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Autore: Luce_Della_Sera    22/11/2013    4 recensioni
Tutte le storie d'amore all'inizio sono meravigliose; a volte però può capitare che si guastino con il tempo, specie nei casi in cui l'amore da parte di uno dei due si trasforma in gelosia morbosa, senso di possesso e voglia di controllare ogni mossa dell'altro! Questa one shot parla di una storia vera, vissuta realmente da una mia parente, che pur non avendo alcun appoggio ha cercato di affrontare come poteva l'incubo del suo matrimonio.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Libera

Cammino lentamente verso il cimitero, con il carro funebre che procede davanti a me: tutta la mia famiglia e gli amici mi seguono, in rispettoso silenzio. Quanti compaesani mi hanno dato le condoglianze oggi, senza immaginare quanto e come la morte di mio marito cambierà la mia esistenza!
Loro non sanno niente: ai loro occhi, sono solo la vedova dell’uomo più ricco del paese, una donna molto fortunata che non ha mai dovuto veder morire un figlio per fame. Se solo sapessero quale inferno stati per me questi trentotto anni di matrimonio!
Sono nata in una cittadina umbra, nel 1888: i miei genitori erano contadini e non avevano molti mezzi, perciò scelsero di non mandarmi a scuola. Dicevano che tanto non mi sarebbe servito, perché l’unica cosa che dovevo fare era trovare un buon partito e mettere su famiglia … però gli anni passavano, e mentre i miei fratelli e le mie sorelle più giovani si fidanzavano e convolavano a nozze, io restavo con mia madre e mio padre, che naturalmente non erano affatto contenti e si chiedevano dove mai avessero sbagliato con me. Ho compiuto vent’anni, poi ventuno, poi è arrivato il quarto di secolo, e ancora non avevo anelli al dito; infine è arrivata quella che poi è stata chiamata Grande Guerra, e le preoccupazioni per il mio stato di zitella sono un po’ venute meno. Questo stato di cose è durato fino al 1918, quando la mia vita è cambiata radicalmente perché dopo una funzione religiosa ho conosciuto lui!
Aveva quarantaquattro anni ed era rimasto vedovo l’anno precedente: sua moglie l’aveva lasciato con sette figli, sei maschi e una femmina. Era così dolce, gentile e disponibile che ci ho messo molto poco ad innamorarmi, e nel giro di qualche mese ci siamo sposati: pensavo che avrei avuto problemi con i ragazzi non essendo la loro madre naturale, ma per fortuna con loro è andato tutto bene, perché mi hanno accettata quasi immediatamente … mai avrei pensato che i problemi li avrei invece avuti con l’uomo che amavo con tutta me stessa!
Dopo qualche settimana di convivenza, infatti, le sue premure si sono tramutate in gelosia morbosa: non avevo pace nemmeno quando ci recavamo a lavorare nei campi, dato che si metteva dietro ai cespugli e cercava di attirare la mia attenzione. Ho imparato presto che non dovevo girarmi nella sua direzione per nessun motivo, altrimenti volavano schiaffi, pugni e calci! E se gridavo, invece di smettere si accaniva su di me ancora di più, gridandomi parole irripetibili e accusandomi di avere un amante. Quando eravamo in casa, poi, non potevo neanche azzardarmi ad affacciarmi alle finestre, perché altrimenti lui iniziava ad urlare che di sicuro volevo vedere se era arrivato colui con il quale a suo dire lo tradivo (persona che ovviamente esisteva soltanto nella sua testa!), e giù altre percosse! Questo accadeva tutti i giorni, e se provavo a tenergli testa, mi umiliava dicendo “Stai zitta, sgualdrina! Tu devi fare quello che ti dico, e senza fiatare, chiaro? Ringrazia il cielo che ti ho sposata, altrimenti a quest’ora stavi ancora in quel letamaio insieme ai tuoi! E poi con che diritto osi protestare? Non vali niente, né come moglie né come donna, perché sei incapace nelle faccende domestiche e non sei riuscita a darmi nessun figlio finora!”. Dopodiché si pentiva e faceva lo sdolcinato per un certo periodo, tanto che io mi convincevo ogni volta che fosse cambiato; ma poi, puntualmente, ricominciava da capo.
Contrariamente a quel che pensava, inoltre, i bambini alla fine arrivarono, e furono proprio loro a darmi la forza per andare avanti.
Il primo lo diedi alla luce nel 1921, e per quanto somigliasse moltissimo a suo padre lo amai ugualmente e tra noi nacque un legame molto speciale; poi tre anni dopo fu la volta del secondogenito, Giuseppe, che noi chiamavamo Peppino, e lì le problematiche tra me e il mio consorte toccarono l’apice: appena vide il neonato, infatti, lui si mise ad urlare come un matto che quello non era suo figlio, e che di sicuro era stato generato da un mio adulterio! Più io tentavo di farlo ragionare, e più si agitava: un giorno, dopo che avevo finalmente fatto addormentare il piccolo, arrivò addirittura a minacciarmi di morte. “Di chi è quel ragazzino, eh? Di chi? Lo sai, almeno? O è solo di uno dei tanti con cui ti intrattieni? Pensi che io non sappia dove vai o con chi sei quando esco? Eh? Credi forse che sia nato ieri? Ma io ti ammazzo, se ti pesco con qualcun altro, lo sai? Sei mia moglie, nessuno deve permettersi di toccarti a parte me, hai capito?”. E partì per l’ennesima volta con le sberle, i cazzotti, i calci: solo quando vide il sangue si fermò e mi chiese scusa, comportandosi poi come un marito modello e concedendomi persino il permesso di uscire da sola, cosa che di solito non faceva mai.
Approfittando della libertà insperata, me ne andai da mia madre, per cercare conforto: non ne potevo più di quella situazione, e non volevo che i miei figli crescessero  in un ambiente tanto violento! Purtroppo però questa visita non sortì l’effetto sperato, perché mia madre, appena ebbe saputo tutto, mi rimproverò aspramente: “Ti rendi conto di quello che dici, Edvige? Attilio è tuo marito, e gli devi rispetto! Hai promesso davanti a Dio di amarlo e onorarlo per tutta la vita, te lo ricordi? Non azzardarti a pensare neanche per un minuto di venire meno a questo patto sacro; se ti picchia, evidentemente te lo meriti, quindi dovresti riflettere sulle tue mancanze invece di lagnarti. E adesso tornatene a casa, a svolgere i tuoi doveri di sposa: è lì che devi stare!”. Inutile dire che feci come mi aveva detto, con il cuore stretto dall’angoscia; per me ricominciò la solita vita fatta di botte, minacce, umiliazioni, recriminazioni e pentimenti repentini ed insinceri, a cui io credevo sempre come una povera ingenua, e continuò ancora così anche dopo il dicembre del 1927, anno in cui partorii il mio terzo e ultimo figlio, Roberto.
Sapendo bene che non potevo andarmene via per non creare uno scandalo, feci in modo che i miei tre figli pensassero che il padre era solo molto  innamorato di me, per questo si mostrava geloso e mi trattava duramente: ovviamente mi hanno creduto finché erano piccoli, ma poi la verità è venuta a galla … solo il più giovane, che tra qualche mese si sposerà, ancora è convinto che suo padre non sia stato una cattiva persona. Mentre loro non guardavano, nei pochi attimi di pace che avevo, mi sono spesso chiesta se gli scatti violenti che Attilio aveva nei miei confronti erano da imputare ad una mia reale mancanza come moglie, come mamma o entrambe;  ma ora che lo so dentro una bara, e che so che a breve verrà infilato in un fornetto e rinchiuso lì per sempre, mi sento di poter dire questo: no, io non ho colpe. Ho sopportato, stretto i denti, mi sono comportata onestamente: quindi, se c’è qualcuno che ha sbagliato, semmai, è lui! Ho sessantotto anni, ormai, ma nonostante io non sia più giovanissima posso affermare che sto per vivere una nuova vita, da donna finalmente libera.

Note dell'autrice: dedico questa storia alla mia bisnonna, che da giovane ha vissuto l'incubo della violenza domestica e non si è potuta ribellare a causa della mentalità della sua epoca, che colpevolizzava le donne anche quando erano vittime; e la dedico anche a tutte coloro che oggigiorno hanno questi problemi, ricordando loro che anche se è difficile la luce in fondo al tunnel si trova sempre, e con essa la libertà.

  
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