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Ritrovarsi
Balzai
giù da cavallo appena in tempo per schivare la freccia.
Spinsi via Ally dalla
strada ed estrassi l’ascia spostandomi verso l’alto
del pendio per cercare di
individuare l’arciere.
Un’altra
freccia venne scoccata alle mie spalle ma la corazza
d’acciaio la fermò. Non
erano frecce da combattimento, altrimenti mi avrebbe uccisa. Non poteva
essere
lo stesso tiratore. Le cose si mettevano male, dovevo trovarli in
fretta prima
che la mia fortuna si esaurisse.
Con
un turbinio di pensieri nella mente cominciai a guardarmi attorno alla
ricerca
di un riparo adeguato e imprecai sonoramente quando realizzai che la
strada era
completamente sgombra se non per alcuni massi troppo bassi per offrirmi
una
benché minima copertura.
La
terza freccia centrò il bersaglio. Si conficcò
tra lo spazio tra le placche che
dividevano il busto in acciaio dalla copertura della spalla destra.
Potevano anche
non essere ben attrezzati ma sapevano come usare un arco. Anche troppo
bene, per
i miei gusti.
Ma
stavolta l’arciere aveva commesso un errore,
l’avevo intravisto tra i cespugli
alla mia destra. Era il momento di scoprire chi era davvero il miglior
tiratore. Lasciai cadere l’ascia ed estrassi l’arco
gettandomi al riparo di una
bassa roccia. Anche accucciata rimanevo un bersaglio facile, avrei
avuto una
sola possibilità. Tesi al massimo la corda e mi concentrai.
Il
dolore alla spalla svanì,
i miei occhi
setacciarono i cespugli, il mio orecchio si tese a captare ogni minimo
suono.
Esisteva solo la caccia, solo io e la preda.
Non
la vidi e non la sentii, la percepii. I miei polmoni si riempirono
d’aria mentre
tendevo la corda al massimo. Scoccai. Centrai il bersaglio. Fatalmente.
Sentendo
rumore di passi alle mie spalle mi girai appena in tempo per parare il
fendente
di una spada con il manico della mia ascia. Non seppi per quale
miracolo
l’avessi recuperata così in fretta. Il fendente
era calato con forza e mi
sbilanciò pericolosamente costringendomi a piegarmi su un
ginocchio per non
perdere la presa sulla mia arma già compromessa dalla ferita
alla spalla che
cominciava a pulsare dolorosamente.
Dovevo
uscire da lì o mi avrebbe soprafatta. Feci forza sulle
braccia ignorando il
dolore e riuscii ad alzarmi quel tanto che bastava per spingerlo via.
Un
rumore di zoccoli al galoppo mi fece voltare pronta ad affrontare una
nuova
minaccia. Ma feci solo in tempo a gettarmi a terra per schivare un
pugnale che
mi oltrepassò andando a conficcarsi dritto nel cuore del mio
aggressore. Poco
dopo una mano si tese verso di me per farmi alzare ed io
l’afferrai sentendo un
caldo e soffice pelo ricoprirne le dita.
Allora
capii. Alzando lo sguardo mi ritrovai davanti proprio quel muso felino
di
Kar’At contratto in un sorriso compiaciuto e divertito di
fronte alla mia
espressione a dir poco sorpresa.
“Kar’At,
che ci fai qui?” gli chiesi con tono sorpreso.
Alla
mia domanda il khajiit assunse un’espressione leggermente
contrariata.
“Beh,
nemmeno un ringraziamento per averti salvato la vita?”
“Me
la sarei cavata benissimo. Ma grazie comunque.” ribattei con
una punta di gelo
nella voce.
Lui
sorrise e si diresse verso il bandito che aveva pugnalato.
"Stai
peccando di orgoglio. Guarda cosa stava per estrarre.” Si
voltò e mi mostrò un
corto pugnale seghettato di ottima fattura, la lama luccicante di
veleno.
“Se
tu ti fossi avvicinata per colpirlo avrebbe sicuramente fatto in tempo
ad
usarlo.”
Ora
sì che ero decisamente stupita. Lui se ne accorse e il suo
sorriso si fece
sempre più divertito.
“Che
succede? Mi stai guardando in un modo …”
“Tu
mi hai appena salvato la vita.”
Kar’At
distolse lo sguardo e si portò la mano dietro al collo
massaggiandoselo con
aria imbarazzata.
“Beh,
io … te lo dovevo, perciò … diciamo
che con questo siamo pari.”
Poi
il suo sguardo si fece accigliato, mi girò intorno e
sussultò alla vista della
freccia conficcata nella mia spalla.
“Maledetti
bastardi!” commentò mentre mi faceva sedere per
poterla esaminare meglio.
“Non
so assolutamente cosa fare. Ma di certo non possiamo lasciarla
lì.” Mormorò con
tono alterato.
“Calmati,
so io cosa fare. Dovrai estrarre tu la freccia.” A quelle
parole si voltò e mi
guardò con un’espressione mezza inebetita. Gli
sorrisi per rassicurarlo.
“Lo
farei io se potessi. Vedrai che te la caverai benissimo.”
Staccai la spalliera
dell’armatura per permettergli di estrarre la freccia.
“Ascoltami,
metti una mano sulla spalla e fai pressione.” Lui
eseguì, potevo sentire i suoi
respiri lunghi e profondi sul mio collo mentre si preparava.
“Adesso
tirala fuori con l’altra mano. Non esitare, un solo
strattone.” Lui esitò, la
mano strinse la freccia ma non osò tirare. A quel punto mi
voltai per poterlo
guardare in faccia. Kar’At se ne stava fermo immobile con gli
occhi chiusi, il
respiro tremante.
“Guardami,
Kar’At.” Lui aprì gli occhi e un moto di
sorpresa gli attraversò lo sguardo: non
si aspettava di vedermi in volto un’espressione
così. Io mi fidavo di lui, era
questo che gli stavo dicendo.
Bastò.
Sentii la carne che si lacerava quando la freccia venne estratta ma il
dolore
non fu eccessivo. Kar’At prese una benda dal mio zaino e
fasciò subito la
ferita alla meno peggio. Poi si alzò e un sorriso trionfante
gli illuminò il
viso.
“Ce
l’ho fatta.” Il tono era quasi incredulo. Sorrisi a
quelle parole e lo
ringraziai.
“Ora
direi che sono io a doverti un favore.”
“No,
non direi. Devo ancora restituirti questo.”
Si
sfilò il mio medaglione dal collo e me lo porse.
“Te
l’eri dimenticato.” commentò con una
mezza risata.
“No.
Non è così.” risposi io riprendendolo.
Era una bella sensazione riaverlo di
nuovo al collo ma dopotutto glielo avevo lasciato per un motivo: volevo
che non
considerasse tutti i Nord di Skyrim come barbari rozzi dalla testa
dura.
Eppure
non ritenevo credibile che fosse tornato indietro solo per
restituirmelo.
“C’è
anche dell’altro, dico bene?”
Il
viso del khajiit si illuminò ancora di più.
“Hai
ragione. In realtà sono qui per … unirmi a
te.”
Ero
sicura di aver capito male: non poteva dire sul serio. Eppure la sua
espressione era assolutamente seria, non stava scherzando. Sapevo di
dover
rifiutare: non erano cose adatte ad un ragazzino quello che stavo per
affrontare.
“Senti
Kar’At, tu non ti rendi conto di quanto pericoloso sia
viaggiare con me. Insomma,
guarda cosa è appena successo. Anche se non so
perché, ho assassini e mercenari
alle calcagna e ti assicuro che non ti risparmierebbero solo
perché sei un
ragazzo.”
Le
pupille verticali del khajiit si ridussero a due fessure e i suoi pugni
si
serrarono in un moto di rabbia. Parlò con voce
sorprendentemente calma.
Glaciale.
“Che
ci provino pure quei bastardi. Dopo quello che mi hanno fatto non vedo
l’ora di
incrociare le lame con loro.”
“E
poi – proseguì rialzando lo sguardo – io
non sono un ragazzo, l’hai detto tu
stessa. Sono forte e tu lo sai, non hai motivo per rifiutare. Ti ho
appena
salvato la vita, dovrebbe bastarti come dimostrazione.”
In
parte aveva ragione. Era forte, ma forse non così tanto
quanto credeva. Pensai
a lui in giro da solo per Skyrim, cacciato da ogni città
solo a causa di uno
stupido pregiudizio che portava gli abitanti a vedere i khajiiti come
una razza
di ladri. Non sarebbe sopravissuto a lungo in quelle condizioni.
Lo
avrei inevitabilmente messo in pericolo portandolo con me, ma io ero
anche la
migliore opportunità che avesse. Di nuovo.
Con
un sospiro mi portai una mano alla fronte massaggiandomi le tempie.
“So
già che me ne pentirò.”
“No,
invece non lo farai te lo assicuro.”
Tornai
a guardarlo. Ora sembrava davvero un ragazzino, spavaldo e determinato
ad
affrontare tutto ciò che il destino gli avrebbe messo
davanti. Sembrava ciò che
io non mi ero mai potuta permettere di essere.
Sorridendo
montai a cavallo e gli tesi la mano per aiutarlo a salire.
“Aspetta,
sicura di riuscire a cavalcare con quella ferita?” Mi chiese
mentre montava.