. Non che a me sarebbe dispiaciuto poi tanto.
“Bene,” disse Charles, alzandosi e avvicinandosi a me degnandosi finalmente di guardarmi, “chiamerò uno di quei giornalisti: preparati all’intervista.”
“Ma, signore!” esclamò il medico, confuso, guardandolo con confusione.
Io non me ne sorpresi. Anzi, ne ero felice: aveva fatto ciò che pensavo e quindi, forse, potevo ancora giocarmi la mia carta per riavere Gregory.
Mio padre fulminò il dottore con un’occhiataccia.
“Cosa c’è?” sbottò, offeso.
L’uomo esitò, chiaramente confuso.
“Suo figlio…le sue costole sono ancora…insomma, dovrebbe riposare e…” provò a spiegare, ma era chiaro che non conosceva mio padre, il quale infatti sbuffò.
“È vivo, no?” chiese, retorico, “Poteva finire peggio, con quelle costole, no?”
“Beh, sì, però…”
“E allora resisterà ancora un po’: dieci minuti con quel giornalista, poi farà finta di non volerne parlare, due lacrimucce visto che è tanto bravo a versarle e allora potrà riposare finché vuole.”
Strinsi i pugni e digrignai i denti a quelle parole. Se ti fossi degnato di scoprire qualcosa di me, sapresti che è da un bel po’ che QUEL Mathieu non esiste più! E non esiste più nemmeno quello che farà ciò che vuoi senza fiatare!
“No.”
Mio padre si voltò di scatto verso di me, sgomento, per fissarmi con un sopracciglio sollevato.
“Come, scusa?” la sua voce era gelida, rigida, e ancora uno spasmo di paura mi fece stringere le labbra, però non ritrattai.
“Ho detto di no.” ribadii.
“Mathieu…” mormorò mia madre, a bassa voce, facendo correre lo sguardo da me a mio padre, evidentemente preoccupata.
Mio padre alzò una mano a zittirla e continuò a fissarmi, ma io ressi lo sguardo. All’improvviso, lui si avvicinò al letto.
“Dottore, può andare.” disse al medico, ma senza smettere di guardarmi.
L’uomo esitò vistosamente, ma io gli feci un cenno con la mano perché capisse che erano questioni personali che avrei dovuto chiarire da solo e così se ne andò.
Mio padre mi mise una mano sul petto e premette leggermente. Strinsi i denti sentendo le costole iniziare a lamentarsi debolmente al di sotto della coperta degli antidolorifici, ma mi costrinsi a non reagire.
“CHARLES, NON OSARE!” Mia madre iniziò a colpire mio padre sulle spalle, a prenderlo a pugni e schiaffi, ma per quanto avesse imparato a fare la mamma, non sapeva certo come far male.
Mio padre aumentò la pressione, continuando a fissarmi negli occhi.
“Forse non è chiaro” sibilò, “chi comanda, qui.”
Mi morsi la lingua, ricacciai le lacrime indietro e strinsi i pugni, costringendomi a non tentare di staccarlo da me.
“Mi hai fatto promettere che non ne avrei parlato mai più!” esclamai, tutto d’un fiato perché parlare e respirare con la sua mano che mi schiacciava era un dolore allucinante.
La sorpresa per le mie parole lo fece irrigidire per un attimo e la pressione scemò abbastanza da farmi respirare di nuovo.
Notai che mia madre si era fermata e mi fissava con confusione, come sorpresa dalla mia freddezza, e mi concessi un sorrisetto.
“Mi hai fatto dare la mia parola.” ripetei, “Se adesso vuoi cambiare l’accordo, devi darmi qualcosa in cambio.”
Gli occhi di mio padre bruciarono di furia, ma io finsi di non vederli e di non sentire la pressione di nuovo forte sul mio petto. Gli occorsero parecchi secondi, che per me furono momenti di pura agonia, ma alla fine si raddrizzò di scatto, furioso, togliendo la mano dal mio petto.
Hai bisogno di me, Charles. Ti serve che io ti pari il culo, perché se non dico una parola capiranno tutti che è colpa tua e non puoi permettertelo. Ho ancora io il coltello dalla parte del manico e, finché sarà così, dovrai accettare i miei compromessi.
“Cosa vuoi?!” ringhiò.
Sollevai il mento, orgoglioso, e lo fissai dritto negli occhi.
“Dimentica la clausola sulla mia omosessualità: io sarò libero di stare con chi mi pare, al diavolo di che sesso sia, e tu non ci potrai mettere becco; in cambio io spezzo il silenzio e parlo con il giornalista dicendo che tu non sapevi nulla di quello che mi facevano lì dentro.”
La vena sulla fronte di mio padre iniziò a pulsare mentre lui stringeva i pugni tanto da far tremare tutte le braccia e mi fissava con gli occhi sgranati all’inverosimile.
“Non sfidarmi!” ringhiò, “Osa tirare troppo la corda e io ti sbatto fuori di casa, non credere che non ne sarei capace!”
Stavo per dire qualcosa di sarcastico, ma la figura minuta di mia madre si interpose tra mio padre e me.
“Tu provaci e dovrai sbattere fuori anche me!” sibilò, determinata, “Allora poi vediamo cosa farai con tutti i clienti che il mio nome ti ha portato!”
Mio padre divenne paonazzo e dal modo in cui guardava mia madre pensai che avrebbe potuto farle del male.
Al diavolo le raccomandazioni del medico, mi sollevai sulle braccia e tentai di mettermi a sedere per aiutarla, ma feci solo metà del movimento che lui si voltò di nuovo verso di me.
“Io non li voglio vedere.” ringhiò, “Né io né chiunque altro, è chiaro?! E se ti azzardi a portarne uno a casa o a far sapere in giro questa tua…perversione!...giuro che ti spezzo tutte le costole e poi ti caccio di casa, chiaro?!”
La mia espressione si indurì.
“Oh, tranquillo, non ho mai pensato di presentarti nessuno!” sibilai, “Non vorrei mai mi lasciassero perché gli fai schifo.”
Mio padre sollevò il labbro superiore, come disgustato dalla vista che si trovava davanti, siamo tuo figlio e tua moglie, sai?, non dei mostri!, ma poi si voltò e si diresse alla porta.
La aprì ma si fermò a metà strada tra il dentro e il fuori.
“Vado a chiamare la stazione televisiva.” commentò solo, prima di andarsene sbattendo la porta.
Tirai un sospiro di sollievo appena la sua figura fu scomparsa, ma le costole si offesero e mi fecero ripiegare su me stesso, una mano stretta al petto come a strapparmi il cuore.
“Mathieu?!”
Le mani di mia madre sulle spalle, in quel momento, mi parvero la cosa più bella del mondo e mi ci abbandonai spostando la mano da sopra il mio petto a sopra la sua.
“Tranquilla…” sussurrai piano, riprendendo fiato.
Mia madre strinse appena la presa ed esitò un attimo prima di parlare.
“Il divorzio non sembra più così una brutta cosa…” mormorò, pianissimo.
Sorrisi, mesto, ma scossi la testa.
“Lo pensi solo perché è un brutto momento: non fare scelte affrettate.” le consigliai, pur sentendo il cuore che sanguinava al dover difendere mio padre.
Non volevo che mamma dovesse scegliere tra me e lui, mi sembrava così ingiusto.
Mamma si sedette sul bordo del letto e poi, voltandosi verso di me, mi prese perché mi sdraiassi di nuovo, ma questa volta posando la testa sul suo grembo.
Il mio cuore perse un battito. Era la prima volta in vita mia che potevo dormire così, appoggiato a lei, con le sue dita sui capelli e sulle guance. Da piccolo non mi era mai stato permesso.
Ora capivo perché i bambini si calmassero così velocemente quando le madri li abbracciavano: era una sensazione meravigliosa, di calore e protezione. Posai la mano davanti al mio viso, per reggermi, e chiusi gli occhi.
Più nel mondo dei sogni che in quello reale, sentii a malapena le parole di mia madre.
“Il problema di questo momento è che dura troppo ed è sempre più brutto…” sospirava.
Il mio cuore raggrinzì all’idea del dolore che stava provando.
“Mamma?” mormorai.
“Sì?”
“Ti voglio bene… Tanto…”
Il suo corpo si piegò sul mio e le sue labbra lasciarono una carezza delicata sulla mia tempia.
“Anche io, piccolo…” sussurrò, “Tantissimo…”
 
“Arrivederci…” salutai, a bassa voce, guardando il giornalista andarsene.
Mio padre non aveva avuto pietà del mio sonno. Era tornato dopo quindici minuti, mi aveva svegliato con una scrollata violenta che aveva urtato profondamente la sensibilità delle mie costole e mi aveva costretto all’intervista.
Ora che era finita, mi sentivo così svuotato da pensare di poter dormire per sette giorni almeno.
Ma avevo una cosuccia un po’ più importante da fare.
“Mamma?” chiamai, mentre già iniziavo a tirarmi a sedere. Lei entrò, ma era tutt’altro che calma e la cosa mi confuse. Che diavolo era successo? “Ma’?”
“Mathieu, Gregory è passato durante l’intervista!” mi disse, ansiosa, “Tuo padre l’ha mandato via!”
“Che cosa?!” Come ha potuto?! Sentii la rabbia montarmi dentro, ma mi costrinsi a chiudere gli occhi e a prendere un respiro mentre mi aggiustavo piano la camicia che ero stato costretto ad indossare, con i pantaloni, per l’intervista. “Chiederò scusa a Greg, tranquilla. Lui capirà, sa che mio padre non…”
“Greg sta partendo, Mathieu!”
Mi irrigidii.
“Che…che cosa?”
No, Greg non poteva stare partendo! Lui era…era… Lui non poteva andarsene! Noi…noi…
Guardai mia madre, sgomento, ma lei aveva le lacrime agli occhi e annuì.
“Torna a casa sua ad Aberdeen, in Scozia.” sussurrò, “Va via con i suoi, hanno l’aereo a Exeter t…”
“NO!”
Non la ascoltai nemmeno, non volevo sentirla. Si fottessero, le costole! Saltai giù dal lettino per iniziare a correre. Lei provò a fermarmi ma io mi divincolai.
“Non posso, mamma, non posso!” le urlai mentre già uscivo dalla porta.
Non indossavo i vestiti dei pazienti, sembravo un “civile”, e perciò nessuno mi fermò quando corsi a perdifiato, gli occhi pieni di lacrime per le fitte delle costole, fuori dall’ospedale.
Fermai al volo un taxi da cui era appena scesa una coppia e diedi l’indirizzo dell’aeroporto più vicino con un battito folle nel cuore. Se fossi arrivato tardi, se Greg fosse partito…
 
“So che male faccia, Mat… Mio padre mi ha tirato contro una bottiglia di grappa, una di quelle di vetro spesso, quando i genitori del ragazzo con cui stavo lo hanno chiamato per dirgli che mi avevano beccato a ‘traviare’ il loro figlioletto adorato… E la cosa più triste è che era stato lui a invitarmi per studiare e invece mi era poi saltato addosso.”
 
Mi portai un pugno alla bocca e lo morsi, con forza, ricordando quella confessione, una delle notti nella mia stanza.
Avevo risolto il problema di mio padre, ma il suo? La sua famiglia cosa avrebbe fatto?
Pregavo solo di avere tempo di baciare Greg una volta, prima di scoprirlo…
 
Corsi.
Saltai giù dal taxi urlando all’
autista di aspettarmi e corsi dentro. Spintonai persone su persone, incurante degli impatti contro il mio petto, mentre con gli occhi cercavo la chioma bionda di Gregory o un lampo blu che mi indicasse i suoi occhi. Oltrepassai i controlli di corsa, con la sicurezza che mi urlava dietro e iniziava ad inseguirmi, ma raggiunsi la sala di attesa per i voli.
Impietrii, lo sguardo fisso oltre la parete di vetro che dava sulla pista.
L’unico aereo diretto ad Aberdeen tirò su il carrello e si staccò da suolo sotto i miei occhi supplicanti e inascoltati.




Chiedo umilmente perdono!
Ho finito il capitolo proprio adesso, con l'Inghilterra non avevo avuto tempo prima, e perciò può esserci qualsiasi orrore grammaticale!
Scusate, scappo davvero: accontentatevi di ciò che c'è, anche se è un capitoletto corto e non troppo felice...
A presto,
ciao ciao!
Agapanto Blu
  
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